La casa di sviluppo polacca Reality Pump agisce e stupisce pubblicando un ambizioso kolossal, un GdR aperto dalle proporzioni gigantesche. Proviamo a scoprire cosa ci riserva il mondo di Two Worlds.
[articolo originariamente pubblicato il 1 giugno 2007]
1. Preistoria
Essere una forma di comunicazione neonata non è sempre uno svantaggio. Come non lo è non avere un seguito unanimemente condiviso dal colto e dall’inclita. È vero che il videogioco è oramai un prodotto di massa, ma le sue produzioni non sono ancora standardizzate come quelle cartacee o televisive. Se in questi ambiti è quasi impossibile che una testata semi-sconosciuta realizzi un prodotto capace di dare filo da torcere ai kolossal dei leader di settore, la cosa può invece succedere in ambito videoludico, e il gioco di cui ci apprestiamo a parlare ne è la prova più lampante. Non che la casa di sviluppatori che va sotto il nome di Reality Pump, con sede a Cracovia, fosse del tutto sconosciuta fino a ieri: in fin dei conti sono gli autori della nota serie di strategici Earth 2100, e qualche anno fa hanno anche compiuto una rapida incursione, almeno tangenziale, nel mondo dei GdR con Knightshift.
Questi trascorsi, comunque, non potevano assolutamente far prevedere un esito come Two Worlds: in fin dei conti stiamo parlando di un gioco di ruolo open world dalle proporzioni enormi, con grafica all’avanguardia, sistema magico e di combattimento elaborati, alchimia, dialoghi, quest e sottoquest, complesso sistema di fazioni e chi più ne ha più ne metta. Insomma, a detta dei suoi stessi autori stiamo parlando di un possibile concorrente del campione Oblivion e dell’agonizzante Gothic 3. Sarà proprio vero? Abbiamo cercato di capirlo attraverso diverse decine di ore di gioco: magari tante per uno sparatutto, in realtà pochissime per un titolo come quello che abbiamo per le mani. Per questo motivo lasceremo volutamente in ombra alcuni aspetti, anche importanti, come per esempio la trama principale: una seconda recensione, che pubblicheremo prossimamente, avrà modo di occuparsene. Per il momento siamo prontissimi, comunque, per dire la nostra sugli aspetti di base del prodotto. Che i due mondi si aprano!
2. Alla ricerca della sorella perduta
Sulla confezione del gioco campeggia una avvenente fanciulla, come peraltro spesso succede (pare che la donna procace in copertina funzioni sempre, anche nei videogiochi). Questa volta però non è una semplice questione di marketing: la fanciulla è davvero una protagonista del gioco. Si tratta infatti di Kira, la sorella dell’avventuriero-mercenario che il giocatore dovrà interpretare, rapita da chissà chi per chissà che motivo proprio all’inizio dell’avventura, durante il filmato che dà avvio al gioco. A questa grande quest, che ci accompagnerà per decine di ore, si affiancheranno presto ovviamente tante quest secondarie che ci daranno modo di scorrazzare in lungo e in largo per Antaloor, mondo fantasy in cui è ambientato Two Worlds e rispondente in pieno ai canoni del genere (foreste popolate da elfi, orchi cattivi, montagne innevate popolate da nani…) Si sarà già capito che in questo mondo il giocatore può interpretare solo il mercenario senza nome fratello di Kira: la fase di creazione del personaggio è rapidissima e ci consente solamente di scegliere qualche dettaglio della corporatura del protagonista; non è possibile cambiare il sesso del personaggio né la razza né scegliere un background o financo un nome particolare. Questo non significa peraltro che non vi sia nel gioco libertà interpretativa: come vedremo, ad Antaloor ci sono diverse fazioni, spesso in lotta tra loro, e il giocatore dovrà in più di una occasione scegliere da che parte schierarsi. Torniamo alle prime mosse del gioco: dopo la sparizione misteriosa di Kira, il nostro alter ego arriva in un piccolo villaggio immerso nelle foreste settentrionali, Komorin. Nei pressi del villaggio sorge un tempio, ed è proprio all’interno del tempio che il giocatore assume finalmente il controllo del personaggio: dopo un velocissimo (e assolutamente insufficiente) tutorial, l’utente ignaro viene catapultato dentro il mondo e lasciato completamente libero. Sarà vera libertà?
3. Lo sviluppo del personaggio
La crescita di livello del nameless one protagonista di Two Worlds avviene tramite il classico sistema dei punti esperienza, ottenuti tramite l’uccisione di nemici o la soluzione di quest. Ad ogni passaggio di livello, il giocatore ottiene cinque punti attributo e un punto abilità. I cinque punti attributo vanno utilizzati per aumentare le quattro statistiche base del personaggio: l’energia vitale, che determina i punti ferita, la forza, che determina i danni realizzati dalle armi in corpo a corpo, la destrezza, che determina l’abilità con le armi da lancio, e l’energia magica, che determina la quantità di mana. Il punto abilità va usato per imparare, appunto, una abilità, o anche per migliorare una abilità che già si conosce. Esistono abilità attive e passive, che possono riguardare qualunque ambito del gioco. Si va dalla abilità di nuotare più velocemente a quella di scassinare le serrature a quella di adoperare tecniche di combattimento avanzate (accecare il nemico, disarmarlo eccetera).
Le scuole di magia vengono considerate come abilità passive che è necessario conoscere fino a un certo livello per poter lanciare gli incantesimi di quel livello. Il personaggio inizia con alcune abilità già conosciute a livello base; molte però non possono essere apprese e migliorate se prima non si trova un addestratore che, a pagamento o come contropartita in seguito alla soluzione di una missione, le sbloccherà. Il sistema di controllo è molto tradizionale: il personaggio viene mosso con i consueti WASD, con un tasto si interagisce col mondo (si parla, si raccolgono oggetti, si aprono porte), con un altro si estrae l’arma e con il clic sinistro del mouse si compie un normale attacco. I combattimenti sono prettamente action e al loro interno ha un peso importante il riflesso del giocatore, anche se il nostro alter ego durante gli scontri sia all’arma bianca sia a distanza si ‘connette’ con il nemico e ne segue automaticamente gli spostamenti. Purtroppo il lato bellico del gioco non è molto equilibrato: se durante il giorno le lande selvagge sono popolate da animali feroci tutto sommato facilmente gestibili anche ai primi livelli, di notte si riempiono di inquietanti fantasmi contro cui qualunque personaggio di livello inferiore al ventesimo ha ben poco da sperare. Inoltre, le frecce sono esageratamente potenti: ai primi livelli basta che il nostro alter ego ne prenda una per vederlo stramazzare al suolo. Una barra rapida collocata in basso a sinistra permette di attivare tramite la semplice pressione di un tasto qualche oggetto, qualche abilità o qualche incantesimo; la nostra abilità o il nostro oggetto preferito può essere collegato anche al tasto destro del mouse, così da risultare ancora più facilmente accessibile.
Naturalmente sulla efficienza del nostro personaggio in combattimento ha un grande peso anche il suo equipaggiamento: Two Worlds offre la possibilità di scegliere tra tantissime armi e armature, ciascuna specializzata in qualche ambito. La gestione dell’inventario è molto classica: c’è la sezione dedicata allo zaino e quella dedicata agli oggetti equipaggiati; si possono aggiungere alle armi dei potenziamenti, si possono combinare degli ingredienti per realizzare pozioni (alchimia) e tutto il resto. Una novità è che se si trovano due oggetti non magici perfettamente identici, possono essere ‘sovrapposti’ e unificati per farli diventare un nuovo oggetto non magico leggermente più potente. Grazie a questa funzione, diventa interessante trovare anche un comunissimo oggetto non magico, se è un oggetto che può aiutarci a potenziare qualcosa che è già in nostro possesso. Un aspetto molto importante da considerare è che a inizio partita possiamo decidere se il nostro personaggio sarà ‘mortale’ o ‘immortale’: nel primo caso quando morirà dovremo ricaricare un salvataggio precedente, come accade normalmente in questo genere di giochi; nel secondo, il nostro personaggio risorgerà automaticamente al più vicino altare di Maliel, il dio della vita. Non ci saranno penalità di alcun tipo, se non il fatto che la morte verrà annotata nella schermata dedicata alla reputazione del personaggio: questo accorgimento permette di giocare in tutta tranquillità e di superare anche le battaglie più ardue semplicemente affrontandole “a rate”, ma ovviamente la tensione ne risente. Fortunatamente ciascuno può scegliere la modalità che preferisce.
4. La struttura del mondo e delle quest
Antaloor, come dicevamo sopra, è un continente molto ampio e anche molto vario geograficamente. Gran parte del territorio è coperta da foreste temperate, ma al sud compaiono deserti e al nord montagne innevate. Il territorio selvaggio è popolato da una fauna quasi sempre ostile: lupi, cinghiali, orsi e vari mostriciattoli che non ci penseranno due volte prima di attaccare il nostro eroe. La quantità di combattimenti che si dovrà affrontare in ogni spostamento è notevole, tanto che in alcuni frangenti ci sembrerà probabilmente di star giocando a una sorta di Diablo in tre dimensioni. Le zone selvagge sono costellate da insediamenti, che passano dal piccolo villaggio alla città murata. Ogni insediamento è popolato da una quantità variabile di personaggi non giocanti, ciascuno dotato di una rudimentalissima routine quotidiana generalmente composta da due sole fasi (di giorno si lavora, di notte si riposa). I PnG si possono dividere in due categorie: quelli generici offrono dialoghi che aiutano a delineare la storia del mondo o qualche evento che riguarda il territorio, mentre quelli importanti ci assegnano anche una quest o sono determinanti per la soluzione di una missione assegnata in un altro luogo. Capiremo immediatamente a quale categoria appartiene il personaggio che abbiamo davanti grazie all’icona che apparirà sullo schermo. Capiremo subito anche se si tratta di un mercante o di qualcuno in grado di addestrarci sull’uso di qualche abilità; il commercio avviene in maniera molto intuitiva, trascinando semplicemente gli oggetti da vendere o da comprare da una finestra all’altra.
Il territorio è anche costellato di particolari altari: quelli di Maliel, dove il nostro personaggio risorge dopo la morte e guarisce le sue ferite, e quelli dove è possibile ricaricare velocemente il mana. Gli spostamenti nelle lunghe distanze possono avvenire in due modi: a cavallo o tramite il teletrasporto, adoperando le apposite piattaforme che si attivano non appena il nostro personaggio ci passa di fianco. Non manca la possibilità di adoperare una pietra del teletrasporto, cioè una specie di teletrasporto portatile: c’è una delle quest iniziali che si occupa proprio di spiegare questo comodo sistema di spostamento. Il cavallo viene presentato come uno dei fiori all’occhiello del gioco, soprattutto perché questa volta è anche possibile combattere mentre si cavalca il proprio destriero; in realtà questo aspetto non è implementato molto bene e si mostra incerto e scomodo sia in fase di movimento sia, ancora di più, in fase di combattimento.
In Two Worlds, molti edifici delle città e dei villaggi hanno un carattere semplicemente ‘decorativo’, cioè è impossibile entrarvi; altri invece hanno un interno, nel quale si arriva direttamente, senza nessun tempo di caricamento (solo le grotte e i dungeon più elaborati sono su mappe separate). Il gioco ha un sistema particolare di gestire gli spazi interni: ogni porta si chiude automaticamente pochi secondi dopo essere stata aperta, e da quel momento il motore calcola e renderizza solamente l’interno; questo significa in pratica che dopo qualche secondo che saremo in un interno, noteremo il frame rate schizzare improvvisamente verso l’alto, per poi tornare a livelli normali dopo che un NPC avrà riaperto la porta.
Le città e i villaggi di Two Worlds sono abbastanza credibili, ma la loro verosimiglianza non è spinta alle estreme conseguenze. Molti PNG non hanno una casa e di notte vagano senza meta per il villaggio o si siedono su qualche panca. In numerosi villaggi si può entrare in una sola capanna, dove trovano posto tre o quattro letti appartenenti a persone che non c’entrano nulla l’una con l’altra. Alcuni personaggi addirittura spariscono nel passaggio tra la notte e il giorno: molti altri nottetempo si limitano ad abbandonare la loro occupazione e a camminare avanti e indietro per la città, col risultato paradossale che molti insediamenti sembrano più affollati di notte che di giorno. Le missioni sono varie, anche se rientrano giocoforza in molti cliché del genere (uccidere un nemico forte, portare qualcosa a qualcuno); particolarmente apprezzabile è il fatto che molte quest sono composte da diverse tappe, soprattutto quelle appartenenti alla storia principale. Inoltre, non tutte le missioni possono essere svolte durante la medesima partita: alcune entrano in conflitto tra loro o vengono assegnate solo a chi ha una certa reputazione all’interno di una certa gilda. I dialoghi che accompagnano l’assegnazione delle quest sono lunghi e curati, anche se i doppiatori adoperati sono in numero ridottissimo. Particolarmente interessante, ma un po’ disorientante all’inizio, è l’approccio alla conoscenza del mondo e dei suoi gruppi di potere: il giocatore alle prime armi si sentirà inizialmente spaesato perché nessuno spiega nel dettaglio chi è nemico di chi: lo si capirà solo giocando.
5. Invidiare i PnG
A prima vista, Two Worlds sembra un ambiente perfetto per fare un po’ di sana interpretazione. D’accordo, non c’è la possibilità di creare il proprio personaggio, ma c’è un mondo grandissimo con tante missioni, spesso di stampo diverso, e con varie gilde a cui aderire per assecondare un certo stile di gioco piuttosto che un altro. Purtroppo, però, diverse caratteristiche del gioco fanno pensare che gli sviluppatori avessero in mente nient’altro che una versione un po’ più elaborata del classico action-RPG in cui si esce dalla città, si massacrano i nemici, si torna col bottino, lo si vende e si ricomincia. In Two Worlds mancano opzioni apparentemente marginali (e infatti non ho letto finora una recensione che ne parlasse) ma che a nostro avviso sono le opzioni che fanno la differenza tra il gioco di ruolo puro e quello contaminato. Facciamo qualche esempio. Mentre diversi PNG mangiano e dormono, il nostro alter ego non può farlo: i letti sono oggetti tridimensionali di cui non ci si può servire (così come le sedie e le panche), e il cibo spesso è disegnato sui tavoli, ma non si può interagire con esso.
Non esistono sistemi per far passare velocemente il tempo: il gioco in pratica ci costringe a vivere ininterrottamente, giorno e notte, con buona pace di chi vuole mettersi nei panni di un ladro che si muove solo nottetempo. Non esistono abiti normali, da civile: il nostro povero avventuriero si può mettere o in armatura o in veste da mago o andare in giro in mutande. Non è contemplata la possibilità di comprare una casa o di aver assegnato un rifugio e neanche di ottenerlo per vie traverse: nessuna possibilità, quindi, di depositare gli oggetti a cui ci si affeziona in un posto sicuro. A volte i maghi sono intenti a studiare davanti a elaborati leggii: purtroppo, i libri sono solo disegnati, come il cibo, e non si possono spostare né leggere; in tutto il mondo di gioco non esiste un solo libro o un solo biglietto scritto! Strutturato com’è, Two Worlds purtroppo non può essere ‘adoperato’ come vorremmo, e questo è forse il maggior problema in un titolo altrimenti valido e interessante.
6. Grafica e sonoro
Le immagini di Two Worlds a corredo della scatola sono potentemente evocative: purtroppo, la realtà del gioco in movimento è ben diversa. La grafica che ci si para davanti agli occhi all’uscita del tempio in cui inizia l’avventura è discreta, ma certamente non raggiunge i livelli di tanti altri giochi, qualcuno uscito anche più di un anno fa (qualcuno ha detto Oblivion?) In particolare, le ombre sono seghettate, ridondanti e spesso anche incoerenti dato che compaiono e scompaiono in base non si sa che cosa; gli alberi e la vegetazione sono ripetitivi e indefiniti, e i modelli dei mostri e dei personaggi sono in alcuni casi decisamente da bocciare. Forse il livello più basso lo raggiungono proprio gli esseri umani: le città e i villaggi sono popolati da uomini (le donne saranno tre o quattro in tutto il gioco) spesso assolutamente identici, con volti definiti da un numero scarsissimo di poligoni e labbra che durante i dialoghi si muovono meccanicamente senza seguire minimamente l’andamento del doppiaggio.
Anche in Two Worlds, come peraltro in tutti i giochi di questo peculiare sotto-genere, compare il problema della gestione della linea dell’orizzonte: assieme al nostro personaggio si muove un cerchio all’interno del quale tutte le cose diventano definite, mentre al suo esterno è tutto indefinito e privo di particolari; il cerchio purtroppo non è molto ampio e il punto di stacco tra lontano e vicino non è sempre ben gestito: a volte, ad esempio, ci capiterà di vedere in lontananza mezzo villaggio, e la cosa non è molto plausibile. Questo panorama grafico non certo esaltante corrisponde ahinoi a una pesantezza in termini di hardware piuttosto decisa. A peggiorare questo aspetto c’è soprattutto la scarsità di opzioni grafiche a disposizione: per esempio, nel gioco non è contemplata la possibilità di eliminare le ombre. Si può solo muovere avanti e indietro la linea visuale, agire sull’erba e su un generico dettaglio che non aiuta certo a calibrare le prestazioni sulla macchina che si ha a disposizione. In particolare all’interno delle città, dove spesso c’è una folla di PnG clonati di cui francamente non si capisce l’utilità, il frame rate può crollare a livelli a cifra singola, con conseguente necessità di ottimizzare manualmente la renderizzazione. In Two Worlds è implementato l’HDR, utilizzato soprattutto per gestire gli sfondi, in particolare durante i dialoghi, ma anche per rendere più luccicanti i manufatti di metallo: come spesso succede, gli effetti sono talvolta decisamente esagerati. Va molto meglio per quanto riguarda il sonoro: come abbiamo già detto i dialoghi sono doppiati adoperando un numero ridottissimo di attori, ma gli effetti sonori e le musiche sono appropriati. Queste ultime in particolare si staccano dal cliché epico alla Jeremy Soule per proporre talvolta echi vagamente pop e rock che non sfigurano affatto nell’atmosfera.
7. Conclusione
Two Worlds è un prodotto strano e difficile da classificare. È come se tramite esso lo scheletro di un GdR action sia stato ‘vestito’ con i sontuosi panni del vero gioco di ruolo libero e aperto. Questa commistione appare talvolta originale, ma dà spesso vita a inconsistenze che aprono una insopprimibile voglia di gridare all’occasione mancata. I paragoni obbligatori con Oblivion e Gothic 3 lasciano il tempo che trovano, anche se possono scatenare riflessioni interessanti. L’accostamento col capolavoro Bethesda è molto eloquente e potrebbe fungere da vero e proprio esempio scolastico di come la differenza tra generi o sotto-generi passi spesso attraverso dettagli apparentemente poco importanti, come la possibilità di mettere un paio di pantaloni o di mangiare una mela. Dove Reality Pump ha confezionato una bella scenografia, Bethesda ci ha messo in mano un mondo vero, dove non esistono, tanto per dire, case che hanno come unico scopo quello di fare una città, ma dove ogni casa ha un interno nel quale qualcuno vive. Con Gothic 3 le somiglianze sono molto più numerose: Two Worlds se ne distacca, oltre che per la quantità molto più bassa di problemi tecnici, per un protagonismo delle quest leggermente minore, per un background più complesso, per una libertà interpretativa più scarsa, e anche per una atmosfera decisamente meno originale ed evocativa.
Qualcuno ha già detto che Two Worlds è ciò che Gothic 3 sarebbe dovuto essere: una affermazione piuttosto superficiale, che non tiene conto proprio dei dettagli che fanno la differenza. A rendere la serie Gothic quello che è stata sono certe caratteristiche della sua atmosfera, della sua intelligenza artificiale e del suo sistema di controllo: tutte cose che in Two Worlds mancano o sono completamente differenti. Adesso come adesso non possiamo far altro che considerare questo prodotto come un GdR action ambientato in un mondo vasto e liberamente esplorabile, caratterizzato da un background e da un sistema di fazioni e di quest degni di un gioco di ruolo vero. Purtroppo, però, per fare un gioco di ruolo vero non bastano né il background, né le fazioni, né le quest: ci vuole autentica libertà interpretativa, e quella in Two Worlds è altalenante, spesso inspiegabilmente stroncata dalla mancanza di dettagli che si sarebbe potuto implementare con pochissimo sforzo. Vedremo che sviluppi porteranno i prossimi mesi, quando sicuramente ci sarà occasione di tornare sull’argomento.
Tre pregi di Two Worlds
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Tre difetti di Two Worlds
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Mondo vasto
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Come GdR è molto riduttivo
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Ottimo sistema di fazioni
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Combattimenti poco bilanciati
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Dialoghi e quest ben curati
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Tecnicamente mediocre
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