Il GdR di Reality Pump è stato recentemente arricchito da diverse patch e mini-espansioni: approfittiamone per tornare a parlarne, con un occhio di riguardo alle caratteristiche che emergono dopo molte ore di gioco
[articolo originariamente pubblicato il 15 marzo 2008]
Nota: questo articolo contiene qualche spoiler, non drastico.
1. Riprendiamo il discorso
Il primo giugno dello scorso anno, La maschera riposta pubblicava la sua recensione di Two Worlds, ambizioso gioco di ruolo dalla struttura aperta e dinamica pubblicato da poco, almeno nei territori europei, da Reality Pump. Com’è nostra abitudine per i giochi di proporzioni gigantesche, in quell’occasione ci concentrammo solamente sul gameplay più immediato e sulle caratteristiche più evidenti del gioco, lasciando in ombra aspetti come la trama in vista di una seconda recensione. Ora è arrivato il momento di tornare su quel gioco, anche perché in questi mesi sono usciti molti aggiornamenti, uno dei quali (l’1.5) ha modificato in modo sostanziale la grafica e molti aspetti della giocabilità del titolo. Che i due mondi si riaprano!
2. Trama
Come già ricordavamo nella nostra prima recensione, Two Worlds inizia con il rapimento della sorella del protagonista da parte di una organizzazione misteriosa: la trama principale ruota precisamente attorno al salvataggio della fanciulla, effettuabile solo chiarendo le intenzioni dei suoi rapitori, inserite all’interno della precaria condizione politica e sociale del mondo di Antaloor, in cui è ambientato il gioco. Qualche ora dopo l’inizio, il giocatore si renderà conto che le disavventure del nostro alter ego ruotano attorno a una reliquia, la chiave della tomba del dio orchesco Aziraal. Per qualche motivo inizialmente ignoto, tale reliquia era anticamente in possesso della famiglia del protagonista, che successivamente l’ha smembrata e perduta. Ora essa è diventata oggetto bramato da diversi gruppi di potere: gli orchi, stanziati a sud del fiume Gon (che divide in due la mappa del mondo), stanno cercando di riportare in vita il loro dio, ma apparentemente lo stesso obiettivo è perseguito anche dalla misteriosa organizzazione che ha rapito Kira, la sorella del protagonista. Ben presto a quest’ultimo viene proposto un patto: Kira verrà liberata se lui in cambio troverà i pezzi della reliquia e li userà in un apposito rito di evocazione per risvegliare Aziraal. Gran parte della trama principale si risolve nel ritrovamento dei vari frammenti della reliquia, che sono letteralmente sparsi per il continente: alcuni sono in zone inizialmente chiuse, che vengono rese accessibili solo dopo il completamento di determinate missioni, apparentemente del tutto slegate dalla quest più importante.
Questa modalità di organizzazione della trama principale ha i suoi lati positivi e i suoi lati negativi. Da un certo punto di vista, il giocatore è costretto a conoscere il background prima di proseguire, e a intraprendere missioni che lo mettono in contatto con le varie gilde che si spartiscono il potere su Antaloor: questo aumenta il senso di immersione nel mondo e aiuta anche a stemperare quella sensazione di netta separatezza tra le varie quest-line che spesso si sperimenta nei giochi di questo tipo. Contemporaneamente, però, il ritmo largamente pausato con cui è necessario affrontare la liberazione di Kira impedisce che la situazione sia caratterizzata da una vera sensazione di pericolo o di impellenza: non è infrequente dimenticarsi del tutto della questione o non trovare nessun vero interesse nella sterile ricerca dei pezzi della reliquia, ben meno interessante di tante altre questioni che si dipanano nel continente. Sono problemi tipici dei giochi aperti come questo, ma qui sono portati all’eccesso dal semplice fatto che la trama principale si riduce quasi totalmente a questa grande ricerca di oggetti lontanissimi tra loro: del tutto priva della minima tensione narrativa, la vicenda principale alla base di Two Worlds si riduce, alla fine, a un mero pretesto per spingere il giocatore all’esplorazione degli angoli più remoti della mappa.
3. Ruoli incompleti
Nella nostra prima recensione dicevamo che il punto debole maggiore di Two Worlds era forse la sua incapacità di portare alle estreme conseguenze la libertà interpretativa di cui si faceva pomposamente portavoce nelle comunicazioni promozionali. Il problema non è tanto che non si possa creare un personaggio diverso da quello assegnato: questo è indubbiamente un limite, ma è molto peggio non poter gestire questo personaggio in modo autenticamente libero durante la partita vera e propria. È certamente possibile, come in Oblivion, specializzare il proprio alter ego in un ambito specifico: magia, combattimento corpo a corpo, combattimento dalla distanza, arti del ladrocinio. Purtuttavia, si tratta solo di approcci diversi all’unica possibile giocabilità: lo sterminio di ampie quantità di mostri posti tra il punto A e il punto B, che corrispondono solitamente al punto di inizio e a quello di fine di una determinata missione. D’accordo, è anche possibile cercare di evitare i nemici tramite lo sneaking: ma non si tratta di una buona idea, visto che l’esperienza viene assegnata in base alle uccisioni, oltre che per il completamento delle missioni. Si viene dunque a creare una situazione autenticamente paradossale: nonostante la dovizia di tecniche di combattimento, di incantesimi, di fazioni e di sottoquest, in Two Worlds risulta del tutto impossibile effettuare autentica interpretazione. C’è il valore aggiunto che spesso manca nei GdR per computer, ma non ci sono le basi: siamo di fronte a un tempio dal frontone riccamente decorato ma del tutto privo di fondamenta e quindi incapace di reggersi in piedi, se non come prodotto di seconda mano rispetto ai grandi blasoni.
Di alcune di queste fondamenta mancanti avevamo già parlato a suo tempo: non si può dormire, non si può far passare velocemente il tempo, non è possibile indossare abiti da civile. A queste mancanze di carattere meramente pratico vanno aggiunte inconsistenze nell’ambientazione tali non solo da rompere del tutto la sospensione dell’incredulità ma anche da rendere completamente fuori luogo qualunque tentativo autentico di interpretazione. Avevamo già parlato del fatto che le città e i villaggi sono costruiti in modo assolutamente improbabile, dal punto di vista sia architettonico sia antropologico: gli edifici sono raffazzonati a casaccio, spesso sono del tutto privi di un ingresso, magari sono enormi dall’esterno ma all’interno mostrano solo una minuscola stanzina dove dormono contemporaneamente diversi NPC che non hanno nessuna relazione tra loro; le tipologie architettoniche mostrano, anche a uno sguardo distratto, palesi incongruenze: piattaforme sopraelevate prive di qualunque significato, porticati impraticabili posti sul retro, assurdi cortiletti che servono solo a riempire un buco tra un muro e l’altro. Se pensate che costruire città come quelle di Oblivion o di Morrowind sia facile o addirittura naturale, date un’occhiata alle città di Two Worlds e poi ne riparliamo.
Per quanto riguarda più specificamente i PnG, c’è da disperarsi altrettanto se non di più. Quelli privi di legame con le quest vengono generati casualmente dal gioco ogni volta che visitiamo una città: il più delle volte non vivono da nessuna parte, sono solo autentiche comparse in una sorta di Truman Show all’incontrario. Succede anche con i mercanti: ogni città allinea, davanti a una serie di bancarelle ‘finte’ (nel senso che gli oggetti che si vedono in realtà non esistono, sono solo disegnati sulle medesime), decine di mercanti tutti uguali, che vendono oggetti anch’essi tutti uguali, a prezzo talvolta solo leggermente diverso in base alle simpatie che il nostro personaggio riscuote tra le varie gilde. Tra l’altro, il comportamento eventualmente criminale del nostro alter ego attira biasimo solamente dai PnG ‘casuali’: i cosiddetti quest-giver, invece, rimangono sempre fermi e impassibili al loro posto (anche di notte!) onde evitare che il giocatore sprovveduto non li trovi più. Che dire, poi, del sistema di fazioni? Apparentemente bello e affascinante, soprattutto perché è impossibile piacere a tutti contemporaneamente ed è necessario, a un certo punto, effettuare delle scelte. Il problema è che tutto questo ha ben poche conseguenze a livello di giocabilità. Essere adorati da una fazione e accedere al suo capo è ridicolmente facile (di solito, basta completare una singola missione per quella fazione), e in ogni caso schierarsi con i ladri piuttosto che con i mercanti non comporta nessuna reale variazione in termini di giocabilità: tanto le missioni sono più o meno equivalenti.
4. GdR o MMORPG?
L’altro problema sottolineato in questa sede nella prima recensione era relativo al bilanciamento scarso del livello di difficoltà. Da questo punto di vista, le patch hanno apportato varie modifiche e la situazione è leggermente migliorata; i problemi di fondo, però, sussistono tutti e derivano dal fatto che gli sviluppatori hanno fatto una scelta singolare per quanto riguarda la gestione della morte del personaggio. In Two Worlds, la precoce dipartita del nostro alter ego è solo un piccolo contrattempo, dato che egli risorgerà immediatamente dopo pochi secondi al più vicino altare della dea Maliel, senza alcun tipo di penalità (se non il fatto che tutte le morti vengono archiviate come sconfitte nella scheda del personaggio): solo al livello di difficoltà più alto la morte è definitiva e comporta il consueto reload dell’ultimo salvataggio. Si tratta di un meccanismo piuttosto strano, che con ogni probabilità è stato inserito nel prodotto dopo che si è deciso di dare a Two Worlds anche una modalità multiplayer: si sa che nei giochi online ricaricare è tecnicamente impossibile, quindi bisogna gestire la morte del personaggio in qualche modo alternativo.
Si potrebbe già osservare che, data la dovizia di MMORPG disponibili e la scarsità di buoni GdR per giocatore singolo, gli sviluppatori avrebbero potuto concentrare i propri sforzi sulla componente singleplayer anziché su quella multiplayer. Purtroppo però a queste scelte non sono collegati solo astratti ideologismi: dato che la morte non comporta nessuna penalità, il livello di difficoltà degli scontri in Two Worlds è calibrato decisamente verso l’alto, e questo porta a rendere ancora più forte la caratura agonistica che la battaglia ricopre nel gioco, oltre che la sua importanza in relazione alle altre parti del prodotto. Elaborare fini strategie serve a poco: nel gioco ci sono battaglie pensate per essere superate a rate, e questo non fa che aumentare ancora di più la sensazione di trovarci di fronte non a un GdR ma a un gioco d’azione. Noi abbiamo trovato un modo sufficientemente efficace per superare questo scoglio: regolare la difficoltà su facile, ma considerare le morti come morti definitive e quindi ricaricare ogni volta che succede. È abbastanza sconcertante che sia il giocatore a dover elaborare questi sistemi di bilanciamento anziché gli autori.
5. Aggiornamenti tecnici
Come già accennato, il grande aggiornamento 1.5 ha cambiato considerevolmente l’aspetto di Two Worlds, sotto forma di nuove texture, nuove mesh e nuovi volti per i personaggi (sia per quello giocante sia per i PnG; in particolare è stato cambiato il modello di Kira, terribile nella prima versione del gioco). C’è stato senza dubbio un notevole passo avanti: con tutti gli aggiornamenti e i dettagli grafici spinti fino al massimo, l’aspetto grafico del gioco è molto piacevole. Meno patinato di quello di Oblivion (ma per molti questo è un pregio), ma anche infinitamente più leggero; senza contare che il mondo di gioco in Two Worlds è anche più vasto e variegato. Certo, i problemi non mancano: il motore di gioco è meno esigente, ma anche meno scalabile di quello di Oblivion; il gioco è complesso da modificare e quindi si è costretti a convivere con scelte grafiche discutibili effettuate dai programmatori (come per esempio la notte molto più breve del giorno e mai realmente scura); i modelli dei PnG sono pochi e, pur avendo nuovi volti, non brillano in quanto a caratterizzazione o in quanto a cura nelle animazioni. In particolare la sincronizzazione labiale durante i dialoghi è molto approssimativa e anche le sequenze di combattimento mostrano movimenti plausibili ma slegati tra loro, quasi che i due contendenti stiano menando fendenti contro un muro anziché uno contro l’altro. Non parliamo poi del doppiaggio, rimasto di qualità bassa come nella prima versione del gioco: le voci, in particolare quella del protagonista, sono urlate dentro al microfono con una recitazione al limite del comico, soprattutto quando, in alcune circostanze, il linguaggio tenta di scimmiottare, senza successo, una sorta di improbabile inglese medievale.
6. Conclusione
Nonostante le tante ore passate a provarlo e i tanti aggiornamenti, il nostro giudizio globale su Two Worlds non cambia. Si tratta di un gioco divertente, a tratti rilassante, con qualche spunto interessante, una grafica piacevole e una buona colonna sonora. Purtroppo però da un punto di vista strettamente interpretativo si tratta anche di una spiacevolissima occasione mancata. Per vedere il bicchiere mezzo pieno, consideriamolo un esempio da non seguire: la prossima volta è consigliabile che chi vuole creare un GdR cominci dal basso, non dall’alto. Fazioni, armi e incantesimi servono a poco se non c’è un terreno solido sul quale muoversi e adoperarli.