Torment: Tides of Numenera

Il successore spirituale dello straordinario Planescape: Torment è un gioco di altissimo livello e di profondissimo spessore, che non raggiunge l’eccellenza solo per la sua natura derivativa e per il suo sviluppo travagliato.

[articolo originariamente pubblicato il 5 aprile 2017]

Nota del 2020
Pochissimo tempo dopo la pubblicazione di questa recensione, InXile ha pubblicato un corposo aggiornamento gratuito intitolato Servant of the Tides che aggiunge varie importanti novità, tra cui un nuovo personaggio arruolabile (l’enigmatico artefatto vivente “Oom”) e l’implementazione di un codex che descrive luoghi e personaggi, di cui peraltro lamentiamo la mancanza nella recensione. In futuro torneremo senz’altro a giocare a Tides of Numenera e daremo meglio conto di queste novità.

1. Croce e delizia del crowdfunding
Il radicamento e la diffusione dei sistemi di finanziamento dal basso, tra i quali spicca la piattaforma Kickstarter, ha dato vita, soprattutto negli euforici anni 2012-2013, a una stagione di sogni di grandezza per tutti gli appassionati di GdR digitali. La stagione del publisher ‘cattivo’ che tarpa le ali agli autori più capaci solo per soddisfare il pubblico più vasto sembrava finita: se l’autore può chiedere sostegno e supporto direttamente alla sua platea di riferimento, senza la mediazione di produttori e distributori, ogni tipo di giocatore potrà avere il suo gioco ideale, realizzato finalmente senza compromessi.
Nell’ambito del nostro genere particolare, la strada del finanziamento dal basso venne aperta da Pillars of Eternity di Obsidian: già nella relativa recensione pubblicata a suo tempo ci toccò mettere in evidenza le criticità del meccanismo del crowdfunding, le cui illusioni di trionfo e libertà devono ahinoi sottostare, più spesso di quanto si vorrebbe, alle inconsistenze tipiche del movimentismo, pericolosamente simili a quelle che si vedono in opera, in forme assai più gravi, nella politica e nella società. Ebbene, il gioco di cui ci apprestiamo a parlare ci consente, suo malgrado, di approfondire ancora di più la faccenda.
Cominciamo da principio. Nel 2012 lo studio di sviluppatori InXile, capitanato dal veterano di Interplay Brian Fargo (e così chiamato perché Fargo e i suoi collaboratori si sentivano in esilio dopo la chiusura di Interplay), comincia ad accarezzare l’idea di utilizzare il crowdfunding per sostenere un obiettivo ambiziosissimo: la realizzazione di un successore ‘spirituale’ di quello che gran parte della comunità di appassionati ritiene il capolavoro assoluto del GdR digitale, Planescape: Torment. Un vero e proprio ‘seguito’ viene subito escluso: sia per l’unicità della vicenda narrata, sia anche per l’impossibilità di ottenere la licenza per l’utilizzo della medesima ambientazione (Planescape, collegata all’universo di Dungeons & Dragons e detenuta da Wizards of the Coast). Purtuttavia, Fargo riesce a ottenere la licenza per il titolo Torment, e soprattutto riesce a mettere assieme una squadra incredibile, che contempla diversi autori del capolavoro originale, come Colin McComb (autore anche di Fallout 2) e Chris Avellone (autore anche di Fallout 2, Icewind Dale, Neverwinter Nights 2, Fallout: New Vegas, Pillars of Eternity), oltre che altri pezzi grossi dell’industria del GdR digitale, come Kevin Saunders (Star Wars: Knights of the Old Republic II, Neverwinter Nights 2: Mask of the Betrayer) e George Ziets (Neverwinter Nights 2: Mask of the Betrayer, Pillars of Eternity). InXile riesce perfino a garantirsi i servigi di Mark Morgan, autore dell’indimenticata colonna sonora di Planescape: Torment. E l’ambientazione, dal canto suo, sarà nientemeno che quella del giovane ma già celebre GdR cartaceo Numenera, scritta da Monte Cook, a sua volta parte della squadra originale. Tutto, dunque, lascia pensare, all’epoca, che il nuovo Torment possa essere davvero il sogno proibito di ogni appassionato.
Ma autori e pubblico non avevano ancora fatto i conti con i meccanismi perversi del crowdfunding. Per esempio con la necessità quasi irrinunciabile, da parte degli sviluppatori, di inanellare promesse progressivamente più roboanti, nel tentativo di attrarre finanziamenti maggiori. Abbiamo già visto gli effetti nefasti di questa tendenza parlando di Pillars of Eternity, le cui parti più deboli, fortezza e dungeon semi-infinito, sono proprio il risultato dell’accumulo degli stretch goal. Almeno Obsidian riuscì, col suo lavoro, a mantenere gran parte delle promesse fatte: le concretizzò male, ma le concretizzò. InXile, invece, ha avuto da questo punto di vista un comportamento a dir poco imbarazzante: nei mesi seguiti alla conclusione della campagna Kickstarter (peraltro a suo tempo la campagna di maggior successo di tutta la storia della piattaforma), Fargo e i suoi ammisero candidamente, in più riprese, di non poter mantenere questa o quella promessa, pena il peggioramento del prodotto nel suo insieme. Intendiamoci: se l’autore decide che una qualche caratteristica pensata inizialmente non funziona come dovrebbe, ha il pieno potere, e verrebbe quasi da dire il dovere morale, di cancellarla o di limitarne l’uso. Ma il crowdfunding complica tutto: se molti fan hanno dato il loro supporto affinché si raggiungesse il goal collegato a quella promessa, cancellarla diventa un torto micidiale, anzi quasi una specie di truffa. Specialmente se la comunicazione viene gestita con incertezze e oscurità eccessive, come ha purtroppo mostrato di fare InXile in più di una occasione. Noi italiani abbiamo un esempio perfetto che ci riguarda: la localizzazione di Tides of Numenera nella nostra lingua era prevista tra gli obiettivi iniziali, ma si è scoperto a poche settimane dalla pubblicazione del gioco che alla fine non ci sarebbe stata. Ad aggiungere la beffa al danno, la cosa si è venuta a sapere solo quando un fan ha chiesto delucidazioni in merito e ha divulgato poi la risposta avuta dagli sviluppatori.
La pubblicazione di Tides of Numenera, peraltro più volte rinviata, ha messo prepotentemente sul piatto le problematiche collegate ai progetti di finanziamento dal basso: e ha ribadito, se ce ne fosse bisogno, quanto importante è per una qualunque opera dell’ingegno avere non solamente ottimi autori ma anche ottimi produttori e comunicatori. Il Torment che abbiamo per le mani non è solo simile alla lontana alla sua fonte di ispirazione: è simile alla lontana, purtroppo, anche a ciò che era stato promesso a chi ne sostenne a suo tempo la creazione. Questo non vuol dire ovviamente che meriti una stroncatura: ma l’approccio cauto e pregiudizievole che mostrano molti critici e molti appassionati può essere spiegato anzitutto in riferimento alla sostanziale incapacità da parte dei suoi autori di gestire la campagna di crowdfunding e di onorare fino in fondo la passione dei fan.

2. Il Ninth World e i Numenera
Il GdR cartaceo a cui il nuovo Torment si ispira è, come abbiamo accennato nell’intro, il pluripremiato Numenera di Monte Cook, pubblicato nel 2013 (e anch’esso, peraltro, sostenuto da una campagna di Kickstarter). Pur essendo assai giovane, il regolamento e la sua ambientazione hanno già ottenuto numerosi riconoscimenti, soprattutto, crediamo, grazie alla loro notevole originalità. Parleremo dell’aspetto ‘normativo’ quando scenderemo nel dettaglio del funzionamento del gioco di cui ci stiamo occupando: pensiamo sia una buona idea, per cominciare, raccontare per sommi capi la natura del setting.
Il gioco è collocato nel cosiddetto Ninth World, il Nono Mondo, che altri non è se non la nostra vecchia Terra in un imprecisato ma remotissimo futuro. Il nome deriva dal fatto che gli storici dell’epoca sono convinti che dietro di loro vi siano state otto grandiose civiltà, otto ‘mondi’ diversi, testimoniati dalle grandiose e spesso incomprensibili tracce lasciate attraverso i millenni, che prendono le forme di manufatti di ogni sorta e tipo. Si può quasi dire che il Nono Mondo è letteralmente costruito sulle vestigia del passato, vestigia che però restano, in larga misura, inutilizzate e incomprese. I resti di una preistoria grandiosa e con ogni probabilità avanzatissima mettono i contemporanei in uno stato che può essere di umiltà o di sottile euforia, a seconda di quanto questi resti vengano individuati o meno come opportunità di studio, di guadagno, di acquisizione di potere.
L’unione tra il futuro remoto e pseudo-para-fantascientifico, nel quale le tecnologie prendono talvolta le forme magiche solitamente collegate alle arti arcane, e la decadenza post-apocalittica di innumerevoli civiltà passate, che fa vivere i contemporanei nelle forme anarchiche di un nuovo medioevo, dà vita a un’alchimia davvero unica e curiosa, per la quale è già stato coniato il termine di science fantasy. Ma l’originalità non è l’unico merito di una ambientazione siffatta: la collocazione nel futuro rende finalmente plausibili tanti elementi regolarmente presenti nel fantasy classico ma del tutto improbabili in un mondo medievaleggiante, quali la parità dei sessi, l’alfabetizzazione e la diffusione del libro a stampa. Nel Ninth World si vive come nel Medioevo, ma non mancano esperti di nanotecnologie, filosofi imbevuti di teorie post-moderne, esploratori di ritorno da viaggi interstellari: tutto ha un senso e una ragion d’essere, pur nella talvolta scioccante estraneità delle creature e dei paesaggi.
A tirare le fila politiche e sociali del Nono Mondo è, in genere, chi comprende i numenera e li usa a suo vantaggio. Il termine ha una raffinata radice latina e potremmo in qualche modo tradurlo come “le divinità delle ere”: gli abitanti del nostro mondo futuro lo utilizzano per indicare qualunque manufatto del passato sia stato sufficientemente compreso e abbia una qualche utilità, costruttiva o distruttiva. Tra i numenera hanno un ruolo importante soprattutto i cosiddetti cypher, ossia piccoli oggetti, dall’origine spesso ignota, in grado di avere un effetto, generalmente temporaneo, sulla realtà circostante. Ma dato che il potere di controllare e plasmare la realtà da che mondo è mondo non viene mai dato a cuor leggero, i cypher diventano portatori di pericolose radiazioni quando vengono accumulati sconsideratamente: l’approccio ai più potenti numenera va quindi calibrato con attenzione, a meno che non si sia disposti ad accettare qualunque conseguenza.

3. Il Changing God e i Castoff
Tides of Numenera inizia dichiarando fin da subito la sua identità di gioco eminentemente narrativo: più in dettaglio, inizia mostrando con orgoglio il suo appoggio quasi totale sulla scrittura. Le schermate nere che ci accoglieranno descrivono con dovizia di particolari l’esperienza che pone le basi dell’avventura narrata: una sorta di caduta nel vuoto, che da metafora si fa immanenza, e che si conclude, a patto che la neonata volontà del protagonista focalizzi a sufficienza le sue energie, distruggendo il tetto di uno strano edificio nel Reef of the fallen worlds, una specie di discarica di strani numenera collocata a ridosso della città di Sagus Cliff, ubicata a sudest del continente principale del Ninth World. L’eroe si troverà, una volta ripresa conoscenza, a fianco di un misterioso manufatto noto come resonance chamber, semidistrutto dalla ‘caduta dal cielo’ del protagonista (molti, a Sagus Cliff, si riferiranno a lui come alla Fallen Star, la Stella Caduta).
I tatuaggi che ‘decorano’ il corpo dell’eroe non lasciano dubbi ai due involontari testimoni dell’evento, i nano (esperti in nanotecnologie) Callistege e Aligern: il protagonista del gioco è un Castoff. Con questo termine gli abitanti del Sagus Protectorate e dei dintorni chiamano i redivivi ‘gusci’ del cosiddetto Changing God. Da secoli, se non da millenni, un essere umano riesce, probabilmente con l’aiuto di potenti numenera, a vincere la morte, ‘trasferendo’ periodicamente la sua coscienza da un corpo a un altro. Il cosiddetto Changing God crea dal nulla un corpo perfetto per lo scopo che ha in mente in quel dato momento; vi trasferisce dentro la sua identità; ‘vive’ quel corpo finché gli serve o finché non decade irrimediabilmente, e a quel punto si trasferisce in un altro corpo preparato nel frattempo. Solo che i corpi messi da parte dal Changing God non si limitano a ‘spegnersi’, ma acquisiscono, all’atto dell’abbandono da parte del loro deus ex machina, una coscienza indipendente. In un certo senso rinascono, portando con sé qualche annebbiato ricordo delle esperienze fatte dalla loro materialità sotto il controllo del Changing God.
Vagando per Sagus Cliff e i suoi dintorni, il nostro disorientato alter ego si accorge presto di quanto le vicende del Changing God e dei suoi epigoni hanno plasmato la storia recente e l’attualità. Il Changing God ha naturalmente ispirato una religione, che venera i Castoff come profeti; questi ultimi, che sono letteralmente migliaia, sono spesso ricordati per le loro imprese eccezionali, ma stanno al tempo stesso provocando terrore e sofferenza a causa di un conflitto interminabile (la Endless Battle) che per qualche motivo li vede protagonisti. Il vero dramma, però, o per meglio dire la vera ragione che deve spingere il nostro alter ego all’azione, è il fatto che su di lui, come su tutti gli altri Castoff, grava la terribile minaccia della distruzione da parte di una spaventevole entità nota come Sorrow, che sembra per qualche motivo protesa verso l’annientamento totale e assoluto del Changing God e di tutti i suoi epigoni.
Ma questi sono solo alcuni degli enigmi che il protagonista di Torment: Tides of Numenera si troverà ad affrontare. Quali sono i progetti del Changing God? A cosa serve la resonance chamber? Perché il Sorrow ci perseguita con la sua scia di distruzione e sofferenza? A tenere insieme le fila dell’indagine è la domanda che in un certo senso riecheggia il filo rosso di Planescape: Torment, ossia What can change the nature of a man? Questa volta il dubbio filosofico è ancora più totalizzante: What does one life matter?

4. Lo sviluppo del personaggio
L’unica scelta che Tides of Numenera ci mette davanti appena il gioco comincia è quella relativa al sesso del protagonista. Gli altri tratti del nostro alter ego vengono definiti dopo la sequenza iniziale che descrive la “caduta dal cielo” a cui si accennava nel precedente paragrafo: il gioco tiene traccia delle opzioni selezionate durante questa fase introduttiva e ci suggerisce un possibile personaggio giocante, che però saremo in grado di cambiare anche del tutto prima di completare il prologo.
Il nostro eroe può appartenere a una di tre classi che corrispondono in qualche modo agli archetipi del GdR fantasy: il glaive (guerriero), il jack (ladro) e il nano (mago). Una volta scelta la classe, che il gioco in realtà chiama type, occorrerà finalizzare l’entità delle statistiche di base, che sono ancora una volta solamente tre e che corrispondono in qualche modo alle classi stesse: c’è il might, cioè la forza fisica, la speed, cioè la velocità, e infine l’intellect, ossia l’intelligenza. Questi tre valori sono senza dubbio ciò che più di tutto definisce il nostro alter ego virtuale, e la loro entità interviene continuamente sia in fase di dialogo sia in fase di combattimento ed esplorazione, come avremo modo di trattare meglio più avanti: l’intellect, in particolare, è assolutamente fondamentale e andrebbe alzato il più possibile da tutti i personaggi, indipendentemente dalla classe (un po’ come accadeva per la Saggezza in Planescape: Torment).
La creazione del personaggio prosegue con la scelta delle ability e delle skill. Le prime possono essere sia attive sia passive e in genere riguardano il combattimento; le seconde invece sono tutte passive e possono riguardare sia il combattimento sia altri ambiti. È interessante sottolineare il fatto che il gioco prevede non solo tre livelli di addestramento (novice, trained e specialized) ma anche un livello di ‘inabilità’ che conferisce pesanti malus: alcuni personaggi reclutabili nel party cominciano proprio con diversi di questi malus, col risultato che sarà quasi impossibile far fare tutto a tutti. L’ultimo dettaglio da finalizzare durante la creazione del nostro alter ego è il suo descriptor, una sorta di ‘origine’ o di ‘natura’ che gli conferisce determinati bonus e talvolta anche malus. Per esempio, scegliendo cautious il nostro personaggio avrà un bonus alle skill perception stealth ma un malus all’iniziativa in combattimento.
La crescita di livello è gestita tramite il classico sistema dei punti esperienza. Fedele alla sua natura di gioco narrativo, Torment non assegna alcuna ricompensa in termini di esperienza per i nemici uccisi, ma ne assegna in gran quantità per il completamento delle missioni e, in numerosissime occasioni, anche per la scelta di determinate opzioni di dialogo. Il processo di sviluppo è interessante e prende di peso molte idee presenti già nel Numenera cartaceo: i livelli veri e propri, chiamati tier, sono ‘spezzati’ in varie fasi, durante le quali l’utente può migliorare di volta in volta un ambito a scelta tra le caratteristiche di base, le ability e le skill, oppure può scegliere di assegnare al personaggio un edge in una delle caratteristiche stesse, rendendo l’utilizzo di quella caratteristica più fruttuoso (spiegheremo meglio più avanti). Una volta scalati tutti i ‘gradini’ del tier, cioè una volta scelte tutte queste opzioni nei differenti step del livello, si passerà al tier successivo, che sbloccherà nuovamente tutte le opzioni, permettendoci di scegliere un ordine magari completamente differente da quello scelto durante la scalata del tier precedente.

5. L’esplorazione del mondo
Torment: Tides of Numenera è un gioco con visuale isometrica dall’alto, zoomabile a piacere. Le varie ambientazioni sono classici fondali bidimensionali con numerosissimi elementi animati e un notevole livello di interattività: tenendo premuto il tasto TAB, il giocatore può vedere a colpo d’occhio i nomi dei PnG e i punti con cui è possibile interagire, siano essi i più tradizionali contenitori o qualunque altro elemento di interesse. Il clic sul terreno gestisce il movimento, mentre il clic su un elemento interattivo fa comparire, in genere, la finestra del dialogo, che viene usata non solo per il dialogo vero e proprio ma anche per tutte le possibili azioni correlate a quel dato elemento, con modalità del tutto simili a quel che avviene non solo in Planescape: Torment ma anche negli altri giochi basati sul motore di gioco di Tides of Numenera (Pillars of Eternity e Tyranny).
Le varie ambientazioni, che fin da subito si fanno notare per la loro dimensione generalmente ridotta, con conseguente spiacevole affollamento di elementi interattivi, sono collegate da punti di passaggio. Non esiste però una mappa del mondo come in Baldur’s Gate: il passaggio è immediato da una ambientazione a quella ‘adiacente’ e non è possibile visitare ciascun luogo in ogni momento. L’accessibilità delle location dipende infatti dall’andamento della trama principale: tutta la prima parte dell’avventura avviene nella città di Sagus Cliff, suddivisa in sei diverse ambientazioni; si prosegue poi nella Valley of Dead Heroes, un luogo di passaggio che prende le forme di una colossale necropoli organizzata come un alveare; la seconda parte della vicenda si colloca infine nel Bloom, forse la location più geniale in assoluto, una enorme creatura vivente nelle cui viscere si trovano insediamenti e piccole città, periodicamente ‘digeriti’ dal Bloom e collegati da portali (maw) che si attivano solo se ‘nutriti’ da quel che il Bloom desidera in quel momento.
A fungere da trait d’union tra le varie fasi del racconto è il cosiddetto Labyrinth, una sorta di rappresentazione grafica della mente del protagonista, con i suoi ricordi mischiati confusamente ai ricordi del Changing God e degli altri Castoff. L’eroe accederà al Labyrinth in determinati momenti della trama e delle missioni, ma potrà poi tornarvi a piacere semplicemente morendo: generalmente i Castoff non sono immortali, ma per qualche motivo il Last Castoff, ossia il protagonista del gioco, riesce a tenere viva la sua identità all’interno del Labyrinth anche dopo la sua dipartita terrena. La conseguenza in termini di giocabilità è ancora una volta simile a quel che si sperimentava in Planescape: Torment, dove all’atto pratico non si ricaricava quasi mai dato che la morte del protagonista non aveva conseguenze tangibili se non il suo risveglio in qualche luogo particolare. Tides of Numenera è per certi versi ancora più drastico: il giocatore si troverà a “cercare la morte”, o comunque una qualche forma di trance, assai spesso, dato che si tratterà dell’unico modo per accedere al Labyrinth e fare i conti con qualche nuovo ricordo spuntato dai meandri della psiche del Changing God.

6. La scrittura
Come abbiamo già ripetutamente detto, Tides of Numenera esplica la sua natura di gioco narrativo soprattutto attraverso il dialogo, o più precisamente attraverso il testo scritto. La prosa compare suddivisa in paragrafi, e per avanzare da quello su schermo a quello successivo è richiesto un clic o la pressione del tasto INVIO: il fatto che non si debba mai ‘scorrere’ il testo aiuta a evitare, nel fruitore, la spiacevole impressione di stare leggendo un documento in PDF, e contribuisce a cadenzare la narrazione, conferendole un ritmo consono e isolando i momenti concitati.
La prosa di Tides of Numenera è complessivamente di ottimo livello. Non mancano, purtroppo, i momenti fastidiosamente criptici e pindaricamente allusivi a cui ci hanno abituato alcuni dei suoi autori (tra tutti Chris Avellone, ormai diventato una sorta di parodia di se stesso), ma complessivamente l’enorme quantità di testo che il gioco ci mette davanti scorre senza affaticare troppo, riuscendo nella mirabile impresa di essere quasi sempre pervicacemente ancorato all’urgenza della narrazione. Abbiamo trovato nell’insieme più fastidiosa, tanto per fare un esempio, l’inutile logorrea di certi dialoghi di Pillars of Eternity, un prodotto che rispetto a Torment si presenta pure come assai più vario e meno ‘impegnato’. Certo, nel gioco di InXile c’è senz’altro un problema di ridondanza descrittiva, messo ancor più in evidenza dal fatto che talvolta le descrizioni riguardano eventi che sono ben rappresentati anche dal sistema grafico e che non sembrano aver bisogno di un arricchimento testuale: d’altro canto, la componente non dialogica è caratterizzata da un font grigiastro facile da individuare e da ‘saltare’, quindi sembra che sia il gioco stesso a suggerirci di non darle troppa importanza.
I dialoghi veri e propri presentano, com’è lecito aspettarsi da un prodotto di questo tipo, una grande varietà di possibili risposte da parte del personaggio giocante. Da questo punto di vista l’impegno da parte degli autori è stato davvero degno di nota: ciascuna risposta conduce la conversazione in direzioni più o meno differenti, e gli esiti riescono sempre a ‘chiudersi’ con naturalezza, senza mai dare la sensazione di avere scelto una risposta ‘sbagliata’ e di dover quindi ricaricare un salvataggio. Anzi, talvolta le scelte più assurde portano a conclusioni inaspettatamente positive: se compito dell’artista è sorprendere il suo pubblico, non si può negare che InXile ci abbia costantemente provato e che abbia anche, in più di una occasione, raggiunto il suo obiettivo.

7. Gli effort
Molte battute di dialogo, e molte forme di interazione svolte tramite la medesima interfaccia, mettono il nostro alter ego di fronte a un qualche tipo di ‘sfida’, per superare la quale è necessario ricorrere all’utilizzo delle statistiche del personaggio. Qui Torment mette in campo un’altra idea nuova e decisamente interessante, purtroppo sfruttata solo in parte dai meccanismi complessivi del gioco.
Anziché metterci davanti al consueto stat-check, ossia al semplice confronto passivo tra l’abilità o la caratteristica del personaggio e il valore minimo richiesto per superare la prova, Torment ci permette di calibrare di volta in volta lo sforzo dell’eroe, tramite quelli che sono chiamati, appunto, effort. Funziona in questo modo: scegliendo una opzione di dialogo collegata a una caratteristica o a una abilità, opzioni che il gioco opportunamente segnala con un intuitivo codice di colore, ci verrà data la possibilità di selezionare la quantità di punti della relativa caratteristica che desideriamo ‘spendere’ per quell’effort. A ciascun numero corrisponde una percentuale di riuscita, ovviamente più alta con l’aumentare della quantità di punti spesi.
Una volta risolto l’effort, i punti spesi saranno scomparsi dal nostro pool della relativa caratteristica, e potranno essere ottenuti nuovamente solo utilizzando preziosi manufatti (i corrispettivi delle pozioni) oppure riposando. È possibile esaurire completamente i punti di una determinata caratteristica senza subire alcuna conseguenza particolare, se non l’impossibilità di poter utilizzare quella caratteristica negli effort successivi. Se il personaggio coinvolto ha un determinato edge in una caratteristica, il suo effort sarà più efficace, dato che comincerà da una percentuale più alta: nelle fasi finali del gioco, un personaggio ben specializzato potrà avere una percentuale di riuscita del 100% senza spendere nessun punto proprio grazie al suo edge.
Come dicevamo, il sistema è interessante, soprattutto perché costringe il giocatore a calibrare i suoi sforzi sulla base di strategie a breve e a lungo periodo. È chiaro che spendendo molti punti si possono superare agevolmente tutti gli effort, ma è altrettanto chiaro che esagerando si corre il rischio di trovarsi davanti a un effort essenziale ed essere completamente privi di punti da investire, già consumati in precedenza. Più sopra si scriveva che l’idea è sfruttata solo in parte: questo perché nella maggior parte degli effort può essere coinvolto qualunque membro del party, col risultato che sarà ben difficile trovarsi davvero senza punti da utilizzare. Senza contare che si può comunque abusare del riposo, capace di ricaricare tutti i punti in un istante: il gioco cerca di evitare questi abusi ponendoci davanti ad alcune missioni a tempo, ma la loro quantità, come vedremo meglio più avanti, è troppo esigua per fare davvero una qualche differenza.
Se a questo si aggiunge che un buon ottanta per cento degli effort è basato sull’intellect, risulta chiaro che sarà sufficiente specializzare il protagonista in quest’ambito per superare in scioltezza quasi tutti gli effort senza colpo ferire. La trovata è, in ogni caso, degna di nota, e sa regalare notevoli soddisfazioni anche a chi cerca di interpretare personaggi sui generis. La speranza è che in futuro ci sia la possibilità di riprendere in mano il sistema e di implementarlo con un piglio magari leggermente più radicale.

Excursus: i compagni di viaggio

Torment: Tides of Numenera ci mette a disposizione sei potenziali compagni di viaggio, ma dovremo selezionarne di volta in volta solamente tre, dato che il party è composto da un massimo di quattro personaggi. Tutti i compagni di viaggio hanno una o più missioni collegate ma, a differenza che in altri prodotti simili, è il gioco stesso a ‘dirci’ quando un determinato personaggio serve per attivare una certa missione: il completista dovrà dunque variare più volte la composizione del gruppo per portare a termine tutte le sotto-trame.

Aligern è un nano già membro degli Aeon Priest, l’accolita di studiosi che opera in seno all’Order of Truth, una sorta di accademia intenta a indagare i numenera e la storia passata. Sconvolto da un incontro distruttivo con il Changing God, è personalmente coinvolto nell’avventura del protagonista, la qual cosa lo rende particolarmente empatico e fedele. In perenne guerra con Callistege, non può essere reclutato assieme a lei.
Callistege è un potente nano che vive contemporaneamente in più dimensioni, da cui il suo costante aspetto evanescente. Interessata anzitutto all’accumulo di conoscenza e di potere, è caratterizzata da una morale cinica e spietata, che si accompagna però a un talento impareggiabile nel maneggiare le abilità distruttive. In lotta costante con Aligern, non può essere reclutata assieme a lui.
Tybir è un jack specializzato nello scontro ‘verbale’, capace di attirare su di sé l’attenzione dei nemici e dotato di non trascurabili abilità combattive. Ironico e disincantato, ha alle spalle un passato torbido, dal quale cerca, con alterne fortune, di staccarsi. Il protagonista lo trova mentre è intento a cercare di salvare dal patibolo un vecchio compagno di viaggio, messo nei guai proprio dalla sua spavalderia.
Erritis è un glaive con spirito fin troppo ‘eroico’, il cui entusiasmo sembra talvolta assumere tratti svampiti e infantili. Il protagonista lo trova nei pressi del relitto di una nave volante, affittata per cercare la Falling Star, ossia lo stesso Last Castoff: risolvere la prevedibile ira del proprietario della nave è il primo passo per arruolare questo singolare eroe, perennemente circondato da una misteriosa ‘aura’ dorata.
Rhin è senza dubbio tra i personaggi più interessanti del gioco. Il protagonista la incontra mentre è nascosta dentro un edificio in rovina di Sagus Cliff, in fuga da una schiavista Castoff che la utilizza come punto di sfogo delle sue tide. Rhin è solo una ragazzina e non ha alcuna abilità particolare: durante i combattimenti sembra inizialmente più un peso che una risorsa. Il giocatore paziente e costante troverà però in lei risorse straordinarie e inaspettate, oltre che la possibilità di costruire un rapporto umano toccante e profondo, che segnerà alcuni tra i momenti più commoventi di tutta la vicenda narrata.
Matkina è un jack specializzato nel combattimento furtivo. Anch’ella annoverabile tra i Castoff, è un personaggio centrale nella vicenda narrata: tutta la prima parte della trama ruota attorno alla ricerca del suo covo, nella speranza che ci possa dare qualche consiglio nel dipanare la matassa rappresentata dal Sorrow e dalla sua terribile minaccia.

8. Le crisis
In Tides of Numenera i combattimenti sono chiamati crisis: questa denominazione non è un semplice vezzo estetico, quanto piuttosto il risultato di un’altra scelta davvero originale, la scelta di rendere gli scontri col nemico gestibili tramite opzioni diverse dallo scontro stesso, ma sempre durante il confronto violento e non prima.
Spieghiamo meglio la faccenda. Una crisis può scattare quando un dialogo sfocia nella violenza, o quando si incontra una creatura ostile con cui è impossibile parlare, o anche quando il nostro eroe tenta un’azione potenzialmente distruttiva. Il dialogo offre spesso numerose strade per evitare il confronto violento prima che esso si verifichi: la novità è che in Tides of Numenera è talvolta possibile utilizzare il dialogo anche dopo l’inizio delle ostilità, semplicemente scegliendo l’apposita opzione quando si clicca sulla creatura ostile (in genere durante le crisis il clic sinistro attiva il colpo con l’arma e il clic destro attiva il dialogo). In più occasioni, è anche l’ambientazione a offrire punti interattivi coinvolti in qualche modo nella crisis: talvolta sarà necessario semplicemente raggiungere e ‘aprire’ una via di fuga, talaltra il nostro obiettivo sarà attivare un determinato terminale, distraendo le creature ostili o anche facendole gestire a qualche membro del party in solitaria.
Le crisis sono gestite tramite un semplice sistema a turni. All’inizio dello scontro, il gioco organizza i partecipanti in una linea di iniziativa, posta nella parte alta dello schermo, che mostra l’ordine di intervento. Quando verrà il suo turno, ciascun partecipante avrà a disposizione un movimento e una azione. Il movimento consente, com’è intuibile, di spostare il personaggio, ma non solo: bere una pozione, per esempio, consuma il movimento e non l’azione, quindi è possibile bere una pozione e scagliare un colpo nello stesso turno, a patto che il personaggio sia già in posizione all’inizio del medesimo. Va poi sottolineato il fatto che si può rinunciare all’azione per muovere il personaggio lungo una distanza doppia rispetto a quella ‘normale’. L’azione consente l’attacco diretto oppure l’uso di una qualche abilità attiva, ma anche la selezione di determinate righe di dialogo, in genere quelle dotate di conseguenze più tangibili.
Anche durante le crisis è implementato l’utilizzo degli effort: ogni colpo inferto con l’arma, nonché ogni attivazione di una qualche abilità, ci permetterà di scegliere di consumare punti caratteristica per amplificare l’effetto dell’azione, proprio come succede durante i dialoghi. A questa componente strategica si aggiunge quella derivata dall’utilizzo spesso assai creativo delle ambientazioni: non mancano occasioni in cui avremo la possibilità di interagire con elementi dello scenario quali veleni o materiale esplosivo, e il gioco tiene anche conto del danno inferto da fattispecie quali l’impatto con pareti o superfici rigide o la caduta da burroni e dislivelli. Non siamo certo ai livelli di Divinity: Original Sin, nel quale ogni scontro richiede anzitutto un uso appropriato dello scenario, ma va riconosciuto senza dubbio il tentativo da parte di InXile di rendere più dinamico e interessante il sistema di combattimento tipicamente collegato ai giochi isometrici di Bioware / Black Isle / Obsidian, tanto funzionale quanto limitato nelle sue possibilità di sviluppo.
Complessivamente, le crisis rappresentano senza dubbio, nell’offerta complessiva di Tides of Numenera, un elemento meritevole di plauso. Qualche appassionato si lamenta della lentezza con cui scorrono i turni degli avversari, ma si tratta a nostro avviso di un problema di scarsissima rilevanza generale, avvertito forse solo da chi è abituato a giochi movimentati e frenetici. Una criticità assai maggiore di questo sistema di combattimento è, piuttosto, il comportamento spesso inspiegabile dell’intelligenza artificiale che muove le creature ostili, che sembrano, per esempio, del tutto incapaci di individuare un personaggio intento nello sneaking anche se il livello di addestramento nella relativa abilità è bassissimo. Forse il vero limite di questo comparto, però, è il suo essere sfruttato a dovere solo in rare occasioni: complice la natura come abbiamo detto essenzialmente narrativa del titolo, lo scontro violento è generalmente evitabile e questo fa sì che la virtuosistica duttilità del sistema delle crisis emerga solo occasionalmente, dando al giocatore l’impressione che si tratti di un semplice divertissement, che avrebbe potuto incidere assai di più, e in positivo, sulla caratura del prodotto, se solo lo si fosse utilizzato con maggiore frequenza.

9. Maree
Il tentativo da parte della squadra di autori del nuovo Torment di sviscerare in profondità il contenuto trattato risulta evidente soprattutto quando si racconta l’idea delle Tide: una componente così importante da aver meritato menzione nel titolo stesso del gioco. Potremmo dire che le Tide sono le direzioni verso cui si muove la psiche umana, individualmente e collettivamente: se la sensibilità universale è una sorta di immenso oceano, al suo interno si muovono correnti che determinano, di volta in volta, l’emergere di istanze capaci di influenzare il tutto. In termini junghiani, si potrebbe affermare che le Tide altro non sono che le direzioni di movimento dell’inconscio collettivo, che trovano ragion d’essere, d’altro canto, anche nella sensibilità di ciascun individuo.
L’applicazione più superficiale di questa idea in termini di meccaniche di gioco è il suo uso come strumento di misurazione di quello che classicamente si definisce allineamento. In Tides of Numenera esistono cinque Tide essenziali, identificate da un codice di colore: il blu è il colore della saggezza e caratterizza chi ha come obiettivo l’accumulo della conoscenza; il rosso è il colore della passione e del sentimento e caratterizza chi “ascolta il suo cuore” indipendentemente dalle conseguenze; l’indaco è il colore della giustizia e dell’ideale collettivo e caratterizza chi agisce in nome della comunità e della “ragion di Stato”; l’oro è il colore dell’empatia e del sacrificio e caratterizza chi agisce anzitutto in nome dell’altruismo; l’argento è il colore dell’eroismo e della fama e caratterizza chi è mosso anzitutto dal desiderio di essere ricordato e apprezzato dai suoi simili.
Come si vede, si tratta di un modo di misurare l’allineamento molto più sfaccettato di quello generalmente presente nei giochi di ruolo derivati da Dungeons & Dragons, ruotante semplicemente attorno ai concetti di bene o male e di ordine o caos. Ciascuna Tide può concretizzarsi in atteggiamenti benevoli o malevoli dato che, a ben vedere, non si tratta di un sistema di misurazione basato sulla moralità delle azioni, quanto piuttosto sulla qualità delle azioni medesime. Il sottotesto, squisitamente postmoderno, è che ciascuno di noi è definito anzitutto da ciò che fa, indipendentemente dagli obiettivi che ciascuna azione si pone. Ad esempio: posso accumulare sapere per soddisfazione personale o per trarne vantaggio sociale, ma in entrambi i casi a caratterizzarmi in prima istanza sarà il fatto che accumulo sapere, non il motivo per cui lo faccio. Il tentativo di andare oltre l’imbarazzante riduzionismo della dicotomia bene/male è rinfrescante, e ci riporta alla mente un famoso aforisma attribuito ad Oscar Wilde: “il mondo non si divide in persone buone e persone cattive, ma in persone interessanti e persone noiose”.
Planando verso i meccanismi della giocabilità, le Tide agiscono in questo modo: selezionando determinate risposte nei dialoghi o determinate azioni, una scritta a schermo e un effetto sonoro ci informeranno del cambiamento di una qualche Tide. Il messaggio sarà volutamente vago, e potrà dire qualcosa del tipo: la Tide blu è leggermente aumentata. Nella scheda del nostro personaggio, potremo controllare in ogni momento quali Tide sono prevalenti sulla base del nostro comportamento fino a quel momento. Sarà su questo dato che il gioco calibrerà le reazioni dei più importanti PnG, con modalità però sempre accuratamente nascoste, così da evitare la sensazione di eccessivo meccanicismo.
Ma c’è di più. La responsabilità più tremenda in capo al Changing God è, forse, proprio la sua volontà di controllare e influenzare le Tide altrui: è precisamente attraverso questa abilità, di origine non chiara, che il nostro progenitore è riuscito a ‘trasferire’ la sua identità attraverso innumerevoli corpi, ma allo stesso tempo è questa stessa abilità ad attirare l’ira del Sorrow su di lui e su tutta la sua stirpe di epigoni. Impedire all’inconscio collettivo umano di muoversi in autonomia, seguendo il naturale bilanciamento dato dai flussi delle maree, può portare l’umanità allo stallo e alla follia; il Sorrow è, in un certo senso, l’incarnazione degli anticorpi della nostra psiche collettiva, attivati e allarmati dai comportamenti sovrumani del Changing God. Parte di questa sovra-umanità distruttiva viaggia assieme ai Castoff: il nostro stesso alter ego, una volta padroneggiata l’abilità chiamata Tidal affinity, può abusare del suo controllo delle Tide per uscire in un batter d’occhio da situazioni complicate. Con il rischio, però, di scatenare ancora di più l’ira del Sorrow, antagonista che più di ogni altro resiste, come del resto gran parte dei contenuti del gioco, a ogni definizione morale: la sua mostruosa violenza altro non è che l’estremo tentativo, da parte dell’inconscio collettivo, di salvare se stesso.

10. Codici cifrati
Le schermate nelle quali si sviluppa la giocabilità di Tides of Numenera sono classicissime e chiunque abbia giocato a un qualunque GdR con visuale isometrica vi si troverà subito a casa. Oltre alla visuale di gioco principale, c’è l’immancabile inventario (che non è condiviso da tutti i personaggi ma esclusivo per il personaggio selezionato), c’è la schermata delle abilità, c’è il diario, peraltro molto esaustivo e ben fatto, e c’è la mappa dell’area. Si sente a dire il vero la mancanza di una sezione che descriva e ‘racconti’ i personaggi e le creature incontrate, un po’ come succedeva in Planescape: Torment: dato che la visuale isometrica non permette di inquadrare il volto dei PnG, è difficile ricordare i più importanti tra loro senza una qualche rappresentazione grafica più dettagliata. Sarebbe anche stato utile, da questo punto di vista, dare a ogni personaggio di una certa rilevanza un suo ritratto, da visualizzare nella finestra di dialogo durante le interazioni.
Val la pena approfondire un po’ la natura di due tipologie di manufatti particolari, il cui uso risulterà decisivo nel dipanarsi della vicenda narrata: i cypher e i merecaster. I primi sono piccoli numenera la cui attivazione provoca effetti di un certo rilievo, sul personaggio che li maneggia oppure su un obiettivo indicato al momento dell’utilizzo: potremmo paragonarli, almeno per quel che concerne l’uso che se ne fa durante il gioco, alle pergamene magiche che si trovano nei GdR più tradizionali. C’è però un’importante tratto che caratterizza a fondo la loro gestione: essendo i cypher particolarmente potenti, ciascun personaggio potrà averne in inventario solo un numero limitato, che dipende dall’addestramento nella relativa abilità. Se decide di tenerne oltre il limite consentito, l’eroe subirà un malus di una certa rilevanza. Generalmente un personaggio non specializzato può tenerne in inventario solamente due: un esperto, dal canto suo, può tenerne sei o anche otto. Va detto che pur rappresentando senza dubbio un’arma potentissima, soprattutto durante i combattimenti, i cypher non sono assolutamente indispensabili: è quindi scelta assolutamente lecita quella di non preoccuparsi troppo del loro utilizzo e semplicemente venderli, così da monetizzare il loro notevole valore.
merecaster sono numenera dentro cui è conservato un frammento della memoria di una qualche creatura. Chiunque può accedere a un merecaster e rivivere il ricordo intrappolatovi, osservandolo con gli occhi del protagonista. Il Last Castoff, però, ha un’abilità ulteriore: quando rivive la memoria conservata in un merecaster, può scegliere di agire diversamente da come agì a suo tempo il personaggio coinvolto, di fatto cambiando il passato e quindi lo scorrere del tempo. È evidente che un’idea come questa può creare infiniti paradossi nella narrazione, oltre che miriadi di situazioni potenzialmente impossibili da regolare a livello di pura e semplice gestione del plot: gli autori hanno dunque prudentemente scelto di limitare al massimo il numero di merecaster effettivamente legati alla trama del gioco, relegando tutti gli altri a innocui diversivi, atti soprattutto a descrivere meglio l’atmosfera e le ambientazioni del Ninth World.
Concretamente, un merecaster si configura come una sequenza di schermate statiche, decorate con evocativi ed elaboratissimi disegni, sulle quali l’azione è raccontata tramite la consueta prosa, particolarmente ricca, in questo contesto, di elementi descrittivi. Le scelte si concretizzano tramite la classica sequenza di risposte multiple, e anche durante i merecaster è possibile applicare gli effort alle scelte collegate a una qualche caratteristica.
Pur essendo in gran parte slegati dalla vicenda narrata, i merecaster includono a nostro avviso alcune tra le sequenze più memorabili di tutto il gioco, soprattutto dal punto di vista della tensione drammatica, veicolata spesso da scelte che hanno un impatto devastante, in positivo o in negativo, sul canovaccio. Questa fattispecie mette in evidenza in modo lampante la natura problematica di Tides of Numenera: è un videogioco, ma è anche e forse soprattutto un racconto interattivo, nel quale, non troppo paradossalmente, i contenuti riescono finalmente a volare alto solo quando sono quasi del tutto slegati dai meccanismi della giocabilità.

11. Il tempo
Abbiamo già accennato al fatto che Tides of Numenera mette davanti al giocatore, nello svolgimento delle trame e delle sotto-trame, una grande quantità di scelte e quindi di opzioni interpretative. Da questo punto di vista ci sentiamo di poter dire che questo comparto è molto più sviluppato che nello stesso Planescape: Torment, profondo quanto si vuole ma piuttosto lineare per chi voglia massimizzare il ‘rendimento’ dei contenuti. A colpire positivamente, in Tides of Numenera, è soprattutto il fatto che nessun esito, neanche il più catastrofico, spinge al ricaricamento compulsivo del salvataggio precedente: gli eventi fluiscono con tale naturalezza e si incastrano gli uni negli altri con tale grazia e coerenza da rendere il flashback dovuto al ricaricamento quanto mai inappropriato. È, questa formula, il non plus ultra dell’identità del gioco story-driven: una formula che fa sì che la storia vinca sempre, anche al di là dei vantaggi o degli svantaggi contingenti a livello di giocabilità.
Un punto su cui val la pena concentrare l’attenzione, per quel che riguarda l’organizzazione delle missioni, è la gestione assai originale che il gioco fa dello scorrere del tempo. Apparentemente, in Tides of Numenera non è implementato il ciclo giorno/notte: nelle ambientazioni è sempre giorno, e quando si sceglie di riposare si passa automaticamente al giorno successivo. Questo non vuol dire, però, che il sistema non tenga alcuna traccia dello scorrere del tempo: il giocatore lo scoprirà, suo malgrado, quando incontrerà una delle missioni costruite proprio sulla base di step temporali, missioni che potremmo forse annoverare tra le più interessanti novità implementate dal gioco.
Facciamo un paio di esempi. Nella città di Sagus Cliff, il personaggio scoprirà che la comunità è in lotta con un clan di creature del sottosuolo, chiamate stichus, intente a scavare tane e nascondigli sotto la città stessa, mettendone a rischio le fondamenta. Se il protagonista ignorerà la faccenda, gli stichus continueranno a scavare, facendo letteralmente crollare parti del quartiere di Cliff’s Edge, il più strutturalmente precario: questo vorrà dire non solo veder trasformata la relativa ambientazione, ma anche veder scomparire personaggi non giocanti magari essenziali per la risoluzione di determinate missioni. Oppure: una quest richiede di indagare su un misterioso omicidio perpetrato ai danni di un abitante dell’Underbelly, i bassifondi di Sagus Cliff. Se il protagonista temporeggia eccessivamente, più e più vittime cadranno sotto i colpi della follia omicida, e tra loro potranno esserci anche personaggi di un certo rilievo.
Ma come viene tenuta traccia, tecnicamente, dello scorrere del tempo? Tutto si basa sul meccanismo del riposo: ogni volta che il nostro alter ego si abbandona tra le braccia di Morfeo, fattispecie che peraltro è possibile solo tramite il dialogo e non quasi ovunque come spesso accade in questo genere di giochi, le quest a tempo passano allo step successivo. Si potrebbe dire che il tempo è in mano alle scelte del giocatore: evitando di riposare, la situazione resta sospesa in un eterno presente. È evidente, dunque, che il sistema delle missioni a tempo risponde alla necessità di evitare l’abuso del riposo, che consentendo il recupero di tutti i punti caratteristica spesi negli effort può facilmente rendere questi ultimi troppo semplici da superare. Come abbiamo già detto, l’idea è in sé ottima: la sua realizzazione però soffre per il suo approccio eccessivamente cauto. Le missioni a tempo spesso esprimono chiaramente il loro essere tali: al giocatore ‘saggio’ basterà concentrare su di esse la sua attenzione per risolverle in poco tempo e poter tornare, poi, ad abusare del riposo senza conseguenze di rilievo.
Piccola curiosità: nonostante il fatto che il tempo scorra, nelle ambientazioni è sempre giorno, ma uno dei distretti di Sagus Cliff può anche essere visitato di notte, solamente però durante la risoluzione di una determinata missione. Attraverso una procedura particolare, il protagonista può far calare le tenebre su quell’ambientazione, ma solo su quella: e se verrà fatta questa scelta, là resterà notte per tutta la durata del gioco. È una scelta criticabile, ma noi preferiamo vederla come un ulteriore tocco di originalità in un ‘complesso’ che fa della singolarità straniante e stralunata una delle sue principali cifre stilistiche.

12. Tecnicismi
Tides of Numenera si appoggia allo stesso motore di Pillars of Eternity, a sua volta basato su una versione altamente personalizzata di Unity. Naturalmente non si tratta di un gioco che fa delle prodezze grafiche il suo principale biglietto da visita, ma i paesaggi disegnati dai fondali sono assai suggestivi e anche decisamente singolari, lontani dai cliché del fantasy classico e memori di una certa tradizione iconografica in bilico tra il Rinascimento nordico e il Simbolismo novecentesco, con suggestioni che richiamano alternativamente Bosch ed Escher. Il risultato finale è un mood che sembra mischiare fecondamente passato e futuro, e anche razionalismo e irrazionalismo, contribuendo a rendere plausibili fattispecie che, se descritte semplicemente a parole, parrebbero del tutto improbabili. Le animazioni sono discrete e funzionali, anche se continuiamo a non capire come mai in questo genere di giochi i personaggi corrano anziché camminare, come sarebbe assai più logico e appropriato.
Forse il problema principale delle ambientazioni dal punto di vista della loro realizzazione tecnica è il fatto che i luoghi tendono a essere eccessivamente affollati: i PnG con cui è possibile interagire si sovrappongono alle descrizioni ambientali, che a loro volta possono essere nascoste da elementi dello scenario. È una seccatura anche in fase di risoluzione delle crisis, dato che a volte non si capisce bene cosa stia succedendo solo perché determinate azioni risultano letteralmente ‘oscurate’ dalle ambientazioni.
Il commento sonoro è dovuto a Mark Morgan, già autore delle musiche dello stesso Planescape: Torment. Nel complesso il comparto musicale è appropriato e piacevole, anche se forse l’umore generale è un po’ troppo vicino a quello che si sperimenta nel capolavoro di Black Isle. Il parlato è quasi completamente assente, ma non si tratta di un problema di rilievo vista la natura del titolo. Alcuni effetti sonori risultano purtroppo nascosti e in qualche modo ‘rovinati’ dalla scelta, discutibilissima, di corredare alcune ambientazioni con fischi e vibrazioni che dovrebbero in qualche modo segnarne il carattere straniante ma che alla lunga diventano stucchevoli e fastidiosi.

13. Conclusioni
I gruppi di appassionati duri e puri sono stati poco generosi con InXile e con Tides of Numenera: nei forum di discussione e nelle recensioni hanno pesato forse un po’ troppo le premesse descritte in apertura, e in particolare il fatto che molte promesse fatte durante la campagna di crowdfunding non sono state mantenute. Non è mancato, poi, chi ha criticato l’eccessiva brevità del gioco (noi lo abbiamo completato in circa 40 ore, e ci è sembrata una durata adeguata), l’insoddisfacente implementazione dei combattimenti, la modalità di trattazione delle tematiche.
Quest’ultimo punto è difficile da analizzare in sede critica, perché è quello che risente più di tutti, com’è ovvio, della sensibilità di ciascuno. Ci sentiremmo di dire che dal punto di vista dei contenuti Tides of Numenera certamente vola alto, ma non tanto quanto Planescape: Torment: non perché i temi affrontati siano meno ponderosi, anzi a tratti forse lo sono perfino di più, ma perché l’impressione è che la loro trattazione sia meno vissuta e più accademica. In altri termini: i personaggi di Torment, incluso il protagonista, sono letteralmente l’incarnazione della propria istanza psicologica; viceversa in Tides of Numenera i personaggi sembrano anzitutto degli interlocutori per lunghe conversazioni. È un’osservazione che ci sentiamo di fare soprattutto in connessione con i compagni di viaggio, forse il comparto riguardo al quale il confronto con il Torment originale è più impietoso: personaggi come Morte, Dak’kon o Fall-from-Grace si confermano ancora una volta come stati di grazia irripetibili, di fronte ai quali i personaggi di Tides of Numenera sono quasi del tutto inconsistenti.
Ciò nonostante, le ore che abbiamo passato in compagnia della fatica di InXile ci hanno complessivamente soddisfatto. Come abbiamo detto, la scrittura è piacevole e assai più focalizzata di quella di Pillars of Eternity, che in confronto pare inutilmente logorroica; la gestione dei combattimenti, pur migliorabile, è secondo noi un deciso passo avanti sia rispetto al Torment originale sia rispetto allo stesso Pillars of Eternity; le ambientazioni e il background, infine, sono curiosi e originali, e la loro esplorazione vale da sola il prezzo del biglietto.
Forse ciò che impedisce a Tides of Numenera di raggiungere l’eccellenza è non tanto l’incertezza di certi suoi contenuti, quanto la sua natura dichiaratamente derivativa. L’intento di riproporre sotto una nuova veste le istanze che resero grande un capolavoro del passato può essere nobile, ma difficilmente potrà dar vita a un prodotto che diventi a sua volta una pietra miliare. Tides of Numenera è come una nuova, bellissima cover di un pezzo che ha fatto la storia della musica: ci ha fatto commuovere ed emozionare, ma l’originale resterà sempre imbattibile.

Tre pregi di Tides of Numenera
Tre difetti di Tides of Numenera
Ambientazione originalissima e indagata in profondità
La sua natura derivativa è troppo evidente
Qualità della scrittura molto superiore alla media
I temi affrontati talvolta mancano di ‘urgenza’ e i compagni di viaggio sono poco ispirati
Le crisis sono un’idea nuova e interessante
Molte promesse fatte durante la campagna di crowdfunding non sono state mantenute

2 thoughts on “Torment: Tides of Numenera”

  1. Possiedo il gioco dal 2018, ma soltanto in ottobre dello scorso anno ho trovato la motivazione per superare la poderosa mole di testo con cui travolge il giocatore appena giunto a Sagus Cliff e che mi ha impedito di proseguire negli anni passati. Ebbene, ma quanto n’è valsa la pena pazientare un po’ di più, questa volta! Ora che l’ho terminato non posso che annoverarlo anch’io tra le esperienze di gioco di ruolo più belle ed intriganti. Peccato davvero per lo scoglio iniziale che, alla luce di certe recensioni che leggo su steam, temo abbia dissuaso giocatori anche appassionati del genere. Se devo trovare un altro difetto, sebbene una piccolezza in confronto, ma che in certi frangenti ha fatto arrancare la mia immersione, è l’assenza di ritratti nei dialoghi per i png con cui si interagisce. Una piccolezza, appunto, ma che forse avrebbe dato più vita e carattere allo scorrere dei numerosi testi, che rischiano, nonostante la qualità, di anonimizzarsi.

    1. Mosè Viero

      Grazie per il commento Bruno!
      Il gioco è stato sicuramente penalizzato da pregiudizi da parte di molti giocatori, anche a causa di innegabili errori fatti dagli sviluppatori nel condurre il Kickstarter. Però sì, è un gioco interessante, migliore di quel che spesso si legge. Sicuramente lo riprenderò in mano, anche perché mi mancano tutte le parti aggiunte dopo la primissima pubblicazione.

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