The Witcher III: Wild Hunt

Il terzo capitolo della saga di Geralt il Witcher è un prodotto eccezionale, sia in quanto a dimensioni sia in quanto a meccanismi di gioco e  profondità.

[articolo originariamente pubblicato il 25 gennaio 2019]

1. Intro letteraria
Quando nel lontano 2007 la sconosciuta casa di sviluppo polacca Cd Projekt si affacciò al mondo dell’intrattenimento digitale con l’ambizioso GdR The Witcher, ben poche pubblicazioni di grande richiamo colsero la portata dell’evento. Eppure pur appoggiandosi a un motore di gioco realizzato da altri (l’Aurora di Bioware, già utilizzato per Neverwinter Nights), il gioco mostrava con evidenza il talento dei suoi autori e faceva già presagire, in nuce, la grandiosità degli sviluppi futuri.
L’ottimismo derivava anche e soprattutto dalla scelta del tema e dell’ambientazione. La saga di CdProjekt è liberamente ispirata a un ciclo letterario fantasy già celebre da decenni in Polonia e nell’area germanica ma fino a quel momento misconosciuto nel resto del mondo: il ciclo che ha per protagonista il witcher (discutibilmente tradotto con “strigo” nella versione italiana) di nome Geralt, frutto dell’ingegno dello scrittore Andrzej Sapkovski. Apparentemente si tratta di un fantasy medievaleggiante piuttosto classico con elfi, nani e creature mostruose di ogni sorta e tipo: in realtà è una ambientazione insolitamente cupa e realistica, non tanto e non solo per i suoi contenuti ma soprattutto per il piglio originalmente diretto e serrato della prosa dell’autore, apparentemente alieno da quella frenesia descrittiva tipica degli autori fantasy. Nei romanzi e nei racconti della saga, i personaggi intrecciano concitati dialoghi diretti e assumono posture veicolate tramite brani che vanno dritti al punto, anche quando si tratta di affrontare tematiche scabrose (come ad esempio il sesso); potremmo dire che dal punto di vista stilistico i libri di Sapkovski si muovono su una linea tra il fantasy e i più classici tomi d’avventura.
Il protagonista della saga, Geralt di Rivia, è un witcher, ossia un cacciatore di mostri: più precisamente, trattasi di un essere umano sottoposto a mutazioni genetiche così da migliorarne forza e riflessi, in funzione di un suo utilizzo contro le aberrazioni che minacciano il mondo. Queste ultime, altra importante caratteristica dell’ambientazione, hanno quasi sempre un’origine ‘umana’: solitamente, si tratta di persone morte e rianimatesi per qualche motivo misterioso o di entità metafisiche che si ‘materializzano’ in seguito a qualche ‘peccato’ (avarizia, invidia, gelosia). Questo trasforma ogni caccia al mostro da parte del protagonista in una vera e propria inchiesta, spesso non aliena da elementi di profonda indagine psicologica o talvolta finanche antropologica: e non c’è da stupirsi se chi commissiona l’indagine è in qualche modo coinvolto nell’apparizione del maleficio. A tutto ciò si aggiunga la particolare identità del protagonista, forte e dotato di abilità soprannaturali ma al contempo, forse proprio per via delle sue caratteristiche, considerato dagli esseri umani ‘normali’ come un’aberrazione non così diversa dai mostri che egli combatte. Va anche detto, peraltro, che Geralt mantiene il suo indiscutibile ruolo di protagonista solo nei racconti brevi, per dare sempre più spazio, nei romanzi, all’elaborato cast dei personaggi di contorno, prima tra tutti a Ciri, la figlia adottiva di Geralt, della quale il witcher diventa tutore in seguito a vicende che non riveleremo per evitare eccessivi spoiler.
L’enorme successo dei videogiochi ispirati alla saga hanno reso quest’ultima celebre in tutto il mondo, con una misura che il suo autore non aveva minimamente intuito: Sapkovski ha recentemente intentato una causa contro CdProjekt chiedendo 16 milioni di dollari di diritti, ceduti a suo tempo agli sviluppatori per una cifra molto bassa (mai esattamente rivelata), evidentemente senza che fosse chiaro il respiro dei progetti videoludici, destinati peraltro a ‘debordare’ anche su altri formati (la saga è anche diventata una serie di successo su Netflix).
Certo, il primo The Witcher era un gioco indiscutibilmente imperfetto, ma la vastità dell’impresa, la qualità dei contenuti e la maturità dell’approccio sono tratti tipici di chi ha già una sua maturità, se non nelle opere senza dubbio nello studio e nella passione. Dopo un secondo capitolo di transizione, nel quale le dimensioni e l’equilibrio del prodotto risentono del suo essere il primo gioco Cd Projekt realizzato interamente in casa, non era difficile prevedere che il terzo capitolo avrebbe rappresentato la proverbiale quadratura del cerchio. E infatti è proprio così, al netto di alcune ipertrofie e di lievi screziature.

2. Istantanea
The Witcher 3: Wild Hunt è un GdR in terza persona con esplorazione libera e mondo aperto. Il giocatore interpreta un personaggio prestabilito, Geralt di Rivia, ma in alcune limitate occasioni interpreta anche la coprotagonista Ciri. Geralt acquisisce esperienza completando missioni ed eliminando creature ostili, e aumenta di livello consentendo al giocatore di personalizzarne le abilità.
Il fruitore muove il suo alter ego tramite la consueta combinazione di tasti WASD; l’interazione col mondo avviene tramite il tasto E, mentre il tasto Q governa il lancio degli incantesimi (i cosiddetti segni) e la barra spaziatrice attiva il salto e la raccolta di oggetti. In combattimento i fendenti sono controllati dai tasti del mouse, tramite il quale è possibile interagire anche con tutti gli altri elementi dell’interfaccia; a onor del vero, tocca dire che in alcuni frangenti si ha la sensazione che il gioco sia stato sviluppato più con in mente il controller delle console che non l’accoppiata mouse-tastiera.
Geralt è libero di muoversi fin quasi dall’inizio nella totalità del mondo, avendo come unici ostacoli i nemici di livello troppo alto o qualche passaggio che si apre solo al momento opportuno del racconto. L’ambientazione è divisa in quattro macro-aree (cinque contando anche quella aggiunta dall’espansione Blood & Wine), nelle quali si alternano senza soluzione di continuità luoghi selvaggi, avamposti e villaggi (c’è anche una grande città di nome Novigrad).
Il racconto si dipana attraverso una lunga serie di missioni concatenate, per ciascuna delle quali il diario indica il livello suggerito per affrontarla. Non mancano ovviamente decine di missioni secondarie, raggruppate nel diario sulla base della loro natura (contratti per l’uccisione di mostri, ricerca di tesori eccetera); qualcuna tra esse si esplica anche tramite sotto-giochi, tra i quali l’elaborato gioco di carte di genere deckbuilding chiamato Gwent.
Dialogo, esplorazione e combattimento si alternano, in The Witcher 3, con mirabile equilibrio. Addentriamoci nei meccanismi del gioco cominciando con lo sviluppo del personaggio.

3. Il personaggio giocante
Pur avendo da sempre un protagonista fisso e dotato anche di una sua ben definita personalità, la saga di The Witcher consente comunque una buona personalizzazione del personaggio giocante, sulla scorta dei GdR più tradizionali con eroe creabile da zero. Geralt può scegliere tra tre specializzazioni principali: il combattimento con le spade, la magia dei segni e l’alchimia. Non esistono caratteristiche espresse tramite valore numerico, ma solo abilità attive e passive, che vanno apprese tramite i punti abilità che si ottengono al passaggio di livello e poi attivate organizzandole all’interno di una sorta di schema i cui slot si ‘aprono’ solo al raggiungimento di un determinato livello.
Spieghiamo un po’ meglio la faccenda. Ciascuna delle tre specializzazioni ha cinque ‘rami’ corrispondenti a cinque altrettante sotto-specializzazioni. Per esempio la sezione dedicata al combattimento permette di approfondire lo stile veloce, lo stile forte, la difesa, il combattimento a distanza tramite la balestra e la battle trance, che consente l’utilizzo proficuo dell’adrenalina (spieghiamo più avanti di cosa si tratta). Ciascuna sotto-specializzazione si sviluppa in quattro differenti abilità. Per utilizzare un’abilità, dovremo anzitutto apprenderla spendendo i punti ottenuti al passaggio di livello (o interagendo con i place of power sparsi per il mondo): ciascuna abilità ha più livelli, quindi per portare ciascuna di esse al massimo sarà necessario investire più punti nella stessa. Affinché un’abilità si attivi, però, non basta apprenderla: bisogna anche posizionarla in uno slot presente all’interno di uno schema che si sblocca progressivamente; a inizio partita avremo a disposizione un unico slot, mentre il numero massimo (aumentabile con l’espansione Blood & Wine) è di 12 slot.
Lo schema riunisce gli slot per le abilità in quattro gruppi da tre ciascuno: questo perché ciascun gruppo può essere collegato a un agente mutageno così da ottenere dei bonus alle caratteristiche (punti ferita, potenza in combattimento o potenza dei segni). I bonus, però, si ottengono solo se l’agente mutageno scelto ha lo stesso colore delle abilità a esso collegate: rosso per il combattimento, blu per i segni e verde per l’alchimia. Il meccanismo è più complicato da spiegare che non da utilizzare: diciamo che il gioco consente al personaggio di apprendere molte abilità, ma di attivarne solo alcune, e che per ottenere il massimo si è portati a sbloccare le abilità tenendo conto delle loro sinergie, così da poter accedere anche ai bonus collegati agli agenti mutageni.
Le abilità più potenti sono ovviamente quelle di livello alto, alle quali è possibile accedere solo concentrando la distribuzione dei punti in un’unica specializzazione. Questo non vieta la creazione di un Geralt per così dire ‘multiclasse’, ma in genere la soluzione migliore è imboccare una strada precisa nella prima parte dell’avventura per poi ‘virare’ nelle fasi più avanzate; il gioco suggerisce giustamente di dare la precedenza al combattimento con le spade, che è la caratteristica eminente del personaggio anche da un punto di vista puramente iconografico.
Complessivamente, il sistema di gestione del personaggio in The Witcher 3 è molto semplice se paragonato ai giochi basati su un regolamento nato per il GdR cartaceo (come Baldur’s Gate), ma riesce a essere sufficientemente approfondito da non risultare troppo riduttivo. Con tutta evidenza lo scopo del gioco, comunque, non è far scervellare l’utente per cercare la build perfetta ma offrirgli un percorso di sviluppo agile e sintetico, che non lo distragga troppo da quelli che sono i veri punti di forza del prodotto: il comparto esplorativo e la poderosa narrazione.

4. La struttura del mondo
La saga videoludica di The Witcher cerca fin dall’inizio di portare a compimento una impresa impossibile: unire la narrazione forte e intensa alla libera esplorazione tipica dei giochi cosiddetti free roaming. Nei primi due capitoli il tentativo, pur evidente, era in qualche modo ‘frenato’ dai limiti dei motori grafici utilizzati: ciascun ‘atto’ del racconto, comunque, era ambientato in una sorta di macro-regione assai più ampia della classica location definita e conchiusa che fa in genere da sfondo ai ‘momenti’ in cui si dipanano i giochi story-driven.
Liberatisi dai lacci e lacciuoli tecnici, i ragazzi di CdProjekt hanno concepito, per il terzo capitolo della loro saga di punta, un free roaming vero e proprio, anche se non ci sentiremmo comunque di affermare che l’identità di The Witcher 3 sia affine anche solo vagamente ai giochi world driven di Bethesda, per motivi che spiegheremo meglio in seguito.
Dicevamo già sopra che il gioco si svolge in quattro regioni molto ampie. La primissima parte dell’avventura avviene nei dintorni del villaggio di White Orchard, già parte dell’Impero di Temeria ma poi caduto nelle mani di Nilfgaard, l’impero più potente descritto dall’ambientazione, tratteggiato in termini prevalentemente negativi come un regime militarista e violento. La parte principale della vicenda avviene in una regione sterminata chiamata Velen, detta anche No man’s land (“Terra di nessuno”), anch’essa in passato parte dell’impero di Temeria e ora quasi completamente occupata da rovine e paludi acquitrinose punteggiate dai macabri resti della guerra tra Nilfgaard e i cosiddetti Regni Settentrionali (tra i quali vi è anche Temeria); a nord di Velen, ma parte della medesima regione di gioco, c’è la grande città di nome Novigrad; verso est, anch’essa parte della stessa location in termini di gioco, c’è un’altra città di nome Oxenfurt. La storia prosegue poi nell’arcipelago di Skellige, anch’esso parte dei Regni Settentrionali, nel quale il protagonista sarà costretto a muoversi frequentemente via barca. A Skellige va in scena la conclusione della vicenda, ma prima di raggiungerla Geralt dovrà anche visitare la rocca degli witcher a Kaer Mohren, nella quale avviene un decisivo combattimento contro la Wild Hunt; spiegheremo meglio di cosa si tratta più avanti. A queste quattro grandi location vanno aggiunti il palazzo imperiale di Vizima, visitato solo in occasione di specifici momenti della trama principale, e il ducato di Toussaint, vassallo di Nilfgaard, nel quale avvengono le vicissitudini narrate nell’espansione Blood & Wine.
Ciascuna regione viene caricata dal motore grafico nella sua interezza nel momento in cui vi si accede: entrando negli edifici o nei dungeon non c’è alcuna interruzione del flusso di gioco, neanche dissimulata tramite piccole animazioni (come avveniva in The Witcher 2). Di default il protagonista corre, ma con un apposito tasto è possibile farlo camminare: è interessante sottolineare che nel momento in cui entra in un edificio Geralt passa dalla corsa alla camminata in automatico, con grande giovamento in termini di realismo.
Oltre alle tre città propriamente dette presenti nel gioco (Novigrad, Oxenfurt e, nell’espansione Blood & Wine, Beauclair), le sterminate regioni aperte all’esplorazione sono punteggiate da decine di piccoli villaggi e da avamposti d’altro tipo. Le distanze da percorrere nella risoluzione delle quest sono notevoli, almeno per un mondo virtuale: per facilitare l’esistenza del fruitore, il gioco implementa la possibilità di spostarsi a cavallo o via barca (ne parliamo meglio in un apposito excursus) o anche di viaggiare velocemente raggiungendo istantaneamente un qualunque luogo già scoperto in precedenza nel quale esista un punto di teletrasporto, rappresentato da un cartello stradale.
La presenza del cosiddetto “viaggio rapido” è una novità importante non solo dal punto di vista dei meccanismi della giocabilità ma anche per quel che riguarda la filosofia che muove gli sviluppatori. Durante le presentazioni alla stampa di The Witcher 2, alle quali eravamo presenti, i ragazzi di CdProjekt non perdevano occasione per dire peste e corna del viaggio rapido così come implementato in Oblivion: a loro dire, spezzava troppo l’esperienza di gioco vanificando completamente il senso dell’esplorazione. Evidentemente col tempo gli autori di The Witcher hanno cambiato idea, o più semplicemente si sono resi conto che quando si realizza una ambientazione davvero sterminata qualche modalità di spostamento rapido è assolutamente necessaria. Il viaggio rapido è effettivamente, in The Witcher 3, una vera e propria necessità, anche se va detto che non mancano appassionati che si rifiutano di utilizzarlo (e che arrivano perciò a più di 300 ore di gioco per completare la trama principale). La nostra sensazione è che gli spostamenti rapidi implementati tramite pseudo-teletrasporto siano una scorciatoia un po’ troppo facile per risolvere il problema del backtracking: ci stupisce che nessuno cerchi di realizzare sistemi più realistici e maggiormente integrati nel gioco, per esempio come avviene in Morrowind con il teletrasporto dissimulato tramite i silt-strider o le navi, o come avviene in Gothic, nel quale il viaggio rapido tramite portale magico diventa disponibile solo nelle fasi avanzate di gioco e attraverso un preciso espediente narrativo.

5. Il problema della mappa-GPS e dell’ipertrofismo dell’ambientazione
Il GdR digitale free-roaming contemporaneo sembra avere un vizio sempre più diffuso: l’abuso, o sarebbe meglio dire l’uso deviante e sconsiderato, della mappa del mondo. Ne parlavamo anche nella recensione di Dragon Age Inquisition: anziché servire come strumento per orientare il giocatore nel mondo, la mappa, che per qualche motivo ‘sa’ fin dall’inizio dove si trovano i punti di interesse, finisce per diventare la linea-guida degli spostamenti nell’ambientazione, vanificando del tutto la costruzione di quest’ultima. Il problema, purtroppo, è presente anche in The Witcher 3. Non è grave come in Inquisition, dato che la comparsa dei punti di interesse nella mappa non avviene in automatico ma solo dopo che il protagonista ha interagito con una ‘bacheca’ presente in città o in un villaggio, nella quale i luoghi circostanti vengono descritti o semplicemente menzionati: ma continua a essere un’idea pessima per come condiziona le modalità dell’esplorazione.
Per spiegare meglio cosa intendiamo, faremo un paragone con quanto avviene nei world-driven creati da Bethesda, per esempio in Oblivion. Anche lì il giocatore ha a disposizione una specie di GPS: la ‘bussola’ presente nella parte bassa dell’interfaccia, infatti, segnala se nei dintorni ci sono punti di interesse quali dungeon, villaggi o locande. La differenza sostanziale con The Witcher 3 è che questi punti vengono segnati sulla mappa solo dopo che il personaggio li ha effettivamente visitati. Quindi non si guarda continuamente la mappa per cercare di raggiungerli, o almeno lo si fa solo quando si sta risolvendo una quest, inseguendo l’apposito marcatore che indica l’obiettivo; la ‘bussola’ è presente nella schermata di gioco principale, e se anche la si segue si sta comunque continuando a “guardare il mondo”. In The Witcher 3, invece, l’esplorazione si concretizza in un procedimento assai più artefatto. Geralt visita un villaggio; lì interagisce con la bacheca; in quel momento nella mappa compaiono, nella zona che circonda il villaggio, decine di punti di domanda, corrispondente ai luoghi di interesse. Il giocatore ‘completista’ è dunque spinto a fare quanto segue: apre la mappa di gioco, posiziona un marcatore di obiettivo nel punto di domanda più vicino e vi si dirige cercando di andare più o meno in linea retta. Lì risolve quel che c’è da risolvere, poi apre di nuovo la mappa e posiziona il marcatore sul punto di domanda successivo, e così via. E tutto questo ignorando strade e fiumi e semplicemente aggirando, quando necessario, ostacoli come burroni o altro.
Ecco perché sopra dicevamo che non ci sentiremmo di definire The Witcher 3 un gioco davvero world-driven, pur essendo senza dubbio un free-roaming. Una caratteristica fondamentale dei world-driven “alla Bethesda” è che non favoriscono un approccio da completista: il giocatore che voglia vedere tutto può farlo, ma il giocatore che non lo fa non ha mai la sensazione di aver lasciato qualcosa indietro, semplicemente perché il mondo non viene rappresentato come una serie di luoghi da visitare e da ‘risolvere’. Stupisce che in pochi, anche dal punto di vista critico, sottolineino questa caratteristica così importante. In The Witcher 3 i punti di domanda sulla mappa sono un invito o per meglio dire un ordine: giocatore, vieni qui ché c’è qualcosa da vedere. Ma l’esplorazione di un mondo non dovrebbe funzionare così: dovrebbe essere guidata dal senso della scoperta, dalla curiosità, e in ultima istanza da ciò che il giocatore vede tramite gli occhi del personaggio. Un sentierino si inoltra dentro un bosco? Vediamo se porta in qualche luogo interessante. C’è l’ingresso di una caverna? Provo a guardare cosa c’è dentro o lascio perdere e proseguo verso la mia destinazione, tanto non c’è nessun punto di domanda da ‘risolvere’? In The Witcher 3 questo approccio è, all’atto pratico, quasi impossibile: non solo per la presenza dei famigerati punti di domanda, ma anche perché sarà il gioco stesso, all’avvicinarsi di Geralt all’ingresso della caverna dell’esempio precedente, a dirmi se dentro c’è una tana di mostri o un place of power o cos’altro, dato che l’icona del punto di domanda si trasforma nell’icona relativa al punto di interesse appena Geralt è nei dintorni.
Il vero problema di questo approccio meccanicistico e artefatto, peraltro, è che impedisce che il mondo di gioco si fissi davvero nella memoria del giocatore. Ciò che conta è solo raggiungere l’obiettivo: la strada utilizzata per raggiungerlo è un aspetto del tutto secondario. Nei giochi della serie The Elder Scrolls capita di cercare di raggiungere un punto come un crepaccio o una scogliera solo per godere del panorama: in The Witcher 3 i crepacci e le scogliere sono solo un irritante ostacolo nel percorso che porta dal punto di interesse A al punto di interesse B. L’effetto è paradossale: il mondo di gioco è molto più esteso che nei giochi Bethesda ed è anche più vario e meglio costruito, ma l’esplorazione non lo valorizza in alcun modo.
Va detto, però, che c’è una quasi-soluzione. L’interfaccia di gioco è altamente personalizzabile: tramite un apposito tasto, è possibile disattivare completamente i famigerati “punti di domanda” sulla mappa, trasformando le ambientazioni da una sorta di parco giochi per il protagonista, spinto a saltellare tra un’attrazione e l’altra, a luoghi davvero misteriosi, pronti per essere scoperti dai nostri occhi. È una “quasi-soluzione” perché le attrazioni sotto sotto continuano a esserci: anche al di là del modo in cui viene ‘presentato’, il mondo di The Witcher 3 è assurdamente affollato di problemi da risolvere. Ogni decina di metri c’è un accampamento di banditi, una tana di mostri, una persona da salvare, un cumulo di tesori abbandonato da dei contrabbandieri (per qualche motivo i tesori vengono abbandonati soprattutto in acqua: le isole Skellige saranno un vero e proprio incubo per i ‘completisti’). Se si vuole ‘uccidere’ il realismo di una ambientazione non c’è niente di meglio che riempirla all’inverosimile di contenuti, e ahinoi tocca dire che CdProjekt è caduta nella trappola dell’ipertrofismo (se ne accorgeva già a ridosso della pubblicazione del gioco il bravo scrittore e critico Simon Jones, al cui articolo rimando per chi volesse approfondire). Chi nei giochi Bethesda si lamenta che il mondo è “vuoto” non ha ben chiaro un concetto in realtà semplicissimo: è solo il vuoto a dare senso al pieno.

6. Spade e segni
Geralt combatte principalmente con le sue due spade: una di acciaio per gli umani e una in argento per i mostri. Quando inizia uno scontro, l’eroe impugna automaticamente la spada adatta: è comunque possibile governare direttamente impugnatura e disimpegno delle armi tramite appositi tasti. Il sistema di combattimento è prettamente action: tutto avviene in tempo reale, anche se il gioco entra automaticamente in pausa quando viene aperta una qualche interfaccia secondaria, come ad esempio l’inventario; cambiare armi o armature durante gli scontri, comunque, non è consentito. I fendenti sono governati interamente tramite mouse: a un clic sinistro rapido corrisponde un attacco rapido, a un clic prolungato corrisponde un attacco ‘forte’, al clic destro corrisponde la parata, combinabile con un contrattacco tramite clic sinistro opportunamente sincronizzato. I tasti movimento consentono manovre evasive fondamentali soprattutto durante i combattimenti con i cosiddetti boss: ciascun nemico ‘importante’ ha una serie di attacchi speciali la cui imminenza è riconoscibile sulla base di pose ed effetti grafici, così da permettere un posizionamento difensivo.
Oltre al combattimento con le spade, il gioco implementa l’attacco a distanza tramite balestra, attivabile di default tramite il tasto centrale del mouse. Pur rimanendo un’arma secondaria, la balestra è fondamentale in alcuni frangenti: è l’unico tipo di attacco che funziona sott’acqua, e serve anche per far precipitare al suolo i mostri volanti come viverne o ippogrifi. Va detto che il gioco offre una grande varietà di armi bianche: l’eroe può utilizzare asce, mazze e lance, ma le abilità speciali dei witcher funzionano solamente con le spade, quindi usare altre armi è un puro e semplice divertissement che lascia il tempo che trova.
Mandare a segno i colpi con le armi ha un altro effetto oltre al danneggiare la salute nemica: far ottenere all’eroe la cosiddetta adrenalina. Più aumenta questa statistica secondaria, più danno faranno, progressivamente, i colpi a segno: questo spinge a cercare di gestire gli scontri con una certa concitazione, dato che più ci si ritira senza combattere meno efficaci saranno i propri fendenti. Una particolare linea di abilità consente l’utilizzo creativo dell’adrenalina per ottenere vantaggi quali ulteriori punti ferita o particolari bonus difensivi.
Oltre all’uso delle armi, Geralt padroneggia una semplice forma di magia sotto forma di segni. Sono cinque differenti incantesimi, presenti nella saga in forma immutata fin dal primo capitolo: l’Aard è un’onda cinetica che stordisce i nemici e abbatte muri e ostacoli; l’Igni è un tocco incendiario particolarmente utile contro nemici sensibili al fuoco; il Quen è una barriera protettiva che annulla gli effetti dei successivi attacchi nemici; l’Yrden è una trappola sotto forma di glifo sul terreno, indispensabile nei combattimenti contro i nemici incorporei; l’Axii, infine, è una specie di “charme” che porta un nemico dalla nostra parte e che può essere utilizzato anche durante i dialoghi come forma di persuasione. I ‘segni’ possono essere utilizzati liberamente fin dall’inizio del gioco, ma tra un utilizzo e il successivo deve passare un tempo di ricarica che varia anche pesantemente sulla base dell’armatura indossata. I ‘segni’ hanno tutto un comparto di abilità a essi dedicati: sviluppandolo si aumenta la loro efficacia e si può anche sbloccare una sorta di funzionamento alternativo per ciascuno di essi. È possibile specializzare fin dall’inizio Geralt più nella magia che nel combattimento, ma con ogni probabilità non si tratta della scelta più consigliabile per il giocatore meno esperto: i ‘segni’ si prestano maggiormente a un utilizzo quale risorsa complementare alle spade, un utilizzo che diventa quasi fondamentale negli scontri più impegnativi. Ad esempio, risulta davvero complicato avere ragione di un nemico che adopera lo scudo senza un appropriato dispiegamento dell’Aard.

7. Dialoghi
Un comparto nel quale The Witcher 3 ha decisamente la meglio sui giochi world-driven di Bethesda è quello narrativo. Più avanti ci occuperemo nel dettaglio di com’è organizzata la trama e di come sono strutturate le missioni secondarie: prima, è necessario raccontare come si svolgono i dialoghi, che sono la modalità principale tramite cui la narrazione si sviluppa.
Il mondo di gioco di The Witcher 3 è popolato da centinaia di PnG (Personaggi non Giocanti): la gran parte serve solo a ‘riempire’ città e villaggi e a fare atmosfera, ed è caratterizzata da nomi generici come “cittadino” o “lavoratore”; cercando di interagire con queste ‘comparse’ si avrà in risposta una sola battuta veloce. Alcuni personaggi però hanno un nome proprio: sono quasi sempre personaggi collegati alla trama principale o a qualche missione secondaria. Interagendo con loro, partirà la vera interfaccia dedicata al dialogo. Le conversazioni sono virtuosistiche per regia e inquadrature, e da questo punto di vista ricordano quel che avviene nei giochi story-driven di Bioware, come per esempio la saga di Mass Effect. Gli attori del dialogo vengono ‘ripresi’ da vicino o da lontano, a seconda della necessità, e accompagnano le battute con gesti e movimenti appropriati. Non mancano casi in cui per un lungo dialogo i personaggi si siedono al tavolo di una locanda o si muovono nell’ambientazione, per raggiungere un qualche luogo particolare.
Al giocatore non è richiesto un input per ogni battuta pronunciata da Geralt: il protagonista conduce la conversazione in autonomia, finché non c’è la necessità di fare qualche scelta precisa. Solo in casi particolari, peraltro, la scelta comporta un determinato sviluppo che ne esclude un altro: il più delle volte si tratta solo di selezionare un argomento da sviscerare prima di passare al successivo. Un apposito codice di colore segnala le scelte che portano avanti la conversazione e quelle che la concludono rispetto a quelle che si limitano appunto ad approfondire. Non mancano icone facilmente riconoscibili che ‘marcano’ le scelte di dialogo che conducono a qualche interfaccia particolare: per esempio quelle che attivano il commercio, i mini-giochi, o il mercanteggiamento per cercare di aumentare la ‘paga’ per le missioni secondarie.
Il gioco non richiede mai la scelta di opzioni di dialogo particolari per arrivare a determinate conclusioni, come succede in Baldur’s Gate o in Planescape Torment: non si può ‘sbagliare’ risposta, se non in rarissimi casi, come per esempio quando Geralt viene coinvolto suo malgrado in una recita teatrale e deve cercare di ricordarsi le battute giuste. L’unica forma di persuasione esistente è quella che ruota attorno all’utilizzo del ‘segno’ Axii: anche in questo caso, è sufficiente avere il ‘segno’ al giusto livello e l’operazione avrà sicuramente successo. Alcune conversazioni di un certo rilievo avvengono anche al di fuori dell’interfaccia di dialogo: non solo durante le cutscene, che sono peraltro identiche ai dialoghi ‘normali’, ma per esempio anche nei momenti in cui Geralt si muove nel mondo assieme a qualche altro personaggio, un po’ come se lo scambio di battute servisse a ingannare il tempo durante la camminata.
I dialoghi sono, in The Witcher 3, uno dei punti di forza del prodotto. Lunghi, credibili e pieni di ‘passione’, sia essa espressa sotto forma di drammaticità commovente o di ironia sapiente e citazionista, mostrano una qualità di scrittura che raramente si incontra nei GdR digitali. Soprattutto, hanno il merito di collocarsi in quel crinale sottile e scivoloso che separa il dialogo approfondito dalla concione sfinente e logorroica, e riescono a mantenersi sempre in mirabile equilibrio con le altre componenti della giocabilità, senza mai dare l’impressione che ci sia il momento del dialogo contrapposto al momento dell’esplorazione o dello scontro, come invece succede nei titoli Bioware ‘moderni’ come Mass Effect.
Volendo trovare un difetto anche in questo comparto, si può sottolineare il fatto che non c’è quasi alcun personaggio con cui conversare ‘seriamente’ senza che egli non sia coinvolto in una missione. Anche se in The Witcher 3 conversare con i PnG è un vero piacere, non c’è nessun PnG con cui conversare per il solo gusto di farlo, con l’unica eccezione rappresentata da qualche locandiere o mercante. Un altro elemento che è più realistico nei giochi Bethesda è forse questo: in Morrowind o in Oblivion ogni personaggio ha un nome proprio, quindi le missioni vanno ‘scoperte’ in ogni senso, parlando con tutti e non semplicemente interagendo con una bacheca o seguendo improbabili punti esclamativi sulla mappa.

Excursus: la saga di The Witcher in tutte le sue incarnazioni digitali
Può essere interessante, alla luce del terzo capitolo, ripercorrere la storia digitale della saga di The Witcher, anche per valutare gli episodi precedenti in funzione delle ambiziosissime novità presentate dall’ultimo.
The Witcher (2007)
Il primo gioco della saga è un completo spin-off rispetto a quanto narrato nei racconti e nei romanzi di Sapkowski: il protagonista Geralt, che inizia l’avventura vittima di una amnesia che rende credibile il suo non-conoscere i più importanti PnG, deve venire a capo di un complotto ordito dalla banda di fuorilegge chiamata “Salamandra”. Il suo leader, semplicemente indicato come il “Professore”, cerca per qualche motivo di carpire i segreti della creazione dei witcher.
The Witcher è realizzato con il motore grafico Aurora, creato da Bioware per Neverwinter Nights. Questo comporta notevoli limitazioni: il protagonista non può staccarsi dal suolo, la visuale più funzionale è quella isometrica dall’alto e i combattimenti sono un po’ semplicistici, riducendosi a una sequenza di clic col mouse effettuata col giusto tempismo sulla base di feedback grafici. Ciò nonostante, il gioco ha una sua identità forte ed è molto ben strutturato a livello narrativo, risultando assai godibile ancora oggi.
The Witcher 2: Assassins of Kings (2011)
Il seguito di The Witcher è senza dubbio il capitolo meno riuscito della trilogia, pur rimanendo un gioco tutto sommato apprezzabile. Geralt comincia l’avventura rinchiuso nelle prigioni di Temeria con l’accusa di aver ucciso il re Foltest, di cui peraltro aveva sventato l’assassinio sul finale del primo capitolo. Il prologo spiega che in realtà il witcher, ancora vittima della sua amnesia, è innocente: l’avventura consiste proprio nel cercare il vero regicida.
La caratteristica forse più eminente dell’avventura, assai più breve rispetto a quella narrata nel primo capitolo (e infinitamente più breve di quella narrata nel terzo), è che essa si biforca in corrispondenza del secondo atto in due storie quasi completamente differenti, a seconda della decisione del protagonista di schierarsi con Temeria o con gli Scoiatel, i guerriglieri non-umani che lottano contro i regni umani.
Il motore di gioco, realizzato appositamente da CdProjekt, è tanto virtuosistico dal punto di vista grafico quanto limitato a causa della sua voracità di risorse: le ambientazioni sono ‘aperte’ solo in teoria, essendo in realtà divise in sezioni separate da caricamenti ‘mascherati’. I combattimenti sono fin troppo adrenalinici e la narrazione cerca di addentrarsi maggiormente nel background letterario, ma con successi alterni; senza contare che la giocabilità, pur in una trama tutto sommato breve, è continuamente spezzata da intermezzi discutibili quali minigiochi, sezioni stealth e terrificanti QTE. Prima dell’uscita del terzo capitolo, The Witcher 2 rappresentava un buon esempio dell’abilità degli sviluppatori di creare un motore per certi versi virtuosistico. Oggi, alla luce di Wild Hunt, il secondo capitolo ha perso gran parte del suo charme, sembrando a tutti gli effetti un esperimento o quasi un numero zero. Paradossalmente, il primo capitolo ha una sua identità più chiara e distinta.
The Witcher Adventure Game (2014)
Nel 2014 Fantasy Flight Games, rinomato pubblicatore e sviluppatore di giochi da tavolo, pubblica un boardgame competitivo ispirato alla serie di The Witcher. Ciascuno dei giocatori, da 2 a 4, intepreta uno dei personaggi principali della saga (Geralt, Triss Merigold, Yarpen Zigrin, Dandelion) e cerca di raggiungere il numero massimo di punti vittoria risolvendo missioni. Ad ogni turno ciascun personaggio ha due azioni a disposizione, tramite le quali può muovere tra le varie location sulla mappa, acquisire nuove abilità o effettuare indagini per ottenere tessere da utilizzare per la risoluzione delle quest. Il gioco ha avuto, dopo breve tempo, un approdo digitale, sia per computer sia per dispositivi mobili. Pur potendo risultare interessante per i fan della saga dati i continui rimandi agli eventi dei libri e dei videogiochi, The Witcher Adventure Game non ha avuto un grande sostegno da parte della comunità dei gamer, soprattutto a causa del suo essere dominato dall’alea, concretizzata sotto forma di tiri di dado, tramite i quali si svolge quasi ogni azione contemplata.
The Witcher 3: Wild Hunt (2015)
È il gioco di cui stiamo parlando nella recensione.
Gwent: The Witcher Card Game (2017)
Nel 2017 il gioco di carte di genere deckbuilding presente in The Witcher 3, delle cui regole parliamo meglio più avanti, ha visto una sua incarnazione digitale autonoma. Il prodotto ha subito sostanziali modifiche al passaggio dalla beta alla versione definitiva e la comunità non è esattamente entusiasta delle novità: ma si tratta di un gioco completamente gratuito, quindi può essere interessante almeno provarlo.
Thronebreaker: The Witcher Tales (2018)
Questo spin off della serie è un prodotto davvero particolare, che alterna fasi di esplorazione con visuale isometrica che ricorda le vecchie glorie Bioware (o i contemporanei giochi indie) e fasi di combattimento svolte tramite il Gwent. Il prodotto sta avendo giudizi assai lusinghieri: anche La maschera riposta, in un futuro speriamo non troppo remoto, pubblicherà la sua recensione.

8. Alchimia
Nei racconti e nei romanzi che hanno per protagonista Geralt, una parte importante della sua ‘professione’ è la realizzazione di composti che rendano più efficaci i suoi colpi e che in generale possano facilitare l’uccisione dei mostri. Anche nelle incarnazioni videoludiche della saga questo comparto ha una sua rilevanza, tanto da avere una intera linea di abilità a esso dedicato. In The Witcher 3 l’alchimia ha una sua gestione particolare, caratterizzata da diversi elementi di originalità che meritano di essere ben sviscerati.
Il primo passo naturalmente è la raccolta degli ingredienti: il mondo di gioco pullula di piante che possono essere raccolte tramite un semplice clic del mouse e che sono opportunamente segnalate anche da apposite icone sulla minimappa sempre presente nella visuale principale di gioco. Anche le creature uccise lasciano a terra quasi sempre qualche ingrediente, nonché, abbastanza spesso, qualche agente mutageno che come abbiamo già visto sopra può essere utilizzato per coadiuvare la crescita di livello dell’eroe. Gli ingredienti per l’alchimia non hanno alcun peso, quindi possono essere accumulati senza timore di ‘ingolfare’ troppo l’inventario: mentre alcuni sono molto comuni, altri possono essere difficili da trovare, quindi il giocatore particolarmente dedito si troverà più volte costretto a comprare materiale dai mercanti o anche a rinunciare a mettere in pratica qualche ‘ricetta’ a causa della mancanza di materie prime.
Perché oltre ad avere gli ingredienti per realizzare una pozione o un olio è anche necessario avere l’apposita ricetta, che può essere anch’essa scoperta nel mondo di gioco o semplicemente acquistata. Quando si ha tutto il necessario, si può procedere alla creazione della pozione, che avviene istantaneamente cliccando un tasto nell’inventario. E qui arriva l’elemento di novità più interessante: ciascun manufatto alchemico va creato una sola volta e da quel momento in avanti sarà sempre disponibile, ma solo in quantità limitata, rinnovabile tramite il riposo, ossia la meditazione. Questo sarà, il più delle volte, il vero motivo per cui il giocatore deciderà di attivare questa funzionalità: a volte è necessario ‘meditare’ semplicemente per raggiungere una ‘fascia oraria’ richiesta per risolvere una certa missione (alcuni mostri, per esempio, si attivano solo nottetempo), ma di solito si ‘medita’ semplicemente per ‘resettare’ le pozioni e gli altri manufatti alchemici. Ciascuna pozione ha diversi ‘livelli’, ciascuno dei quali richiede la pozione di livello precedente nonché una nuova ricetta e nuovi ingredienti. Oltre a essere più potente, la pozione di livello più alto ha anche un maggior numero di ‘cariche’, e quindi richiede l’accesso alla meditazione un po’ meno frequentemente, e talvolta ha anche un livello di ‘velenosità’ inferiore: come nei giochi precedenti della saga, infatti, anche in The Witcher 3 Geralt deve fare attenzione a non ingurgitare troppe pozioni in tempi ravvicinati, pena un avvelenamento che comporta penalità anche gravi.
Il comparto dedicato all’alchimia non si limita a offrire pozioni: è anche possibile creare olii e bombe. I primi vanno applicati a una spada e aumentano il danno inferto a una determinata categoria di mostri; le seconde sono armi da lancio one-shot, anch’esse in genere associate a una determinata tipologia di nemico. L’aspetto più interessante dell’alchimia è forse proprio questo: mai come in precedenza, il protagonista è portato dai meccanismi stessi del gioco a comportarsi come un vero e proprio cacciatore di mostri, che non si limita a menare colpi a destra e a manca ma che deve anzitutto prepararsi per il determinato nemico che si appresta ad affrontare. Anche al livello di difficoltà normale, buttarsi nella mischia dopo aver applicato il giusto olio alla lama, ingurgitato la giusta pozione ed equipaggiato la giusta bomba può trasformare uno scontro potenzialmente letale in uno più ‘maneggevole’. L’indagine su quale siano le combinazioni migliori porterà il giocatore a consultare spesso il bestiario e a leggerne i contenuti, che da semplice corollario atto ad approfondire il background diventano così autentico strumento, dotato di utilità concreta. L’originale gestione di pozioni, olii e bombe, basata sulla scoperta più che sulla continua produzione ‘in serie’ dei medesimi prodotti, rende questo comparto, dal canto suo, di più semplice e immediata gestione, rendendolo appetibile anche a quei giocatori che normalmente sarebbero portati a ignorarlo.

9. Caccia all’armatura
Tra le attività ‘artigianali’ a cui Geralt può dedicarsi nel corso della sua avventura c’è anche la creazione di armi e armature: è questo comparto a dare un senso all’enorme quantità di materiale apparentemente inutile presente nel mondo e ‘raccoglibile’ dal protagonista. Oggetti come vecchie pelli di animali, tazze, posate, bicchieri et similia possono essere ‘smontati’ da un fabbro per ricavarne materie prime, con le quali creare manufatti che possano risultare utili all’eroe. Va detto che purtroppo tutti questi oggetti sono trattati astrattamente come tesori presenti in cadaveri o contenitori e rappresentati semplicemente da una icona nell’inventario: in altre parole non è possibile raccogliere le posate da un tavolo come si può fare invece nei giochi della serie The Elder Scrolls. Il mondo di The Witcher 3 è dettagliatissimo ma, in confronto ai capolavori Bethesda, assai poco interattivo.
Come per l’alchimia, non è sufficiente avere a disposizione i componenti per una determinata creazione, occorre anche l’apposita ricetta. A differenza invece dell’alchimia, il comparto più propriamente di crafting richiede sempre l’intervento di un fabbro, sia per ‘smontare’ i manufatti sia per crearli. In più, ciascun artigiano ha un livello e può dunque creare oggetti solo entro un certo limite di potenza: i fabbri di livello più elevato sono pochi e i loro servigi vengono ottenuti solo dopo il completamento di apposite missioni.
Tra gli oggetti creabili seguendo le ricette spiccano senza dubbio le spade e le armature appartenenti a set specificamente pensati per i witcher. Geralt può venire a conoscenza della loro esistenza tramite dialoghi o libri: a quel punto comparirà nel diario una nuova missione, consistente nella ricerca delle ‘ricette’ per tutti i componenti del set. Queste missioni sono solo apparentemente secondarie: dato che le spade e le armature dei witcher sono di gran lunga le più potenti messe a disposizione dal gioco, trovarle e combinarle è senza dubbio consigliato appena il nostro eroe se lo può permettere. Bisogna aggiungere, infatti, che ciascuna arma e ciascuna armatura ha un livello minimo necessario per poter essere utilizzata.
Le armi e le armature dei witcher possono essere progressivamente migliorate nel corso dell’avventura, così da essere sempre a un buon grado di prestazioni. L’ultimissimo livello, peraltro, è accessibile solo nel corso dell’espansione Blood & Wine; è solo a questo ultimo livello che si sbloccano i bonus collegati all’equipaggiamento in contemporanea di più oggetti appartenenti allo stesso set. L’inventario ha un limite di peso, quindi l’accumulo di armi e armature o più in generale di oggetti può portare allo spiacevole inconveniente di rendere impossibile la corsa: la penalità può essere peraltro aggirata tramite gli spostamenti a cavallo o il viaggio rapido. A mitigare questo problema c’è il fatto che anche gli ingredienti per creare armi e armature sono, un po’ paradossalmente, senza peso: quindi basterà ‘smontare’ un’armatura ricavandone lingotti di metallo per veder magicamente scomparire il suo ingombro.
Il comparto di crafting di The Witcher 3 è senza dubbio godibile e approfondito e merita un plauso. Forse l’unico elemento che non ci convince è che alla fine le armi e le armature dei set per i witcher sono talmente tanto potenti da portare il giocatore a ignorare, di fatto, tutto il resto. Le decine per non dire centinaia di ricette di cui entreremo in possesso nel nostro peregrinare verranno usate solo in minima parte, dato che si tratta quasi sempre di simpatiche variazioni estetiche adatte solo per determinati e molto specifici approcci interpretativi.

Excursus: i minigiochi e il Gwent
La presenza di sotto-giochi è una costante della saga di The Witcher. Nel primo capitolo, il protagonista poteva sfidare alcuni PnG nel poker di dadi, nelle lotte dei pugni e nelle gare di bevute. Nel secondo capitolo sono tornati il poker di dadi e le lotte, mentre le gare di bevute sono state sostituite dal braccio di ferro. Nel terzo capitolo sopravvivono solamente le lotte dei pugni, ma ci sono due minigiochi nuovi di zecca: la corsa dei cavalli e soprattutto il Gwent, un vero e proprio gioco di carte ‘serio’, sviluppato parallelamente al gioco principale e parecchio approfondito.
Le lotte dei pugni
In alcuni villaggi e locande, Geralt può imbattersi nelle ‘arene’ dove energumeni forzuti si sfidano in sessioni di lotta. Il protagonista può partecipare, e se esce vittorioso può ‘scalare’ la classifica sfidando di volta in volta lottatori più forti. In The Witcher 2 le lotte erano risolte tramite odiosi QTE (Quick Time Events), che richiedevano semplicemente la pressione rapida di tasti segnalati a schermo. The Witcher 3 tenta un approccio diverso, più simile al sistema di combattimento ‘normale’ ma con determinate particolarità: gli oppositori più coriacei tendono a stare più o meno sempre in posizione difensiva, col risultato che mettere a segno i colpi è assai complicato e richiede un ottimo tempismo e una continua alternanza tra attacchi rapidi e attacchi caricati. Il risultato è un po’ paradossale: un Geralt di alto livello sarà in grado di avere ragione di interi eserciti in pochi minuti, mentre avrà bisogno di estenuanti acrobazie per mettere al tappeto un ignoto contadino di un qualche sperduto villaggio. Un maggior bilanciamento sarebbe stato gradito.
Le corse a cavallo
Nel corpo principale della recensione parliamo nel dettaglio del funzionamento del cavallo come mezzo di trasporto. Ebbene, gli sviluppatori hanno pensato di utilizzare questo nuovo comparto del gameplay anche per un minigioco. Geralt potrà prendere parte a gare di corsa, svolte in determinate sezioni della mappa sfruttando i percorsi disegnati da strade e sentieri. Pur avvenendo nella stessa ambientazione del gioco, le gare si svolgono in una versione differente della medesima, caricata all’inizio della gara e caratterizzata da appositi segnalatori di percorso e anche da elementi scenografici come folle festanti ai lati della strada. In genere la vittoria non è così difficile da ottenere se si ha cura di bardare Roach con un buon equipaggiamento, capace di garantirgli una buona stamina: la parte più difficile sarà non tanto superare gli avversari quanto ‘tenere’ la strada, soprattutto nelle curve più strette o nei tratti più accidentati.
Il Gwent
Il minigioco più elaborato offerto da The Witcher 3 è senza dubbio il Gwent. Si tratta di un gioco di carte del genere cosiddetto deckbuilding: il giocatore ha un mazzo di partenza piuttosto debole e deve ‘rinforzarlo’ acquisendo nuove carte. Queste ultime si possono acquistare, principalmente presso i locandieri, ma le più potenti e rare vengono ottenute come ricompensa vincendo contro sfidanti di un certo livello. Una volta acquistata una carta, bisogna aggiungerla al proprio mazzo: come in tutti i deckbuilding, ‘costruire’ il mazzo è parte importante quanto se non più del gioco stesso, dato che c’è un numero massimo (e minimo) di carte, dato che le carte più potenti possono essere incluse solo con certi limiti, e dato soprattutto che molte carte interagiscono con altre e hanno senso solo se ‘combinate’. Il gioco vero e proprio è, alla base, molto semplice: ciascuno dei due contendenti gioca, a turno, una carta: le carte rappresentano unità di combattimento e ciascuna ha un valore di attacco. Quando è il suo turno, un giocatore può decidere di passare: quando entrambi l’hanno fatto, il round finisce e vince il giocatore che ha l’attacco più alto. Ciascuna partita si svolge in tre round, ma l’ultimo viene messo in atto solo se i primi due portano a un pareggio: dato che il mazzo è sempre lo stesso, una parte importante della strategia è decidere quando passare in funzione di ciò che potrà accadere nei round successivi. Come dicevamo, l’elemento forse più interessante è il fatto che molte carte interagiscono tra loro o hanno effetti speciali: alcune raddoppiano il valore di attacco delle carte già giocate, altre, rappresentanti effetti atmosferici quali vento o pioggia, possono quasi annullare l’attacco di determinati tipi di unità.
Complessivamente, il Gwent è un gioco divertente e approfondito, oltre che ottimamente fuso con il ‘grande disegno’ portato avanti da The Witcher 3. Il suo limite sta nel comportamento talvolta prevedibile dell’intelligenza artificiale, e anche il suo aver senso quasi esclusivamente all’interno del gioco di cui fa parte. Le edizioni ‘fisiche’ delle due espansioni di The Witcher 3 includono una versione ‘vera’ dei mazzi presenti nel videogioco, ma alla fine quelle carte hanno un valore esclusivamente collezionistico, dato che avendole tutte in mano si può costruire fin da subito il mazzo più potente, vanificando tutto il deckbuilding che è la vera spinta a proseguire in questo genere di giochi.

10. Mezzi di trasporto
Abbiamo già scritto che per facilitare gli spostamenti nelle enormi ambientazioni, The Witcher 3 implementa il ‘famigerato’ viaggio rapido tramite ‘teletrasporto’: per la gioia dei roleplayer più rigorosi, però, esistono anche mezzi di trasporto più realistici e immersivi. Anzitutto, il terzo capitolo è il primo della saga a implementare le cavalcature; in secondo luogo, gli specchi d’acqua possono essere attraversati, oltre che a nuoto, anche tramite agevoli imbarcazioni.
Il cavallo è ormai una presenza quasi standard nei GdR a esplorazione libera, e The Witcher 3 fa un ottimo lavoro nel calarli efficacemente nel mondo di gioco. Il protagonista ha a disposizione fin dall’inizio un suo cavallo, di nome Roach: non potrà essere sostituito, ma ci sarà la possibilità di aumentarne abilità e potenza tramite apposite bardature. Roach può essere ‘chiamato’ in ogni momento tramite la pressione di un apposito tasto: il gioco dissimulerà il suo apparire dal nulla facendolo arrivare da dietro qualche elemento scenico. A quel punto basterà salirci e potremo comandarlo tramite i normali tasti che gestiscono il movimento.
Il vantaggio di usare il cavallo è naturalmente la velocità: attivando il galoppo, Roach sfreccerà per le strade del Continente con una rapidità tale da non far rimpiangere il viaggio rapido propriamente detto. Certo, non si può galoppare all’infinito: una apposita barra a schermo segnalerà la stamina del cavallo, che a un certo punto si esaurirà. Ma questo è un problema vero solo durante le gare, di cui parliamo meglio in un apposito excursus. Va anche detto che Roach si rifiuta pervicacemente di percorrere superfici troppo accidentate:  è, questo, un ottimo stratagemma per evitare ridicole fattispecie ahinoi presenti in altri titoli, quali per esempio la possibilità di raggiungere a cavallo il picco di una montagna.
Aggiornamenti ed espansioni hanno progressivamente perfezionato, in The Witcher 3, il combattimento a cavallo. In prossimità di qualche creatura ostile Geralt sguainerà la sua spada anche se a cavallo: a quel punto passando accanto a un nemico il gioco rallenterà il tempo così da darci la possibilità di affondare meglio il colpo. L’idea non è malvagia, ma va detto che combattere a piedi è molto più semplice e, in ultima istanza, anche molto più soddisfacente in termini puramente ludici: quindi il comportamento tipico sarà scendere da cavallo appena ci renderemo conto di essere in territorio ostile. Anche perché Roach, soprattutto se non dotato di apposito paraocchi, può spaventarsi rapidamente quando viene coinvolto negli scontri: una volta raggiunto un certo livello di paura, la povera bestia disarcionerà l’eroe e se ne fuggirà senza tanti complimenti.
Gli spostamenti via barca sono una novità ben più interessante del cavallo. Gli specchi d’acqua sono assai frequenti nelle ambientazioni, e in una di queste ultime, le isole Skellige, il mare è la superficie dominante. Geralt può liberamente nuotare e anche immergersi alla ricerca di tesori sommersi, ma lo spostamento a nuoto non sarà mai troppo rapido: per fare velocemente strada sull’acqua la soluzione ideale è cercare una imbarcazione interattiva, segnalata da una apposita icona sulla mappa, e interagire con il suo timone.
Le barche utilizzabili sono piccoli natanti a vela unica, pronti a spostarsi nella direzione desiderata indipendentemente dalla ‘vera’ direzione del vento in quel particolare momento. Gli spostamenti avvengono anche in questo caso con i consueti tasti movimento: bisognerà però fare attenzione alle manovre negli spazi stretti, dato che la barca si danneggia quando si scontra con scogli, rive, moli o altri ostacoli. Una barca danneggiata si muove più lentamente e in casi disperati potrà anche affondare: ma va detto che il gioco mette a disposizione una quantità tale di imbarcazioni da rendere questo problema abbastanza trascurabile.
Nei mari e nei laghi esistono creature ostili, quali sirene (rappresentate tramite una buffa fusione tra la loro versione greca, metà donne e metà uccello, e la loro versione nordeuropea, metà donne e metà pesce) e i familiari drowner. I mostri acquatici possono attaccare il protagonista sia mentre sta nuotando sia mentre sta viaggiando in barca: nel primo caso Geralt può difendersi solo tramite la balestra, che peraltro è assai più potente in acqua che sulla terraferma (in genere basta un singolo colpo a segno per uccidere qualunque nemico); nel secondo caso il protagonista può usare la balestra mentre continua a manovrare il timone, oppure può abbandonare temporaneamente il timone per combattere sulla barca con le spade. È interessante sottolineare il fatto che il gioco implementa una animazione particolare per i nemici che attaccano Geralt dal mare mentre è in barca: le creature ostili emergono dalle acque e si ‘aggrappano’ ai fianchi della barca, cercando di danneggiarla. Basterà in questo caso un singolo colpo di balestra per far mollare la presa ai mostri e per farli cadere in acqua circondati dalla macchia del loro stesso sangue.

11. Geralt, il cacciatore di lupi
Più sopra scrivevamo come gli autori di The Witcher 3 hanno fatto un ottimo lavoro nel cercare di veicolare la sensazione che la caccia al mostro messa in atto di volta in volta dal protagonista sia una vera e propria indagine. Sarà necessario parlare con i testimoni, consultare scritti, leggere il bestiario e analizzare attentamente la scena del crimine. Un’ottima idea è l’implementazione, inedita nella saga, di una sorta di modalità iper-sensibile, attivabile tramite la pressione continua del tasto destro del mouse. Tra le tante particolarità dei witcher c’è anche il fatto di avere sensi assai più sviluppati rispetto all’essere umano medio: l’utilizzo dei “supersensi” rende la visuale sfocata ma mette in evidenza sia i rumori circostanti, facendoci per esempio capire che tipo di creature vagano nei dintorni, nonché tutti gli elementi dello scenario che siano in qualche modo ‘interagibili’. Tra essi ci sono ovviamente casse, barili, piante e tutto ciò che si può tranquillamente rilevare anche in modalità normale: ma i “supersensi” captano anche elementi che possono facilmente passare inosservati quali impronte sul terreno, piccole macchie di sangue, brandelli di stoffa su un arbusto. Non sarà infrequente che il protagonista si trovi a seguire letteralmente delle tracce sul terreno, magari dal luogo dell’uccisione di un qualche malcapitato fino alla tana nascosta della creatura responsabile.
La sensazione è davvero quella di aver ‘visto’ qualcosa che nessun altro aveva notato e di aver utilizzato queste informazioni al meglio per dipanare la matassa: il meccanismo è assai interessante per come asseconda, pur attraverso ovvie semplificazioni, la suspension of disbelief. Certo, la minimappa segnala, molto opportunamente, qual è l’area, tutto sommato limitata, entro la quale utilizzare i “supersensi” per individuare la traccia: ma è sempre infinitamente meglio che limitarsi a raggiungere un determinato punto che la mappa-GPS conosce ‘a priori’.
A danneggiare la credibilità del quadro d’insieme è, piuttosto, l’ipertrofia dell’ambientazione, che come dicevamo sopra pullula in maniera assolutamente esagerata di location secondarie e accessorie quali campi di banditi, persone da soccorrere, villaggi abbandonati da ripopolare. L’impressione è che questi divertissement siano stati come ‘applicati’ al mondo di gioco in seconda istanza, solo per riempire un po’ le sterminate ambientazioni selvagge (e, a giudicare da certe interviste concesse dagli sviluppatori, forse è andata proprio così). La conseguenza spiacevole è che i nemici ‘generici’, quelli che potremmo definire con gergo tipico del settore i trash mob, interagiscono indirettamente con i nemici ‘veri’ banalizzandone l’importanza, o per meglio dire rendendo insensata la necessità dell’approccio lento e meditato che li contraddistingue. In termini più diretti: perché Geralt deve prepararsi per ore per affrontare un certo mostro di livello 25 collegato a una quest mentre i lupi di livello 35 che scorrazzano nei boschi vanno affrontati e uccisi d’improvviso senza tanti complimenti, pur essendo assai più forti?
Perché, a ben pensarci, c’è anche quest’altro problema a rompere parzialmente l’incantesimo messo in atto dalla suspension of disbelief: i mostri e le quest, in The Witcher 3, hanno un determinato livello che viene esplicitamente comunicato al giocatore sia tramite il diario sia tramite l’interfaccia di gioco principale. Quindi il fruitore accorto si comporterà di conseguenza: anziché scegliere le missioni da svolgere in base a considerazioni di carattere interpretativo, legate all’ambientazione (per esempio: faccio questa missione perché è ubicata qui nei pressi, oppure perché sono davvero curioso di vedere come si sviluppa questa specifica vicenda), le sceglierà in base al livello. Prima si risolvono quelle di livello basso, poi quelle di livello alto. Oppure: se sto esplorando un certo territorio e mi si para davanti una creatura che l’interfaccia mi comunica essere 10 livelli più in alto rispetto al protagonista, mi allontanerò senza nemmeno provare ad affrontarla, per tornare più avanti.
Comunicare esplicitamente il livello di mostri e missioni è qualcosa di tipico dei giochi online; può essere accettabile, al limite, negli action dove si combatte e basta e dove l’unica attività è l’ottimizzazione dell’eroe per gli scontri. Ma per quale motivo un gioco come The Witcher 3 dovrebbe abbandonarsi a questi meccanicismi così spudoratamente anti-interpretativi? In un gioco a esplorazione libera ci sono mille modi per ‘guidare’ il giocatore verso zone adatte al suo livello senza rompere l’incantesimo: lo si può fare attraverso il dialogo (in Baldur’s Gate, tutti i personaggi che il protagonista incontra all’inizio gli suggeriscono di andare verso sud, dato che le aree verso nord sono pensate per personaggi già di un certo livello), lo si può fare collocato opportunamente gruppi di mostri potentissimi (in Fallout New Vegas all’inizio è impossibile ‘deragliare’ dato che le strade ‘sbagliate’ sono presidiate da letali Deathclaw), lo si può fare anche semplicemente dando ai mostri il giusto aspetto (Gothic è maestro in questo: basta guardare un troll o una Shadowbeast per capire che non sono mostri con cui si può ‘scherzare’; mentre non c’è niente di peggio che avere lupi di livello 45 e colossali viverne di livello 10, come succede invece in The Witcher 3). Indirizzare il giocatore attraverso un numero è il sistema più lazy che ci sia, e anche quello che maggiormente rompe l’immedesimazione: è un vero peccato che in The Witcher 3 convivano ‘serenamente’ approcci così diversi all’interpretazione, e se il risultato non è disastroso è solo per l’ottima qualità di (quasi) ogni singolo elemento dell’insieme. Una maggior attenzione al concerto, però, sarebbe stata auspicabile.

12. Divagazioni sulla trama (con lievi spoiler)
Mentre i primi due capitoli della saga videoludica di The Witcher sono definibili come spin off della saga letteraria, il terzo cerca di inserirsi con maggior decisione all’interno del background definito dai racconti e dai romanzi. Non che in precedenza non vi fosse accurata attenzione per l’ambientazione: The Witcher 2, anzi, fu all’epoca criticato anche per i suoi frequenti voli pindarici dedicati alla situazione politica del Continente, da qualcuno giudicati scarsamente auto-esplicativi e quindi poco godibili dai non frequentatori dei romanzi di Sapkovski. In Wild Hunt però l’approccio è assai diverso: non vi sono soltanto continui rimandi al background, ma anche continue inter-connessioni tra la trama principale e alcune missioni secondarie e le trame dei romanzi e dei racconti. Mentre i primi due capitoli partono dalle ambientazioni per costruire storie totalmente inedite, il terzo capitolo parte dalle storie per costruire altre storie. La conoscenza delle vicende narrate dai romanzi è data più o meno per scontata; o meglio, si può anche non conoscere quelle vicende nel dettaglio, ma il gioco non si preoccupa di ‘spoilerarle’ completamente, facendole alla fine conoscere anche agli ignari.
La trama principale di The Witcher 3 prende le mosse da Geralt che col suo mentore Vesemir, il witcher più anziano, sta cercando la sua figlia adottiva Ciri. Quest’ultima è un personaggio tutto particolare: nelle sue vene scorre l’Elder Blood, il sangue delle antiche stirpi elfiche che dominavano il mondo, e questo la rende capace di viaggiare liberamente nel tempo e nello spazio. Il suo enorme potere rende Ciri, paradossalmente, assai vulnerabile: continuamente inseguita da entità malefiche che vogliono sfruttare le sue abilità per loschi fini, è costretta a rifugiarsi periodicamente in altri tempi e in altre dimensioni. Geralt però ha scoperto che più testimonianze ne riportano la presenza tra Velen e Novigrad, e quindi si mette, appunto, alla sua ricerca. Quest’ultima è lunga e laboriosa, tanto il giocatore può inizialmente avere la sensazione che trovare Ciri sia lo scopo ultimo del gioco. In realtà una volta che i due protagonisti si incontrano la vicenda è lungi dall’essere conclusa: come suggerisce il sottotitolo, il vero problema è cercare di sconfiggere la Wild Hunt, principale motivo che spinge la povera Ciri a vivere da eterna nomade spazio-temporale.
La Wild Hunt è il nome che popolarmente viene dato a un enigmatico gruppo di cavalieri spettrali che può apparire dal nulla e portare morte e distruzione. C’è chi la ritiene una favola per spaventare i bambini: ma si tratta invece di un pericolo reale, la cui presenza è solo accennata nei primi due capitoli della saga. Nel gioco in oggetto, invece, Geralt avrà modo di confrontarsi più volte con questa compagine di misteriosi e potenti nemici, e sarà testimone della distruzione da essi lasciata, sotto forma di lande e villaggi al contempo bruciati e anche ghiacciati, a riprova della natura extra-dimensionale del problema. La Wild Hunt è il motivo principale dietro le continue fughe nello spazio e nel tempo di Ciri: una volta ritrovata quest’ultima, a Geralt toccherà progettare una sorta di imboscata che abbia per vittime i cavalieri spettrali. Sarà a quel punto necessario mettere assieme uno schieramento di alleati il più ampio possibile, che confluisca a Kaer Mohren, la fortezza dei witcher, luogo perfetto per l’imboscata. Quest’ultima, e gli inseguimenti che inevitabilmente seguiranno, avrà fine in un confronto supremo tra Geralt ed Eredin, il capo della Wild Hunt, mentre il destino di Ciri potrà cambiare considerevolmente in conseguenza delle scelte fatte durante la partita.
Ad affiancare Geralt nelle sue peripezie c’è il cast di personaggi di contorno che sarà ormai familiare agli adepti della saga: il bardo sciupafemmine Dandelion, il nano Zoltan, la sensuale maga Triss. C’è anche però, soprattutto, una importante new entry per la serie videoludica, ossia la maga Yennefer: nei romanzi è la partner principale di Geralt, ma negli episodi precedenti la sua presenza si limitava a qualche annebbiato ricordo del protagonista, vittima della sua amnesia. È proprio la presenza combinata di Ciri e di Yennefer a distinguere profondamente l’approccio narrativo di The Witcher 3 da quello presente nei predecessori: se in precedenza gli autori sembravano avere una sorta di pudore nell’accostarsi alla componente letteraria, pudore che si concretizzava nella scelta di evitare del tutto di misurarsi con i personaggi principali (con l’esclusione del protagonista), ora quel pudore è completamente scomparso. C’è chi afferma che la vera protagonista dei romanzi è Ciri, mentre Geralt è il protagonista dei racconti e nei romanzi ‘scivola’ indietro e diventa una sorta di co-star: in The Witcher 3 la situazione è quasi paragonabile a questa, nel senso che Geralt è il personaggio controllato dal giocatore, e quindi l’eroe principale, ma ciò che ne muove le azioni è sempre e solo la preoccupazione per Ciri. Retrospettivamente, i due capitoli precedenti della saga videoludica sembrano davvero le avventure ‘distratte’ di uno che ha perso la memoria. Il Geralt videoludico si è riappropriato della sua vita ‘vera’, in un certo senso, ritrovando sia il suo autentico amore, quello per Yennefer, sia soprattutto la sua autentica ragione di vita, ossia proteggere e salvare Ciri; e con lei, indirettamente, l’equilibrio fragile su cui si basano le energie che determinano la vita del Continente. Siamo incerti nel decidere se questo sia un bene o un male: il nuovo approccio senza dubbio giova alla profondità generale del comparto narrativo e ne esalta la stratificata complessità, ma dall’altro canto la comparsa dal nulla di personaggi così importanti e finora virtualmente assenti aumenta la frammentarietà della saga digitale e in un certo senso ‘contamina’ quella letteraria, ‘spoilerandola’ inevitabilmente per tutti coloro che ancora devono accostarvisi.

13. Le espansioni (con lievi spoiler)
Succede, talvolta, che le espansioni di certi GdR digitali siano migliori del gioco base da cui prendono le mosse. Forse perché liberi dalla necessità di creare un ‘sistema’ dalle sue fondamenta, i programmatori nel creare un’espansione si possono sbizzarrire nei contenuti, curandoli con una attenzione inedita. L’esempio forse più eclatante di questa fattispecie è Mask of the Betrayer, l’espansione per Neverwinter Nights 2 di Obsidian. Anche in The Witcher 3 succede qualcosa di simile, anche se in questo caso il gioco base parte già da una qualità molto alta, anche a livello di puro e semplice contenuto.
La prima espansione di Wild Hunt, intitolata Hearts of Stone, è tecnicamente quel che si chiama un add-in: non aggiunge, cioè, nuove ambientazioni, da esplorare dopo quelle principali o comunque in altri momenti, ma inserisce contenuti inediti alle ambientazioni già presenti, e il giocatore può esplorare questi nuovi contenuti anche mentre sta procedendo con la trama principale, senza soluzione di continuità. Tutto parte da quella che sembra una semplice missione secondaria: un nobile di nome Olgierd von Everec incarica Geralt di uccidere un mostro nelle fogne della città di Oxenfurt. Ma il mostro, un enorme ranocchio, è in realtà un principe vittima di una maledizione: colpevole della sua morte, Geralt viene catturato e spedito verso Ofir, una regione lontana ed esotica ispirata all’Arabia e al Medio Oriente, patria del principe. Il destino del protagonista sembra segnato: a salvarlo interviene provvidenzialmente un misterioso personaggio di nome Gaunter O’Dimm. L’aiuto, però, non viene offerto gratuitamente: Geralt in cambio deve aiutare Gaunter O’Dimm a recuperare un debito da Olgierd (che, incidentalmente, è proprio colui che maledisse il principe ucciso dal protagonista). Il ‘debito’ è quanto di più definitivo e apocalittico si possa immaginare: Olgierd ha ottenuto da Gaunter l’immortalità, dando in cambio la sua anima, ma a patto che Gaunter riesca, tramite una terza persona, a esaudire tre suoi desideri e a farlo “camminare sulla luna”. Nel cercare di esaudire questi tre desideri, ovviamente assurdi e ‘impossibili’, Geralt viene progressivamente a scoprire sempre di più, ma mai abbastanza, su questo misterioso Gaunter O’Dimm, già battezzato dalla critica come il cattivo più inquietante mai descritto in un videogioco. Si tratta di un qualche antico e misterioso demone che si diverte a ‘giocare’ con i sentimenti umani, utilizzando la sua onnipotenza per torturare le sue povere vittime illudendole di stare, in realtà, esaudendo i propri desideri. Ispirato a vari personaggi della leggenda e della letteratura, Gaunter è scritto e più in generale evocato con tonalità che non esitiamo a definire perfette: la sua crudeltà è insostenibile soprattutto in forza del suo essere inesorabilmente logica, del suo essere fortemente radicata nelle paranoie dell’essere umano, e anche per il suo essere più suggerita che apertamente mostrata, se non in momenti rapidi e scioccanti. La genialità degli autori è anche aver inserito il personaggio in vari momenti del gioco, talvolta apertamente, talvolta sotto mentite spoglie: Geralt incontra Gaunter O’Dimm (notare tra l’altro l’acronimo del suo nome) addirittura nel prologo, durante il tutorial, quando il cattivissimo è un semplice avventore di una locanda e dà al protagonista qualche consiglio su come trovare Yennefer, chiudendo la conversazione con vaghi accenni a nuovi possibili loro incontri nel futuro. In altre circostanze, solo il giocatore più attento capirà che dietro qualche evento c’è lo zampino di questo misterioso demone: e questa consapevolezza porterà più di un brivido lungo la schiena.
La seconda espansione di Wild Hunt, intitolata Blood & Wine, è tecnicamente un add-on: le sue vicende si svolgono in una ambientazione completamente indipendente da quella in cui si svolge il gioco principale, il ducato di Toussaint. Ispirato un po’ alla Francia e un po’ ai paesi mediterranei come la Grecia e la stessa Italia, Toussaint ha un’atmosfera molto diversa da quella che si respira a Velen o a Novigrad: caratterizzato da uno stile di vita edonista ed epicureo, tutto incentrato sul bel vivere (con un’ossessione particolare per il vino), è un territorio che non è stato toccato dalla guerra e che quindi ha un’aria assai serena e ‘colorata’ che contrasta vivamente con i toni cupi di quella che fu Temeria. Questo però dà ancora più sostanza alla minaccia che aleggia su questa specie di eterna festa in maschera: una misteriosa creatura, chiamata semplicemente The Beast, sta uccidendo importanti esponenti della nobiltà locale, e la duchessa Anna Henrietta assolda Geralt per venirne a capo. Il protagonista viene presto a scoprire che dietro gli omicidi c’è la mano di un vampiro ‘superiore’, potentissima creatura in grado di cambiare forma a piacimento; ad aiutare l’eroe c’è, per fortuna ma anche purtroppo, un altro vampiro ‘superiore’. Geralt si trova, suo malgrado, a dover interagire con questi esseri che sono al contempo mostri ma anche creature senzienti particolarmente acute e sensibili, con tutte le contraddizioni che si possono facilmente intuire. Oltre alla sua interessante vicenda principale, Blood & Wine comprende decine di missioni secondarie e di location da scoprire e da ‘liberare’, alcune anche di nuovo tipo, per esempio le fortezze, con veri e propri eserciti da eliminare per giungere al loro ‘capo’. Un altro elemento di grande interesse e che stupisce non sia stato implementato anche nel gioco base è la possibilità per Geralt di ottenere una ‘casa’, sotto forma di tenuta vinicola, nella quale l’eroe può riposare ottenendo particolari bonus e nella quale il giocatore può divertirsi a personalizzare le varie stanze con quadri, espositori di armi e armature o trofei ottenuti in combattimento o nel Gwent.
Va anche menzionato il fatto che le espansioni includono nuove modalità di potenziamento e sviluppo per il protagonista. Hearts of Stone introduce la possibilità di inserire incantamenti nelle armi e nelle armature sotto forma di rune e glifi, ottenendo bonus inediti. Blood & Wine introduce un nuovo sistema di specializzazione sotto forma di mutazioni: concretamente, il giocatore può, una volta sbloccati tutti gli slot per le abilità messi a disposizione dal gioco base, utilizzare i suoi punti abilità assieme a sostanze mutagene per sbloccare ulteriori quattro slot e in aggiunta apprendere nuove, potenti abilità, potendone però attivare solamente una alla volta.

14. Grafica e sonoro
Come già scrivevamo, Wild Hunt utilizza un motore di gioco ‘proprietario’, ossia interamente realizzato dagli sviluppatori, chiamato RedEngine. Già sperimentato, in una versione più acerba, in The Witcher 2, fungerà da architrave anche per il prossimo, atteso gioco di CdProjekt, intitolato Cyberpunk 2077. Si tratta senza dubbio di un motore solidissimo, capace di descrivere ambientazioni enormi, dettagliate e colme di elementi animati senza mostrare segni di debolezza e senza pesare eccessivamente sull’hardware: va detto, peraltro, che questa maggiore solidità rispetto per esempio all’ormai vetusto Gamebryo che sta alla base di tutti i titoli Bethesda da Oblivion in avanti è ottenuta al prezzo di una interazione infinitamente più limitata. Il mondo di gioco di Wild Hunt è dettagliatissimo, ma è praticamente impossibile interagire davvero con gli oggetti presenti al suo interno: i manufatti che si possono prelevare e mettere nell’inventario sono rappresentati astrattamente tramite icone, e la fisica viene applicata solamente ai cadaveri nemici. Da questo punto di vista perfino Morrowind, del 2001, è infinitamente più avanzato di The Witcher 3: questa limitazione, peraltro, non pesa più di tanto in fase di utilizzo del prodotto, data la natura fondamentalmente diversa dei giochi di cui stiamo trattando.
Animazioni e personaggi sono complessivamente soddisfacenti, anche se va detto che anche in The Witcher 3 si ripropone un problema che diremmo ‘classico’ di questa serie: la ripetitività dei volti. I PnG infatti non sono realizzati tramite un editor dei volti come nei giochi Bethesda, ma sono rappresentati da visi costruiti nel dettaglio uno per uno. Questi visi, comprensibilmente, sono ‘unici’ per i personaggi più importanti, ma vengono utilizzati più volte per le centinaia di personaggi minori: la sensazione di deja vu è ahinoi piuttosto presente. D’altro canto, ciascuno di questi due approcci ha aspetti problematici: i personaggi costruiti tramite un editor dinamico sono al contempo tutti simili ma tutti diversi; i personaggi costruiti uno per uno e periodicamente ‘riciclati’ sono invece fortemente dettagliati e caratterizzati, ma danno la sensazione di vivere in un mondo popolato da cloni.
Le ambientazioni evocate da Wild Hunt sono meravigliose e ricche d’atmosfera: un elemento da sottolineare è soprattutto la capacità del motore di gestire location anche estremamente diverse tra loro, da foreste densamente popolate da alberi a lande aperte e desolate, da deserti assolati a montagne innevate, da invitanti e ‘calde’ locande a terribili dungeon infestati da creature mostruose. Un elemento che invece non ci ha convinto del tutto è la gestione del sistema di illuminazione. Il gioco implementa ovviamente il ciclo giorno/notte, ma l’intensità delle luci e la loro colorazione sembrano spesso un po’ troppo arbitrarie: troppo luminose o sature in alcune occasioni, troppo spente in altre. La situazione è tale che il più delle volte toccherà consultare l’interfaccia per capire in che momento della giornata ci si trova, se di mattina, di pomeriggio, di sera o di notte. Perché anche la notte in alcuni momenti è difficile da distinguere rispetto al giorno: è consuetudine nei mondi digitali fare la notte artificialmente ‘chiara’ per ragioni di giocabilità, ma qui si esagera. D’altro canto, gli interni sono spesso eccessivamente scuri, tanto che risulta quasi impossibile distinguere persone e oggetti; quest’ultimo problema si presenta in particolare negli interni dell’espansione Blood & Wine (una buona soluzione è aumentare al massimo il contrasto nelle opzioni).
Le musiche di The Witcher 3 sono eccezionali: epiche, elaborate e stratificate, sempre appropriate al momento e al contesto. Un elemento di originalità è il fatto che il tappeto sonoro utilizza con frequenza inusitata i cori o comunque le voci, e questo conferisce alla colonna sonora del gioco una sua identità fortemente caratterizzata. Un’altra caratteristica degna di nota è il fatto che alcuni temi musicali sono collegati in maniera insistita e univoca a determinati eventi o personaggi, e questo li rende parte integrante del ‘racconto’: un buon esempio è quel che accade attorno all’enigmatico Gaunter O’Dimm, la cui presenza o responsabilità è talvolta comunicata semplicemente tramite l’attivazione del ‘suo’ tema musicale.
Il parlato di Wild Hunt è anch’esso pressoché perfetto: in questo caso gli autori sembrano davvero non aver badato a spese dato che le voci sono tantissime e non danno mai l’impressione di ripetersi. Anche gli effetti sonori sono ottimi: in particolare, va sottolineato il fatto che l’attivazione dei ‘supersensi’ del witcher mette in evidenza anche i versi e i rumori prodotti dagli animali e dai mostri nei dintorni, e il riconoscimento di questi versi e di questi rumori permette al protagonista (e al giocatore) di prepararsi adeguatamente allo scontro imminente. Mai abbiamo sperimentato una tale ‘sinergia’ nell’utilizzo dei sensi per la risoluzione delle missioni: un virtuosismo che merita senz’altro ogni plauso possibile.

15. Conclusioni
Uno dei dibattiti più frequenti nella comunità di appassionati di GdR digitali ruota attorno alla seguente domanda: è possibile far convivere una narrazione forte con un’esplorazione totalmente libera? In altri termini: story-driven e world-driven possono convivere? Qualcuno risponde affermativamente citando come esempio proprio giochi come The Witcher 3 (ma un altro gioco molto citato in questi casi è Fallout New Vegas di Obsidian). A nostro avviso, però, questa risposta affermativa è condivisibile solo se si parte da una idea diciamo così ‘riduzionista’ del concetto di world-driven: se world-driven è semplicemente un gioco con esplorazione libera e mondo aperto, allora sì, The Witcher 3 è la prova che si può mettere una storia intensa e ‘importante’ dentro un mondo aperto. Peraltro, va detto che le due componenti restano, nell’ultimo lavoro di CdProjekt, sostanzialmente giustapposte: il giocatore alternerà momenti di esplorazione, nelle quali si occuperà di ‘risolvere’ i “punti interrogativi” sparsi per la mappa, a momenti in cui si occuperà delle quest. In realtà però secondo noi la questione è più complessa di così. Un gioco world-driven come quelli realizzati da Bethesda non si limita a offrire libera esplorazione, ma offre anzitutto una esperienza altamente simulativa, che consente di prescindere dalle missioni perché dà un senso anzitutto alla ‘vita virtuale’ del personaggio giocante. L’approccio, dunque, è completamente diverso, e il paragone lascia il tempo che trova.
The Witcher 3 non è un gioco world-driven: è un gioco story-driven collocato all’interno di ambientazioni aperte e sterminate. L’esplorazione del mondo è sicuramente divertente e per certi versi anche appagante, ma a conti fatti rappresenta l’elemento più debole dell’insieme, soprattutto per le modalità discutibili con cui viene utilizzata la mappa e per il riduttivismo che finiscono per portare nelle atmosfere altrimenti così curate gli infiniti tesori nascosti da recuperare o campi di banditi da ripulire. Il punto di forza del prodotto è, come per gli episodi precedenti, il suo eccezionale contenuto, godibilissimo perché affiancato da un sistema di gioco che funziona ottimamente, sia dal punto di vista più prettamente tecnico fino anche ai comparti come il combattimento o il sistema di crescita del personaggio. La prova del nove è che tutto questo funzionerebbe perfettamente anche se The Witcher 3 fosse costruito come un Mass Effect, cioè con solo le ambientazioni in cui si svolgono le quest: qualcuno, anzi, potrebbe dire che in quel caso il gioco sarebbe assai più teso e serrato, nonché più maneggevole in termini di pura e semplice durata.
Quest’ultima, lo diciamo soprattutto per chi come noi deve affiancare il gioco a una vita lavorativa piena di impegni, è davvero alta, in particolare per i ‘completisti’ che non trovano pace finché non hanno ‘ripulito’ ogni luogo possibile: utilizzando disinvoltamente il viaggio rapido saranno comunque necessarie almeno 150 ore per il gioco più le espansioni; senza utilizzare il viaggio rapido questa stima può facilmente raddoppiare. Va però detto con chiarezza che una buona parte di questa durata si concretizza, alla fine, in rilassate sessioni di viaggio e di esplorazione, o nella risoluzione di missioni che trovano un loro senso più nel comparto estetico che in quello ‘agonistico’: le decine e decine di ore passate in The Witcher 3 sono scivolate via con leggerezza e non ci hanno minimamente dato la sensazione che fossero ‘troppe’. Nella nostra recensione di Divinity: Original Sin II ci siamo lamentati della durata eccessiva: ma la durata va sempre commisurata alla natura dell’impegno.
L’ultimo lavoro di CdProjekt è, posto nella maniera più semplice possibile, un capolavoro assoluto della narrazione digitale. Di ascoltare e di vivere storie narrate con una tale padronanza di toni e atmosfere e con una tale capacità di ‘piegare’ al dramma ogni elemento della giocabilità non ci si stanca mai. Se il prezzo da pagare è un comparto esplorativo godibile ma decisamente meno ispirato, e peraltro quasi completamente opzionale, ben venga. Questo gioco non può mancare per nessun motivo nella collezione di un appassionato che abbia un minimo di gusto e di sensibilità.

Tre pregi di The Witcher 3: Wild Hunt
Tre difetti di The Witcher 3: Wild Hunt
Narrazione, personaggi e atmosfere sopraffini
La mappa-GPS rovina inesorabilmente le modalità di esplorazione
Sistema di gioco solido e perfettamente funzionale ai contenuti
Le ambientazioni sono colme di inutili “punti di interesse” da risolvere
Regia e parlato dei dialoghi da Oscar
L’interfaccia risente dello sviluppo per console

12 thoughts on “The Witcher III: Wild Hunt”

  1. signorbaggins

    Una curiosità: giocherai Cyberpunk 2077 subito al lancio? O dovremo aspettare molto per leggere la tua recensione? 🙂

    1. Mosè Viero

      Penso di giocarlo subito. Certo, se è lungo come TW3 la recensione non arriverà in tempi brevissimi 🙂

      1. signorbaggins

        Ottimo, se lo inizi subito non arriverà in ritardo come questa di The Witcher 3! XD
        Se ti può interessare hanno già detto che la campagna principale durerà meno comunque.

  2. Domanda da “nuibbo”. Ma una partita NON completista a TW3 quante ore necessita?
    Dalla mia esperienza (completato il primo e sto giocando al 2) la saga di The Witcher non è così time consuming come Oblivion o Skyrim
    grazie della risposta

    1. Mosè Viero

      Il terzo capitolo della saga di The Witcher è estremamente più vasto e time consuming dei due capitoli precedenti. Io per completarlo ci ho messo più di 300 ore, ma con piglio da completista. Una partita da non completista immagino possa durare molto meno, ma tutto dipende da quel che scegli di fare.
      Sicuramente gli Elder Scrolls hanno una dimensione diversa, ma quelli sono proprio giochi differenti, nei quali non c’è una vera e propria conclusione e molto tempo trascorre in attività di pura immersione come l’esplorazione, il commercio o l’arredo della casa: lì 300 ore passano più velocemente e ‘pesano’ di meno sul giocatore.

    2. Ne approfitto solo per dire, sperando non venga considerato spam, che esiste l’ottimo sito “How long to Beat” dove puoi leggere questo genere di statistiche riguardanti il medium.

      In ogni caso, io ho completato the witcher 3, massima difficoltà con tutti i contratti e vittoria al torneo Gwent e metà delle tane in 70 ore circa, più 30 dei DLC (entrambi consigliatissimi).

      1. Mosè Viero

        Grazie per l’info Vyen! Non mi pare proprio che sia spam 🙂
        Ogni giocatore ha il suo approccio, che si traduce anche in una certa ‘velocità’ di completamento dei giochi. Io credo di essere particolarmente lento, o almeno questo è quel che appare confrontando i miei tempi con quelli indicati su quel sito.

  3. Il Più Antico

    300 ore!!! A me sembrano già molte le 110 che sto passando su Dragon Age Inquisition (dal quale ho preso una pausa che durerà un mesetto: ho rivenduto l’Xbox One x per prendermi la series x quando uscirà l’11 novembre). Prima o poi mi dovrò cimentare con questa impresa comunque, lo possiedo per switch e non l’ho ancora affrontato solo perché so già che dovrò dire addio a qualsiasi altra cosa per un bel po’ di tempo…. Sarà una dura lotta scegliere se giocare lui o cyberpunk 2078 x primo (so problemi della vita!!!)

    1. Mosè Viero

      Ti dirò, quelle 300 ore alla fine non mi hanno pesato più di tanto. La giocabilità di The Witcher 3 è scorrevole e a suo modo anche rilassante. Mi pesa di più la durata di giochi più tesi e intensi come Original Sin II. Riguardo a Dragon Age Inquisition, lì è la qualità del gioco a essere un problema, più che la durata.

      1. Il Più Antico

        In effetti mi ritrovo molto nelle tue considerazioni in sede di recensione, però lo sto apprezzando piu del due, nonostante tutto… sicuramente è stato allungato più del dovuto con tutta una serie di attività che non sono né interessanti ne divertenti!

  4. Anche su questa recensione mi trovo abbastanza d’accordo con Mosè.
    Dal mio punto di vista tuttavia questo gioco presenta un difetto abbastanza grave, ma non biasimo Mosè per non averlo rilevato, visto che non è riportato praticamente da nessuna recensione: il sistema quantomeno discutibile per non dire demenziale di assegnazione dei punti esperienza per quest e combattimenti.
    Come sa chiunque l’abbia giocato le ricompense in PE non sono ”fisse” (tipo Fallout3 o Risen, tanto per capirci) ma variano in base al tuo livello. Se sei al livello 10 e fai una quest consigliata al livello 7, per esempio, ti troverai un bel mucchio di niente in mano o quasi. A me è capitato di spendere delle mezze ore per delle quest snervanti per essere ricompensato con 10 (!) Pe e delle volte nemmeno quelli, assurdo. E’ un metodo a dir poco odioso: se io voglio grindare per trovarmi a fare quest in totale tranquillità devo poterlo fare, non venire punito dal gioco in questo modo. Mi trovavo quindi a consultare di continuo il diario delle quest spostandomi da un capo all’altro della mappa per non farle ”scadere”, altrimenti avrei avuto ricompense ridicole (e spesso neppure ricompense economiche, oltretutto), davvero stressante.
    Senza contare gli scontri casuali sulla mappa, le location strabordano letteralmente di nemici la cui eliminazione praticamente non dà nulla come ricompensa: io dopo le prime volte semplicemente scappavo, non per paura ma per evitare inutili perdite di tempo e di pozioni. Non so come sia Cyberpunk da questo punto di vista, ma spero che questo metodo ignobile sia stato abbandonato.

    1. Mosè Viero

      Sai che io non me ne sono minimamente preoccupato? Il gioco è talmente sterminato e da un certo momento in avanti il completista avrà una tale quantità di tesori e di punti esperienza da rendere tutto sommato poco rilevanti le differenze nelle ricompense, o almeno questa è la sensazione che ho avuto io. Comunque sì, in generale questo esplicitare continuamente i livelli di mostri e missioni rompe irrimediabilmente l’immersione ed è un’idea pessima in un gioco che voglia essere davvero “di ruolo”: di questo nella recensione parlo estesamente.

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