Pur se lontano dalla perfezione, il secondo capitolo della saga prodotta e realizzata da CdProjekt è senza dubbio uno dei GdR più significativi, più profondi e più ‘passionali’ degli ultimi anni.
[articolo originariamente pubblicato il 4 settembre 2011]
Nota del 2020
La recensione indugia molto sui difetti ma ha un tono generale decisamente entusiastico, e la cosa è perfettamente comprensibile viste le innegabili qualità del gioco in oggetto. Dopo la pubblicazione di The Witcher III, però, il secondo episodio è universalmente considerato il più debole e ‘interlocutorio’ della saga. Val comunque la pena giocarlo se si inizia dal primo capitolo, ma senza fermarcisi troppo a lungo e conservando gran parte delle energie per l’episodio finale, enormemente più interessante e riuscito.
1. Lo strigo, tra la pagina e il monitor
La storia che porta al prodotto oggetto di questa recensione ha origini lontane. Nel 1992, lo scrittore polacco Andrzej Sapkowski dà alle stampe il primo libro della sua saga più nota, solitamente indicata con il nome The Witcher (Wiedzmin in polacco). In realtà il titolo del primo libro, che è una raccolta di racconti, è La spada del destino (Miecz Przeznaczenia): il termine witcher indica la professione del protagonista, il cacciatore di mostri Geralt. Nell’innominato mondo fantasy immaginato dallo scrittore, i witcher sono umani mutanti, modificati in laboratorio con lo scopo preciso di ottenere caratteristiche sovrannaturali da opporre alle tante creature malefiche che minacciano la serenità del vivere civile. Le atmosfere create da Sapkowski si fanno notare fin da subito per la loro ambiguità e maturità: lungi dal replicare i soliti cliché della letteratura fantasy (spesso evocati solo per negarli o per farne notare l’inconsistenza), il mondo in cui si muove Geralt è tratteggiato con insolita crudezza, segnata dalla presenza di motivazioni oscure o discutibili in tutti i personaggi, compresi i ‘buoni’, senza contare l’onnipervasività di un certo qual tetro umorismo, che dissacra ogni grande tematica sublimandola attraverso un’ironia cinica e spietata.
L’originalità della letteratura prodotta da Sapkowski rende i suoi libri un vero e proprio prodotto di culto: e quando una saga acquista successo, la sua ‘traduzione’ in immagini è quasi inevitabile. Inizialmente, il destino non sembra sorridere al povero Geralt: complice il fatto che la fama della saga oltrepassa solo di poco i confini della Polonia, le prime versioni multimediali del witcher, ossia un film uscito nel 2001 e una serie televisiva trasmessa dalla tv polacca nel 2002, vengono unanimemente stroncate dalla critica e dal pubblico. Per nostra fortuna, va molto meglio con la traduzione videoludica: il progetto viene preso in mano, nel 2003, dallo studio polacco CdProjekt, esordiente nell’ambito dello sviluppo di GdR ma con un curriculum notevole nel settore dell’intrattenimento elettronico. Lo studio decide saggiamente di appoggiarsi, per il loro primo prodotto, a un motore di gioco già pronto, l’Aurora realizzato da Bioware per Neverwinter Nights. Il risultato, intitolato semplicemente The Witcher, è salutato dalla critica come uno dei migliori GdR del 2007, anno della sua pubblicazione. Tanto è il successo, forse in parte inaspettato dagli stessi autori, che la saga letteraria inizia finalmente a suscitare curiosità anche al di fuori dei confini della Polonia.
Nel 2008 vedono la luce le prime traduzioni in inglese dei lavori di Sapkowski; nel 2010 è la volta della prima edizione in italiano (Il guardiano degli innocenti, Edizioni Nord), per la quale peraltro si decide, su consiglio dello stesso Sapkowski, di procedere a una traduzione nuova e indipendente da quella del videogioco (il witcher, per esempio, diventa lo strigo). E siamo finalmente arrivati al presente: dopo il grande successo della loro opera prima, i ragazzi di CdProjekt sono tornati a occuparsi di Geralt, ovviamente con molti più mezzi e molte più aspirazioni di quelle messe in campo originariamente. E possiamo dire fin da subito che, pur con tutte le forse inevitabili incertezze di un’opera così densa e così complessa, The Witcher 2 rappresenta un risultato davvero notevole, forse tra i prodotti più intensi e coinvolgenti su cui ci sia capitato di mettere le mani.
2. Premesse narrative
Il primo episodio delle avventure videoludiche di Geralt era incentrato sull’inseguimento e sullo smascheramento di un gruppo di criminali noto come Salamandra, responsabile in prima battuta del furto, dalla fortezza dei witcher chiamata Kaer Mohren, delle sostanze mutagene con cui vengono creati i witcher stessi. Nella sua lunga ricerca dei responsabili, Geralt, che per tutto il gioco è vittima di una strana amnesia, entra in contatto con i giochi di potere che scuotono il regno di Temeria, dov’è ambientato tutto il primo capitolo: il re Foltest è minacciato non solo dalle rivolte dei cosiddetti Scoiatel, gruppo di guerriglieri non umani che lottano per la supremazia delle loro razze, ma anche per gli strani maneggi del Gran Maestro dell’Ordine della Rosa Fiammeggiante, congregazione di cavalieri teoricamente al servizio della sicurezza e dell’ordine nei territori di Vizima, la capitale di Temeria. Alla fine del primo capitolo, Geralt riesce a salvare Foltest da ogni potenziale minaccia: ma il filmato finale mostra un misterioso assassino che tenta di uccidere il re, e che viene fermato solo grazie alla provvidenziale presenza del witcher.
E c’è di più: il potenziale regicida esibisce caratteri somatici che fanno pensare che sia anche lui un witcher. Il secondo capitolo parte proprio da qui, come del resto lascia intuire il suo stesso sottotitolo. Le prime battute del gioco mostrano Geralt incatenato in una prigione; dopo poco, il Lupo Bianco (soprannome dato al protagonista già nei libri di Sapkowski) viene temporaneamente liberato da Vernon Roche, capo delle Blue Stripes (Bande Blu), forze speciali segrete al servizio del regno di Temeria. Si viene così a scoprire che Geralt è detenuto proprio nelle carceri di Temeria, in quanto accusato nientemeno che dell’assassinio del re Foltest: Vernon Roche chiede al protagonista di raccontare la sua versione dei fatti di quel giorno, e la cosa si risolve in una serie di flashback che rappresentano in tutto e per tutto il tutorial del gioco. Si viene allora a capire la reale portata degli eventi: Geralt, diventato consigliere di Foltest dopo le imprese del primo capitolo, stava accompagnando il re nell’assalto al castello del barone ribelle La Vallette, signorotto di un territorio al confine tra Temeria e Redania.
Ad affiancare Geralt nella sua missione è la potente maga Triss Merigold, già presente nel primo capitolo, dove però era una tra le tante partner possibili per il protagonista: nel nuovo episodio, invece, sembra che il legame tra i due sia diventato più solido e anche in qualche modo ‘ufficiale’. Dopo varie traversie, tra cui anche l’attacco al castello da parte di un misterioso drago, Geralt riesce a soddisfare quello che era il vero intento di Foltest: raggiungere e mettere in salvo i figli di La Vallette, che a quanto pare sono invece i figli bastardi dello stesso Foltest, e quindi rappresentano una via privilegiata, per il re, per il saldo mantenimento del trono. Ma proprio quando tutto sembra volgere per il meglio, un oscuro assassino entra in azione e uccide Foltest sotto gli occhi esterrefatti dei suoi stessi figli, senza che Geralt riesca a intervenire in tempo: anzi, il povero Lupo Bianco viene subito trovato assieme al cadavere e quindi accusato dell’assassinio. Al termine del racconto (e del tutorial), Vernon Roche decide però di credere alla sua versione dei fatti e quindi di aiutarlo a fuggire dal carcere, anche per poter usufruire dei suoi servigi nella caccia al vero regicida. La prima tappa della ricerca avviene nei territori che circondano la cittadina di Flotsam, centro commerciale incastonato in mezzo ai quattro regni settentrionali: Temeria, Redania, Kaedwen e Aedirn. Lì Geralt incontrerà nuovamente i temibili Scoiatel, che per motivi inizialmente ignoti stanno sostenendo e proteggendo l’oscuro assassino: ma a Flotsam si trovano anche tanti vecchi amici del Lupo Bianco, come il bardo Dandelion e il nano Zoltan Chivay, e, naturalmente, tante missioni da compiere e misteri da svelare.
3. Struttura generale di gioco
The Witcher 2 è un GdR in terza persona basato sull’esplorazione, sul dialogo e sui combattimenti, caratterizzati, questi ultimi, da una marcata componente action. A differenza che nel primo capitolo, dove il giocatore era libero di selezionare una serie di posizionamenti diversi per la telecamera, la visuale resta sempre fissa dietro le spalle di Geralt, l’unico personaggio interpretabile (anche se, in sporadici momenti nel corso della campagna, il giocatore verrà messo in panni diversi). Il movimento viene gestito con i classici tasti WASD, mentre il movimento del mouse determina la direzione della visuale. Il clic sinistro del mouse consente di interagire con gli elementi dello scenario evidenziati dal gioco stesso: cliccando su una persona partirà un dialogo, cliccando su un contenitore si potrà accedere al suo contenuto, cliccando su una porta la si potrà aprire eccetera. Il combattimento è caratterizzato da numerose possibilità di azione, di cui ci occupiamo nel paragrafo apposito.
Se si escludono il tutorial e alcuni momenti chiave della trama, il gioco è ambientato in grandi aree, ciascuna delle quali corrisponde a uno dei tre capitoli in cui è suddivisa la campagna. Il primo, come già detto, è collocato nella cittadina portuale di Flotsam e nei suoi dintorni; il secondo è ambientato ai confini tra Aedirn e Kaedwen, tra l’accampamento del re kaedweniano Henselt e la città nanica di Vergen; il terzo, significativamente più breve dei due precedenti, è collocato nelle rovine della città elfica di Loc Muinne, nelle pendici delle Blue Mountains, confine naturale dei regni nordici a est. In linea teorica, ciascuna macro-area è caricata interamente all’inizio della sessione di gioco: Geralt, dunque, può muoversi senza soluzione di continuità al suo interno, senza i fastidiosi tempi di attesa che funestavano soprattutto la primissima versione del gioco originale. Si è detto “in linea teorica” perché in realtà ciascuna macro-area è divisa in zone, che vengono caricate separatamente in corrispondenza del superamento di determinate ‘soglie’, abilmente dissimulate tramite apposite animazioni: per esempio l’apertura di una porta, o un balzo atto a superare un dislivello.
Questi istanti di caricamento, che nei casi più eclatanti portano anche alla comparsa di veloci schermate nere, hanno una conseguenza importante: il mondo di gioco di The Witcher 2 continua, all’atto pratico, a essere suddiviso in ‘istanze’ separate e non comunicanti, che rendono impossibile, per esempio, attaccare a distanza qualcuno che si trova all’aperto osservandolo dall’interno di un edificio. La nuova struttura di gioco, dunque, non è così differente da quella del primo Witcher. Nonostante la presenza di macro-aree notevolmente più estese di quelle viste nell’episodio originale, la modalità di costruzione delle stesse contribuisce infatti ad allontanare, nonostante le apparenze più superficiali, il nuovo lavoro di CdProjekt dai GdR cosiddetti free-roaming: ciascuna area non è che la ‘somma’ di tanti percorsi, che conducono invariabilmente verso qualche luogo importante per la trama o per una missione secondaria, concretizzandosi solo in rarissimi casi in strade del tutto opzionali, conducenti solo verso tesori supplementari.
4. Geralt il witcher
L’apparente semplicità del sistema di sviluppo del personaggio in The Witcher 2 nasconde in realtà notevoli possibilità di personalizzazione. Il sistema è basato sul classico meccanismo dei punti esperienza, accumulati grazie alla sconfitta dei nemici e soprattutto grazie alla risoluzione di missioni. Ad ogni avanzamento di livello, il nostro eroe ottiene un punto da spendere per apprendere o migliorare una delle sue abilità: queste ultime possono appartenere a una di quattro categorie, distribuite all’interno di una sorta di grafico che si ‘ramifica’ appunto in quattro direzioni differenti, consentendo di accedere alle abilità più potenti solo dopo aver investito in quelle disponibili fin da subito. Nei primi livelli, l’unico ‘albero’ di abilità ‘aperto’ è quello chiamato addestramento: al suo interno si trovano capacità che migliorano le caratteristiche di base dell’eroe, come la sua vitalità (ossia i punti ferita), il suo vigore (l’energia necessaria per parare i colpi), o che gli conferiscono la possibilità di compiere azioni aggiuntive, come combattere con armi da lancio. Una volta raggiunto il settimo livello, si aprono finalmente anche i rimanenti tre ‘alberi’: spada, magia e alchimia. Il primo comprende abilità più direttamente belliche; il secondo migliora l’efficacia dei segni, ossia delle magie a disposizione del witcher; il terzo, infine, migliora gli effetti delle pozioni, degli olii e delle bombe (di tutto ciò parleremo in dettaglio più avanti). Ciascuna abilità ha due differenti livelli; alcune contemplano anche la possibilità di essere arricchite da una sostanza mutagena, conferendo a Geralt qualche bonus passivo permanente.
Tra le abilità, acquistano importanza particolare quelle che si concretizzano in nuove ‘mosse’ capaci di rendere più forte il witcher in battaglia: all’inizio della partita, il nostro alter ego sarà in grado di menare ‘semplici’ fendenti con la sua fedele spada o di effettuare qualche timido incantesimo, ma non conoscerà alcun attacco speciale, risultando particolarmente vulnerabile durante gli scontri con il nemico. La situazione cambierà non appena diventeranno di suo dominio tecniche come il colpo verso più avversari, la parata multipla, il contrattacco, la mossa finale. Val la pena sottolineare che la distribuzione dei punti abilità può avvenire solo durante la cosiddetta meditazione: nell’episodio originale questa poteva avvenire solo nei pressi di un focolare, mentre ora può avvenire in qualsiasi luogo, purché non vi siano nemici nelle vicinanze. Altro elemento degno di nota è che, come del resto nel gioco originale, non esistono abilità relative all’oratoria: i dialoghi sono un qualcosa di completamente staccato dallo sviluppo del personaggio, particolare, questo, che rende piuttosto vacue e auto-referenziali le opzioni di persuasione presenti talvolta nel corso delle conversazioni, il cui successo è apparentemente determinato in modo del tutto casuale (con percentuali più favorevoli man mano che si ottengono risultati positivi).
5. I dialoghi e le scelte
Come accadeva del resto anche nel primo capitolo, e come accade d’altra parte in ogni GdR che voglia davvero definirsi tale, i dialoghi rappresentano una parte fondamentale della giocabilità di The Witcher 2 nonché la modalità principale tramite cui viene narrata l’intricata vicenda che condurrà Geralt attraverso i differenti capitoli e fino alla conclusione. Complessivamente, i dialoghi sono scritti molto bene, anche senza considerare la qualità della trama nel suo insieme, di cui parliamo più avanti: soprattutto, le conversazioni a cui avremo modo di assistere nel gioco sono forse tra le più realistiche mai sperimentate in un videogioco, grazie principalmente all’estrema libertà con cui gli autori adoperano espressioni forti e dirette, ma anche grazie alla totale assenza di qualsivoglia didascalismo. Personaggi, tematiche e ambiti di riflessione vengono introdotti continuamente senza che gli autori sentano la necessità di arricchire ogni cosa di spiegazioni approfondite, lasciando talvolta al giocatore una positiva sensazione di spaesamento, che lo spinge a indagare più in profondità, o che semplicemente lo fa sentire parte di un mondo che non può sempre essere del tutto compreso.
Pur contemplando il sistema della scelta multipla, i dialoghi sono quasi sempre unidirezionali: le scelte a disposizione riguardano argomenti opzionali e non differenti atteggiamenti, dato che il personaggio giocante è caratterizzato automaticamente dal gioco e risente, del resto, di un background letterario non cancellabile per ragioni interpretative. Ciò non significa, ovviamente, che non esistano scelte: anzi, la saga di The Witcher si è sempre caratterizzata proprio per il peso dato, al suo interno, alla scelta morale. Rispetto al primo episodio, i bivi sono in numero minore, ma hanno conseguenze ancora più eclatanti: una decisione, in particolare, è in grado di mutare completamente la trama a partire dalla fine del primo capitolo, mettendo a disposizione del giocatore, da quel momento in avanti, azioni del tutto differenti da quelle che avrebbe ottenuto con la decisione opposta. Bivi di considerevole portata si incontrano anche in altri momenti, ma i programmatori hanno deciso, forse positivamente, di abbandonare l’artificioso meccanismo in base al quale nel primo episodio a ogni conseguenza era collegato un breve filmato che la faceva risalire alla sua origine. In The Witcher 2 il fluire degli eventi, più naturale e armonico, nasconde al fruitore la reale quantità di opzioni offerte dal gioco, facendo sembrare la storia vissuta da Geralt sotto i suoi occhi come l’unica sua storia possibile: l’unico modo per toccare con mano la duttilità del canovaccio, quindi, è intraprendere una quasi obbligata ‘rigiocata’ della campagna, mai come in questo caso necessaria anche per comprendere più in profondità le ragioni e le istanze portate avanti dai vari fronti della vicenda narrata.
6. Il sistema di combattimento
Se consideriamo il ‘lavoro’ e la natura stessa di Geralt, non possiamo stupirci che gran parte del suo tempo sia dedicato alla caccia di mostri, e quindi al combattimento. Come nel primo episodio, e come descrive chiaramente anche la saga letteraria, il nostro eroe è soprattutto specializzato nell’uso delle spade: quella di acciaio è utilizzata per i nemici umani, quella d’argento per le aberrazioni mostruose. Generalmente, il protagonista sguaina automaticamente la spada corretta quando compare una creatura ostile; è anche possibile, però, tenere sotto controllo questo aspetto dato che ciascuna spada è collegata a un tasto rapido (di default 1 e 2). I colpi base sono di due tipi: quello rapido, attivato dal clic sinistro, è perfetto per nemici agili e dotati di armatura leggera; quello forte, attivato dal clic destro, è ottimo per avversari corazzati. Durante gli scontri, il gioco implementa una sorta di blocco del bersaglio: un cursore al centro dello schermo indica il nemico verso cui Geralt sta mirando, e il protagonista si gira e si sposta automaticamente per seguire i movimenti del suo avversario contingente. Se però il giocatore controllando il mouse sposta la visuale, allora il blocco viene meno, così da consentire la mira verso un nemico specifico. Il sistema non è intuitivo come vorrebbe e richiede un minimo di pratica: talvolta Geralt sembra scarsamente reattivo, magari perché sta cercando di raggiungere il nemico mirato in quel momento, che può trovarsi dietro qualche ostacolo; altre volte, la visuale sembra eccessivamente sensibile ai movimenti del mouse, col risultato che il nostro eroe anziché dare il colpo di grazia al nemico quasi abbattuto inizia a dedicare le sue attenzioni a qualcun altro. Particolarmente spiacevole è anche la fattispecie, non così rara, che vede Geralt effettuare un lungo balzo in avanti per raggiungere il bersaglio, esponendosi magari ai colpi di altre creature ostili.
A rendere più interessanti e dinamici i combattimenti contribuiscono, oltre ai segni (di cui parliamo più avanti), tutti i vari colpi speciali, che il gioco mette a disposizione del fruitore man mano che questi distribuisce i punti nelle rispettive abilità. La più importante è forse la parata, attivata di default tramite il tasto E: i colpi bloccati non effettuano alcun danno al protagonista, ma vedono calare progressivamente la sua stamina, che all’inizio è costituita da solo due ‘tacche’; in pratica, sono consentite solo due parate, poi occorre pazientemente aspettare che la stamina si ricarichi. Una abilità rende possibile collegare la parata a un contrattacco: mentre Geralt è in posizione difensiva, basterà cliccare il tasto sinistro del mouse al momento giusto (ossia quando compare un’apposita icona) per vedere il nostro eroe sferrare un attacco particolarmente potente. Va sottolineato che i colpi nemici possono essere evitati anche attraverso una rapida capriola capace di mettere il protagonista al di fuori della portata dell’arma: per attivare questa mossa, che curiosamente non comporta il consumo di stamina, è sufficiente premere due volte in velocità il relativo tasto direzionale. Un’altra opzione speciale degna di nota è la mossa finale: ogni attacco andato a segno comporta l’accumulo di adrenalina; quando la relativa barra è piena, basterà premere il tasto X per vedere Geralt prodursi in una complicata serie di attacchi capace di mettere al tappeto anche più nemici contemporaneamente. In generale, il sistema di combattimento offerto da The Witcher 2 è decisamente imperfetto e infatti ha scatenato più di una discussione tra gli appassionati: del resto, successe qualcosa di simile anche in occasione dell’uscita del primo episodio, dove gli scontri col nemico erano caratterizzati da una certa qual macchinosità, che però, complice anche la presenza della visuale strategica dall’alto, riusciva almeno in parte a stemperarsi nell’astrazione e a scongiurare il rischio che un’eccessiva componente action allontanasse dal gioco gli utenti meno dotati dal punto di vista dei riflessi.
Nel caso di The Witcher 2, al contrario, l’adrenalina e l’agonismo diventano, per precisa scelta stilistica, parte fondamentale dell’esperienza di gioco: chi gioca a livello di difficoltà medi o alti dovrà quindi fare i conti con la necessità di conoscere il sistema, studiarlo, appropriarsene per tentativi, secondo modalità non troppo differenti da quelle sperimentate nei prodotti di Piranha Bytes. Il livello di difficoltà più basso viene in aiuto, d’altro canto, a chi preferisce concentrarsi su altri aspetti del prodotto: c’è però da dire, e questo va senz’altro indicato come uno dei difetti maggiori di The Witcher 2, che a volte il modo più agevole per superare un combattimento è semplicemente sfruttare le vistose anomalie dell’intelligenza artificiale. Molte creature, per esempio, sembrano del tutto incapaci di allontanarsi troppo dal loro luogo di generazione: superata una certa ‘linea’, semplicemente si girano e tornano indietro, anche se il nostro eroe si trova solo pochi metri al di là della linea stessa. Dato che la salute di Geralt si ricarica col tempo, è sufficiente adoperare ripetute sequenze di attacchi e fughe per mettere fuori gioco senza troppi problemi anche il più agguerrito gruppo di nemici: ma bisogna ammettere che tutto ciò danneggia vistosamente la sospensione dell’incredulità.
Per fortuna questi sotterfugi non possono essere messi in atto durante gli scontri con i cosiddetti ‘boss’, circostanze durante le quali peraltro non possono essere applicati neanche tutti i colpi di cui abbiamo parlato qui sopra. Gli autori hanno infatti deciso, seguendo quella che potremmo chiamare una sorta di poetica della frammentazione (approfondiamo il discorso più avanti), di rendere ciascun combattimento centrale per la trama un evento unico, dotato anche di giocabilità unica. Scendendo nel concreto, gli scontri con i nemici più forti si risolvono solitamente in sequenze più o meno scriptate, in ciascuna delle quali al giocatore è richiesto un determinato comportamento per accedere alla sequenza successiva: e tali comportamenti non sono altro che cosiddetti quick time event, ossia tasti che lampeggiano sullo schermo e devono essere premuti col giusto tempismo; oppure la necessità di applicare determinati segni su determinati obiettivi, o ancora l’esigenza di sconfiggere con metodi ‘normali’ più gruppi di nemici uno dopo l’altro, o anche più parti del corpo dello stesso enorme nemico.
7. Segni e alchimia, trappole e bombe
Pur essendo anzitutto uno spadaccino, Geralt padroneggia anche una forma di magia, che si concretizza sotto la forma dei cosiddetti segni. Come nel primo episodio, i segni sono cinque: l’Aard è un’onda cinetica che allontana e stordisce i nemici (a volte è anche necessario usarla per abbattere ostacoli); l’Yrden crea sul terreno una trappola che immobilizza le creature ostili; l’Igni è una fiammata in grado di ferire; il Quen è una barriera protettiva che assorbe parte del danno impedendo però la rigenerazione del vigore; l’Axii, infine, consente di ‘convertire’ temporaneamente un nemico facendolo combattere al fianco di Geralt (talvolta è anche possibile usarlo nei dialoghi come forma di persuasione). Il giocatore che decide di investire punti abilità nella magia vedrà i segni aumentare progressivamente di potenza e talvolta acquisire anche funzionalità aggiuntive: l’Yrden potenziato, per esempio, consente di creare fino a tre trappole, che una volta attivate si collegano tra loro diventando una sorta di barriera impenetrabile. Probabilmente, l’accorta combinazione tra segni e mosse di combattimento rappresenta il modo migliore per rendere inarrestabile il nostro alter ego: eppure, chi sceglierà di rendere Geralt una sorta di ‘multiclasse’ si troverà di fronte a scontri ancora più complessi e arzigogolati, quindi non semplici da padroneggiare dal punto di vista puramente ludico. Il segno attivo si lancia premendo il tasto Q; per variare il segno attivo, però, è necessario accedere al menu rapido tramite il tasto CTRL. Il menu rapido è un’interfaccia circolare simile a quella vista nel primo Neverwinter Nights, che ci permette non solo di navigare tra i segni ma anche di selezionare una spada (o un’arma differente) e di accedere alla meditazione. Quest’ultima, come già detto, può essere attivata solo in assenza di creature ostili, e rappresenta l’unico modo per creare e bere pozioni e distribuire i punti abilità, oltre che per far passare velocemente il tempo se abbiamo bisogno di svolgere una certa missione a una determinata ora del giorno e della notte.
Il fatto che le pozioni possano essere utilizzate solo in modalità meditazione rappresenta un’altra variazione importante rispetto al primo episodio, quando potevano essere ingurgitate anche durante il combattimento: ora è necessario preparare per bene il nostro eroe prima degli scontri più difficili, ma va sottolineato che la durata degli effetti della maggior parte delle pozioni (dieci minuti di tempo reale) è tale da consentire comunque un’ottima ‘copertura’ temporale. Tramite l’interfaccia dell’alchimia è possibile creare non solo pozioni, ma anche bombe e olii: le prime possono essere usate durante il combattimento (come armi da lancio che esplodono all’impatto danneggiando o stordendo i nemici), mentre i secondi possono essere applicati alle armi per aumentare temporaneamente la loro potenza. Anche la gestione della creazione alchemica ha subito importanti variazioni rispetto al primo episodio: in quest’ultimo era possibile sperimentare mescolando ingredienti a caso fino a scoprire una formula, oppure comprare direttamente la formula stessa. In The Witcher 2 rimane solo questa seconda possibilità: se la formula di una determinata pozione non è nel nostro inventario sarà impossibile creare la pozione stessa, anche avendone tutti gli ingredienti.
Per quel che riguarda questi ultimi, resta invece invariata la logica basata sui ‘reagenti’: ciascun ingrediente ha al suo interno uno o più reagenti, ed è su questi che va ‘costruita’ ciascuna pozione, che può quindi essere creata anche da ingredienti di volta in volta differenti. Altrettanto invariato resta il meccanismo che misura la pericolosità dei prodotti alchemici: a ciascuna pozione è associato un livello di tossicità, e occorre tenere costantemente sotto controllo la relativa barra nell’interfaccia principale, pena la comparsa di fastidiosi effetti collaterali (in casi estremi, si può arrivare anche alla morte del protagonista per avvelenamento!) Le bombe create da Geralt tramite l’alchimia non sono l’unica arma alternativa alle spade: oltre ad altre armi in corpo a corpo, che però con ogni probabilità useremo solo in situazioni particolari e circoscritte, esistono anche i pugnali da lancio. Bombe e pugnali possono essere lanciati tramite la pressione del tasto R: il gioco utilizzerà il puntamento automatico per dirigere l’arma verso il nemico inquadrato in quel momento, ma è anche possibile, tenendo premuto lo stesso tasto R e muovendo il mouse, mirare manualmente verso una creatura specifica. Un’ulteriore possibilità per sconfiggere un avversario è tramite l’uso delle trappole: è sempre il tasto R a gestire il loro posizionamento, che peraltro richiede qualche secondo e quindi è poco raccomandato in presenza di creature ostili. Le trappole non possono essere create direttamente da Geralt: è però possibile acquistare il loro progetto e farle costruire da un artigiano, esattamente come si può fare anche per i tipi più potenti di spade e corazze. Se i territori selvaggi sono pieni di piante che possiamo usare nell’alchimia, le zone civilizzate ci mettono a disposizione tantissimi contenitori (sacchi, barili, casse, cataste di legno) letteralmente zeppi di materiali necessari per creare armi e armature tramite l’artigianato: Geralt può rifornirsi liberamente, dato che nel gioco nessuno sembra fare una piega di fronte ai furti e alle violazioni di domicilio perpetrati dal nostro alter ego.
8. Minigiochi
Posto che, come avremo modo di approfondire, a tratti The Witcher 2 sembra nella sua interezza una sequenza di minigiochi, val la pena trattare adeguatamente quelli più importanti, che come nell’episodio precedente prendono anche la forma di vere e proprie missioni, atte a far prevalere Geralt sugli indigeni in prove di forza e di fortuna. Anzitutto non poteva mancare il poker di dadi: rispetto al passato, però, questo minigioco ci sembra meno funzionale, sia dal punto di vista dell’interfaccia (che nella fase di lancio, controllabile dal giocatore tramite il mouse, offre una visuale eccessivamente scorciata, che rende difficoltoso il riconoscimento intuitivo dei risultati) sia dal punto di vista della meccanica delle gare, che sono ridotte a un unico match rispetto ai tre offerti da ciascuna partita nel primo capitolo. Completamente cambiata è la gestione delle battaglie a mani nude, spesso organizzate come attrazione nelle taverne: il loro svolgimento, ora, è affidato a una serie concatenata di quick time event, ossia di tasti da premere con giusto tempismo, ciascuno collegato a una determinata mossa, coreograficamente rappresentata attraverso sequenze filmate realizzate col motore grafico del gioco.
Pur se appariscente dal punto di vista estetico, questa scelta lascia alcuni dubbi sul piano della giocabilità: una volta padroneggiato il meccanismo dei QTE (e lo si padroneggia in fretta) è molto semplice sconfiggere qualsiasi avversario, anche quelli ostentatamente caratterizzati dal gioco come semi-invincibili. Un minigioco completamente nuovo è invece il braccio di ferro: quando inizia una sfida, vedremo comparire al centro dello schermo una lunga barra orizzontale, all’interno della quale si muovono una barra più corta (e tanto più corta quanto più è potente l’avversario) e un cursore. Quest’ultimo viene controllato dal movimento del mouse: lo scopo è riuscire a tenerlo sopra alla barra mobile, così da spingerla a muoversi verso la parte giusta. Una volta che la barra corta tocca una estremità della barra lunga, il match si conclude. È un procedimento forse più difficile da spiegare che da provare: anche in questo caso, però, pur riconoscendo l’impegno degli autori nel tentare di concretizzare adeguatamente dal punto di vista ludico uno scontro basato sulla pura forza e non sull’agilità e sul movimento, ci tocca osservare che il minigioco è scarsamente appassionante e può essere padroneggiato con facilità eccessiva.
9. Interfaccia
La macchinosità che caratterizza The Witcher 2 in alcuni suoi ambiti viene ahinoi proiettata al massimo livello quando iniziamo a fare i conti con l’interfaccia di gioco. Pur se ricchissime di informazioni e stilisticamente apprezzabili nella loro geometrica eleganza, le differenti schermate si dimostrano incomprensibilmente incapaci di mettersi al servizio della giocabilità, configurandosi, in ultima istanza, come assai meno funzionali rispetto a quanto sperimentato nel primo episodio. Quando siamo alle prese con uno scambio commerciale, ci sarà impossibile confrontare le merci oggetto di compravendita con quelle equipaggiate da Geralt in quel momento: sarà necessario uscire dalla schermata, accedere all’inventario ed eventualmente annotare su un foglio di carta le caratteristiche di armi e armature in uso. L’inventario stesso, dal canto suo, è una caotica serie di liste di oggetti, configurate come lunghi elenchi scorrevoli assai poco intuitivi: per avere sotto gli occhi le statistiche precise dei vari oggetti sarà necessario evidenziarli col mouse, dato che in caso contrario tutto scomparirà per contrarre la relativa voce all’interno dell’elenco. Ma passare il mouse su un oggetto all’interno di una griglia statica, come nell’inventario del primo episodio, è un’operazione assai più diretta che dentro una lista ‘mobile’, nella quale peraltro tutti gli oggetti nella parte iniziale e finale restano nascosti, rendendo assai difficoltosi i confronti incrociati.
Osservazioni simili si possono fare anche per il diario, che prende anch’esso la forma di un elenco scorrevole, con le missioni divise, non sempre secondo criteri perfettamente comprensibili, tra i vari capitoli della vicenda narrata. La parte dedicata alla descrizione dei personaggi è interessante e curata, ma anche in questo caso scarsamente intuitiva: le aggiunte alle varie schede, inserite quando la trama rivela nuovi elementi collegati a un certo personaggio, sono segnalate da punto esclamativo, ma basta passar sopra la relativa voce col puntatore del mouse mentre si scorre l’elenco per veder scomparire il punto esclamativo stesso, e di conseguenza la possibilità di individuare celermente le novità presenti. L’abisso di funzionalità più grave viene forse toccato, però, dalla schermata della mappa: il territorio su cui si articola la fase contingente del racconto viene rappresentato nella sua interezza, con piccole icone indicanti mercanti e artigiani, oltre che l’obiettivo della missione selezionata in quel momento. Per avere un’idea precisa della conformazione dell’area, però, occorre zoomare tramite la rotellina del mouse: più si rimpicciolisce l’area inquadrata, più la mappa assume la forma di un colorato disegno, molto evocativo ma anche altrettanto inutile dal punto di vista della giocabilità. Senza contare che ogni volta che la mappa viene chiusa e riaperta occorre ripartire dall’inizio, visto che il gioco non ‘ricorda’ la visuale e l’inquadratura scelta di volta in volta dal fruitore.
Complice anche la possibilità di visualizzare indicatori nella minimappa presente nell’interfaccia principale, si finirà per utilizzare la mappa generale il meno possibile. Tutte queste imperfezioni non sono in grado di compromettere l’esperienza complessiva con The Witcher 2, ma destano comunque un certo stupore, soprattutto se si considera che l’interfaccia del primo episodio si faceva notare per la sua pulizia e praticità: è facile pensare che le variazioni innestate dipendano dalla natura multipiattaforma del nuovo episodio, evidentemente progettata fin dall’inizio anche se annunciata ufficialmente solo diversi mesi dopo l’uscita per PC. Che un titolo venga portato su macchine da gioco differenti non deve provocare meraviglia: ma ci si sarebbe aspettati che una casa come CdProjekt, sempre così attenta al dettaglio, avesse pensato a una versione PC perfettamente calibrata sull’imbattibile accoppiata mouse-tastiera.
10. La poetica della frammentazione
Proviamo a ricapitolare tutte le componenti della giocabilità di The Witcher 2 descritte fino a questo momento: oltre all’indispensabile, ossia esplorazione, dialogo e combattimenti, abbiamo gli scontri con i boss (che, come già detto, generalmente non utilizzano le stesse modalità dei combattimenti ‘normali’), il poker di dadi, il braccio di ferro, le battaglie a mani nude. Ma ci sono comparti che non abbiamo ancora analizzato. In determinate circostanze, per esempio, il gioco ci spinge a tentare un approccio furtivo: lo scopo è muoversi nell’ombra evitando le guardie di pattuglia, o sorprendendole alle spalle per eliminarle con un colpo di pugnale. Va sottolineato che in caso di fallimento resta sempre aperta l’opzione di procedere eliminando tutti a colpi di spada: ma in almeno un caso essere scoperti significa, di fatto, fallire una determinata missione. E non è tutto. Alcuni incarichi possono essere risolti solo attraverso ulteriori mini-giochi: in una occasione, per esempio, Geralt deve suggerire in che direzione lanciare i proiettili di una balista, muovendo sullo schermo una specie di cannocchiale.
In generale, diverse situazioni che in tanti altri prodotti abbiamo visto risolte tramite filmati predefiniti, in The Witcher 2 diventano occasione per l’implementazione di quick time event che, in caso di fallimento, portano alla necessità di ricaricare un salvataggio precedente (ma va detto che il menu delle opzioni permette di disattivare alcuni QTE). Proviamo ora a fare un altro esperimento. Ricapitoliamo tutte le possibilità che il gioco ci offre quando dobbiamo affrontare un combattimento ‘normale’, ossia contro un nemico semplice e non contro un boss, attraverso l’elenco di tutti i comandi su cui possiamo agire: con i tasti WASD possiamo muovere Geralt; premendoli due volte velocemente, l’eroe farà una capriola in quella direzione; col clic sinistro del mouse si mena un fendente rapido; col clic destro si mena un fendente ‘caricato’; premendo il tasto E si entra in posizione di parata; premendo il tasto Q si lancia il segno attivato; premendo il tasto CTRL si cambia il segno attivo; premendo il tasto R si lancia un pugnale o una bomba; premendo il tasto X si attiva una mossa finale. Padroneggiare il combattimento, in The Witcher 2, significa usare con disinvoltura e con tempismo perfetto un totale di undici tasti.
Intendiamoci: ci sono giochi in cui gli scontri col nemico sono ancora più complessi, con decine e decine di differenti abilità o incantesimi. Basti pensare a titoli come Dragon Age: Origins, per non andare troppo indietro verso il glorioso Baldur’s Gate con tutti i suoi epigoni. Ma c’è una differenza fondamentale tra questi titoli e il nuovo lavoro di CdProjekt: quest’ultimo ha combattimenti compiutamente action, da controllare quasi interamente tramite tastiera, privi di pausa attiva e di qualsiasi componente ‘strategica’. Ciò che conta, in The Witcher 2, non è l’abilità tattica, ma il puro e semplice tempismo, la prontezza di riflessi. E quando si progetta un combattimento action è il caso di non esagerare con le varianti: anzi, forse il miglior combattimento action è quello in cui si riesce a dare sufficiente sensazione di crescita e di varietà pur senza un numero esagerato di varianti, così da non restringere eccessivamente il pubblico potenziale. Certo, The Witcher 2 implementa la difficoltà regolabile, e questo consente a tutti di godersi senza problemi la nuova avventura di Geralt. Ma riducendo la difficoltà al minimo il gioco diventa fin troppo semplice, e dà all’utente la spiacevole sensazione di non star sfruttando davvero tutte le sue potenzialità, che però d’altro canto restano appannaggio del pubblico con i riflessi più sviluppati.
Questa sensazione di potenzialità sprecata permane anche uscendo dall’ambito del combattimento: come spiegato a inizio paragrafo, The Witcher 2 sembra costruito secondo una discutibile logica dell’accumulo, sulla base di continui innesti di meccanismi ludici differenti, con l’obiettivo certamente apprezzabile di evitare il più possibile la ripetizione, la stanca ‘routine’. Eppure a nostro avviso il raggiungimento di questo obiettivo si accompagna a uno spiacevole effetto collaterale: complice anche la longevità non eccelsa del gioco (che si completa in un arco di tempo che va dalle trenta alle quaranta ore), alla fine la sensazione che resta è che molti comparti non abbiano avuto modo di esprimersi adeguatamente, configurandosi come puri e semplici ‘assaggi’, se non esercizi stilistici fini a se stessi. Senza contare, ma forse il tema meriterebbe riflessioni ben più ponderose di questa semplice boutade, che forse la ripetizione ha, in ambito videoludico, la stessa positiva importanza che ha nella vita: dà sicurezza e tranquillità, ci avvicina agli altri e ai loro sentimenti, ci consente di creare un legame duraturo con le cose e con le persone. La storia non si fa con i se, ma forse The Witcher 2 sarebbe stato un prodotto ancora migliore se i suoi autori avessero dedicato il tempo speso nel creare i tanti mini-giochi per scrivere un capitolo in più, o se avessero implementato, nei combattimenti, metà delle mosse disponibili, calibrando magari quelle rimaste con maggior attenzione.
11. Differenti declinazioni del grigio
Crediamo possa valer la pena tornare a parlare un po’ del background e della trama, non solo perché si tratta di uno dei punti forti del prodotto ma anche perché è attorno a questi elementi che ruota una parte consistente delle discussioni e delle polemiche tra gli appassionati. Vorremmo qui cercare di descrivere non tanto la salienza dei contenuti di The Witcher 2, della quale abbiamo già scritto verso l’inizio della recensione, bensì le modalità letterarie con cui tale salienza viene offerta al giocatore: il prodotto di CdProjekt rappresenta infatti da questo punto di vista una sorta di unicum nel panorama videoludico. Per rendere più chiara questa unicità, cercheremo di imbastire un confronto con un riconosciuto ‘mostro sacro’ del panorama recente del GdR digitale, peraltro già citato in precedenza: Dragon Age: Origins di Bioware. Anche in quel caso, trama, dialoghi e sceneggiatura sono tra i punti forti del prodotto: eppure il lavoro degli sviluppatori canadesi è lontanissimo da quello dei ragazzi di CdProjekt, anche se prendiamo in esame solo l’ambito diciamo così ‘narrativo’. E a determinare questa lontananza non è certo la profonda diversità dei temi trattati, che pure non sono certo assimilabili: purtuttavia, in entrambi gli scenari siamo di fronte a reami in guerra, usurpatori di potere, oscuri personaggi mossi solo dall’ambizione personale, difficili scelte di carattere etico-morale.
L’attenzione va concentrata soprattutto su quest’ultimo punto: entrambi i prodotti sono definibili, per quel che riguarda l’ambito narrativo, come GdR story-driven basati sulla scelta morale, sulle sfumature di grigio. Eppure questa definizione non è minimamente in grado di cogliere l’enorme differenza che intercorre tra le due narrazioni: differenza che è basata, essenzialmente, sulla quantità di informazioni messa a disposizione del giocatore. In Dragon Age: Origins la situazione è complessa e intricata e le scelte spesso non consentono il raggiungimento di un ipotetico bene supremo, ma solo la limitazione del danno: la complessità, però, non è dovuta alla presenza di punti oscuri, ma all’abile creazione di situazioni drammaturgicamente ‘sospese’, dove tutto è chiaro ma al contempo insolubile, almeno senza gesti estremi e quindi narrativamente efficaci. Gli autori sono abilissimi, nel prodotto Bioware, a coinvolgere il fruitore nel mondo di gioco introducendolo a poco a poco, ma con sistematicità, ai diversi personaggi e agli schieramenti in lotta: i dialoghi, i filmati di intermezzo e il corposo codex, che riunisce le informazioni sul background, cooperano con rara efficacia nel tratteggiare un contesto complesso eppure credibile, intricato eppure cristallino, col risultato che nell’arco di poche ore il giocatore si sente realmente nei panni di chi conosce ciò che lo circonda, le ragioni e le motivazioni delle varie parti in contesa, i risentimenti che tale contesa inevitabilmente provoca.
Questo non implica che manchino le rivelazioni inaspettate e i colpi di scena: ma si tratta di eventi la cui componente di sorpresa risulta perfettamente giustificata dalla ‘preistoria’, ossia che vengono scientemente tenuti nascosti da qualche nemico o alleato, per ragioni precise e spesso anche comprensibili. In The Witcher 2 la situazione è completamente diversa. Come già accennavamo a proposito dei dialoghi, i ragazzi di CdProjekt hanno voluto calare il giocatore in un mondo in gran parte sconosciuto, dominato da personaggi le cui motivazioni restano oscure per la totalità della campagna, spesso anche dopo il finale stesso. Il diario, da questo punto di vista, risulta esemplificare alla perfezione la peculiare ‘scelta di campo’ effettuata dagli autori: nella finzione messa in atto dal gioco, missioni, luoghi e personaggi vengono descritti non dal protagonista o da un ipotetico narratore onniscente, bensì dal bardo Dandelion, uno dei comprimari di Geralt, che non rinuncia ad arricchire i testi con osservazioni personali, spesso frivole e inconcludenti. L’effetto letterario è piacevole, ma non contribuisce certo a chiarire fino in fondo le diverse situazioni: il giocatore è spinto a indagare per suo conto, magari attraverso le informazioni che si trovano in rete o nei libri di Sapkowski, ma il più delle volte le ricerche conducono a risultati quanto meno parziali, con la conseguenza che le scelte vanno prese più sulla base dell’intuito o delle sensazioni ‘a pelle’ che non sulla base della conoscenza approfondita delle varie istanze.
L’esito di questa particolare modalità narrativa è un realismo senza sconti: difficilmente nella vita si ha sempre un quadro chiarissimo della situazione in cui ci si deve muovere, e ancor più complicato è individuare i confini precisi entro cui le persone che ci stanno accanto prendono le loro decisioni. La vita, in fondo, è un insieme di tentativi: e come recita un famoso aforisma, la vita non premia i buoni tentativi ma solo quelli riusciti. È con questa forma mentis che bisogna affrontare The Witcher 2: con la consapevolezza, cioè, che non si gioca necessariamente per capire, ma solo per vivere un’avventura che mantiene, per precisa scelta stilistica (e non, come sembrano ingenuamente pensare tanti appassionati, per incapacità o addirittura dimenticanza), tanti lati oscuri, inspiegabili, inafferrabili.
12. Grafica e sonoro
Il motore grafico di The Witcher 2 è una creazione originale di CdProjekt, che l’ha battezzato RED Engine (CdProjekt RED è il distaccamento dedicato allo sviluppo; il resto della casa si dedica alla produzione). Si tratta di un lavoro semplicemente eccezionale, senza ombra di dubbio il miglior motore grafico attualmente in circolazione, almeno nel relativamente ristretto mondo dei GdR digitali. I panorami disegnati dal gioco, soprattutto nella zone aperte e dotate di un’ampia linea d’orizzonte, lasciano senza fiato, riuscendo a sembrare allo stesso tempo evocativi quadri pastello e scene di vita vera, colme di elementi animati. Le foreste sono popolate da alberi altissimi, dei quali risulta quasi impossibile cogliere le cime, mentre il sottobosco è un intrico di erba, piante, arbusti, pozze d’acqua; le città e i villaggi, dal canto loro, brulicano di vita, con i personaggi atti a compiere decine di lavori diversi, ciascuno rappresentato tramite apposite animazioni ed effetti sonori.
Certo, bisogna dire che il sistema di costruzione delle aree, di cui abbiamo già parlato, ha consentito forse una concentrazione di dettagli che risulterebbe impossibile all’interno di un vero free-roaming. E occorre anche far notare che le imperfezioni ci sono: le creature nemiche, per esempio, tendono ad ‘apparire’ in scena troppo velocemente, e una volta uccise scompaiono all’istante non appena le facciamo uscire dall’inquadratura, con un effetto finale davvero ridicolo. I colori delle divise dei soldati, poi, risultano in alcuni casi eccessivamente squillanti, dando l’impressione di essere appena uscite da un ciclo di lavaggio piuttosto che dell’usura che sarebbe logico aspettarsi nel caso di milizie impegnate in grandi conflitti. Qualche appunto meritano anche i modelli dei personaggi: pur non essendoci lo scandaloso riciclo visto nel primo episodio, molti di loro risultano comunque poco caratterizzati; una maggior differenziazione avrebbe certamente giovato all’esperienza di gioco. Durante i dialoghi, poi, le inquadrature variano abbastanza da conferire a essi un certo dinamismo, ma la regia non raggiunge le vette dei prodotti Bioware, prima tra tutti la saga di Mass Effect.
Quanto alle musiche, si tratta certamente di un comparto di qualità più che buona, anche se ammettiamo che il motivo collegato ai combattimenti ci è sembrato un filo troppo concitato, forse eccessivamente contrastante con le arie epiche collegate ai restanti momenti. Dal punto di vista dell’hardware, i programmatori hanno svolto un ottimo lavoro nel rendere il prodotto fruibile anche da macchine non eccessivamente all’avanguardia, anche se comunque va detto che The Witcher 2 dà il meglio di sé su computer molto potenti: questi ultimi, in particolare, sono gli unici su cui è possibile attivare un’opzione chiamata ubersampling, che si concretizza, in poche parole, nella renderizzazione multipla e sovrapposta di vari elementi dello scenario, nel tentativo, riuscitissimo da questo punto di vista, di imprimere sulle texture una sensazione di realismo senza precedenti.
13. Conclusioni
In questa lunga recensione, abbiamo consapevolmente scelto di dilungarci molto sui difetti: si sarà notato che The Witcher 2 non può essere certo definito un prodotto perfetto, e che anzi per certi aspetti (come l’interfaccia e la longevità) rappresenta un passo indietro rispetto al suo predecessore. Eppure siamo di fronte a un prodotto secondo noi quasi irrinunciabile: e questo perché il valore dei contenuti, l’originalità dell’approccio e la passione stessa che ogni pixel sullo schermo ci comunicano sono un qualcosa che va al di là di qualunque imperfezione diciamo così ‘tecnica’, almeno delle imperfezioni che non sono in grado di pregiudicare eccessivamente l’esperienza complessiva. I ragazzi di CdProjekt hanno un grande talento e una grande capacità di solleticare e accontentare desideri e aspettative di una parte consistente degli appassionati: forse in questo caso hanno dimostrato anche di avere qualche idea confusa e di voler mettere troppe cose all’interno del loro lavoro più ambizioso. Eppure nessuno dei problemi presenti in The Witcher 2 è in grado di farci dare un consiglio diverso dal seguente: appropriatevi di questo gioco e finitelo almeno un paio di volte. La soddisfazione è garantita.
Tre pregi di The Witcher 2
|
Tre difetti di The Witcher 2
|
Narrazione interessante e originale
|
Giocabilità eccessivamente complessa e frammentata
|
Dialoghi realistici, maturi e coinvolgenti
|
Interfaccia molto migliorabile
|
Grafica scintillante e virtuosistica
|
Longevità non eccelsa
|