The Elder Scrolls V: Skyrim

Il quinto capitolo della saga di GdR di Bethesda, vessillo imbattuto di quella che abbiamo chiamato interpretazione totale, è un’opera colossale, curatissima e sfaccettata, che conferma molte aspettative ma che innesta nella filosofia della serie anche elementi nuovi, alcuni discutibili e altri interessanti.

[articolo originariamente pubblicato il 22 dicembre 2011]

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Nota del 2020
Nel 2016 Bethesda ha pubblicato una Special Edition di Skyrim che oltre a contenere tutte le espansioni introduce varie piccole migliorie a livello grafico e tecnico, la più importante delle quali è forse il supporto per i 64bit. Attualmente, non ha alcun senso utilizzare la versione originale, anche perché i mod più importanti sono stati resi compatibili con la Special Edition.

1. Nei secoli fedeli
I lettori abituali di questo sito sanno molto bene che la saga The Elder Scrolls di Bethesda, inaugurata nel 1994 con Arena e apertasi al grande pubblico soprattutto con il terzo capitolo Morrowind del 2002, è un prodotto a cui siamo molto affezionati. Non tanto per la sua qualità, peraltro innegabile nonostante gli altrettanto innegabili suoi limiti, quanto per la sua originalità, concretizzazione del coraggio dei suoi autori, che sembrano totalmente immuni alla tentazione di seguire il trend dominante, nonostante i vantaggi pratici che questo potrebbe significare anche da un punto di vista meramente economico.
Non ci pare il caso di ribadire qui ancora una volta l’ormai classica distinzione che facemmo anni fa tra interpretazione condizionata e interpretazione totale, divenuta nel tempo uno strumento di analisi adoperato anche al di fuori di questo sito: ci limitiamo però a sottolineare il fatto che Bethesda avrebbe evidentemente tutti gli strumenti e le risorse per dar vita a classici GdR story-driven, brevi e serrati, che troverebbero nel dettagliato mondo in cui è ambientata la serie The Elder Scrolls tonnellate di materiale su cui costruire trame appassionanti, ricche di tematiche morali adulte e complesse, perfette per l’innesto delle famose scelte spesso indicate come il fondamento dell’interpretazione digitale. Questa strada comporterebbe anzitutto la risoluzione istantanea di tutti i problemi collegati alla volontà, che definiremmo quasi eroica, di costruire metro per metro mondi vastissimi, riducendo al minimo l’astrazione a favore della simulazione; ma comporterebbe anche la possibilità di produrre molti più giochi, con tutte le conseguenze del caso a livello di profitti, nonché il privilegio (si fa per dire) di ricevere il plauso di tutti quegli ottusi appassionati che non accettano eresie e che bersagliano continuamente e pretestuosamente Bethesda solo perché i suoi GdR non seguono quelle che sarebbero le regole alla base del genere, e che sono in realtà un semplice trend frutto della consuetudine.
Se inquadrato nel contesto generale di questa riflessione, Skyrim, l’ultimo capitolo della saga The Elder Scrolls che ora ci apprestiamo ad analizzare, brilla per l’estrema fedeltà del suo scheletro alla filosofia della serie: già questo significa che i suoi autori hanno sostanzialmente centrato il bersaglio, soprattutto se teniamo conto della loro precedente fatica (Fallout 3), che nonostante le apparenze superficiali si configurava come un prodotto del tutto diverso. Purtuttavia, le perplessità non ci mancano, e riguardano anche elementi che purtroppo sarà difficile modificare tramite i mod amatoriali, che come sappiamo sono uno dei tanti punti di forza per la serie. Entriamo nel mondo immenso di Skyrim e cerchiamo di approfondire.

2. La terra dei Nord
La saga The Elder Scrolls è ambientata in un continente chiamato Tamriel, situato in un pianeta di nome Nirn. Tamriel è suddiviso in nove province, ciascuna delle quali fa capo a una delle razze dominanti (fa eccezione la provincia High Rock, che è origine sia dei Bretoni sia degli Orchi). Ogni capitolo della saga è ambientato in una parte di Tamriel: dal terzo capitolo Morrowind sembra essere diventata consuetudine non dichiarata rappresentare in ogni episodio tutto il territorio di una provincia, o almeno gran parte del medesimo, con la conseguenza che ciascun capitolo ha anche una sua razza d’elezione. Dopo gli elfi scuri (dunmer) protagonisti di Morrowind e gli imperiali protagonisti di Oblivion è la volta dei Nord, fieri abitanti della provincia di nome, appunto, Skyrim, collocata nelle parti settentrionali nel continente.
Anche se la saga
The Elder Scrolls non è certo famosa per la sua componente narrativa, ciascun suo capitolo è strutturato attorno a una trama principale di grande levatura ‘simbolica’, che ha in un certo senso il ruolo di ‘fare la Storia’, sedimentandosi assieme agli altri eventi del background e diventando così parte della premessa dei capitoli successivi. Il dettaglio con cui nel corso degli anni è stato costruito il mondo di gioco della serie è forse tra i punti di forza maggiori della medesima, e non è qualcosa che può essere agevolmente riassunto in poche righe: pertanto rimandiamo a sedi più idonee. Ci preme affermare, però, che la ragione che sta forse alla base della enorme forza evocativa del background di The Elder Scrolls, peraltro l’unica ambientazione complessa creata appositamente per un GdR digitale, è da trovarsi anche nelle sue modalità di costruzione: in questo caso, infatti, non ci si trova di fronte alla classica premessa narrativa presentata sotto forma di storia univoca, bensì di fronte a tante fonti diverse, spesso vaghe o in conflitto tra loro, alcune volte in palese contraddizione, altre volte ancora invece in perfetta concordanza sui fatti ma non sulle interpretazioni dei medesimi. In altri termini: la storia del continente di Tamriel è come la storia umana. Com’è abitudine dell’artista che rispetta il suo pubblico, Bethesda non ci dice quel che ci aspetteremmo di sentirci dire (cioè come sono andati ‘realmente’ i fatti), ma ci spinge a indagare offrendoci l’equivalente videoludico delle fonti adoperate dai veri storici: trattati, cronologie, testi sacri, romanzi e racconti. Ogni giocatore, così, è spinto a formarsi le sue idee sul background, idee evidentemente condizionate anche dalla sua stessa cultura e personalità, ovvero dalla ‘lente’ usata per leggere le fonti: questo non solo alimenta il dibattito tra gli appassionati, che per una volta usciranno dallo stucchevole confronto tra sostenitori e detrattori, ma dà anche a ogni sessione di gioco un sapore particolare, il sapore di chi può tentare per interposta maschera di capire qualcosa di tanti eventi oscuri o poco chiari.
Un ottimo esempio di questo metodo di narrazione indiretta viene fornito già dalle primissime battute di
Skyrim: il nostro alter ego è, com’è consuetudine per la saga, prigioniero, e sta viaggiando su un carro verso il villaggio di Helgen, dove lo attende il patibolo. Il dialogo con i suoi compagni di strada mette subito alcuni punti fermi: la provincia nordica è in tumulto perché l’Impero, indebolitosi parecchio dopo la cosiddetta Oblivion crisis (cioè gli eventi narrati nel capitolo precedente, che causano la scomparsa di ogni erede della dinastia regnante Septim), sta limitando sempre di più l’autonomia di Skyrim. Soprattutto, l’Impero ha sancito l’illegalità del culto di Tiber Septim (chiamato anche Talos), imperatore divinizzato originario del Nord, una figura a cui ovviamente gli abitanti di Skyrim sono molto legati. Questo ha causato la rinascita di velleità separatiste, incarnatesi soprattutto nella figura di Ulfric Stormcloak, guerriero ribelle responsabile dell’uccisione del re di Skyrim, da lui ritenuto una marionetta nelle mani dell’Impero. All’inizio del gioco, Ulfric è in viaggio con il nostro personaggio, anch’egli pronto per il patibolo: ma proprio quando la fredda lama del boia sta per decapitare il nostro povero alter ego, succede qualcosa di terribile. Un ruggito squarcia il cielo e un enorme drago attacca Helgen, spargendo il terrore tra tutti gli astanti; nel parapiglia che ne consegue, il nostro personaggio può decidere di scappare assieme a un soldato imperiale o assieme a un ribelle prigioniero. In ogni caso, finirà per lasciare le rovine fumanti del villaggio e per dirigersi nell’insediamento più vicino, Riverwood, dove la voce del ritorno dei draghi (scomparsi da secoli) sta già intimorendo gli autoctoni.
E sono proprio i draghi, come annunciato già mesi prima dell’uscita del gioco, i veri protagonisti di
Skyrim, nonché l’elemento attorno a cui ruota la trama principale: in questa sede abbiamo deciso di limitarci a questa piccola introduzione alla medesima, anche per evitare eccessivi spoiler; più avanti dedicheremo una seconda recensione al gioco e là approfondiremo l’elemento narrativo in ogni suo aspetto.

3. Abbiamo tutti la stessa forza?
Poco prima di accomodare la testa del nostro povero e inconsapevole prigioniero sul ceppo del boia, è necessario completare il processo di creazione del personaggio, che rispetto ai precedenti episodi della serie è insolitamente rapido. Dobbiamo dunque già soffermarci su una delle perplessità che Skyrim ci provoca, e che riguarda appunto il nuovo sistema di gestione della crescita del nostro alter ego.
Oltre al consueto editor collegato all’aspetto del personaggio, ancor più ricco e raffinato di quello offerto da
Oblivion e capace di personalizzare anche il corpo e non solo il volto, l’unico altro elemento che ci troveremo davanti è la scelta della razza. Sono infatti scomparse del tutto sia le caratteristiche di base sia l’ambito di specializzazione sia le classi e financo il segno zodiacale: ora il nostro eroe è determinato solo sulla base della sua razza e delle sue abilità, a loro volta influenzate leggermente dalla prima. il concetto alla base della crescita del personaggio rimane quello classico della serie: più una abilità viene utilizzata, più vedremo riempirsi la barra che ne rappresenta il valore. Una volta che tale barra si riempie, la relativa abilità aumenterà di un punto, all’interno di una scala che va da 1 a 100. Nei capitoli precedenti, ciascuna abilità era legata a una delle caratteristiche di base, che potevano essere migliorate al passaggio di livello sulla base delle abilità più utilizzate negli ultimi frangenti. In Skyrim tutto questo comparto è stato rimosso: al passaggio di livello, il giocatore sceglie semplicemente se aumentare i punti ferita, la magicka (l’energia utilizzata per lanciare incantesimi) o la stamina (l’energia adoperata per gli sprint di corsa e i colpi caricati, oltre che per determinare il carico massimo sopportabile dal personaggio).
Ma come viene gestito il passaggio di livello? Nei capitoli precedenti era determinato dal miglioramento delle abilità principali selezionate in fase di creazione dell’eroe: in
Skyrim non esiste più la distinzione tra abilità principali e secondarie, e il passaggio di livello viene determinato semplicemente dal miglioramento di tutte le abilità, sulla base del criterio che più una abilità è alta più il suo aumento riempirà la barra che gestisce la crescita generale del personaggio.
A compensare almeno in parte alla scomparsa delle caratteristiche di base c’è il meccanismo completamente nuovo dei
perk, probabilmente ispirato dall’esperienza di Bethesda con Fallout 3. Già in Oblivion, a dire il vero, le abilità comportavano, col loro miglioramento, alcune opzioni aggiuntive: ma tali opzioni venivano sbloccate in automatico al superamento di determinate soglie, senza alcuna possibilità di reale personalizzazione. In Skyrim, ciascuna abilità è rappresentata graficamente, nella relativa schermata, come una sorta di costellazione, nella quale le ‘stelle’ sono appunto i vari perk sbloccabili dal giocatore. A ogni passaggio di livello è dunque possibile utilizzare un punto abilità per attivare uno di questi perk, a patto che si soddisfino tutti i prerequisiti necessari: ciascun perk, infatti, richiede sia lo sblocco di tutti i perk che lo precedono nella ‘costellazione’, sia il raggiungimento di un certo livello di abilità. Come si sa, i giochi della serie TES sono teoricamente infiniti, e da questo punto di vista Skyrim non fa eccezione: però il sistema di crescita del personaggio subisce un rallentamento molto cospicuo dopo il raggiungimento del cinquantesimo livello, rendendo necessaria una certa progettualità nel momento in cui si sceglie quali perk sbloccare, soprattutto tenendo conto che alcuni di essi possono essere ‘presi’ più volte, migliorando progressivamente.
Ci occupiamo in un excursus a parte delle varie abilità e dei relativi
perk: qui vorremmo invece soffermarci sulla qualità generale del nuovo sistema, che è senza dubbio interessante ma che lascia aperto il fianco a diverse critiche. L’aspetto più encomiabile può essere indicato con ragionevole sicurezza nelle grandi possibilità ‘strategiche’ offerte dal sistema dei perk: quel che forse molti appassionati si sono chiesti, però, è se tale sistema dovesse per forza accompagnarsi alla scomparsa totale delle caratteristiche di base, che sono sempre state un pilastro della serie e non solo da un punto di vista meramente meccanico. Le caratteristiche, per esempio, davano un senso più forte alla suddivisione tra le varie razze, che in Skyrim si differenziano solo sulla base di marginali abilità speciali e del livello di partenza di alcune abilità, elemento che diventa trascurabile nell’arco di poche ore di gioco.
Portare una caratteristica al livello massimo era, nei capitoli precedenti della saga, una sorta di gioco nel gioco: pensiamo soprattutto alla mitica
Fortuna (Luck), che non essendo legata ad alcuna abilità, pur influenzandole tutte, poteva essere fatta crescere solo molto lentamente. E poi: a ciascuna caratteristica era legato un certo aspetto della giocabilità, e il sistema adoperato in Skyrim recupera questi aspetti solo in parte e a volte sulla base di presupposti aleatori. Si veda ad esempio il collegamento tra stamina e peso trasportabile, in passato determinato più realisticamente in base al valore di Forza; ma si pensi anche a elementi del tutto scomparsi, come il legame tra il valore Velocità e l’effettiva velocità di spostamento dell’eroe (ora uguale per tutti) o il valore di Personalità e la reazione scatenata nei personaggi non giocanti, un comparto completamente rimosso, come vedremo meglio più avanti.
Gli sviluppatori hanno dichiarato, nelle interviste che hanno preceduto la pubblicazione di
Skyrim, di voler evitare la presenza di valori numerici troppo fini a se stessi, a favore di un sistema più chiaro e limpido: dobbiamo ammettere che ci fa una certa impressione sentire dichiarazioni simili da chi dovrebbe aver compreso più di chiunque altro che in un gioco di ruolo sono spesso proprio le opzioni più ‘inutili’ dal punto di vista della giocabilità a dare profondità a un titolo. Nei capitoli precedenti della saga, il sistema delle caratteristiche non era importante tanto per le sue conseguenze pratiche, a cui abbiamo accennato sopra, ma soprattutto perché contribuiva a rendere più ‘rotonda’ l’identità dell’eroe, migliorandone sostanzialmente la possibilità di interpretazione: la sua rimozione rappresenta, a nostro avviso, un errore grave.

4. Il sistema di controllo
Come già in Morrowind e in Oblivion, anche in Skyrim sono disponibili sia la visuale in prima persona sia quella in terza persona: a gestire la posizione della telecamera rispetto all’eroe è la funzione di zoom, di default collegata alla rotellina del mouse. Allontanando al massimo la telecamera dal personaggio, si può giocare a Skyrim con una visuale simile a quella isometrica dei titoli del passato. Ci sono momenti in cui funziona meglio la visuale in prima persona (per esempio quando si mira con l’arco o quando si deve analizzare minuziosamente un particolare) e altri in cui la terza persona spinta fino alla quasi-isometria dà il meglio di sé, abbracciando il paesaggio e scongiurando l’eccessiva immedesimazione, che è una spina nel fianco per l’autentico giocatore di ruolo.
Complessivamente, comunque, le differenti visuali offerte da
Skyrim consentono una duttilità senza pari e si configurano senza dubbio come uno dei punti di forza del titolo, visto che sono esse stesse capaci di farsi stile, aprendo il titolo a giocatori con esigenze e abitudini differenti. Vanno sottolineate, a tal proposito, alcune variazioni rispetto al passato: ora con la visuale in terza persona, almeno ai livelli di zoom più ravvicinati, il personaggio non è al centro dello schermo ma a lato del medesimo, come in Fallout 3 (e il mirino rimane visibile in ogni momento); inoltre, quando non si ha un’arma sguainata la rotazione della visuale non fa ruotare anche il personaggio, che rimane fisso nella sua posizione.
Lo spostamento viene gestito tramite i consueti tasti WASD; i tasti SHIFT e CAPS LOCK gestiscono il passaggio dalla corsa alla camminata (curiosità:
Skyrim è il primo titolo della serie TES in cui l’eroe di default corre anziché camminare), mentre il tasto ALT, e questa è una novità, attiva un veloce sprint, che consuma rapidamente la stamina e quindi può essere utilizzato solo per breve tempo. Rimane come in Oblivion la gestione del movimento furtivo, che viene attivato dal tasto CTRL, mentre l’interazione col mondo viene di default gestita dal tasto E e non più dalla barra spaziatrice, ora legata al salto. Il tasto R sguaina le armi e prepara gli incantesimi: e ora è arrivato il momento di analizzare proprio il sistema di combattimento e la magia.

5. La via del guerriero
Il comparto ‘bellico’ di Skyrim è complessivamente molto simile a quello visto in Oblivion, ma non mancano le novità. Una volta selezionata e sguainata l’arma che intendiamo utilizzare, potremo utilizzare il clic sinistro del mouse per sferrare i colpi; tenendo il tasto premuto per qualche istante, il nostro personaggio lancerà un colpo ‘caricato’, che causerà un danno ben maggiore, lasciando però scoperte le sue difese durante la ‘preparazione’ e consumando rapidamente la stamina. Quando otterremo dei perk che sbloccano colpi speciali, potremo generalmente attivarli facendo partire un colpo in collegamento con una qualche azione di movimento, proprio come in Oblivion. Il tasto destro, dal canto suo, gestisce la parata: qui è presente una importante innovazione, ossia la presa in considerazione della tempistica nel determinare la quantità di danni assorbita dalla stessa (il miglior risultato si ottiene attivando la parata subito prima dei colpi nemici, il peggiore lasciandola attiva per lunghi secondi).
La novità più importante, però, è senza dubbio l’introduzione, richiesta a gran voce dalla comunità, della possibilità di combattere con due armi. Assegnando un’arma a ciascuna mano, potremo controllare i colpi agendo sui due tasti del mouse: il clic sinistro lancia i fendenti con la mano destra, quello destro i fendenti con la mano sinistra. Si tratta di una novità senza dubbio gradita, ma non priva di punti deboli. Risulta per esempio francamente incomprensibile la scelta di rendere impossibile la parata quando si combatte con due armi: è consentito parare con arma e scudo, con arma a due mani e con arma singola, ma non con due armi. È altresì criticabile la scelta di non dedicare al combattimento con due armi una abilità specifica: i perk collegati a questa modalità bellica sono all’interno della ‘costellazione’ rivolta alle armi a una mano, e questo dà l’impressione che il dual wielding sia una sorta di divertissement privo di reale peso a livello di giocabilità, quasi uno sfizio per chi vuole interpretare personaggi bizzarri.
Per quel che riguarda il combattimento a distanza, non ci sono novità significative: l’arco viene teso premendo il pulsante sinistro del mouse, mentre la freccia viene scoccata rilasciando il medesimo pulsante; questa modalità di attacco dà il meglio di sé se usata come supporto, magari in connessione con il movimento furtivo, così da sfruttare il notevole bonus collegato al colpo a sorpresa.
A livello generale, come dicevamo, il combattimento in Skyrim è molto simile a quanto visto in Oblivion, e questo può essere un bene o un male a seconda del punto di vista scelto. La gestione della salute, basata esclusivamente sul concetto forse ormai obsoleto dei punti ferita (che peraltro, altra novità, si rigenerano autonomamente, anche se con lentezza) e priva di significativa implementazione del danno localizzato, può apparire semplicistica, così come può apparire riduttiva la banale sequenza di collisioni ‘generiche’ corredate da spruzzi di sangue nella quale si concretizza ogni scontro tra creature ostili; da questo punto di vista l’introduzione di coreografiche mosse finali, anche queste riprese in parte da Fallout 3, non rappresenta certo un elemento capace di migliorare sostanzialmente la situazione.
La nostra convinzione, d’altro canto, è che il sistema di combattimento per un GdR privo di turni o di pausa strategica debba essere anzitutto divertente e accessibile, privo di arzigogolate variabili e di macchinose opzioni capaci solo di complicare il quadro e di escludere dal novero dei potenziali utenti tutti i giocatori che non hanno velleità agonistiche. Si pensi, a questo proposito, al sistema di combattimento di The Witcher 2 così com’era al momento della pubblicazione del gioco: certamente si trattava di un sistema notevolmente più approfondito e sofisticato di quello presente in Skyrim, eppure non siamo affatto convinti che debba essere per questo considerato migliore. In fondo, le modalità messe a punto da Bethesda raggiungono onestamente l’obiettivo che si prefiggono: prive di ambizioni eccessive, risultano più fluide e meno frammentate rispetto a quel che si sperimentava nel capolavoro di CdProjekt. Forse bisognava puntare più in alto, ma noi siamo convinti che nel momento in cui si progetta un GdR sia meglio dedicare le proprie energie al prodotto nel suo insieme, dato che, non dimentichiamolo, un GdR non è certo un simulatore di combattimenti realistici: i suoi obiettivi principali dovrebbero essere ben altri, ed è il combattimento a dover essere al servizio di questi ultimi e non il contrario.

6. Le vie del mago e del ladro
In Oblivion, gli incantesimi venivano attivati tramite un tasto dedicato, differente rispetto a quello che gestiva le armi: era dunque possibile lanciare una magia anche mentre si impugnava una spada. In Skyrim Bethesda ha deciso, forse per sfruttare al meglio la nuova idea di rendere le due mani ‘indipendenti’, di tornare al sistema di Morrowind: gli incantesimi vanno ‘equipaggiati’ e poi ‘sguainati’ esattamente come le armi, ossia premendo il tasto R. A rendere possibile la gestione contemporanea di spade e magie è, per l’appunto, la possibilità di ‘impugnare’ i medesimi con ciascuna delle due mani: è dunque consentito, ad esempio, avere un’ascia nella mano destra e un incantesimo di guarigione nella mano sinistra, e viceversa. È anche possibile assegnare la stessa magia a entrambe le mani: cliccando contemporaneamente sui due tasti del mouse, si darà vita a una versione più potente dell’incantesimo. Il funzionamento delle magie varia sulla base del loro effetto: alcune, come gli incantesimi di guarigione, producono risultati fintanto che il pulsante del mouse viene tenuto premuto, consumando energia magica costantemente; altri, come la classica palla di fuoco, vanno ‘caricati’ tenendo premuto il pulsante e si attivano solo una volta che questo viene rilasciato, consumando il loro ‘costo’ in energia magica in una volta sola.
Parliamo dei vari incantesimi e di come sono distribuiti tra le differenti scuole nell’apposito excursus dedicato alle abilità: qui ci limitiamo a osservare come il loro funzionamento sia tutto sommato soddisfacente, anche se Bethesda ha scelto di eliminare del tutto dal gioco il complesso comparto che, nei capitoli precedenti, gestiva la possibilità di creare magie personalizzate. Questa ‘sparizione’ ha giustamente destato più di una perplessità, visto che uno degli aspetti più interessanti per un mago in Morrowind o in Oblivion era proprio la sperimentazione basata sulla possibilità di dar vita a incantesimi personalizzati, con effetti anche combinati tra loro.
Un altro aspetto da sottolineare è la modalità di apprendimento degli incantesimi: se si eccettuano gli sporadici casi in cui qualche PnG ce ne insegnerà uno, dovremo acquistare presso i mercanti gli spell tome, ossia i libri che una volta letti ce li faranno apprendere (sarà naturalmente possibile rinvenirli anche durante le esplorazioni).
Per quel che riguarda le abilità da ladro, abbiamo già accennato alla presenza irrinunciabile dello stealth, ossia della possibilità di muoversi furtivamente, utile non solo per rubare o sfuggire ai nemici ma anche per realizzare attacchi a sorpresa, assai più potenti di quelli messi a segno in campo aperto: questa modalità è del tutto simile a quanto visto in Oblivion e risulta decisamente sofisticata, visto che tiene in conto parecchie variabili (la luminosità dell’ambiente, gli abiti del nostro personaggio, i rumori, la presenza di eventuali altre distrazioni). C’è peraltro da dire che l’intelligenza artificiale dei nemici spesso non brilla per particolare acutezza, ma sappiamo bene che è un problema universalmente diffuso.
Lo scassinamento avviene tramite un mini-gioco identico a quello già visto in Fallout 3, con l’importante differenza che qui ogni serratura è accessibile a qualunque livello di abilità, anche se ovviamente per un novellino aprire un lucchetto da maestro sarà parecchio arduo. Il borseggio è anch’esso svolto in modo del tutto conforme ai precedenti episodi della serie: in modalità furtiva attivando un PnG che non ci ha individuato potremo accedere al suo inventario e tentare di passare nel nostro qualsiasi oggetto al suo interno (anche qui le variabili che determinano il successo sono molte, dalle dimensioni dell’oggetto all’attenzione della vittima). La novità più importante, comunque, è che ora il borseggio ha una sua abilità dedicata, mentre in Morrowind e in Oblivion il suo funzionamento era gestito dall’abilità relativa al movimento furtivo. Ne parliamo, ancora una volta, nell’apposito excursus.
Altro elemento inedito di un certo peso, richiesto peraltro a gran voce dalla comunità, è la gestione del crimine e delle relative punizioni. Anzitutto, se il nostro personaggio riesce a eliminare tutti i testimoni di una sua malefatta, quest’ultima rimarrà ignota alle guardie; in secondo luogo, le taglie sono differenti per ciascun feudo, ovvero il nostro personaggio potrà, per difendersi dalla legge, riparare semplicemente in una città lontana, dove nessuno conosce i suoi crimini.

7. La via dell’artigiano
Il cosiddetto crafting è forse il comparto in cui Bethesda ha maggiormente ampliato l’offerta rispetto ai capitoli precedenti della serie. Torna naturalmente in pompa magna l’alchimia, il cui funzionamento è stato rivisto quasi del tutto. Non esiste più il relativo equipaggiamento ‘portatile’ (mortaio, alambicchi eccetera), bensì varie postazioni fisse distribuite in giro per il mondo e alle quali sarà necessario accedere per realizzare pozioni. Ciascun ingrediente ha quattro effetti, ma nessuno viene rivelato anticipatamente: per scoprirli ci occorrerà sperimentare. Il metodo più facile è mangiare l’ingrediente: così verremo a scoprire il suo primo effetto, o anche i suoi effetti avanzati se possediamo un apposito perk. Oppure possiamo semplicemente tentare di realizzare una pozione con due ingredienti a caso: se non hanno alcun effetto in comune, la creazione fallirà; se invece esiste un effetto condiviso, la pozione verrà creata e da quel momento quegli effetti, per quegli ingredienti, ci verranno sempre mostrati. È consentito combinare anche più di due ingredienti e dar vita a pozioni con più effetti simultanei, e resta aperta anche la possibilità di creare pozioni con effetti negativi (veleni), da utilizzare per avvelenare le armi rendendole ancora più pericolose. Un’altra interessante novità riguarda il peso delle pozioni, che ora è predefinito e uguale per tutti e non più dipendente dagli ingredienti o dal livello dell’abilità.
Un’abilità che invece ritorna dopo la sua scomparsa in
Oblivion (dove era presente ma in modo marginale e senza influenzare le abilità) è l’incantamento, ossia la possibilità di creare oggetti magici personalizzati. Anche in questo caso occorre accedere all’apposita postazione: per prima cosa sarà necessario apprendere gli incantamenti, e la novità è che questo aspetto non è più legato alle magie conosciute dal personaggio. Per poter applicare, ad esempio, un danno da fuoco a una spada, non servirà a nulla conoscere il relativo incantesimo: bisognerà entrare in possesso di un’arma che fa quel tipo di danno e adoperarla per apprendere l’incantamento. Il processo, però, distrugge l’arma stessa, che magari avremmo potuto rivendere per un buon prezzo: quando decidiamo di distruggere un oggetto magico per apprendere il suo incantamento stiamo in un certo senso facendo un investimento sul futuro, nella speranza di poter realizzare un oggetto ancora migliore quando avremo un altro livello di abilità. Una volta che avremo appreso l’incantamento e che saremo in possesso dell’oggetto su cui operare, ci servirà anche una gemma dell’anima ‘carica’: le gemme si trovano in commercio e anche durante le esplorazioni, mentre il ‘caricamento’ avviene intrappolando l’anima di una creatura uccisa all’interno della gemma, attraverso l’apposito incantesimo (ma in giro si trovano parecchie gemme già cariche). La potenza dell’oggetto dipende dalla qualità della gemma e dell’anima in essa contenuta, oltre che dal livello di abilità.
Un comparto completamente nuovo e decisamente benvenuto è l’abilità del fabbro, tramite la quale il nostro personaggio può crearsi da solo armi e armature. Anche in questo caso occorre accedere a una postazione di lavoro, che è la forgia: attivandola, vedremo comparire un menu che ci presenterà tutti gli oggetti creabili al livello attuale, suddivisi per materiale (pelle, ferro, vetro, ebano…) Se il nostro personaggio è in possesso delle materie prime, potrà creare ciascun oggetto con un semplice clic, vedendo aumentare di conseguenza la sua abilità e potendo rivendere o utilizzare il manufatto appena costruito. Le materie prime (lingotti di metallo, strisce di pelle, gemme preziose) possono essere acquistate o ancora meglio ricavate direttamente dalle fonti: se ci servono pelli basterà andare a
caccia di animali (le pelli grezze andranno trattate nell’apposito attrezzo per la concia prima di poter essere utilizzate), mentre se ci serve metallo sarà il caso di visitare qualche miniera portandoci appresso un piccone (il metallo grezzo andrà poi trasformato in lingotti in una fonderia). Gli oggetti creati, poi, possono essere migliorati all’aumentare della nostra abilità: le armi vanno migliorate agendo su una mola, mentre le armature agendo su un tavolo apposito. Tutto questo nuovo mondo è in grado da solo di aprire pagine inedite per la giocabilità della serie: il vero eroe artigiano organizzerà vere e proprie spedizioni per appropriarsi di una materia prima con cui realizzare l’arma dei suoi sogni, oppure potrà confidare nel suo lavoro alla forgia come fonte di reddito privilegiata.
In generale, lo sfruttamento accurato di abilità come l’alchimia, l’incantamen
to e la forgiatura può far salire di livello il nostro personaggio senza che questi ingaggi un combattimento per ore e ore: un aspetto che curiosamente (ma non troppo) è stato anche criticato dalla comunità, in genere dagli stessi che in altre occasioni si scagliano contro i GdR troppo incentrati sul combattimento.
Skyrim offre anche ulteriori possibilità di dedicarsi alla creazione di oggetti, in ambiti che non sono collegati ad alcuna abilità: è ad esempio possibile rompere la legna su un ceppo, o attivare un calderone e cucinare, e sono disponibili tante ricette differenti! Siamo sicuri che a tempo debito la comunità saprà sfruttare queste possibilità per regalare alla giocabilità di Skyrim nuove profondità.

8. La via dell’oratore
Anche per quel che riguarda i dialoghi Skyrim è ricco di novità rispetto ai capitoli precedenti. Nella serie TES, le conversazioni tra il protagonista e il PnG venivano gestite, in passato, con un sistema basato su argomenti: attivando un personaggio non giocante compariva una lista di temi, il giocatore cliccava su quello che gli interessava e leggeva o sentiva cos’aveva da dire al riguardo quel personaggio. Si tratta di un procedimento certamente criticabile per la sua indeterminatezza e per il suo carattere impropriamente enciclopedico, ma anche perfettamente consono a un prodotto che non ha come obiettivo la costruzione di storie e di personalità, bensì l’evocazione di un mondo ‘neutro’, che sappia ospitare al suo interno qualsiasi comportamento da parte del protagonista.
In
Skyrim, Bethesda ha scelto di rinunciare a tutto questo e di adeguarsi al trend maggioritario: i dialoghi, nel nuovo capitolo della serie, sono gestiti in modo ‘classico’, col sistema della risposta multipla, proprio come nei giochi story-driven. Certo, non ci dobbiamo per questo aspettare conversazioni paragonabili a quelle presenti per esempio nei prodotti Bioware: Skyrim resta pur sempre un gioco world-driven, quindi i dialoghi tendono a essere piuttosto brevi e solo in alcune occasioni lasciano spazio a qualche ‘scelta’. È stato rivisto del tutto, di conseguenza, anche il meccanismo della persuasione, che in Oblivion era concretizzato sotto forma di un minigioco astratto, del tutto slegato dalla giocabilità del titolo e quindi spesso giustamente criticato. La soluzione scelta da Bethesda, però, è ancora una volta sotto il segno dell’adeguamento alla tradizione: di quando in quando, alcune opzioni di dialogo sono ‘marchiate’ con la scritta “persuasione”, “corruzione” o “intimidazione”, e scegliendole si ha successo solo se l’abilità connessa all’oratoria ha un valore sufficientemente alto.
Tutte queste ‘innovazioni’ vogliono probabilmente accontentare richieste in tal senso giunte dalla comunità, o forse cercano solo di rendere il titolo più simile, superficialmente, a quelli a cui il grande pubblico è abituato: in ogni caso a nostro avviso risultano, alla fine, piuttosto insoddisfacenti. Non è scimmiottando i giochi basati sulla narrazione che Bethesda può pensare di conferire ai suoi prodotti una nuova profondità in relazione alla trama o ai dialoghi: questo obiettivo, peraltro, dovrebbe essere del tutto estraneo a chi progetta un GdR basato sulla interpretazione totale. In
Skyrim, i dialoghi ‘classici’ non fanno altro che mettere in impietosa evidenza la loro stessa debolezza, che però è una debolezza intensiva e non estensiva. In altri termini: Skyrim, come Oblivion prima d’esso, è ricchissimo di dialoghi: solo che il mondo di gioco e il numero di PnG che lo popolano sono talmente grandi da far sì che questi dialoghi siano frammentati e distribuiti in modo così ampio da risultare inconsistenti se presi singolarmente. La debolezza dei dialoghi in un gioco come questo, in conclusione, è strutturale: non si può pensare di risolverla, dato che, almeno allo stato attuale della tecnologia, è irrisolvibile. Ma questo non deve rappresentare un cruccio, perché i punti di forza di un gioco siffatto sono altri: il programmatore saggio dovrebbe cercare di mettere a punto un sistema di dialogo che cerchi di mascherare il più possibile questa debolezza, e scimmiottare i ‘grandi’ da questo punto di vista non può essere una soluzione.
Un’altra importante novità connessa al sistema di dialogo è la sua rappresentazione grafica: nei capitoli precedenti della saga, i dialoghi fermavano il tempo di gioco e, in
Oblivion, zoomavano sul volto del PnG coinvolto. In Skyrim invece il tempo non si ferma e non c’è nessuna grafica particolare: semplicemente, compare l’interfaccia del dialogo mentre il PnG continua a fare quello che stava facendo (se stava camminando, però, di solito si ferma). Anche questa è una scelta che ci lascia abbastanza perplessi: il sistema di Oblivion, pur se forse vagamente artefatto, dava vita a dialoghi chiari e puliti, e contribuiva anche a far ricordare di più i volti dei vari personaggi. In Skyrim i PnG spesso parlano nello stesso momento, rendendo le frasi incomprensibili, o si rivolgono al nostro personaggio dandogli la schiena, o vengono interrotti dagli eventi più triviali che si verificano attorno a loro. Anche in questo caso, secondo noi, urge una soluzione alternativa.

Excursus: le razze giocabili di Tamriel

Le razze umanoidi che popolano il mondo di Tamriel sono un punto fermo fin dai primi episodi della saga di TES.
Vediamo come sono cambiati il loro aspetto e le loro caratteristiche in Skyrim.

Gli Elfi Alti (Altmer) provengono dalle isole Summerset e sono la razza dalle origini più antiche in tutto il continente. Il potere da essi emanato, l’Aldmeri Dominion, comandato dalla setta estremista dei Thalmor, ha da poco terminato un lungo conflitto con l’Impero, col quale ha firmato un concordato che prevede la messa al bando del culto di Talos. Per questo motivo, gli Altmer sono in genere assai poco apprezzati dagli abitanti di Skyrim. Questa razza è particolarmente portata per la magia, dato che inizia con un maggior quantitativo di magicka e con valori più alti in tutte le abilità magiche.

I Bretoni sono originari della provincia di High Rock, collocata a nordovest di Tamriel. Sono efficienti soprattutto in ambito magico: hanno infatti una notevole resistenza innata agli incantesimi altrui e in più partono con le abilità arcane a un livello maggiore rispetto a tante altre razze. In Skyrim sono rappresentati come umani d’aspetto mitteleuropeo.

Gli Elfi Scuri (Dunmer) sono originari della provincia di Morrowind: alla loro origine e alla loro storia è dedicato l’omonimo terzo capitolo della saga. Secondo le informazioni che circolano a Skyrim, la loro terra natale è stata quasi completamente distrutta dall’esplosione della Red Mountain, il vulcano posto al centro della medesima: troveremo molti Dunmer soprattutto nella parte orientale di Skyrim, in fuga alla ricerca di un luogo migliore dove stabilirsi. Gli Elfi Scuri sono una razza versatile: hanno buone abilità magiche ma anche valide capacità nel combattimento e nelle arti del sotterfugio, e in più sono resistenti al fuoco.

Gli Argoniani sono rettili antropomorfi provenienti dall’umida provincia di nome Black Marsh. Non sono molto comuni a Skyrim: il più delle volte li troveremo nelle vesti di avventurieri scapestrati che vivono di espedienti e che sperano di ritornare presto in patria. Gli Argoniani sono resistenti alle malattie, possono respirare sott’acqua e sono particolarmente abili soprattutto nelle attività legate al sotterfugio.

Gli Elfi dei Boschi (Bosmer) provengono dalla provincia di Valenwood, a sudovest di Tamriel. Tranquilli e pacifici, sono organizzati secondo schemi semi-tribali e vivono in armonia con la natura e le creature selvagge. Sono resistenti alle malattie e al veleno, possono costringere gli animali a combattere al loro fianco e sono specializzati soprattutto nel tiro con l’arco.

Gli Imperiali sono gli abitanti di Cyrodiil, la provincia centrale di Tamriel nonché il territorio da cui emana il potere che influenza più o meno tutto il continente. Sono la razza più cosmopolita e più meticcia, e dunque in genere anche la più colta e aperta allo scambio. Dal punto di vista della giocabilità, si tratta di una razza duttile, abile sia con le armi sia con le magie di cura, e ha la capacità di ricavare più oro dalle esplorazioni nonché di calmare le creature ostili che la minacciano.

I Khajiit sono felini umanoidi provenienti dalla provincia di Elsweyr, collocata nella parte sud di Tamriel e caratterizzata dalla presenza di deserti, steppe e giungle. A Skyrim la loro presenza è abbastanza discreta: in genere il nostro personaggio li incontrerà come membri di carovane di mercanti, che si accamperanno al di fuori della città spostandosi di quando in quando. I Khajiit sono molto abili nel sotterfugio, e in più hanno la capacità di vedere al buio.

I Nord sono gli autoctoni di Skyrim, quindi si tratta della razza con cui il nostro eroe si troverà a interagire più spesso, nonché la scelta più ovvia se si desidera interpretare un personaggio già in qualche modo inserito nel suo ambiente. Come risulta ovvio dal loro aspetto nerboruto, i Nord eccellono nel combattimento, soprattutto con armi a due mani e armatura pesante, e hanno anche un’innata resistenza alle magie del freddo.

Gli Orchi provengono da una ristretta zona della provincia di High Rock, chiamata Orsinium. Nonostante il loro aspetto assecondi i cliché più stantii (anche se in Skyrim sono significativamente meno ‘verdi’ che nei capitoli precedenti), si tratta di una razza di origine elfica e di indole non necessariamente bellicosa, anche se il loro punto di forza resta il combattimento. A Skyrim non ne incontreremo molti: il più delle volte sono impiegati come mercenari o guardie del corpo.

I Redguard provengono da Hammerfell, provincia occidentale di Tamriel, e sono rappresentati come umani dalla pelle scura. Tra le popolazioni del continente, sono i più esperti nell’arte della navigazione e dell’esplorazione, mentre dal punto di vista della giocabilità sono ottimi e versatili combattenti, dotati di una innata resistenza al veleno.

9. L’interfaccia
Quello rivolto all’interfaccia di Skyrim crediamo sia forse il parere negativo più condiviso in seno alla comunità. In effetti era difficile far peggio di quanto visto in Oblivion liscio o in Fallout 3 (dove però il Pip-boy aveva almeno una sua ragion d’essere squisitamente ‘ambientale’): invece Bethesda è riuscita a superare se stessa.
Premendo il tasto TAB, compare sullo schermo una specie di grande “bussola”, tramite la quale è possibile raggiungere l’inventario, il menu delle magie, il menu delle caratteristiche e la mappa. L’inventario si concretizza come un elenco a scorrimento di categorie di oggetti, posto sulla parte sinistra dello schermo; cliccando su una categoria, si vedranno tutti gli oggetti di quel tipo comparire in un nuovo elenco a scorrimento posto subito a destra del primo. La categoria o l’oggetto posti a metà del menu vengono evidenziati: però è possibile accedere non solo alla categoria o all’oggetto evidenziato, ma a tutti gli elementi che compaiono sullo schermo in quel momento. Ogni oggetto presente nell’inventario viene raffigurato in tre dimensioni, con anche la possibilità di ruotarlo a piacimento: uno sfizio che nella quasi totalità dei casi resta fine a se stesso, dato che sono pochi (e tutti simili) i casi in cui un qualche enigma ci richiede l’analisi attenta di un oggetto. L’inventario non presenta alcuna raffigurazione del nostro personaggio: una scelta, questa, che ha sollevato più di qualche protesta da parte degli appassionati (soprattutto, immaginiamo, da quelli abituati a giocare in prima persona). La sezione dedicata alle magie funziona esattamente nello stesso modo, ma è collocata nella parte destra dello schermo: le categorie si riferiscono alle scuole di magia, mentre ciascun incantesimo è rappresentato tridimensionalmente da una sorta di bagliore di colore di volta in volta differente.
Le scorciatoie da tastiera funzionano in modo decisamente poco intuitivo e assai più complesso rispetto al passato: è necessario prima ‘marchiare’ l’oggetto che ci interessa come “preferito”, poi uscire del tutto dall’inventario o dal menu delle magie, aprire in-game il menu dei preferiti, selezionare la voce che ci interessa e a quel punto premere il tasto con cui vogliamo collegarla.
La sezione dedicata alle abilità, cui abbiamo già accennato in precedenza, è forse la meglio riuscita: ciascun albero di
perk è rappresentato come una costellazione su un suggestivo cielo notturno, ma dobbiamo dire che anche in questo caso la navigazione non è delle più agevoli dato che ogni perk va selezionato e portato in primo piano per poter leggere i suoi effetti.
La mappa è probabilmente la sezione dell’interfaccia più difficile da giudicare: esteticamente è molto appagante, dato che riproduce perfettamente tutto il mondo di gioco in tre dimensioni, tenendo conto anche delle condizioni atmosferiche e dell’ora del giorno. Allo stesso tempo, però, risulta innegabilmente meno pratica delle classiche raffigurazioni in due dimensioni viste nei capitoli precedenti: soprattutto, è spesso complicato comprendere quale sia il percorso più rapido per raggiungere un certo luogo, complice anche il fatto ch
e alcuni elementi del paesaggio, come le strade, non sono nemmeno rappresentati.
Un discorso a parte merita il diario, perché la sua incomprensibilmente pessima realizzazione arriva a inficiare non solo la praticità di utilizzo ma anche la stessa giocabilità, configurandosi forse come il punto più debole in assoluto di tutta la struttura di
Skyrim. Il principio è sempre lo stesso: le missioni sono elencate in un menu verticale scorrevole, che evidenzia il nome di quella posta al centro (anche se quella selezionata è un’altra). Una volta selezionata una missione, vedremo una sua descrizione scandalosamente breve e l’azione che il nostro personaggio deve compiere per proseguirne lo svolgimento: ma i dati offerti sono talmente secchi e univoci da dare spesso l’impressione di star eseguendo ordini provenienti da qualche fantomatico Grande Fratello piuttosto che incarichi accettati volontariamente. L’apoteosi del riduzionismo si raggiunge nella sezione in cui sono riunite le missioni “miscellanee”, cioè minori, ciascuna delle quali è riassunta in una sola frase, la cui lettura, magari dopo ore e ore rispetto a quando la missione si è generata, ci lascerà brancolanti nella più completa oscurità. Potremmo per esempio trovarci a leggere: “vai nella città X e parla con il signor Y”. Ma perché? Chi ci ha dato la missione? E quando? Senza contare che è scomparsa del tutto la possibilità di evidenziare una missione, rendendola di fatto l’unica visualizzata nel diario: questa opzione, presente in Oblivion ma anche in Morrowind grazie alle espansioni, rendeva la lista di tutte le quest un elemento che veniva utilizzato solo di rado, nel momento di passaggio da una missione all’altra, con effetti molto importanti non solo sulla ‘concentrazione’ del giocatore ma nelle stesse modalità di approccio alle missioni. Avere costantemente sotto gli occhi la lista degli incarichi da portare a compimento fa sorgere inconsciamente nel fruitore l’esigenza di risolverli tutti o almeno il più possibile, così da ‘pulire’ il diario; in Morrowind o in Oblivion, viceversa, ricevere missioni e poi ignorarle del tutto era molto più ‘semplice’, dato che quelle missioni avrebbero riposato per sempre in sezioni del diario per lo più nascoste, e sarebbero uscite da lì solo in seguito a precisa volontà del giocatore. Uno dei punti di forza della serie TES è che il sistema di assegnazione dell’esperienza prescinde del tutto dalle missioni, rendendo queste ultime opzionali per davvero e non solo virtualmente come nella maggior parte degli altri titoli: ma un diario come quello di Skyrim vanifica almeno in parte questa caratteristica a suo modo unica, condannando il giocatore che tenta di fare autentica interpretazione ad avere continuamente di fronte una schermata che gli ricorda un sacco di cose ‘in sospeso’, come se completare un GdR volesse dire per forza mettere un segno di spunta su tutte le missioni ricevute.
Un appunto lo merita anche lo stesso stile grafico dell’interfaccia, anche se bisogna ammettere che qui si va più sull’ambito del gusto personale: se
Oblivion offriva schermate e finestre decorate con elementi in bilico tra classicità, Medioevo e Barocco, Skyrim segue una via più minimalista, bandendo qualsiasi superfetazione a favore di una essenzialità che forse sarebbe stata più adatta per un gioco futurista o fantascientifico.

10. La struttura del mondo
L’estensione del mondo di Skyrim è complessivamente paragonabile a quella offerta in Oblivion, anche se la conformazione montagnosa rende impossibile spaziare in tutte le direzioni come nel precedente lavoro di Bethesda. La provincia è suddivisa in nove feudi, ciascuno dei quali fa capo a una città: in realtà, solo cinque sono città vere e proprie, con una propria architettura peculiare e un caricamento separato dal mondo; le altre sono villaggi un po’ più grandi degli altri che punteggiano la mappa. Oltre a questi altri piccoli insediamenti, le terre selvagge sono popolate da immancabili caverne, catacombe, forti in rovina, accampamenti di soldati imperiali e di ribelli, fattorie e tanto altro.
Anche se il paesaggio dominante è quello innevato, non manca una certa varietà di fondo: al centro della provincia c’è una prateria temperata, in alcune zone ci sono paludi, in altre geyser di vapore, in altre ancora profondi canyon scavati da fiumi impetuosi. Scorrazzare all’interno di questo mondo immenso dà una enorme soddisfazione, non solo per la bellezza dei panorami, ma anche perché le ambientazioni sono colme di particolari curatissimi e di sorprese destinate al giocatore più attento.
Il nostro alter ego può correre e camminare, e come in Oblivion può anche comprare (o rubare) un cavallo: l’implementazione di quest’ultimo è del tutto simile a quanto visto nel capitolo precedente della saga, e quindi non molto soddisfacente. I quadrupedi sono animati in modo discutibile, riescono a salire superfici ridicolmente pendenti e non consentono di combattere mentre li si cavalca; oltre tutto, esibiscono un comportamento incomprensibile, alternando arditi attacchi ai nemici a pavide fughe che li rendono talvolta introvabili.
Oltre allo spostamento in tempo reale, comunque, Skyrim offre anche due differenti modalità di viaggio rapido: la prima, identica a quella implementata nel capitolo precedente della saga, consente di portare il proprio personaggio istantaneamente in qualunque luogo precedentemente scoperto, simulando il tempo trascorso durante lo spostamento; la seconda, accessibile a partire da appositi PnG su carretti posti al di fuori delle cinque principali città, consente di raggiungere queste ultime anche senza averle visitate in precedenza.
Il viaggio rapido fu a suo tempo uno degli elementi di Oblivion più aspramente criticati da una parte della comunità: si tratta, in effetti, di un tema parecchio controverso e difficile da giudicare, perché se da un lato non si può negare che in mondi così estesi una qualche forma di spostamento rapido vada per forza implementata (in Morrowind le estenuanti camminate richieste erano senza dubbio un problema), si deve allo stesso tempo affermare che il metodo usato in Oblivion e Skyrim godrebbe di qualche perfezionamento. L’aspetto che lascia più perplessi è forse il fatto che è quasi qualunque missione a richiedere grandi spostamenti: questo rende il viaggio rapido una necessità continua, che nell’arco di poco tempo arriva a ‘rompere’ l’unitarietà del mondo, trasformando il nostro personaggio in una trottola che si teletrasporta qua e là e trasformando di conseguenza ogni luogo da questi visitato in una sorta di dimensione parallela anziché contigua alle altre. La questione è più importante di quel che sembra a un primo pensiero: qual è l’utilità di costruire minuziosamente un mondo vastissimo e ‘continuo’ se poi la modalità più consueta di spostamento al suo interno è il trasporto istantaneo, come nei giochi che presentano un mondo suddiviso in ‘mappe’ separate? Ci vengono in mente modi differenti per migliorare la situazione: il più saggio potrebbe essere organizzare le missioni in maniera meno ‘universale’ e più ‘locale’, almeno per quel che riguarda gli incarichi secondari; ma un’altra soluzione potrebbe essere calibrare meglio la posizione dei punti verso cui si può viaggiare velocemente, concentrando magari l’attenzione solamente sugli insediamenti pacifici o sui più importanti incroci stradali, così che il raggiungimento di un luogo impervio risulti sempre un’impresa di una certa sostanza.

11. La struttura delle missioni
Qualche lettore potrebbe chiedersi: come mai le critiche al sistema di viaggio rapido appena esposte non sono state rivolte a suo tempo anche a Oblivion, che usava lo stesso sistema? La risposta a questa domanda è molto semplice: perché in Oblivion la differente articolazione delle missioni rendeva i problemi sopra esposti ben poco importanti rispetto a quel che accade in Skyrim.
Se paragonato al precedente capitolo della saga, infatti, l’ultimo lavoro di Bethesda soffre di una grave bulimia, anzi quasi di una sorta di horror vacui, concretizzato nella moltiplicazione esponenziale delle missioni offerte al nostro alter ego. Quest’ultimo, complice anche il già trattato funzionamento del diario, si troverà presto davanti a una lista debordante di compiti da svolgere, molti dei quali si riducono peraltro all’uccisione di una creatura o al ritrovamento di un oggetto, con la conseguente riduzione ai minimi termini del canovaccio narrativo. Intendiamoci: le missioni complesse e articolate ci sono, e sono in numero paragonabile a quelle viste in Oblivion; solo che oltre a queste ci sono anche decine e decine di missioni secondarie, legate o meno alle vicissitudini di qualche gilda.
Cerchiamo di chiarire meglio la faccenda. Anzitutto diciamo che le gilde, vero centro nodale della giocabilità della serie, sono in numero di sei maggiori e quattro minori: le prime sono la gilda dei guerrieri (i Compagni), la gilda dei maghi (il Collegio), la gilda dei ladri, la confraternita oscura (Dark Brotherhood), l’esercito imperiale e l’esercito ribelle (gli Stormcloack); le seconde sono i Greybeards (maghi eremiti, custodi del linguaggio draconico), i bardi, le Blades (guardie dell’imperatore) e il Tempio. Se si escludono i due eserciti impegnati nella guerra civile, le cui missioni sono reciprocamente escludenti e capaci di influenzare in profondità l’organizzazione stessa della provincia, ciascuna gilda ha la sua questline indipendente: il giocatore può scegliere di dedicarsi completamente a una fazione, oppure aderire a più di una o anche a (quasi) tutte.
Le quattro gilde principali (guerrieri, maghi, ladri e assassini) consentono la ‘scalata’ al vertice, come nei precedenti capitoli della saga; le altre conferiscono semplici missioni secondarie, in genere collegate col ritrovamento di qualche oggetto. Anche le fazioni principali, però, sono corredate da decine e decine di missioni ‘miscellanee’, che vengono offerte al personaggio sia durante la ‘scalata’ sia al termine della medesima, e che, letteralmente, non finiscono mai.
Questa inedita caratteristica si spiega attraverso la nuova idea etichettata da Bethesda Radiant Story e che potremmo chiamare, più prosaicamente, contenuto generato casualmente. A dire il vero, questa definizione non è del tutto corretta: le cosiddette radiant quest sono missioni che seguono tutte lo stesso canovaccio (vai nel luogo X a recuperare/uccidere l’oggetto/personaggio Y) e che determinano l’identità delle variabili sia ‘pescando’ casualmente da un calderone di elementi prestabiliti sia tenendo in considerazione quel che ha già fatto il giocatore. Le precedenti azioni del nostro eroe possono, ad esempio, determinare l’obiettivo della missione, dato che il gioco tenterà di inviarci in un luogo non ancora visitato, ma anche l’identità del personaggio che ce la darà, dato che se il ‘capo’ di un certo nucleo familiare sarà perito, gli subentrerà la moglie o la figlia o la sorella. È più corretto, dunque, parlare di contenuto procedurale, cioè generato in automatico ma con l’obiettivo di risultare in qualche modo in continuità con i contenuti scriptati, ossia prestabiliti dai programmatori.
Giudicare questo aspetto di Skyrim è parecchio complicato, dato che l’esperienza diretta richiederebbe addirittura più partite, e sappiamo tutti che una partita singola a un gioco della serie TES può durare letteralmente centinaia di ore: quindi rimandiamo un commento più circostanziato a una seconda recensione che arriverà nei prossimi mesi. Per il momento ci limitiamo a fare una semplice riflessione, sotto forma di domanda: era davvero necessario aumentare indefinitamente il numero di quest? Noi sinceramente non ricordiamo una sola recensione di un passato gioco della serie TES che indicasse come un problema la scarsità di missioni: anzi, semmai molte ‘analisi’ scritte da hater lamentavano una presenza eccessiva di contenuti, a scapito della qualità dei medesimi. Intendiamoci: chiunque abbia compreso la filosofia dei TES sa che in essi la quantità equivale alla qualità, dato che l’interpretazione, nella serie di Bethesda, si concretizza soprattutto nella possibilità di scegliere non come concludere una missione (se non dal punto di vista del metodo per annichilire il nemico), ma quali missioni svolgere e quali ignorare del tutto.
Eppure noi siamo convinti che, da questo punto di vista, Morrowind e, in misura minore, Oblivion avessero raggiunto un equilibrio quasi perfetto, soprattutto nel rapporto tra missioni di gilda, e quindi riservate a determinati personaggi, e missioni generiche, e quindi aperte a tutti. Skyrim non solo aumenta insensatamente il numero di incarichi conferiti al personaggio, col risultato di banalizzarne l’avventura, ma risulta anche pericolosamente sbilanciato verso le missioni secondarie aperte a tutti, tradendo la centralità delle gilde, che nella maggior parte dei casi possono essere ‘scalate’ in un tempo ridicolmente corto e che, come se non bastasse, hanno una sede unica e quindi sembrano realtà locali, incapaci di spingere il giocatore a esplorare il mondo, del tutto prive di un orizzonte che conferisca a ciascuna località una salienza diversa sulla base della fazione di appartenenza del protagonista.

12. Draghi!
Una delle più importanti novità presentate da Skyrim, e anche una delle più alte vette raggiunte dal titolo, è senza dubbio costituita dall’implementazione dei draghi. Sembra strano affermare una cosa del genere, dato che i lucertoloni volanti rappresentano per certi versi un vero e proprio clichè del fantasy medievaleggiante, e infatti risultano presenti in tantissimi altri GdR, anche in molti di quelli recensiti in questo sito. Eppure la loro realizzazione effettiva è sempre stata, fino a questo momento, decisamente insoddisfacente: in molti giochi, i draghi sono incollati al suolo, con tutte le (ridicole) conseguenze del caso; in altri svolazzano via periodicamente ma poi tornano immancabilmente a terra quasi a ‘chiederci’ di essere sconfitti; in altri ancora possono essere combattuti solo tramite rigorose sequenze scriptate, ottime per conferire epicità allo scontro ma un po’ meno per chi punta a combattimenti fluidi e privi di macchinosità.
Ebbene, Skyrim risolve in maniera brillante tutti questi problemi, regalandoci finalmente draghi che, pur essendo assolutamente non scriptati e quindi ottimamente fusi col resto del gioco, si comportano in maniera realistica e credibile, oltre a essere caratterizzati da una epicità e da una maestosità davvero notevole. Se si eccettuano quelli incontrati durante la trama principale, i draghi semplicemente si muovono nel mondo di gioco, o in maniera del tutto libera oppure gravitando attorno a luoghi che rappresentano in un certo senso la loro ‘casa’ (tane o sepolcri draconici): quando qualche creatura li attacca, essi rispondono cercando di difendersi, e nel farlo utilizzano sia il proverbiale ‘soffio’, che può essere di vario tipo a seconda della specie del drago, sia lo scontro diretto, scendendo a terra e menando fendenti con zampe e coda, oltre che morsi con la bocca.
Generalmente, l’incontro con un drago inizia con un tremendo ruggito che echeggia in cielo: a quel punto dovremo alzare lo sguardo e cercare il responsabile, che vedremo solitamente sfrecciare sopra la testa del nostro eroe, con appositi e azzeccatissimi effetti di vibrazione della telecamera a simulare la possanza del mostro. Il drago potrebbe essere semplicemente ‘di passaggio’: in questo caso lo vedremo passare e involarsi all’orizzonte; a volte, ci capiterà di scorgere un drago lontano e di ammirarlo sbattere le ali nella foschia dello sfondo, diretto verso chissà dove e per chissà quali motivi. Nella maggior parte dei casi, però, il drago si dimostrerà interessato al nostro eroe e inizierà a volteggiare sopra la sua testa; se in quel momento ci troviamo nelle terre selvagge, la prossima mossa spetterà a noi. Se il nostro personaggio ha a disposizione un incantesimo o un arco, potrà tentare di ferire il drago mentre vola: il mostro non impiegherà molto a rispondere al fuoco, abbassandosi e colpendo l’eroe col suo soffio, oppure atterrando e cercando lo scontro diretto. Se viceversa il nostro alter ego è armato solo con spade o asce, ci toccherà seguire le ‘decisioni’ del drago, che potrebbe bersagliarci per un po’ col suo soffio senza darci possibilità di rispondere (ma in genere con un po’ di pazienza lo si vedrà finalmente atterrare); a volte, però, si annoierà di inseguire un nemico incapace di colpirlo e se ne andrà. Se lo scontro avviene in città, le cose saranno ben diverse: i cittadini fuggiranno terrorizzati dentro le loro case, ma le guardie inizieranno a bersagliare il mostro con le frecce, spingendolo a rispondere al fuoco. Il nostro eroe, volendo, può anche restare a guardare: ma naturalmente sarà molto più interessante intervenire, e dovremo adeguarci strategicamente all’andamento dello scontro, evitando di ferire guardie o cittadini e seguendo i movimenti del drago, che in città può non solo volare e atterrare ma anche appollaiarsi sui tetti delle case e bersagliarci col suo soffio rimanendo al di fuori della portata delle armi bianche. I combattimenti con questi mostri possono avere esiti davvero imprevedibili: ferendo gravemente il drago in volo, potrà capitarci di vederlo precipitare rovinosamente al suolo, modificando anche la conformazione del terreno nel punto in cui la sua possente mole lo colpisce.
Una volta avuta ragione del mostro, succederà una cosa inizialmente inspiegabile: il suo cadavere prenderà fuoco e scomparirà in pochi istanti, lasciando solo un enorme scheletro, mentre un fascio di luce circonderà il nostro eroe, che riceverà subito dopo l’annuncio di aver assorbito l’anima del drago. La capacità di assorbire queste anime è la più importante caratteristica del Dragonborn, e ha un preciso risvolto in termini di giocabilità. Il nostro alter ego, infatti, ha la capacità di lanciare ‘urli’ in linguaggio draconico: questi urli provocano gli effetti più disparati, da danni ai nemici in combattimento a barriere difensive a evocazione di alleati e tanto altro ancora. Per poter lanciare un urlo, bisogna anzitutto imparare almeno una delle ‘parole’ che lo compongono (ciascun urlo è composto da tre parole) e poi sbloccarle attraverso, appunto, le anime dei draghi uccisi. Le parole si apprendono sia durante la missione principale sia avvicinandosi ai cosiddetti word wall, ossia strutture di pietra simili a muri semicircolari, che si trovano in genere al termine dei dungeon più elaborati (ma ce ne sono alcuni anche all’aperto). Un urlo imparato e sbloccato può essere selezionato e poi lanciato tramite il tasto Z; se è composto di più parole, però, per lanciarlo interamente dovremo tenere premuto il pulsante per un po’, rendendo vulnerabile il personaggio (ma in genere l’effetto di un urlo prolungato è talmente eclatante da giustificare questo rischio).
In Skyrim i draghi rappresentano senza dubbio una delle punte di diamante del prodotto: ben implementati, ben animati, non troppo invasivi né eccessivamente rari. L’unico appunto che si può muovere a essi è collegato all’annoso problema del sistema di livellamento automatico. Oblivion fu duramente criticato per questo aspetto, così in Skyrim Bethesda è corsa parzialmente ai ripari: il livellamento automatico è ancora presente, ma è organizzato in maniera più razionale, sulla base della suddivisione in zone del territorio. In generale, il livello delle creature che popolano una zona è calibrato sul livello dell’eroe che visita quella zona la prima volta; però in alcuni punti sono comunque previste creature potenti in ogni caso, quindi un personaggio non sufficientemente forte sarà costretto a tornare sui suoi passi e a riprovare a passare da quelle parti più avanti; inoltre, le creature più deboli continuano a essere presenti fino alla fine, dando al giocatore la tangibile sensazione di aver fatto crescere in potenza il proprio alter ego. Il sistema è senza dubbio valido, anche se non mancano i problemi: continuano, per esempio, a subire il livellamento anche gli oggetti, ed è ben strano che improvvisamente tutti i fabbri della provincia abbiano in vendita lingotti di metallo prezioso che prima non avevano. E poi c’è, come dicevamo, il problema dei draghi: essendo in qualche modo legati alla trama principale, essi risultano calibrati sempre sulla potenza dell’eroe, col risultato che a volte si creano situazioni paradossali, come ad esempio il fatto che, ai livelli più bassi, appare molto più complicato sconfiggere un troll o un gigante che non un possente drago.

Excursus: le abilità e i perk

Come spieghiamo ampiamente anche nel testo principale, in Skyrim le abilità che gestiscono la crescita del personaggio sono state ampiamente riviste e arricchite dall’elaborato sistema dei perk. Vediamo la situazione più nel dettaglio, analizzando lo sviluppo di ciascuna ‘costellazione’ in cui si concretizzano le varie abilità; rivolgeremo particolare attenzione soprattutto ai perk apicali, sbloccabili solo quando la relativa abilità raggiunge il valore massimo (100).

Abilità di combattimento

L’abilità Archery gestisce il combattimento a distanza con l’arco. Tra i perk più interessanti, segnaliamo quelli che consentono di zoomare mentre si prende la mira, rallentando anche lo scorrere del tempo. Il perk apicale dà un 15% di possibilità di paralizzare chiunque venga colpito da una nostra freccia.

L’abilità Block gestisce le parate, sia con un’arma sia con lo scudo (queste ultime sono ovviamente molto più efficienti). Il perk più utile è senza dubbio quello che sblocca la possibilità di effettuare uno shield bash, ossia un colpo con lo scudo atto a interrompere la mossa nemica. Il perk apicale consente di atterrare i nemici effettuando uno sprint con lo scudo alzato.

L’abilità Heavy Armor gestisce l’uso delle armature pesanti. Tra i perk più interessanti, segnaliamo quello che annulla il peso dell’armatura pesante quando questa viene indossata (ottimo per chi vuole trasportare tutti i tesori possibili). Il perk apicale dà un 10% di probabilità di riflettere il danno al nemico se si indossa una armatura pesante completa.

L’abilità One Handed gestisce il combattimento con armi a una mano (è stata eliminata infatti l’artefatta distinzione tra spade e armi contundenti vista in Oblivion, scegliendo una più razionale distinzione tra armi a una e a due mani). Quasi tutti i perk sono dedicati a chi combatte con una sola arma o con arma e scudo, ma un ramo è appannaggio di chi preferisce il combattimento con due armi. Il perk apicale dà il 25% di possibilità di paralizzare il nemico a ogni colpo caricato arretrante.

L’abilità Smithing gestisce la creazione e il miglioramento di oggetti attraverso le attrezzature del fabbro. La ‘costellazione’ si divide in due rami, a seconda della preferenza tra armature leggere o pesanti. Il perk apicale consente di forgiare potentissime armature di scaglie di drago, che possono essere sia leggere sia pesanti a seconda del diverso materiale utilizzato.

L’abilità Two Handed gestisce il combattimento con armi a due mani. Oltre al ramo principale, esistono tre rami secondari che consentono di specializzare il proprio personaggio nelle spade, nelle asce o nei martelli. Il perk apicale dà il 25% di possibilità di paralizzare il nemico a ogni colpo caricato arretrante.

Abilità magiche
Nota: tutte le abilità magiche hanno come ramo principale una serie di perk che consente di spendere meno magicka quando si lanciano incantesimi di quella scuola.

L’abilità Alteration gestisce gli incantesimi di manipolazione del mondo. Concretamente, all’interno di questa scuola si trovano magie di protezione, illuminazione, paralisi (in precedenza questi ultimi due erano nella scuola Illusion), telecinesi, individuazione della vita (in precedenza questi ultimi due erano nella scuola Mysticism, scomparsa). Il perk apicale consente di assorbire, sotto forma di magicka, il 30% degli incantesimi ricevuti.

L’abilità Conjuration consente di evocare armi con cui combattere o creature da far combattere assieme al (o al posto del) protagonista. Il perk più curioso dà alle armi evocate la capacità di assorbire l’anima dei nemici, funzionando così in sinergia con l’abilità di incantamento. Il perk apicale consente di evocare contemporaneamente due creature alleate.

L’abilità Destruction gestisce gli incantesimi di danno da fuoco, da gelo e da fulmine. Tre rami indipendenti consentono di specializzare il protagonista in un tipo di danno a scapito degli altri. Stranamente, questa scuola non offre un perk apicale diverso da quello ‘normale’ che consente di dimezzare il costo in magicka degli incantesimi più potenti.

L’abilità Enchanting gestisce l’incantamento di oggetti, un gradito ritorno dopo la sua eliminazione in Oblivion. Un perk curioso consente di ricaricare parzialmente un’arma magica ogni volta che si dà un colpo mortale a una creatura nemica. Il perk apicale consente di conferire due effetti magici distinti a un singolo oggetto.

L’abilità Illusion gestisce gli incantesimi che manipolano la mente del nemico. Nell’ambito di questa scuola si trovano magie che pacificano il nemico, lo spaventano o lo costringono a combattere contro i suoi alleati, ma anche magie di invisibilità e movimento furtivo (non esiste più, però, la magia chamaleon, che nei titoli precedenti era quasi un cheat). Non esiste un perk apicale vero e proprio, ma uno dei perk di alto livello consente di manipolare anche le ‘menti’ di automi e non morti.
L’abilità Restoration gestisce gli incantesimi di cura, di protezione dai danni e di repulsione dei non morti (in precedenza appartenente alla scuola Conjuration). Facciamo notare che da Skyrim sono scomparsi gli incantesimi di assorbimento (in Morrowind facevano parte della scuola Mysticism, in Oblivion della scuola Restoration). Anche in questo caso non esiste un vero e proprio perk apicale.
Abilità del sotterfugio

L’abilità Alchemy, stranamente collocata tra le abilità del ladro anziché tra quelle del mago, gestisce la creazione di pozioni e veleni. Tra i perk più interessanti, quello che consente di ricavare più ingredienti dalle piante. Il perk apicale consente di rimuovere ogni effetto negativo dalle pozioni e ogni effetto positivo dai veleni.
L’abilità Light Armor gestisce l’uso delle armature leggere. La ‘costellazione’ dei perk è simile a quella delle armature pesanti: anche qui c’è il perk che annulla il peso dell’armatura, mentre il perk apicale dà il 10% di possibilità di evitare del tutto il danno se si indossa una armatura leggera completa.
L’abilità Lockpicking gestisce lo scassinamento delle serrature. Si tratta forse dell’unica abilità che si può padroneggiare al massimo anche senza investire punti nei relativi perk, la cui utilità rimane tutto sommato secondaria. Il perk apicale rende indistruttibili tutti i grimaldelli.
L’abilità Pickpocket gestisce il borseggio ed è una abilità completamente nuova dato che in passato quest’ambito era inserito nel movimento furtivo. Un perk utilissimo per tutti i personaggi aumenta il peso massimo trasportabile, mentre il perk apicale consente di rubare anche gli oggetti equipaggiati (rendendo possibile disarmare un nemico prima di combatterlo!)
L’abilità Sneak gestisce il movimento furtivo ed è essenziale non solo per i ladri ma anche per chi vuole sfruttare al meglio il combattimento a distanza. Uno dei perk più curiosi consente al personaggio di attraversare le trappole senza attivarle, mentre il perk apicale rende il nostro alter ego invisibile per qualche istante ogni volta che entra in modalità furtiva, anche nel bel mezzo del combattimento.
L’abilità Speech gestisce sia la persuasione sia il commercio, riunendo due abilità precedentemente indipendenti. È interessante per tutti il perk che consente di vendere qualunque oggetto a qualunque mercante, mentre il perk apicale rende automaticamente più ricchi tutti i venditori della provincia, consentendo scambi maggiori.

13. PnG e compagni di viaggio
In Skyrim i personaggi non giocanti continuano a essere controllati dalla Radiant AI già vista all’opera in Oblivion: non ci sono dunque differenze di rilievo rispetto al precedente capitolo della saga, se non dal punto di vista delle animazioni. Questo comparto è stato molto arricchito, e la cosa ha innegabili conseguenze a livello di atmosfera: vedremo i personaggi intenti nei loro lavori compiere i gesti più diversi, dal fabbro che opera nella forgia al taglialegna che armeggia con la sua ascia, dal contadino che zappa al minatore che scava col piccone… ma vedremo anche ubriachi che barcollano fuori dalle locande piuttosto che oziosi appoggiati alle ringhiere e alle colonne intenti a commentare l’ultimo gossip.
Una novità importante è che finalmente sono stati introdotti i bambini, inspiegabilmente assenti nei capitoli precedenti della saga: il più delle volte si limiteranno a correre e giocare in giro per la città (e in qualche caso il nostro personaggio potrà unirsi a loro nei giochi!), ma non manca qualcuno dotato di un ruolo importante nelle missioni. Onde evitare problemi con la censura, Bethesda ha deciso di rendere immortali i bambini: tutti gli altri personaggi, tranne quelli essenziali per lo svolgimento delle più importanti missioni, possono essere attaccati e uccisi liberamente, purché il nostro eroe sappia poi gestire le conseguenze dei suoi crimini.
Qualche miglioramento rispetto ai capitoli precedenti della saga c’è anche nella gestione del feedback ricevuto dal protago
nista rispetto alle sue azioni, anche se si tratta senza dubbio di un aspetto ancora ampiamente perfezionabile: capita spesso che i compagni di gilda rivolgano all’eroe la frase riservata alle matricole anche quando questi è già arrivato al vertice, e capita altrettanto spesso che personaggi del tutto estranei alle sue azioni (principalmente le guardie) si mostrino in possesso di conoscenze che dovrebbero essere segretissime. In alcuni casi, la volontà di approfondire la simulazione ha spinto Bethesda verso scelte assai discutibili: per esempio, ci sono PnG che sono disposti a sposare il nostro eroe in seguito a una sua semplice domanda, con risultati che non esiteremmo a definire ridicoli, degni di un gioco come Fable.
Un’altra novità importante è la presenza di PnG che possono seguire il protagonista nelle sue avventure, in modo non troppo diverso da quel che si sperimenta in
Fallout: New Vegas: a volte si tratta di mercenari che richiedono un semplice pagamento in denaro, altre volte si tratta di personaggi che si mettono a disposizione dell’eroe dopo che questi ha svolto per loro una qualche missione importante. I nostri compagni di viaggio si comportano autonomamente, ma sono in grado di seguire alcuni ordini rudimentali: si può chieder loro di attaccare, di aspettare in un certo luogo, di trasportare oggetti e anche di azionare meccanismi come leve o catene; possono essere uccisi normalmente in combattimento, quindi occorrerà prestare parecchia attenzione (anche se in genere quando sono gravemente feriti si arrendono, spingendo i nemici a cercare un nuovo bersaglio). I compagni di viaggio sono un’aggiunta interessante, ma l’implementazione è lungi dall’essere perfetta: in più di una occasione i nostri alleati sono più un fastidio che una risorsa, per esempio quando vogliamo tentare un approccio furtivo, e le loro personalità sono praticamente inesistenti, rendendo impietoso qualunque confronto con i giochi che fanno di questo aspetto uno dei propri punti di forza.

14. Grafica e sonoro
Gli annunci di Bethesda precedenti la pubblicazione di Skyrim parlavano di un motore grafico completamente nuovo, battezzato Creation Engine. Basta però entrare in contatto col gioco per pochi istanti per rendersi conto che questi annunci erano solo in parte veritieri: il nuovo capitolo della saga di TES è costruito in realtà attorno a una versione, pesantemente modificata ma ancora perfettamente riconoscibile, dell’onnipresente Gamebryo, il motore grafico messo a punto per Oblivion e poi utilizzato per tantissimi altri titoli (Fallout 3, Fallout: New Vegas, Divinity 2). La principale differenza tra quest’ultimo e il nuovo motore è che Bethesda ha messo da parte molti middleware, ossia sistemi software che gestivano una parte della grafica, come Facegen per i volti e Speedtree per gli alberi, sviluppando in proprio tutti questi aspetti e limitandosi ad appoggiarsi a Havok per la fisica. Il risultato è senza dubbio apprezzabile, anche se ovviamente non possiamo dire di essere di fronte a quel salto grafico generazionale che si è visto sia al passaggio da Daggerfall a Morrowind sia al passaggio da quest’ultimo a Oblivion.
Il motore di gioco di Skyrim sa costruire paesaggi profondi, realistici ed evocativi, e soprattutto appare in grado di gestire la linea dell’orizzonte in maniera molto migliore di Oblivion: alcune vedute dell’innevata provincia settentrionale di Tamriel sembrano quadri di ispirazione romantica o simbolista, pervasi da sensazioni di orrido e di sublime, mentre le architetture cittadine e gli interni dei dungeon, assai più curati ed elaborati di quelli visti in passato, risultano sempre fortemente caratterizzati e realisticamente intrisi di un passato concretizzato attraverso stratificazioni e trasformazioni storiche, visualizzate oltre che descritte.
Più problematico, come sempre, risulta il comparto relativo alle animazioni, che noi personalmente troviamo perfino peggiori di quelle viste in Oblivion, almeno per quel che riguarda il personaggio giocante: la situazione è già migliore se parliamo delle creature nemiche, che in taluni frangenti (emblematico è il caso dei draghi) sono animate in maniera davvero superba. Alcuni aspetti della grafica sono semplicemente scandalosi e andrebbero corretti al più presto: ci riferiamo, per esempio, al fatto che continua a piovere e nevicare al coperto e sott’acqua, o al fatto che personaggi e creature non lasciano mai alcun tipo di impronte, nemmeno sulla neve fresca. A proposito di neve: si è fatto un gran parlare, nei mesi precedenti la pubblicazione del titolo, della neve “dinamica” che Skyrim avrebbe implementato. L’effetto finale è abbastanza deludente: durante le tempeste di neve, le texture del terreno diventano progressivamente più bianche, per poi tornare all’aspetto iniziale alla fine della perturbazione.
Per quel che riguarda il sonoro, c’è poco di che lamentarsi: le tracce musicali, composte dal grande Jeremy Soule, sono epiche e di grande atmosfera, in particolare la traccia principale, che è una nuova rielaborazione del motivo ideato per Morrowind e ripreso anche in Oblivion. Le voci, almeno per quel che riguarda la versione inglese, sono molto curate e si ripetono con molta minor frequenza che in Oblivion, dove ogni razza aveva in pratica un unico doppiatore; una curiosità da far notare è che ora nelle taverne potrà capitarci di incontrare dei bardi, che canteranno davvero le loro canzoncine, alcune delle quali (in totale sono quattro) sono assai suggestive e hanno già avuto varie re-interpretazioni su Youtube.

15. Conclusioni
Come facciamo spesso, abbiamo deciso di dedicare gran parte dello spazio di questa recensione ai difetti e agli elementi che ci destano maggior perplessità: ma la coccarda che abbiamo dato a Skyrim dovrebbe chiarire senza ombra di dubbio che anche l’ultimo lavoro di Bethesda si configura, secondo noi, come un autentico capolavoro.
Il vero punto di forza della saga The Elder Scrolls, ribadito in pieno anche da questo ultimo capitolo, è la sua unicità: i suoi autori possono innovare quanto vogliono e fare tutti i passi falsi del mondo, ma finché non tradiranno la filosofia di fondo della serie, per quanto ci riguarda, avranno raggiunto il loro obiettivo.
Giudicare un gioco come Skyrim adesso, peraltro, è prematuro e forse anche un po’ inutile: non solo perché gli episodi di questa collana tendono a migliorare col tempo come il buon vino, ma anche perché siamo ancora in una fase precocissima, dato che sono attese altre patch ufficiali e soprattutto dato che deve ancora essere rilasciato l’editor che darà vita a decine di migliaia di mod, atti a personalizzare ulteriormente l’esperienza di gioco.
Quel che è veramente importante sottolineare, comunque, è soprattutto il fatto che, da quando questa serie è nata, non esiste alcun altro titolo sul mercato che consenta di interpretare un personaggio con lo stesso piglio universale e simulativo: questa affermazione vale ancora e di più anche per Skyrim. Immaginate la situazione di partenza descritta velocemente in questo articolo, immaginate il personaggio che vorreste impersonare nell’ambito di quella situazione: fate partire il gioco e impersonatelo. Non c’è una storia da seguire, o meglio c’è ma non è così importante: Skyrim vi consente di fare qualsiasi cosa, dall’avventuriero al mercante, dal fabbro all’alchimista, dal mago al semplice turista, e ve lo consente senza darvi mai l’impressione di non star davvero sfruttando il gioco o di star perdendo qualcosa di essenziale.
La formula della serie The Elder Scrolls è davvero una formula magica: ci spiace che nessun’altra casa di sviluppo raccolga davvero la sfida, ma ci spiace ancora di più per quei giocatori che sono immuni all’incantesimo.

Tre pregi di Skyrim
Tre difetti di Skyrim
Interpretazione totale ai massimi livelli
Interfaccia poco gradevole e poco intuitiva
Contenuti incredibilmente vasti e altrettanto incredibilmente curati
La scomparsa delle caratteristiche di base dei personaggi non ci convince
Giocabilità molto varia e sempre funzionale
Il sistema di dialogo ‘tradizionale’ è poco adatto allo spirito della serie

2 thoughts on “The Elder Scrolls V: Skyrim”

  1. Scusami, dove sono finite le tue magnifiche recensioni su Oblivion e altri RPG più vecchi?
    Quella di Oblivion in particolare dove spiegavi anche la profondità e le chicche del gioco con esempi di NPC misteriosi o dei bastoni degli Sciamani Goblin che portati nella tana di Goblin nemici scatenavano una guerra… ?

    1. Mosè Viero

      Ciao Luca!
      Tranquillo, quelle recensioni esistono ancora. Semplicemente, devo ancora trasferirle sulla nuova piattaforma. Porta pazienza e presto torneranno disponibili!
      Grazie per i complimenti!

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