La terza e ultima espansione ufficiale per Skyrim aggiunge all’immenso mondo presente nel gioco base una nuova appendice, peraltro già visitata durante Morrowind, ossia l’isola di Solstheim. Varrà la pena imbarcarsi per la nuova destinazione?
[articolo originariamente pubblicato il 17 ottobre 2013]
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1. Mondo vero e marketing
In questo sito abbiamo più volte espresso la nostra perplessità riguardo le modalità con cui Bethesda espande i titoli della serie The Elder Scrolls: dato che in questi giochi la quantità di contenuti è semplicemente abnorme, di tutto si sente il bisogno tranne che di nuove mappe da esplorare. Più saggio sarebbe, piuttosto, arricchire il mondo già costruito aggiungendo nuove gilde o magari espandendo quelle già presenti con nuove trame o sotto-trame: discorso che vale ancora di più nel caso di Skyrim, dato che uno dei limiti maggiori dell’ultimo capitolo della saga è, secondo noi, la limitatezza delle questline collegate alle maggiori fazioni.
Certo, più volte abbiamo anche affermato che, nella serie The Elder Scrolls, la quantità equivale alla qualità: da questo punto di vista non ci si può certo lamentare quando gli sviluppatori investono tempo e denaro nella creazione di nuovi contenuti, quali essi siano. Non possiamo d’altro canto negare che ci piacerebbe vedere questi sforzi andare verso il progressivo perfezionamento del mondo di gioco ‘vero’, quello dove volenti o nolenti si passa gran parte del tempo dell’interpretazione, invece che verso l’evocazione di nuove avventure basate su altisonanti inedite abilità che il più delle volte lasciano il tempo che trovano (vedi la trasformazione in Signore dei Vampiri in Dawnguard).
Eppure, a Bethesda piace cercare l’annuncio roboante. Accomodiamoci dunque dentro la terza e ultima espansione per Skyrim, Dragonborn, dove la nuova altisonante abilità è la possibilità di addestrare e cavalcare i draghi: un’opzione che, lo diciamo fin dal principio, è forse ancora meno importante, in termini di giocabilità ‘vera’, della trasformazione di cui sopra. Si può vivere di soli annunci?
2. Un nuovo Signore dei Draghi
Una volta installata l’espansione, il nostro eroe inizierà a subire attacchi da parte di strani figuri adornati da inquietanti maschere tentacolate. Una nota trovata in uno dei loro cadaveri rivelerà che sono al servizio di un certo Miraak, che ha la sua base nell’isola di Solstheim, a nordovest di Morrowind: per raggiungerla, dovremo cercare una barca nel porto della città di Windhelm. Approderemo nell’insediamento di nome Raven Rock, a sudest dell’isola, che si trova sotto la giurisdizione della casata Redoran. Lì il nostro eroe scoprirà che il nome Miraak è conosciuto da tutti, ma che nessuno sa spiegare esattamente chi sia e cosa voglia: in giro per l’isola, il protagonista si imbatterà in gruppi di persone ipnotizzate, intente a lavorare nella costruzione di templi per adorarlo. L’eroe stesso, in determinate condizioni, può trovarsi nella medesima situazione: il primo obiettivo, quindi, sarà rompere il controllo mentale che Miraak sembra esercitare sugli abitanti di Solstheim.
Miraak è in guerra col nostro eroe per un motivo molto semplice: questo potente mago rivendica di essere l’unico vero Dragonborn, e accusa dunque il protagonista di essere un semplice usurpatore. Come procedere per ristabilire la verità dei fatti? Un possibile percorso ci viene suggerito dagli Skaal, le tribù di nordici che vivono nell’isola. Con l’aiuto decisivo di un mago Telvanni di nome Neloth, il nostro eroe scoprirà che la chiave di tutta la faccenda si trova dentro una serie di libri (i cosiddetti Black Book) che conducono all’interno del regno del principe daedrico Hermaeus Mora, il demone della conoscenza. Esplorandone i recessi, popolati da terribili creature, il protagonista giungerà al confronto finale con Miraak, e potrà liberare Solstheim dall’oscura ombra proiettata da questo potente mago.
3. Cavalcare i draghi
La nuova funzionalità più sbandierata dagli autori è, come dicevamo nell’introduzione, la possibilità di addestrare e cavalcare i draghi. Si tratta di una abilità collegata a un nuovo urlo draconico: imparando le prime due parole potremo rendere temporaneamente nostra alleata qualunque creatura nemica, mentre imparando tutte e tre le sue parole potremo piegare al nostro volere nientemeno che i draghi stessi (tranne quelli collegati alle vicende della trama principale del gioco base). Il drago charmato, per usare un’espressione tipica dei giochi basati su Dungeons & Dragons, atterrerà e offrirà al nostro eroe la possibilità di cavalcarlo.
Attenzione: non bisogna pensare che questo implichi la possibilità di usare i draghi come cavalcature volanti. Il volo, infatti, non è controllabile dall’utente: il drago si limita a muoversi circolarmente sopra l’area dove ci troviamo, individuando tutte le eventuali creature che si trovano nel suo raggio d’azione e che vengono indicate sullo schermo, così da consentire al giocatore di decidere se attaccarle o meno. L’attacco tradizionale si traduce in sequenze scelte casualmente tra il pattern di attacco dei draghi: sputi infuocati o gelati, attacchi in corpo a corpo, colpi di coda. È anche possibile, però, scegliere un attacco magico diretto (non ad area), mentre non è contemplata la possibilità di scagliare frecce.
Come si intuisce da queste poche parole, la possibilità di cavalcare i draghi non si traduce affatto in una radicale trasformazione della giocabilità, concretizzandosi piuttosto come un semplice divertissement, a cui probabilmente i giocatori più abili preferiranno l’attacco normale dell’eroe, più aperto a sperimentazioni creative e decisamente più versatile. Va anche detto che il nuovo urlo draconico diventa disponibile, nella sua forma completa, solo al termine della trama principale di Dragonborn, che pur non brillando per longevità è comunque destinata a personaggi di livello medio-alto: c’è dunque il fondato rischio che questa nuova opzione diventi accessibile solo quando il nostro eroe è ormai quasi al termine della sua ‘vita digitale’, soprattutto se si rientra in quella tipologia di giocatori che preferisce ricominciare dall’inizio per interpretare ogni differente archetipo (guerriero, mago, ladro) anziché cumulare tutte le ‘cariche’ su un singolo personaggio.
4. Operazione nostalgia
Come abbiamo già accennato, Dragonborn è ambientato sull’isola di Solstheim, a nordovest di Morrowind. Non si tratta di una location del tutto inedita: anche la seconda espansione ufficiale di Morrowind, intitolata Bloodmoon, era ambientata nel medesimo luogo. Certo, le cose sono molto cambiate negli anni che intercorrono tra le vicende narrate nei due giochi: in Bloodmoon le uniche presenze ‘civili’ su Solstheim erano un forte della Legione Imperiale e un piccolo insediamento mercantile di nome Raven Rock creato dallo stesso protagonista in una delle sotto-trame, mentre in Dragonborn ci troveremo davanti a una cittadella Telvanni (Tel Mithryn) e a una Raven Rock diventata nel frattempo una città Redoran di medie dimensioni.
Risulta abbastanza evidente che l’intento di Bethesda con Dragonborn è incentrato sulla volontà di solleticare la nostalgia dell’utente, ridando vita alle vecchie atmosfere di Morrowind attraverso le finezze delle tecnologie contemporanee. Ci troveremo quindi di fronte non solo alle creature già incontrate anni or sono nel primo capitolo della serie The Elder Scrolls caratterizzato da enorme successo di pubblico (come per esempio i Netch, docili pachidermi volanti, oppure i Riekling, folletti ostili dalla pelle blu), ma anche alle risorse tipiche dell’isola già patria dei Dunmer, tra cui nuove piante con cui creare pozioni e nuovi materiali con cui forgiare armi e armature. Ma l’evocazione dei bei tempi passati non finisce qui, e prosegue per esempio con le nuove sfavillanti incarnazioni delle architetture Redoran e Telvanni (due casate nobiliari a cui il protagonista, in Morrowind, poteva affiliarsi), o con il ritorno di alcune musiche del gioco originale.
Alcune trovate meritano una sottolineatura ulteriore. In Morrowind, per raggiungere i più potenti maghi Telvanni era necessario padroneggiare l’incantesimo di levitazione, dato che questi maestri dell’arcano sono caratterizzati da uno spiccato isolazionismo e accettano di confrontarsi solo con chi ha un minimo di familiarità con le arti magiche. Da Oblivion, però, l’incantesimo di levitazione è stato abolito, a causa di nuove scelte di design con esso incompatibili (come le città caricate separatamente rispetto al mondo). Come risolvere la faccenda? In Tel Mithryn, il giocatore troverà il suo eroe di fronte a una sorta di “ascensore d’aria”, attivando il quale partirà una animazione che lo vedrà sollevarsi e raggiungere la camera del maestro. Certo, in questo modo, a conti fatti, qualunque eroe può entrare fin da subito in contatto con il potente mago Neloth: ma l’atmosfera originale è perfettamente preservata, e questo è certamente un bene.
5. Il regno della conoscenza
Da Oblivion in avanti, Bethesda si abbandona con gusto all’evocazione dei mondi daedrici, ossia collegati ai “principi dei demoni”, i daedra maggiori. Si tratta delle creature più potenti che abitano nella dimensione parallela chiamata appunto Oblivion: ciascun principe ‘vive’ nel suo specifico ‘piano’, modellato a immagine e somiglianza della sfera di azione di quel principe. Va sottolineato che anche se i principi dei Daedra sono spesso venerati o combattuti dagli abitanti di Tamriel, non possono essere inseriti con agilità nelle ‘normali’ categorie morali, dato che agiscono sulla base di presupposti del tutto diversi da quelli comuni e spesso molto difficilmente comprensibili.
Nell’appena nominato Oblivion il giocatore era chiamato a percorrere con frequenza l’infernale dimensione di Mehrunes Dagon, principe della distruzione e del cambiamento. In Shivering Isles, l’espansione maggiore di Oblivion, l’eroe era invece invitato a penetrare nel bizzarro mondo di Sheogorath, principe della follia. In Dragonborn, tocca alla enigmatica dimensione di Hermaeus Mora, principe della conoscenza e dei ricordi.
Durante la missione principale, l’eroe troverà diversi manufatti chiamati Black Book. Attivandoli, si troverà trasportato in questa nuova dimensione, chiamata Apocrypha, costruita dagli autori con modalità notevolmente suggestive e senza dubbio tra le parti meglio riuscite di Dragonborn. Le differenti parti di questa ambientazione sono composte da enormi pile di libri, disposte in maniera da dar forma a sale e corridoi, come in una sorta di biblioteca infernale. Pagine e frammenti di antichi manoscritti svolazzano qua e là, mentre da pozze di nero liquido oleoso fuoriescono periodicamente letali tentacoli. Ciascun Black Book è suddiviso in vari capitoli, corrispondenti ad altrettante ambientazioni: la trama principale impone di arrivare alla fine di un unico libro, ma il giocatore volenteroso potrà esplorare in profondità tutti i Black Book su cui riesce a mettere le mani, ottenendo ogni volta una differente e sostanziale ricompensa.
Certo, non è tutto oro quel che luccica. La dimensione di Apocrypha è popolata da creature ostili che soffrono di evidenti problemi di bilanciamento, risultando eccessivamente potenti anche per personaggi di livello medio alto (35-40). È questa una vecchia questione, all’ordine del giorno fin dai tempi di Oblivion: Bethesda sembra incapace di mettere a punto un sistema di bilanciamento efficace, ponendo costantemente il giocatore di fronte a creature incoerentemente deboli (come i draghi) o assurdamente forti (come i giganti o appunto i nuovi nemici introdotti da Dragonborn). Ci penseranno con ogni probabilità i modder, ma in futuro contiamo che gli autori si concentrino maggiormente su questo aspetto, decisivo in termini di giocabilità.
6. Conclusioni
Dragonborn non è un cattivo prodotto, anzi per certi versi contiene trovate ottimamente riuscite e mostra quella cura del dettaglio, soprattutto nelle ambientazioni, tipica dei giochi di altissimo livello. Purtuttavia, risulta essere un’espansione niente affatto indispensabile, per varie ragioni già evocate nel corso della recensione: anzitutto perché aggiunge tantissima carne al fuoco a un mondo già incredibilmente vasto come quello di Skyrim; in secondo luogo perché implementa una nuova abilità (l’addestramento dei draghi) di utilità quantomeno dubbia; in terzo luogo perché presenta importanti problemi di bilanciamento dei nemici.
Forse la qualità del positivo surclassa abbondantemente le inconsistenze appena elencate. Il problema principale è che secondo noi il modo migliore per ‘vivere’ i giochi della serie The Elder Scrolls è l’immersione lenta e pausata nella perfetta simulazione offerta da questi prodotti. Chi gioca ‘bene’ ai TES sarà in contatto, per il novanta per cento del suo tempo, con i contenuti pensati per personaggi di livello basso o medio: di qui il nostro scarso entusiasmo per le espansioni che, anziché arricchire quella esperienza (come Hearthfire), aggiungono nuove avventure per eroi ‘stagionati’. Ma c’è chi la pensa all’opposto: in alcune recensioni presenti in rete, per dire, ci si lamenta del fatto che non c’è alcun contenuto per personaggi di livello 50 o 60, un livello che chi interpreta tanti eroi differenti non raggiungerà mai con nessuno di loro. Il gradimento per Dragonborn, quindi, è profondamente condizionato dalle modalità con cui il giocatore si approccia a Skyrim. Chiedetevi che giocatore siete e saprete se l’espansione fa davvero per voi.
Tre pregi di Dragonborn
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Tre difetti di Dragonborn
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Le ambientazioni evocano magistralmente quelle del superlativo Morrowind
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Nei giochi della serie The Elder Scrolls, il bisogno di nuovi contenuti di alto livello non è così forte
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Il piano daedrico di Hermaeus Mora è incredibilmente affascinante
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I nuovi nemici soffrono di evidenti problemi di bilanciamento
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Gran quantità di nuovi contenuti
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L’operazione nostalgia non funzionerà tanto su chi non ha mai giocato Morrowind
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