Lo spin-off online della saga The Elder Scrolls è un prodotto immenso e per molti versi curatissimo, che però non asseconda quasi per nulla l’originalità d’approccio offerta dagli episodi per giocatore singolo.
[articolo originariamente pubblicato il 2 marzo 2017]
1. Eroi misantropi
I lettori abituali di questo sito sanno quanto siamo affezionati alla saga The Elder Scrolls di Bethesda, caratterizzata da un approccio iper-simulativo che abbandona le consuetudini narrative dei giochi cosiddetti story driven per dar vita a quella che abbiamo chiamato interpretazione totale. Solo nei giochi appartenenti a questa serie è possibile impersonare, tanto per fare degli esempi, un mercante o uno studioso, un viaggiatore o un collezionista di trofei, senza che nel farlo il gioco sembri ‘sbagliato’, dato che l’esperienza non si acquisisce completando missioni ma semplicemente adoperando le varie abilità, diverse delle quali sono completamente slegate dal combattimento.
Ebbene, ogni capitolo della saga ha visto, tra gli innumerevoli mod creati dagli appassionati, almeno un tentativo, di solito finito male, di implementare una qualche modalità multigiocatore: il grosso dei fan, però, ha sempre visto questa possibilità come fumo negli occhi, dato che è proprio il suo essere rigorosamente single player ad aver consentito alla serie di aprire la strada a quella giocabilità lenta e pausata che è diventata nel corso degli anni il suo vero marchio di fabbrica. Possiamo dunque solo immaginare la perplessità che si scatenò nell’ormai lontano 2007, poco tempo dopo la pubblicazione di The Elder Scrolls IV: Oblivion, quando cominciarono a diffondersi i primi rumor riguardanti lo sviluppo di un intero capitolo della saga sotto forma di MMORPG, ovvero di gioco online di massa.
La perplessità era per fortuna mitigata dal fatto che a curare la creazione di The Elder Scrolls Online sarebbe stato uno studio apposito, completamente diverso da quello a cui fa capo la serie vera e propria, che infatti ha continuato a camminare con le sue gambe producendo, nel 2011, quel capolavoro che fu The Elder Scrolls V: Skyrim. Volendo scendere più nel dettaglio, il MMORPG si deve a uno studio chiamato Zenimax Online Studios, i cui componenti sono per la gran parte coloro che formavano il defunto gruppo di Mythic Entertainment, a cui si deve l’epico Dark Age of Camelot: quindi non esattamente dei novellini nell’ambito dei giochi online di massa.
The Elder Scrolls Online è infine uscito nel 2014 e ha avuto un buon successo di pubblico: il fatto stesso che sia ancora attivo nel momento in cui viene scritto questo articolo (inizio 2017) e che siano anche in arrivo nuove espansioni dice molto sul suo stato di salute, visto che i MMORPG fallimentari hanno generalmente vita molto breve. Nel corso dei mesi seguiti alla sua pubblicazione, il gioco ha subito modifiche anche sostanziali: per esempio, è passato da una modalità iniziale a sottoscrizione tramite pagamento mensile a una modalità attuale priva di sottoscrizione e quindi gratuita se si esclude il costo iniziale. Un altro cambiamento fondamentale è che inizialmente il gioco era basato su aree destinate ciascuna a personaggi di un determinato livello, mentre ora ogni area viene automaticamente calibrata sul livello del personaggio che la esplora, ‘aprendo’ di fatto tutto il mondo di gioco a ogni eroe. Parleremo più diffusamente di questo nel prosieguo dell’articolo: ne accenniamo qui per sottolineare il fatto che, a differenza dei giochi per giocatore singolo, i MMORPG tendono a essere creature in continuo divenire, e che quindi questa recensione non può che limitarsi a ‘fotografare’ la situazione esistente al momento della sua realizzazione, situazione certamente destinata a cambiare anche di molto in futuro.
Infine, è importante evidenziare che l’approccio che abbiamo avuto nel provare The Elder Scrolls Online è particolare e per certi versi improprio: abbiamo infatti provato a giocarlo come se si trattasse di un qualunque capitolo per giocatore singolo della saga, certi che questo sia l’approccio con cui ci si avvicinerebbe ogni lettore fedele della Maschera. Abbiamo dunque evitato il più possibile l’interazione con gli altri utenti e non ci siamo nemmeno avvicinati al comparto cosiddetto PVP, ossia Player Versus Player, che consente sfide e scontri tra giocatori. Questo articolo è dunque, più che una recensione, il tentativo di rispondere a una domanda: può The Elder Scrolls Online essere utilizzato con la stessa filosofia con cui si utilizza Oblivion o Skyrim?
2. Istantanea
The Elder Scrolls Online è un gioco online di massa nel quale ciascun giocatore interpreta un eroe che si muove in varie zone del mondo della saga The Elder Scrolls, del quale vengono rappresentate, interamente o in parte, tutte le regioni. In fase di creazione del proprio alter ego, l’utente sceglie la propria razza e la propria classe, ma soprattutto la propria fazione tra le tre in campo: l’Aldmeri Dominion, il Daggerfal Covenant e l’Ebonheart Pact. Il gioco, infatti, si sviluppa durante la cosiddetta Three Banners War, più popolarmente nota come la Alliance War, uno dei più grandi conflitti della storia di Tamriel, svoltosi a partire dall’anno 580 della Seconda Era in concomitanza con il cosiddetto Planemeld, l’evento attorno a cui ruota la trama principale di The Elder Scrolls Online. Con l’indebolirsi del potere imperiale dovuto all’influenza nefasta dei piani di Molag Bal, dei quali parliamo più nel dettaglio nel prosieguo dell’articolo, le tre fazioni si contendono il controllo della Imperial City, ciascuna con motivazioni differenti: gli Altmer e i loro alleati cercano la restaurazione del potere elfico su Tamriel, i Bretoni e i loro alleati lottano per la piena ricostruzione del potere imperiale, i Nord e i loro alleati si battono per mantenere l’indipendenza delle loro terre. In un apposito excursus ci occuperemo di come questi eventi si inseriscono all’interno della storia di Tamriel.
Le dieci razze descritte dall’ambientazione sono dunque raggruppate, in The Elder Scrolls Online, in queste tre fazioni: l’Aldmeri Dominion include Altmer, Bosmer e Khajiit; il Daggerfall Covenant include Bretoni, Redguard e Orchi; l’Ebonheart Pact include Nord, Dunmer e Argoniani. Gli Imperiali sono in un certo senso le vittime degli eventi e non sono irregimentati in nessuna fazione: sono comunque disponibili come razza giocabile a chi acquista la collector’s edition del gioco o a chi acquista il relativo contenuto a pagamento, e possono essere inseriti in qualunque schieramento.
La scelta della fazione era fondamentale in termini di giocabilità soprattutto nel periodo iniziale, ovvero prima dell’aggiornamento chiamato One Tamriel, che ha di fatto scardinato il sistema delle alleanze permettendo a qualunque personaggio di esplorare qualunque territorio. Prima dell’implementazione di questa modifica, ciascun eroe poteva solamente muoversi nei territori sotto il controllo del proprio schieramento, e l’unica modalità di interazione con i giocatori ‘nemici’ era il conflitto nell’area destinata al PVP, ovvero Cyrodiil. Con la rimozione dei confini messa in atto da One Tamriel, ora l’eroe comincia la sua avventura nei ‘suoi’ territori, ma può presto abbandonarli e andare dovunque gli aggradi, inclusi gli spazi sotto il controllo di uno schieramento nemico: e là potrà tranquillamente svolgere le missioni per giocatore singolo come se fosse un membro di quello schieramento. Questa radicale modifica è stata chiaramente implementata per aprire la comunità dei giocatori e favorire il melting pot: narrativamente parlando l’idea è sufficientemente balzana, ma il roleplayer può semplicemente ‘dimenticarsi’ di questa possibilità e limitarsi alle missioni pensate fin dall’inizio per la propria fazione, creando nuovi personaggi per svolgere le altre.
Limitiamoci alle opzioni disponibili, appunto, al roleplayer: due sono le questline che gli si apriranno davanti una volta creato il proprio alter ego. La prima è ovviamente quella che fa riferimento alla trama principale, che è senz’altro il comparto maggiormente pensato per l’esperienza in solitaria; la seconda è quella relativa, appunto, alla fazione prescelta, ruotante in genere attorno alla necessità di consolidare l’alleanza in vista dello scontro finale. I luoghi destinati allo svolgimento della trama principale sono quasi esclusivamente ‘alieni’, in senso figurato e non: dungeon e caverne collocati in luoghi diversi in base alla fazione scelta, nonché il piano daedrico di Molag Bal chiamato Coldharbour, che il giocatore è chiamato a visitare in più occasioni e nel quale si svolge tutta l’ultima parte della vicenda narrata. La linea di missioni collegata alla fazione si svolge invece nel mondo ‘reale’, nei territori sotto il controllo della fazione stessa: in genere la sotto-trama, sulla quale si innestano innumerevoli missioni secondarie, porta il giocatore a esplorare regioni collegate in sequenza, dalla più facile alla più difficile. O almeno così era prima dell’implementazione dell’aggiornamento One Tamriel, che ha anche rimosso il livellamento parzialmente statico presente inizialmente nel gioco a favore di un livellamento dinamico che risponde alle medesime logiche di ‘apertura’ di cui si parlava sopra.
Il giocatore controlla il suo alter ego muovendolo con la classica combinazione di tasti WASD. The Elder Scrolls Online implementa, secondo la tradizione della serie a cui appartiene, sia la visuale in terza persona da dietro le spalle sia la visuale in prima persona. L’interazione col mondo avviene tramite la pressione del tasto E: il nostro eroe potrà parlare con i Personaggi Non Giocanti, raccogliere materiali ed equipaggiamento, aprire casse e forzieri. Il combattimento è action: ad ogni clic del mouse corrisponde un fendente, ma sono disponibili mosse avanzate di ogni tipo e naturalmente incantesimi potenzialmente devastanti. Cominciamo a scendere nei dettagli analizzando il sistema di gestione del personaggio.
3. Il personaggio giocante
L’inizio di una campagna di The Elder Scrolls Online comincia naturalmente con la creazione del proprio alter ego digitale. La prima scelta riguarda la razza e, in stretto collegamento a essa, la fazione. Come abbiamo già accennato, le dieci razze presenti nell’ambientazione sono tutte disponibili, ma con qualche distinguo. Le nove razze appartenenti alle fazioni vanno scelte di concerto con la fazione a cui sono collegate; la razza degli Imperiali può essere scelta solo da chi ha acquistato la collector’s edition oppure il relativo contenuto a pagamento, e può essere collocata in qualsiasi fazione. C’è anche la possibilità, ancora una volta tramite contenuto a pagamento, di collocare qualunque razza in qualunque fazione: in ogni caso, come abbiamo già spiegato, dopo l’aggiornamento One Tamriel la scelta della fazione non è più importante come in passato.
Una volta scelta la razza, toccherà alla classe. Da questo punto di vista The Elder Scrolls Online si stacca nettamente dalla tradizione della serie a cui appartiene, nella quale il concetto di “classe” è aleatorio se non del tutto evanescente, essendo ciascun personaggio determinato dalle sue abilità predilette, che possono essere scelte in totale libertà. Non è così per l’incarnazione online della saga, che ci mette davanti quattro classi predeterminate: certamente assai flessibili in termini di sviluppo, ma comunque dotate ciascuna di abilità esclusive e inaccessibili alle altre. Le classi sono il Dragonknight, il Sorcerer, il Nightblade e il Templar. Le prime tre sono vagamente riconducibili agli archetipi classici: guerriero, mago e ladro; la quarta è più versatile e può essere avvicinata al ruolo del guaritore.
Ciascuna classe è collegata a tre differenti linee di abilità, ciascuna dotata di un nome evocativo. Il Dragonknight per esempio ha all’attivo i gruppi di abilità denominati Ardent Flame, Draconic Power ed Earthen Heart. Ciascun personaggio, peraltro, è dotato di insiemi di abilità assai numerosi, che non si limitano a quelli collegati alla classe: per esempio ciascuna tipologia di armi ha una sua linea di abilità, ciascuna razza ha la sua linea di abilità, come anche gli schieramenti incontrati durante il gioco (per esempio la gilda dei guerrieri e quella dei maghi hanno ciascuna la propria linea di abilità, che diventerà accessibile solo al personaggio che si affilierà a quella gilda). È dunque tecnicamente possibile ignorare del tutto le abilità della propria classe e dar vita a un personaggio più sui generis: anche se non è detto che si tratti di una buona idea, dato che le tre linee di abilità collegate alla classe sono in genere le più potenti. Le abilità possono essere sbloccate e migliorate spendendo gli skill point: il personaggio ne riceverà uno da spendere ad ogni aumento di livello, ma anche trovando dei manufatti chiamati skyshard in giro per le varie ambientazioni (ottimo stratagemma, questo, per consentire di migliorare il proprio eroe anche dopo il raggiungimento del livello massimo). È però possibile sbloccare o migliorare una determinata abilità solamente se il nostro alter ego ha il sufficiente livello nel relativo gruppo di abilità.
La faccenda merita di essere spiegata più nel dettaglio, dato che il sistema si configura come un interessante tentativo di fondere la crescita del personaggio tradizionale, basata sull’accumulo di punti esperienza, con il sistema di crescita particolare implementato dagli Elder Scrolls, dove le abilità migliorano con l’uso. In The Elder Scrolls Online, apparentemente è implementato il sistema tradizionale: dopo ogni uccisione di un nemico e dopo ogni completamento di una missione, il nostro eroe riceverà una determinata quantità di punti esperienza, che riempiranno progressivamente la barra del suo avanzamento di livello. Però a questa crescita diciamo ‘generale’ se ne affiancano altre più ‘particolari’: ciascun gruppo di abilità, infatti, ha un suo livello autonomo, che cresce sulla base dell’utilizzo delle abilità di quel gruppo, o anche sulla base del comportamento generale del personaggio.
Facciamo qualche esempio. Le linee di abilità collegate alle armi sono caratterizzate da un valore che è determinato dall’utilizzo che il nostro eroe farà di ciascun tipo di arma: se dunque voglio accedere alle abilità più avanzate della linea One hand and shield, dovrò per forza far usare al mio alter ego le armi a una mano e lo scudo, altrimenti il livello di quel gruppo rimarrà sempre basso, anche se il mio eroe sarà di livello altissimo. Oppure: le abilità collegate al crafting migliorano solo se ci si dedica effettivamente a quell’attività, dunque se l’eroe vuole creare delle armature potenti dovrà per forza spendere tempo nel Blacksmithing. Altre linee di abilità aumentano di livello sulla base di criteri più aleatori: per esempio, il gruppo di abilità collegato alla Gilda dei Guerrieri aumenta con l’uccisione di creature daedriche.
Il sistema è interessante anche se non manca di conseguenze criticabili. Talvolta si ha la sensazione di essere quasi ‘costretti’ a dedicarsi ad attività poco interessanti con il solo scopo di sbloccare abilità avanzate (il crafting, di cui parleremo meglio più avanti, è un ottimo esempio di questa fattispecie). Implementare un sistema di crescita delle abilità sulla base del loro utilizzo non è semplice, perché è necessario che l’approccio del fruitore venga mantenuto il più possibile spontaneo e alieno da meccanicismi. L’utente dev’essere spinto a fare qualcosa anzitutto perché quel qualcosa è divertente e soddisfacente in sé e non solo in quanto viatico per migliori esperienze future. È, questo, un problema tipico di tanti MMORPG: in questa tipologia di prodotti il lavoro ‘seriale’ è quasi sempre considerato una componente irrinunciabile, e purtroppo gli autori di The Elder Scrolls Online non sono riusciti a uscire del tutto da questa discutibile ‘tradizione’.
4. La struttura del mondo
The Elder Scrolls Online è ambientato, come si diceva, in varie zone di Tamriel: il continente che fa da sfondo alla saga non è rappresentato nella sua interezza, ma comunque ciascuna caratterizzazione di tipo etnico, climatico e architettonico trova una qualche sua concretizzazione. Il mondo è diviso in macro-zone esplorabili senza soluzione di continuità: talvolta queste ‘regioni’ sono grandi isole, talaltra sono divise dal resto del mondo da montagne o confini invalicabili. Gli spostamenti possono portare via parecchio tempo, ma il gioco implementa varie modalità di viaggio rapido: esistono anzitutto le cavalcature, ma esiste anche un network di punti di teletrasporto, ciascuno dei quali diventa sempre disponibile una volta attivato, ossia raggiunto per la prima volta dal personaggio giocante. Il passaggio da un punto di teletrasporto a un altro è gratuito, mentre occorre pagare una piccola somma di denaro per accedere a un punto di teletrasporto da un posto qualunque. Va peraltro sottolineato che i dungeon di gruppo sono sempre raggiungibili gratuitamente da qualunque luogo, anche da altre regioni.
Ciascuna regione ha una sua mappa di riferimento, che con l’esplorazione si riempie di icone diverse, a identificare la natura dei punti di interesse. Naturalmente vi sono città e insediamenti, ma non mancano dungeon più o meno complessi, accampamenti di boss affrontabili solo in gruppo, e altre varie tipologie di luogo degne di nota. Talvolta la loro posizione verrà evidenziata sulla mappa anche prima della loro diretta scoperta: per esempio se il luogo è coinvolto in una missione in corso, oppure se un personaggio non giocante ne parla durante un dialogo. Le missioni più importanti, sia principali sia secondarie, caratterizzano a fondo la città o la zona selvaggia dove si svolgono, tanto da comportare il cambio d’aspetto dell’icona che indica quel luogo sulla mappa, a indicare che la relativa location è stata in qualche modo ‘risolta’.
Questo è un punto fondamentale, perché è uno dei motivi principali per cui la giocabilità di The Elder Scrolls Online non può essere avvicinata davvero alla giocabilità della saga di cui fa parte. Gran parte delle località rappresentate nelle ambientazioni di Tamriel in The Elder Scrolls Online non esiste in sé, ma in quanto sfondo di una missione. Il meccanismo tende a ripetersi in forme di allarmante somiglianza: il nostro alter ego raggiunge una città o un villaggio o una rovina daedrica o una rovina ayleid; un personaggio non giocante gli si avvicina e gli spiega che sta succedendo qualcosa di terribile o di inspiegabile; il nostro eroe rimette a posto la situazione e a quel punto quella zona è ‘risolta’ e si può passare alla successiva. Le città già ‘fatte’ difficilmente verranno visitate nuovamente in futuro: e se lo si fa, tra l’altro, ci si trova di solito davanti a scene deprimenti, dato che tutto sarà rimasto immutato ai tempi del disastro, con magari altri giocatori che stanno nel frattempo affrontando il problema per conto loro, anche se i PnG diranno al nostro eroe che va tutto bene e che tutto è stato risolto.
Nella saga The Elder Scrolls, le cose funzionano in modo completamente diverso. Il mondo esiste in quanto palcoscenico di missioni che si sovrappongono spazialmente e temporalmente: una determinata città può fare da sfondo a vicende di ogni tipo, siano essere parti della trama principale o piccole missioni secondarie o anche solo episodi estemporanei della vita virtuale del nostro eroe. A dare l’idea del mondo ‘vero’ e a spingere il giocatore verso la simulazione è proprio questa caratteristica fondamentale: il mondo esiste in sé ed è rappresentato nella sua interezza e non solo nelle parti che fanno da sfondo alle quest. In The Elder Scrolls Online, il giocatore anche smaliziato può impiegare un po’ di tempo a capire la reale natura del mondo virtuale, perché apparentemente anche nell’incarnazione multigiocatore della saga il palcoscenico di gioco è rappresentato nella sua interezza: ci sono città, villaggi, campi, boschi, prati, strade. Ma le zone non collegate direttamente a missioni esistono essenzialmente in quanto luoghi deputati alla raccolta di risorse (e, secondariamente, al farming tramite l’uccisione delle creature selvagge).
Le città e gli insediamenti, d’altro canto, non sono vere città o veri insediamenti: sono puro e semplice sfondo alle missioni oppure alle attività collaterali del personaggio giocante, come il crafting o il commercio. In altre parole: non ci capiterà mai, in The Elder Scrolls Online, di attraversare brulicanti zone residenziali o di spiare la vita virtuale di un Png da casa al lavoro e viceversa, come si può (e si deve) fare in Oblivion o in Skyrim. Ci troveremo, al contrario, a percorrere città assolutamente improbabili, dove non c’è nessuna casa se non quelle collegate a qualche missione, dove è pieno di mercanti che sono sempre in posizione e non chiudono mai i loro negozi, dove le attività si svolgono quasi tutte inspiegabilmente all’aperto, dove le strade e gli spazi sono amplissimi, altrimenti i giocatori non potrebbero percorrerli con le loro cavalcature.
Dopo qualche decina di ore di gioco, le città di una stessa regione (caratterizzate quindi dallo stesso motivo architettonico) ci sembreranno indistinguibili l’una dall’altra: lì c’è la gilda dei guerrieri, lì c’è quella dei maghi, là sotto c’è il nascondiglio dei ladri, qui c’è la taverna e là c’è il padiglione dei fabbri e dei mercanti. Nessuno, in The Elder Scrolls Online, sembra stare vivendo una qualche vita virtuale: questo Tamriel è ‘solo’ l’artefatto palcoscenico delle peregrinazioni e delle imprese dei giocatori in carne e ossa.
5. La struttura delle missioni
The Elder Scrolls Online è fortemente quest-oriented: il nostro alter ego acquisirà esperienza molto più rapidamente completando missioni che non uccidendo creature ostili. Portare a compimento numerose quest è estremamente vantaggioso anche per la ricompensa in termini di equipaggiamento: la risoluzione delle missioni più importanti, infatti, comporta l’acquisizione di oggetti assai potenti, spesso appartenenti a un set che diventa più efficace con l’aumentare del numero di oggetti utilizzati. Il compimento di alcune missioni, infine, permette l’acquisizione diretta di uno o più punti abilità da spendere immediatamente per il potenziamento dell’eroe.
La quantità di quest che il giocatore misantropo troverà a sua disposizione è strabiliante e con ogni probabilità maggiore rispetto a qualunque altro MMORPG presente e passato. Da questo punto di vista, The Elder Scrolls Online è estremamente generoso nei confronti degli utenti non interessati al PVP: anche non toccando le zone riservate a quest’ultimo comparto, il ‘completista’ impiegherà, nello spremere i contenuti pensati per la sua fazione, più di un centinaio di ore. Se pensiamo che le fazioni sono tre, e che quindi potenzialmente ciascun giocatore potrà creare tre personaggi coi quali affrontare tre campagne diverse, non ci si può certo lamentare.
Certo, pensare che si possa creare una tale quantità di contenuto tenendo costantemente una qualità altissima è illusorio: molte missioni e sotto-trame rappresentate da The Elder Scrolls Online sono semplici, banali e prevedibili. Nella maggior parte dei casi, le quest non consentono alcun tipo di scelta; quando la consentono, si tratta di una scelta che non ha conseguenze a lungo termine apprezzabili, anche perché le missioni che si intrecciano tra loro sono pochissime e confinate alla trama principale. Anche la classica modalità di scelta per esclusione tipica della saga The Elder Scrolls, in cui il personaggio si caratterizza per la sua volontà di fare o non fare determinate missioni, è qui fondamentalmente assente: le quest sono chiaramente pensate per tutti i personaggi, e il gioco con tutta evidenza si aspetta, per esempio, che anche i guerrieri completino le missioni della gilda dei maghi. Come dicevamo sopra, il principio sembra essere l’avanzamento per step, tipico dei giochi action o story-driven e non della serie The Elder Scrolls: arrivo in una zona, completo tutte le missioni disponibili, mi sposto nella zona successiva.
Il tentativo di variare la salienza delle missioni è apprezzabile: ci sono perfino alcune quest che non prevedono combattimenti e che vanno risolte semplicemente parlando con determinati Png o risolvendo semplici enigmi. Purtuttavia, i momenti narrativamente memorabili sono assai rari, principalmente a causa di una scrittura semplice e lineare, che rinuncia in partenza all’evocazione tramite metafora. La struttura delle quest risente anche di una certa qual ripetitività, che sembra dovuta alla volontà di allungare il brodo moltiplicando insensatamente gli obiettivi da raggiungere: dopo decine di ore di gioco, ci renderemo conto che quasi tutti i problemi si risolvono agendo non su un mostro o su un manufatto, ma su tre, quattro o cinque mostri o manufatti. Il cristallo che permette l’apertura della tal porta sarà stato sicuramente frazionato in quattro o cinque sotto-cristalli, da recuperare uno alla volta. La barriera magica che impedisce di proseguire nell’esplorazione di una rovina andrà abbattuta agendo non su una runa, ma su tre o quattro rune, disposte in genere attorno alla barriera, da attivare muovendosi in senso orario o antiorario.
A spezzare irrimediabilmente la suspension of disbelief durante le narrazioni contribuisce anche un problema che è irrisolvibile in un MMORPG che non faccia ampio uso delle cosiddette istanze, ossia del contenuto riservato a un singolo giocatore o a un unico gruppo di giocatori: si tratta del famigerato phasing. Spieghiamo di cosa si tratta dato che probabilmente questi sono concetti non molto familiari a chi gioca prevalentemente da solo. In un mondo online persistente, dove si cerca di favorire il più possibile l’interazione tra giocatori, succederà che ciascun utente sarà in un dato momento in una fase differente di una determinata missione: ci sarà chi l’avrà risolta del tutto, chi l’avrà appena cominciata, chi sarà nel bel mezzo della sua risoluzione. The Elder Scrolls Online cerca di risolvere l’inconsistenza ‘nascondendo’ alla nostra vista i giocatori impegnati in attività che sono in palese contraddizione con quel che sta facendo il nostro personaggio: ma questo non è sempre possibile, e anche quando è possibile non è sempre ben implementato. Quindi non sarà così strano ricevere complimenti per avere appena liberato una città dalle orde di non morti che l’avevano invasa e vedere nello stesso momento decine di altri giocatori impegnati a combattere contro l’invasione già sventata. In più di una occasione ci è capitato di pensare che The Elder Scrolls Online avrebbe forse goduto di una forma migliore se avesse implementato un sistema simile a quello del primo Guild Wars: città chiuse e pacifiche in cui interagire con gli altri giocatori e zone selvagge rigorosamente ‘istanziate’. In quel caso, però, si sarebbe dato vita a diversi meccanicismi forse altrettanto deleteri. Probabilmente si tratta di problemi irrisolvibili nel momento in cui si sceglie di realizzare un gioco online di massa.
La ripetitività generale data dalla struttura delle missioni favorisce il senso di alienazione già veicolato dal deja vu che prende forma tramite i combattimenti, come vedremo tra breve, nonché dal meccanicismo connesso alla consueta sequenza missione – restock in città – crafting – missione successiva. Lo sforzo di superare questi cliché è senza dubbio presente, ma non sempre assume forme e modalità che si possano definire davvero riuscite: il più delle volte i deragliamenti sono divertissement che si limitano a spezzare la monotonia ribadendone al contempo l’impianto complessivo. The Elder Scrolls Online non è un gioco a cui avvicinarsi per la profondità dei contenuti: è piuttosto, dal nostro punto di vista, un innocuo passatempo che acquista valore in quanto ambientato in un mondo da noi già conosciuto e amato in altre, infinitamente più stimolanti, esperienze videoludiche.
6. Il sistema di combattimento
Se la gestione del personaggio in The Elder Scrolls Online è mediatoria e caratterizzata da compromesso, altrettanto si può dire del del sistema di combattimento, che sembra voler unire la consuetudine dei giochi online di massa con i tratti tipici della saga a cui il gioco appartiene.
Le armi utilizzate dal nostro eroe hanno un attacco standard, che si attiva tramite la pressione dei tasti del mouse, mentre le abilità vanno organizzate nella classica barra presente nella parte bassa dello schermo e vanno attivate premendo il relativo pulsante in tastiera.
Il combattimento diciamo così ‘normale’, ossia basato sull’alternarsi dei fendenti o dei tiri, sembra a prima vista ripetere gli schemi già visti all’opera in Oblivion o Skyrim: il clic sinistro è collegato ai colpi, che si possono ‘caricare’ tenendo il tasto premuto per qualche secondo, mentre il clic destro è collegato alle parate. Il gioco segnala con appositi effetti grafici quando il nemico sta preparando un colpo caricato: a quel punto sarà una buona idea mettersi in posizione difensiva. È anche possibile colpire con lo scudo cliccando il tasto sinistro mentre la parata è attivata, nonché cercare di interrompere la mossa speciale del nemico cliccando ripetutamente entrambi i tasti in contemporanea. Un colpo caricato parato o una abilità speciale interrotta causano stordimento nel nemico: colpendolo in quell’esatto frangente egli cadrà a terra incapacitato per qualche istante.
Il sistema sembra, come dicevamo, molto simile a quello implementato dai classici The Elder Scrolls, solo con qualche variante in più. Ma non è proprio così. Anche solo rimanendo nell’ambito del combattimento ‘puro’, cioè anche senza tirare in ballo l’uso delle abilità, una differenza importante con i giochi classici della serie è la presenza di un blando sistema di puntamento automatico: è vero che in genere il nostro personaggio deve colpire ‘fisicamente’ il suo nemico per infliggere danno, ma nelle mischie e durante gli scontri a distanza il gioco sembra in qualche modo ‘connettere’ l’eroe a un nemico specifico, forse nel tentativo di rendere più chiara e gestibile la situazione contingente. Artefazioni di questo tipo e in genere una fisicità del combattimento debole e una ‘presenza scenica’ del nemico assai evanescente (il novanta per cento dei cadaveri non offre alcun tesoro e scompare dalla scena dopo pochi secondi) rendono gli scontri assai più ‘giocosi’ e assai meno realistici che negli episodi ‘veri’ della serie.
La faccenda si aggrava quando si tengono in considerazione anche le abilità: a quel punto risulta evidente la natura multigiocatore del titolo e il suo adeguarsi ai tipici cliché del suo sottogenere particolare. Come si diceva più sopra, le abilità attive vanno ‘trascinate’ nell’apposita barra per poter essere utilizzate: in genere non hanno alcun tempo di ricarica, ma il loro uso comporta il consumo di mana o di stamina, quindi risulterà complicato ‘spammarle’ in continuazione. Hanno invece un tempo di ricarica le abilità cosiddette ultimate, in teoria le più potenti: il giocatore ne può posizionare sulla barra solamente una, e il suo tempo di ricarica dipende dalla quantità di colpi a segno inferti dal personaggio.
La barra delle abilità è molto piccola (ha solo cinque posti, più l’abilità ultimate): scegliere le abilità più utili e soprattutto più ‘sinergiche’ sarà quasi un gioco nel gioco. A partire da un determinato livello, il giocatore potrà però scegliere un secondo set di armi da affiancare a quello principale, e a ciascun set potrà essere collegata una differente barra delle abilità: a quel punto il personaggio diventerà decisamente più versatile, dato che potrà passare da un set di abilità a un altro velocemente, anche nel bel mezzo di un combattimento.
La presenza di abilità attive quale elemento chiave nella risoluzione dei combattimenti ha, a nostro avviso, due conseguenze deleterie, che già cercammo di mettere a fuoco, con argomentazioni diverse, nell’analizzare un prodotto che pur essendo per giocatore singolo mette in campo una giocabilità tipicamente collegata ai MMORPG, ossia Dragon Age Inquisition. Prima conseguenza deleteria: le classi, o comunque i diversi approcci al combattimento, subiscono una pesante uniformazione. Se a determinare l’esito di uno scontro è l’uso corretto delle abilità, giocare con un guerriero o con un mago non fa grande differenza: quando il mago attiva incantesimi basati sul mana, il guerriero attiva colpi speciali basati sulla stamina. La centralità delle abilità mette automaticamente in secondo piano l’uso appropriato e creativo delle armi, trasformando i guerrieri, all’atto pratico, in maghi che combattono in corpo a corpo. Seconda conseguenza deleteria: gli scontri col nemico diventano sommamente ripetitivi, perché si risolvono nel premere in sequenza i tasti collegati alle abilità preferite. L’uso delle armi richiede spesso un buon posizionamento e un buon ritmo d’azione: viceversa, le abilità richiedono ‘solo’ di essere utilizzate il più spesso possibile per massimizzare il danno.
Naturalmente stiamo un po’ semplificando: gli autori di The Elder Scrolls Online hanno cercato il più possibile di variare gli approcci al combattimento tramite, per esempio, nemici che utilizzano differenti tattiche e strategie. Ma è l’approccio nel suo insieme, ci verrebbe da dire, a mancare di coerenza e soprattutto di ‘pulizia’. Offrire al giocatore tante modalità per sviluppare e caratterizzare il suo personaggio è in teoria una buona idea: ma se si traduce in ipertrofica sovrabbondanza di abilità magari anche simili una all’altra che trasformano il combattimento in un esercizio di semplice pressione di tasti in sequenza c’è qualcosa che non quadra. Il nemico medio buttato in pasto al giocatore da The Elder Scrolls Online, poi, ha generalmente una quantità decisamente spropositata di punti ferita: l’avversario debole infliggerà poco danno al nostro alter ego, il quale d’altro canto impiegherà comunque un bel po’ ad averne ragione. Anche questo contribuisce a conferire ai combattimenti, dopo decine di ore di gioco, un senso di ripetitività che sconfina nella noia.
7. Personaggi non giocanti e dialoghi
I giochi della serie The Elder Scrolls permettono in genere di allacciare conversazioni con tutti i personaggi non giocanti: con la sola eccezione di guardie e soldati, ciascun PnG ha infatti un nome e una casa, e non esistono semplici ‘figuranti’ atti solo a far sembrare un luogo più o meno affollato. Ebbene, The Elder Scrolls Online abbandona questa pratica virtuosa a favore di un approccio più tradizionale: le comparse dal nome generico (“mercante”, “celebrante”) abbondano, e anche molti personaggi dotati di nome proprio non permettono alcuna interazione se non quando lo prevede la missione che li coinvolge direttamente.
È stata del tutto rimossa dai menu anche la celebre, o qualcuno direbbe famigerata, Radiant AI, ossia l’intelligenza artificiale atta a governare la routine quotidiana dei personaggi. Come abbiamo già detto, i PnG non seguono alcuna routine e si limitano a rimanere in posizione oppure a camminare entro un’area circoscritta, come in Morrowind; d’altro canto, se provassero ad andare a dormire il novantacinque per cento di loro non troverebbe alcun giaciglio disponibile. Dedicarsi alla simulazione in un gioco online di massa è senz’altro complicato: ma anche tenendo presente questa scusante, non riusciamo a comprendere del tutto la rinuncia in partenza, da parte degli autori di The Elder Scrolls Online, all’implementazione di una routine anche solo rudimentale. D’altro canto, il ciclo giorno/notte è presente e ben realizzato: forse con un approccio diverso sarebbe stato possibile fondere a un minimo di simulazione la necessità di avere comunque un mondo costantemente ‘vivo’ e pronto a soddisfare le esigenze dei giocatori connessi in ogni dato momento.
Quando presenti, i dialoghi sono realizzati molto bene dal punto di vista tecnico. Una volta avviata una conversazione, il punto di vista si concentra sull’interlocutore, inquadrato a figura quasi intera sulla parte sinistra dello schermo; la parte destra visualizza la battuta pronunciata dal personaggio e sotto, in forma di elenco, le possibili risposte. Anche se tecnicamente il tempo non viene bloccato dal dialogo (fattispecie peraltro impossibile in un MMORPG: infatti il tempo di gioco continua a scorrere anche quando apriamo qualunque interfaccia secondaria quale l’inventario o la mappa), il gioco si premura di nascondere alla vista tutti gli elementi che possano intralciare lo scorrere naturale della conversazione. Questo favorisce il godimento del dialogo e anche la memorizzazione dell’interlocutore: siamo dunque, per fortuna, più vicini a quanto succede in Oblivion che non a quanto succede in Skyrim o in Fallout 4, nei quali le conversazioni, prive di interfaccia dedicata e di accorgimenti tecnici che favoriscano la concentrazione sulle parole, sono trascurate dal gioco stesso prima ancora che dai giocatori.
I dialoghi sono interamente parlati, e vista l’esorbitante quantità di materiale offerto da The Elder Scrolls Online si tratta certamente di uno sforzo degno di nota: ovviamente dopo molte ore le voci sembreranno ripetersi con frequenza, ma si tratta di un peccato veniale vista, appunto, l’enormità dell’insieme. Alle battute si accompagnano divertenti gesti ‘mimati’ dall’interlocutore, e non mancano battute estemporanee pronunciate al di fuori dell’interfaccia riservata al dialogo, magari al semplice passaggio del nostro eroe, talvolta collegate a qualche impresa completata dallo stesso.
Il protagonista, dal canto suo, è ‘muto’, se si esclude qualche rantolio emesso in fase di combattimento. Selezionare una risposta significa dunque passare direttamente alla battuta successiva dell’interlocutore, com’è peraltro consuetudine in molti GdR digitali. Come già abbiamo osservato, The Elder Scrolls Online non offre molte scelte reciprocamente escludenti: quando un dialogo offre molte possibilità di risposta, in genere ha senso selezionarle tutte una dopo l’altra, dato che la loro unica funzione è indagare più a fondo il problema in oggetto. Se invece una risposta corrisponde a una scelta, il gioco la evidenzia adeguatamente: i bivi ‘morali’ sono peraltro caratterizzati, come già accennato, da conseguenze circoscritte e mai eccessivamente radicali.
Il gioco implementa due abilità collegate all’oratoria: la persuasione e l’intimidazione. La prima appartiene alla linea di abilità della Gilda dei Maghi, la seconda alla linea di abilità della Gilda dei Guerrieri. Una volta sbloccate, diventerà possibile selezionare le voci di dialogo opportunamente etichettate: in genere, il loro effetto è permettere la risoluzione più rapida di una missione, per esempio consentendo di evitare uno scontro o l’esplorazione di una zona particolarmente pericolosa.
Excursus: la linea del tempo della saga The Elder Scrolls
Le vicende narrate in The Elder Scrolls Online sono collocate molto tempo prima di quelle viste in Oblivion o in Skyrim. Abbiamo pensato che possa essere utile costruire una sorta di timeline di questa straordinaria ambientazione, così da collocare nella giusta posizione tutte le sue incarnazioni, videoludiche o letterarie.
Dawn Era
L’Età dell’Alba è la Creazione: i due fratelli Anu e Padomay, spiriti che rappresentano rispettivamente l’Ordine e il Caos, combattono e si fondono, dando vita a una progenie di deità, tra cui i demoni Aedra e Daedra, che a cascata porta alla nascita di Nirn, il mondo in cui è ambientata la saga. Le fonti su questo periodo sono assai scarse e declinate prevalentemente in termini mitologici: pare comunque che la prima stirpe di creature umanoidi a popolare Nirn sia stata quella dei cosiddetti Ehlnofey, i progenitori dei Mer (gli elfi). Mythic / Merethic Era
Diluvi e cataclismi primordiali portano alla distruzione del mega-continente che ricopre quasi interamente Nirn (l’equivalente della nostra Pangea): si forma quindi il continente di Tamriel, originariamente popolato solo da bestie bipedi, progenitori di Khajiit e Argoniani. È in un momento imprecisato della Mythic Era che avviene l’importante migrazione degli Aldmer dal loro perduto continente di Aldmeris verso Tamriel. Gli Aldmer sono diretti discendenti degli Ehlnofey e progenitori degli Altmer: inizialmente stabilitisi nelle Summerset Isles, cominciano presto a esplorare altre parti di Tamriel (il loro esploratore più celebre, Topal the Pilot, è ricordato da una statua a Leyawiin in Oblivion). Alcuni Aldmer si stabiliscono nella parte centrale del continente, e sono coloro che verranno poi chiamati Ayleid: le rovine dei loro templi e delle loro città punteggiano il paesaggio di Cyrodiil e di altre zone di Tamriel nelle epoche successive, e in Oblivion la cosiddetta White-Gold Tower, imponente struttura creata dagli Ayleid, è ancora utilizzata come palazzo imperiale. Alcuni Aldmer si spingono fino all’estremità nordorientale di Tamriel: sotto le montagne che dividono le moderne Skyrim e Morrowind nasce la razza Dwemer, avanzatissima dal punto di vista tecnologico e misteriosamente scomparsa nel nulla. Il territorio della moderna Morrowind viene nel frattempo colonizzato dalla razza Chimer, progenitrice dei Dunmer, gli Elfi Scuri: anche loro originati dagli Aldmer, i Chimer provengono da non meglio precisati territori settentrionali, e durante la colonizzazione di Morrowind (in antichità chiamata Resdayn) sono guidati dal loro profeta e santo Veloth. Originariamente i Chimer vivono insieme agli Orsimer, altri discendenti degli Aldmer poi stabilizzatisi nella parte nordoccidentale di Tamriel: è proprio la dissidenza con Veloth a spingere lo spirito guida degli Orsimer, Trinimac, a cercare di aumentare il suo potere entrando in conflitto con il principe daedra Boethiah: ne risulterà corrotta tutta la razza Orsimer, che da quel momento diventa quella degli Orchi. Nella tarda Merethic Era si colloca anche la migrazione dei Nord, le cui origini sono ignote, da Atmora, il continente ghiacciato a nord di Tamriel, verso l’odierna Skyrim. A guidare la migrazione è, tra gli altri, il grande eroe Ysgramor, considerato anche il primo storico di Tamriel: la comparsa, con la sua opera, della scrittura runica segna a tutti gli effetti la fine dell’Era Mitica e l’inizio della vera Storia. La prima grande città fondata da Ysgramor alle estremità nordiche di Skyrim è Saarthal: nell’omonimo capitolo della saga il giocatore può esplorare le sue rovine. Saranno questi primi Nord a creare involontariamente le condizioni per il precipitare della Dragon Crisis nella Quarta Era: i contemporanei di Ysgramor venerano i Draghi come divinità, ma il più feroce tra questi ultimi, Alduin, ne approfitta per imporre un regime di terrore. Un manipolo di eroi, capitanati dal guerriero Felldir the Old, utilizza un Elder Scroll per sconfiggere Alduin ma, anziché ucciderlo, lo spedisce nel futuro. First Era
Il conteggio degli anni della storia di Tamriel comincia convenzionalmente con l’inizio della dinastia regnante sul Valenwood, la dinastia Camoran, cominciata con il re Eplear nell’anno 0 della Prima Era. Eplear riunisce sotto il suo potere tutti i clan di Bosmer, razza elfica derivante anch’essa dagli Aldmer, e fissa la sua capitale presso la città mobile di Falinesti, che a un certo punto misteriosamente scompare. L’anno 242 della Prima Era segna un evento di importanza capitale: i gruppi di umani sparsi per la regione centrale di Tamriel, probabilmente discendenti dai Nord (questi umani protostorici vengono spesso etichettati come Nedes o Nedic people), si uniscono sotto le insegne della grande guerriera Alessia e si ribellano al potere degli Ayleid, fondando di fatto l’Impero di Cyrodiil, che nella sua prima incarnazione è infatti talvolta chiamato anche Alessian Empire. Successivamente canonizzata come santa, Alessia, che regge personalmente l’Impero fino all’anno 266 della Prima Era, è ricordata da una statua nella Imperial City. Nell’anno 700 della Prima Era si colloca un altro evento fondamentale, la cosiddetta War of the First Council tra chimer e dwemer a Morrowind. Il re chimer Indoril Nerevar muove guerra contro i clan dwemer terrorizzato dal loro progetto di creare una nuova divinità adoperando lo spirito primordiale conchiuso nel Cuore di Lorkhan: gli eventi che seguono provocheranno la misteriosa scomparsa dei dwemer e la trasformazione dei chimer nei dunmer, gli Elfi Scuri. Nel nono secolo della Prima Era, probabilmente nell’anno 803, giungono su Tamriel i primi Redguard, provenienti dal perduto continente di nome Yokuda. I clan Redguard si stabiliscono a Hammerfell, nella parte occidentale di Tamriel. I discendenti di Alessia mantengono il potere sull’Impero per molti secoli, fino all’anno 2703 della Prima Era, nel quale si colloca l’invasione di Tamriel da parte degli Akavir, provenienti da un continente a est di Tamriel e finora mai esplorato: a respingerli è un valoroso guerriero di nome Reman Cyrodiil, riconosciuto dagli stessi suoi nemici come il Dragonborn, destinato a diventare Imperatore. È in questo frangente che il territorio sotto il dominio imperiale assume il nome della nuova dinastia (Cyrodiil, appunto) e che vengono stabiliti i dettagli del rito di selezione del nuovo imperatore. La dinastia Cyrodiil regna fino alla fine della Prima Era, la cui conclusione è appunto convenzionalmente fissata nell’anno dell’uccisione di Reman III Cyrodiil, cioè l’anno 2920. Alla fine della dinastia Cyrodiil segue una violenta fase di interregno nella quale l’Impero è frazionato in vari potentati. Second Era
La Seconda Era vede la conformazione definitiva di Tamriel nell’aspetto politico e culturale nel quale lo si incontra durante i giochi più celebri della serie. Nell’anno 230 della Seconda Era, il grande mago altmer Vanus Galerion fonda la Gilda dei Maghi, nel tentativo di limitare il potere del negromante Mannimarco, che verrà da Vanus sconfitto (causando la morte dell’arcimago) per poi però rinnovare la sua minaccia in futuro. Nell’anno 321 della Seconda Era viene invece fondata al Gilda dei Guerrieri. Le vicende alla base di The Elder Scrolls Online prendono le mosse a partire dall’ottavo decennio del sesto secolo della Seconda Era. Nell’anno 573 il potente sacerdote imperiale Varen Aquilarios decide di tentare la ‘scalata’ al trono imperiale per porre fine all’interregno seguito all’estinzione della dinastia Cyrodiil. Dopo aver conquistato il trono, Varen cerca di legittimare la sua posizione replicando la cerimonia di incoronazione e dimostrando di essere il nuovo Dragonborn: per farlo, mette assieme una squadra di eroi (i Five Companions) tra i quali il redivivo negromante Mannimarco. Nell’anno 578, il gruppo riesce a recuperare il fondamentale Amulet of Kings, il gioiello che può essere indossato solo da chi è discendente di Alessia: ma Mannimarco tradisce i suoi compagni e cerca di utilizzare il potere dell’amuleto per ascendere al rango di divinità. L’esplosione che ne consegue (Soulburst) danneggia la barriera mistica che separa Nirn, il mondo fisico, da Oblivion, il mondo soprasensibile dei Daedra. Il principe daedrico Molag Bal approfitta della debolezza della barriera per tentare il Planemeld, ossia la fusione tra Nirn e il suo piano daedrico, Coldharbour. Nel frattempo, a partire dall’anno 580 della Seconda Era, le tre alleanze formatesi tra i più importanti Stati di Tamriel (l’Aldmeri Dominion, il Daggerfall Covenant e l’Ebonheart Pact) scendono in guerra (è la Three Banners War): come già spieghiamo nell’articolo principale, le tre alleanze cercano di approfittare della debolezza dell’Impero, disarmato in seguito alla scomparsa di Varen Aquilarios in seguito al Soulburst. È nell’anno 582 della Seconda Era che avvengono gli eventi di The Elder Scrolls Online: il protagonista, vittima egli stesso del Soulburst, rimette assieme i Five Companions per sconfiggere nuovamente Mannimarco e per porre fine al Planemeld, sullo sfondo della Three Banners War, il cui esito è storicamente incerto.
Nell’anno 852 della Seconda Era viene menzionato per la prima volta il grande guerriero Talos, che poi cambierà nome in Tiber Septim e che tra l’854 e l’855 conquisterà l’intera Tamriel. Nell’anno 864 della Seconda Era hanno luogo gli eventi narrati dallo spin-off della serie intitolato Redguard: il giovane redguard Cyrus, nel cercare di ritrovare la sorella scomparsa, si trova coinvolto nelle vicende politiche ruotanti attorno all’instabilità e alle tensioni dovute alle conquiste di Tiber Septim. Redguard può essere giocato facilmente anche in epoca contemporanea grazie alla versione presente su GOG, che peraltro pare avere qualche problema nelle performance e e nella stabilità.
La Seconda Era termina con l’incoronazione ufficiale di Tiber Septim a nuovo Imperatore di Cyrodiil, nell’anno 896. Third Era
Tiber Septim muore nell’anno 38 della Terza Era; il trono imperiale passa a Pelagius Septim, assassinato solo dopo tre anni. La dinastia Septim prosegue comunque per molti secoli. Nell’anno 399 della Terza Era avvengono le vicende al centro del primo titolo della saga, Arena. L’imperatore Uriel Septim VII viene tradito dall’arcimago imperiale Jagar Tharn e imprigionato in una dimensione daedrica: il protagonista deve cercare di liberarlo. Arena oggi è abandonware e può essere scaricato liberamente dal sito ufficiale di Bethesda.
Sempre durante l’impostura di Jagar Tharn si colloca la vicenda narrata dallo spin-off Battlespire, che racconta la storia di un aspirante mago-guerriero imperiale intrappolato suo malgrado in un piano dell’Oblivion. Anche Battlespire come Redguard può essere oggi facilmente acquistato e giocato grazie al sito GOG.
Nell’anno 405 della Terza Era vanno invece collocate le vicende narrate dal secondo capitolo della saga, Daggerfall. L’eroe controllato dal giocatore lavora al servizio delle Blades, le spie imperiali, che stanno cercando di riattivare il Numidium, colossale golem dwemer, ma sono ostacolate nel loro proposito dal redivivo Mannimarco. Come Arena, Daggerfall è liberamente scaricabile dal sito Bethesda.
Nell’anno 427 della Terza Era avvengono gli eventi narrati da Morrowinde dalle sue espansioni. Il giocatore impersona il Nerevarine, incarnazione del primo re chimer Indoril Nerevar, e con l’aiuto del principe daedra Azura sconfigge Dagoth Ur, reincarnazione di un antico lord chimer e antagonista (ma la faccenda è in realtà assai più complessa, come sanno i giocatori) del Tribunal, la triade di divinità venerata dai dunmer.
Nell’anno 433 della Terza Era si collocano gli eventi del quarto capitolo della saga, Oblivion. Con l’uccisione di Uriel Septim VII scatta la cosiddetta Oblivion crisis, che in modalità non differenti da quanto avviene durante il Planemeld comporta l’apertura di portarli demoniaci in Tamriel, opera questa volta del principe daedra Mehrunes Dagon. L’estinzione della dinastia Septim è convenzionalmente utilizzata per segnare il termine della Terza Era.
Fourth Era
Nell’anno 5 della Quarta Era, un evento inaspettato causa la distruzione quasi totale di Morrowind. Vivec, una delle tre divinità del Tribunal, scompare durante gli eventi collegati alla Oblivion crisis: questo causa il collasso del Ministry of Truth, l’entità rocciosa sospesa sulla città di Vivec, chiamata così in quanto residenza della divinità con lo stesso nome. L’onda d’urto causa non solo la distruzione della città, ma anche l’esplosione della Red Mountain già sede del culto di Dagoth Ur, con conseguente abbandono di quasi tutta la regione. Nell’anno 49 della Quarta Era si collocano le vicende narrate nei due romanzi ambientati nel mondo The Elder Scrolls e intitolati The Infernal City e Lord of Souls, scritti entrambi da Greg Keyes. Una inquietante città volante, di nome Umbriel, minaccia l’intero continente: sventeranno il pericolo le rocambolesche vicende intrecciate di una ragazza bretone di nome Annaig, di un argoniano di nome Mere-Glim e del figlio dell’Imperatore Titus Mede, di nome Attrebus.
Nell’anno 201 della Quarta Era si collocano le vicende narrate nell’ultimo capitolo della saga, Skyrim, pubblicato nel 2011. Il protagonista, discendente della stirpe dei Dragonborn come lo erano stati prima di lui Reman Cyrodiil e Tiber Septim, affronta il ritorno di Alduin e dei draghi (spediti nella Quarta Era durante l’Era Mitica, come spiegato sopra), sconfiggendoli definitivamente.
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8. Il problema del respawn
La caratteristica di The Elder Scrolls Online che forse rappresenta l’ostacolo maggiore nel tentativo di utilizzare il prodotto come un esponente ‘classico’ della saga è il costante e ossessionante respawn delle creature nemiche. Con questo termine si indica la rigenerazione o ricomparsa nel mondo di gioco delle entità ostili sconfitte dal giocatore: implementata talvolta anche nei giochi a giocare singolo, e in qualche modo giustificata in determinati contesti (c’è anche nei capitoli ‘veri’ della saga The Elder Scrolls), può facilmente devastare la suspension of disbelief, oltre che la giocabilità, se realizzata nei termini drastici con cui la si sperimenta nel gioco di cui ci stiamo occupando.
Cerchiamo di spiegare meglio di cosa si tratta. Una volta sconfitto un nemico ed eventualmente depredato i suoi resti, questi ultimi scompariranno immediatamente dal mondo di gioco: ebbene, basterà sostare nei pressi per pochissimi istanti, in alcuni casi per meno di un minuto, per vedere il nemico ricomparire dal nulla e attaccare nuovamente il nostro eroe. E tutto questo avviene non solo con i cosiddetti trash mob, ossia con le creature di poco conto, eliminabili (in teoria) con poco sforzo, ma anche con i boss, inclusi quelli più temibili e pericolosi. Il tempo che ci viene dato tra l’uccisione del nemico e la sua ricomparsa non basta nemmeno per depredare con tranquillità la zona da esso presidiata: ci basterà a malapena per prendere l’oggetto necessario per la risoluzione della missione in corso e magari qualche altro manufatto particolarmente visibile. Scordiamoci, per esempio, di metterci a leggere i libri o i documenti nei paraggi, a meno che non si metta in conto la possibilità di essere nuovamente invischiati in uno scontro lungo e complicato.
Qualcuno potrebbe ribattere: basta scappare. L’intelligenza artificiale che governa i nemici, infatti, ha questa strana peculiarità: il nostro eroe viene inseguito solo fino a una certa distanza dal punto presidiato dalla creatura ostile. Una volta superata quella distanza, il nemico si gira e torna velocemente nel suo spawning point. Ma questa non è una vera soluzione: intanto perché danneggia ancora di più la suspension of disbelief, e in secondo luogo perché nello scappare si incoccia quasi sicuramente in qualche altra creatura ostile, aumentando la confusione ancor di più.
Il problema emerge in tutta la sua gravità nel momento in cui a queste caratteristiche si affianca il fatto che i combattimenti generano tutto sommato poca esperienza rispetto al completamento delle missioni. Nessun eroe, in altre parole, ha un vero interesse nel continuare ad affrontare combattimenti, dato che ci sono modi assai più efficaci per guadagnare esperienza ed equipaggiamento. Il risultato è il seguente: nel cercare di risolvere le missioni o di raggiungere un dato obiettivo, al nostro alter ego verrà spontaneo tentare in tutti i modi di evitare gli scontri. Per esempio adoperando lo stealth, oppure zigzagando tra i nemici in modo da scongiurare l’aggro (ossia la loro ‘accensione’ ostile), o anche solo utilizzando lo sprint così da seminare i ‘cattivi’ prima che possano raggiungerlo.
Ebbene, si pensi a come tutto ciò si riverbera nelle modalità esplorative viste nel loro insieme. Alla fine, le uniche location che il nostro eroe può esplorare in relativa tranquillità sono gli avamposti pacifici e le città: nelle zone selvagge e nei dungeon, l’esplorazione somiglia di più a una corsa a ostacoli o a una sorta di puzzle il cui scopo è evitare il più possibile di ‘disturbare’ le creature ostili. Ma qual è il senso dello sviluppare un potente e versatile guerriero se poi è il gioco stesso a ‘dirmi’ che il combattimento è un’attività essenzialmente inutile sia dal punto di vista dell’esperienza sia dal punto di vista della ‘pulizia’ del mondo, visto l’incessante e ipertrofico respawn? Qual è, più in profondità, il ruolo ‘esistenziale’ del nostro eroe, posto che l’esito di ogni sua epica battaglia viene istantaneamente ‘resettato’ sotto i suoi stessi occhi senza neanche dargli il tempo di assaporare la vittoria per qualche secondo? Davvero dobbiamo credere che non esista un sistema per implementare modalità di gioco online di massa che superino queste patetiche e distruttive scorciatoie?
9. Il crafting
Se la crescita di livello dell’eroe soddisfa solo fino a un certo punto a causa delle problematiche appena trattate, ci si può almeno in parte consolare con l’interessante comparto di crafting offerto da The Elder Scrolls Online. C’è tutta una serie di abilità riservata a quest’ambito, divisa in differenti ‘linee’, ciascuna delle quali è collegata a un settore particolare: il blacksmithing (armi e armature di metallo), la lavorazione del legno (archi e bastoni), la lavorazione delle pelli (armature medie), la tessitura (vesti e armature leggere), l’alchimia (pozioni), l’enchanting (rune per incantare le armi e le armature) e finanche la cucina (cibi e bevande).
Con il nostro eroe abbiamo approfondito in particolare la creazione di armi e armature di metallo, quindi racconteremo un po’ come funziona questo comparto, sperando così di esemplificare anche gli altri. Anzitutto, sarà necessario procurarsi la materia prima: il metodo più diretto è cercarla nel mondo di gioco, e investendo qualche punto abilità sarà anche possibile ‘evidenziarla’ da lontano così da trovarla più facilmente. Un altro sistema per procurarsi materiale è ‘smontare’ l’equipaggiamento in nostro possesso che non intendiamo utilizzare: scomponendo i manufatti più elaborati è anche possibile ottenere preziosi reagenti utilizzabili per migliorare la qualità degli oggetti creati, indicata dal colore del loro nome (un oggetto dal nome verde è generalmente migliore di uno dal nome bianco, e uno dal nome blu è generalmente migliore di uno dal nome verde, ad esempio).
Una volta in possesso delle materie prime, si potrà procedere alla creazione vera e propria, durante la quale occorrerà prestare attenzione a diverse fattispecie. L’oggetto creato, per esempio, potrà essere utilizzato solo da personaggi di un certo livello, quindi occorrerà fare attenzione a non utilizzare metalli troppo ‘avanzati’, pena l’impossibilità di godere del frutto del nostro lavoro. In secondo luogo, se vogliamo creare manufatti che abbiano una qualche caratteristica che ne migliori l’utilità, occorrerà non solo avere il reagente adatto ma anche ‘imparare’ quella caratteristica: per farlo, dovremo ‘investire’ un oggetto in nostro possesso che abbia già quella caratteristica e sacrificarlo per poterla imparare (il processo di apprendimento dura molte ore di tempo reale, a volte anche interi giorni). Ciascun manufatto, poi, può avere un certo stile, solitamente collegato alla razza: per poter creare oggetti in un determinato stile occorre ancora una volta avere il relativo reagente nonché la conoscenza di quello stile, che possiamo avere di default o che si può apprendere entrando in possesso del relativo ‘motivo’, una sorta di documento.
Le postazioni di lavoro sono distribuite generosamente nel mondo di gioco. Alcune sono speciali e consentono di creare oggetti appartenenti a un set che migliora con la quantità di manufatti equipaggiati: ma per poterle proficuamente utilizzare sarà necessario avere già una certa conoscenza del ramo.
Complessivamente, si percepisce lo sforzo degli autori nel cercare di rendere il crafting un comparto appetitoso e stimolante anche e soprattutto sul lungo periodo: una caratteristica essenziale in un prodotto come un gioco online di massa che si proponga di durare nel tempo. Sono almeno due i problemi che secondo noi saltano all’occhio. Anzitutto, anche il crafting risente del sistema di livellamento indiscriminato che permea il mondo di gioco e di cui parleremo più diffusamente nel prossimo capitoletto: i metalli avanzati, per esempio, compaiono dal nulla in giro per Tamriel solo quando il nostro eroe ha ‘sbloccato’ il livello di abilità sufficiente. In secondo luogo, e questo è senza dubbio il problema principale, non abbiamo mai avuto l’impressione che l’equipaggiamento facesse davvero la differenza. A fare la differenza è piuttosto l’utilizzo delle abilità, che sono in genere slegate dalle armi e dalle armature: le creature ostili, ahinoi, soccombono con la stessa monotona lentezza sia che le si colpisca con un ferro da calza sia che le si colpisca con una prestigiosa spada rarissima.
10. Il problema del livellamento automatico
Quando uscì, nell’ormai lontano 2006, Oblivion scatenò una gran quantità di critiche soprattutto a causa del suo sistema di livellamento indiscriminato: onde consentire al giocatore piena libertà, il gioco calibrava nemici e tesori sulla base del suo livello di esperienza, con risultati talvolta ridicoli (per esempio, banditi che derubano i viandanti indossando preziose armature daedriche di valore inestimabile). Ebbene, The Elder Scrolls Online presenta, dopo la sua trasformazione subita in seguito agli ultimi aggiornamenti, una situazione assai simile a quella che si vede nell’Oblivion ‘vanilla’: la nuova libertà da parte dei personaggi di scendere in campo assieme a qualunque amico è costata un prezzo salatissimo in termini di immersione e di credibilità del mondo.
La fattispecie, a voler essere più precisi, non è esattamente come quella vista in Oblivion: per esempio, la tipologia di nemico non cambia in base al livello del personaggio, dato che le creature selvagge vengono scelte dal gioco sulla base dell’ambientazione. A cambiare sono le statistiche del nemico: a tale livello corrisponderà tale danno e tale quantità di punti ferita. L’esito è devastante: i combattimenti contro i mostri ‘generici’ (quelli che abbiamo già chiamato trash mob) sono quasi indistinguibili l’uno dall’altro, e la difficoltà è più o meno sempre la stessa non solo a prescindere dal nemico ma anche a prescindere dal livello dell’eroe. Certo, ciascuna creatura ostile ha a disposizione attacchi particolari, in genere presi in prestito dai vari alberi di abilità dei personaggi giocanti: ma queste differenze non bastano a calmierare la ripetitività del meccanismo.
Il livellamento automatico, peraltro, non riguarda solo i combattimenti ma anche l’equipaggiamento. Abbiamo già accennato all’assurdità di un mondo di gioco in cui le materie prime compaiono magicamente attorno a noi sulla base delle abilità sbloccate dal nostro eroe: ma lo stesso si può dire per quel che riguarda armi e armature trovate sui cadaveri dei nemici sconfitti. Il nostro personaggio è di livello 40? Troverà solo armi e armature di livello 40. Abbiamo appena raggiunto il livello 41? Da questo momento in avanti troveremo solo armi e armature di livello 41. Scordiamoci, dunque, la possibilità di affrontare uno scontro pericolosissimo per poter agguantare un’arma potente: le armi le decide il gioco, solo e soltanto sulla base del nostro livello. Scordiamoci di attaccare un PnG solo per rubargli la sua scintillante armatura: i cadaveri dei nemici non possono essere realmente depredati, dato che l’eventuale bottino non ha nulla a che fare con il personaggio che compare nel gioco.
Il paradosso raggiunge l’apice quando ci si concentra sull’aspetto narrativo. Prima degli ultimi aggiornamenti, i personaggi potevano affrontare le ultime fasi della trama principale solo a livelli altissimi, realisticamente solo dopo aver fatto quasi tutto il resto, almeno sul versante PvE. Nella situazione attuale, invece, è perfettamente possibile (ed è quello che abbiamo fatto noi col nostro personaggio) concentrarsi solo sulla trama principale e portarla a termine con un eroe di livello medio-basso. La narrazione ci dirà che il nostro alter ego sta compiendo missioni inenarrabili, quasi inconcepibili per un mortale: ma una volta tornati alle missioni accessorie, quelle collegate alla fazione, nessuno lo riconoscerà per quel che ha già fatto, nessuno saprà che ha letteralmente salvato il mondo dalla distruzione. D’altro canto, il Planemeld bloccato dal protagonista durante la trama principale continuerà indisturbato, nelle altre ambientazioni, anche dopo il compimento della medesima. Ma se tutto è ‘bloccato’ sia narrativamente sia dal punto di vista dei livelli e della giocabilità, perché continuare a giocare?
11. Il problema del bimbominkia
Molti anni fa pubblicavamo in questo sito un articolo incentrato sulla difficoltà di utilizzare un gioco online di massa per fare interpretazione, e individuavamo come punto centrale di questo problema il fatto che la massa include, per forza di cose, giocatori di tutti i tipi, molti dei quali completamente incapaci di reggere la mole di ‘lavoro’ richiesta a chi voglia interpretare il proprio personaggio con accuratezza.
Ebbene, non stupisce che The Elder Scrolls Online rappresenti un ottimo esempio della nostra argomentazione. Se già il gioco ci mette del suo nel rovinare la suspension of disbelief, la parte più importante di questa distruzione della credibilità del mondo è senza dubbio rappresentata dal comportamento dissennato dei giocatori stessi, che sembrano del tutto incapaci di sperimentare qualunque tipo di immersione in una realtà virtuale. È un problema che meriterebbe adeguato approfondimento anche da un punto di vista psicologico e formativo: qui ci limiteremo a descrivere qualche sua conseguenza in termini di giocabilità.
Prima conseguenza eclatante: per qualche strano motivo, gli eroi in azione su Tamriel corrono tutti come dei disperati. Corrono non solo quando devono precipitarsi a salvare qualcuno in pericolo, corrono sempre: anche quando si spostano da un negozio a un altro negozio posizionato di fronte sulla stessa strada. E il più delle volte non si limitano a correre ‘normalmente’: attivano anche lo sprint che consuma la stamina, quindi sfrecciano come proiettili. (Qualche volta viene il sospetto che molti giocatori non abbiano la minima idea che si possa anche camminare: in un determinato frangente, ci è capitato che un’eroina ci abbia avvicinato implorandoci di spiegarle come si fa. Evidentemente aprire il pannello delle opzioni è un’attività mai presa in considerazione da qualcuno). Va detto, peraltro, che è la struttura stessa delle città, tutte insistentemente aperte e dispersive, a spingere il giocatore a spostarsi rapidamente anche al loro interno: c’è quindi in questo caso un concorso di colpa.
Un altro problema eclatante è la modalità con cui tanti eroi si presentano dal punto di vista squisitamente estetico. Molti personaggi giocanti danno mostra di scegliere degli outfit del tutto scoordinati, presumibilmente selezionati solo in base alla potenza di ciascun singolo componente; altri, viceversa, sono ottimamente coordinati, ma sulla base di archetipi fantasy completamente slegati dall’ambientazione e dalla situazione contingente. C’è chi sembra un signore non morto, chi un supereroe dei fumetti, chi un personaggio preso di peso da un altro videogame (vanno per la maggiore, in particolare, il simil-barbaro di Diablo e il simil-Ezio Auditore di Assassin’s Creed). Pochissimi sembrano davvero personaggi del mondo di The Elder Scrolls, vestiti come richiederebbe la razza di appartenenza o la gilda di affiliazione. Per non parlare dei nomi: la percentuale di nomi credibili è prossima allo zero. (L’eroina che ci implorò affinché le spiegassimo come si cammina si chiamava “Uma Thurman”, tanto per capirci).
In un contesto siffatto, anche il giocatore più serio e impegnato getterà inevitabilmente la spugna nel momento in cui si renderà conto che il suo sforzo interpretativo e la sua volontà di rendere il mondo di gioco credibile e autentico sono paragonabili all’azione di chi cerca di svuotare il mare con un cucchiaino. Ovviamente, non si può chiedere agli autori di cacciare da Tamriel il novantacinque per cento degli utenti: si potrebbe però chieder loro di dedicare un po’ più di attenzione ai roleplayer. Determinate impostazioni di gioco potrebbero non costringere ma almeno ‘spingere’ i fruitori a comportamenti più adeguati e rispettosi: questo non solo appagherebbe i giocatori di ruolo, ma avrebbe anche, forse, conseguenze più profonde a livello di formazione di un senso civico di comunità. Perché in fondo un gioco online di massa è anche questo: una comunità. E nessuna comunità ‘funziona’ senza un adeguato sistema di regole di convivenza che non possono limitarsi al divieto di pugnalare alla schiena.
12. Antropologia tamrielica
Le modalità con cui The Elder Scrolls Online rappresenta le varie regioni di Tamriel stimolano qualche riflessione, soprattutto nel confronto retrospettivo tra questa incarnazione della saga e i suoi capitoli ‘veri’, quelli per giocatore singolo. Non ci ha abbandonato, durante le lunghe ore di peregrinazione nel Tamriel della Seconda Era, la sensazione che la rappresentazione del mondo fosse un po’ riduttiva e in qualche modo provinciale.
Spieghiamo meglio la faccenda. Morrowind, Oblivion e Skyrim sono ambientati in un’unica regione del mondo: purtuttavia, le atmosfere delle varie zone, anche solo delle varie città, cambiano considerevolmente. Si pensi per esempio agli stili architettonici: Balmora è assai diversa da Vivec o da Sadrith Mora, Chorrol è differente da Anvil e da Cheydinhal, Solitude è diversissima da Riften o da Winterhold. Ebbene, queste differenze sono dovute non direttamente alla razza che popola gli insediamenti, bensì alla koinè culturale che a essi ha dato vita. Infatti, le comunità che abitano le città sono generalmente miste: ovviamente in Morrowind la razza dominante è quella dei dunmer, e in Skyrim quella dei nord, ma alle influenze più direttamente etniche si sovrappongono senza soluzione di continuità le influenze culturali, e alla fine sono queste ultime ad avere la meglio nel caratterizzare ambientazioni e insediamenti. Sadrith Mora in Morrowind è com’è soprattutto a causa del proliferare delle torri-fungo dove si rifugiano i potenti maghi Telvanni; Skingrad in Oblivion è caratterizzata anzitutto dalle sue famose coltivazioni di vite; Windhelm in Skyrim ha almeno un paio di ghetti a causa della xenofobia collegata alla rivolta degli Stormcloack; e così via.
Nei giochi ‘veri’ della saga, in altre parole, il mondo è credibile anche e soprattutto in forza del suo essere un mondo disegnato non a priori ma a posteriori, sulla base cioè non di una infantile antropologia etno-centrica, bensì sulla base di eventi storici, a loro volta causati da precise ragioni politiche ed economiche. Le diverse etnie si inseriscono in questi meccanismi come istanze di secondo momento, proprio come avviene nella realtà. Io sono quel che sono non perché sono di etnia bianca caucasica, ma perché sono cresciuto in un determinato contesto sociale, economico e culturale. La mia etnia ovviamente contribuisce alla determinazione della mia identità, ma non in prima e unica istanza.
Se osservato da questo punto di vista, il mondo di The Elder Scrolls Online rappresenta un tremendo passo indietro rispetto agli episodi della serie pensati per giocatore singolo. Le sue varie ambientazioni, infatti, si differenziano tra loro anzitutto sulla base dell’etnia di riferimento. Facciamo un veloce esempio. La campagna dell’Aldmeri Dominion si svolge in gran parte nelle diverse regioni del Valenwood, la patria dei bosmer. Ebbene, gli insediamenti che incontreremo nel Valenwood sono tutti molto simili e sono caratterizzati in quanto insediamenti elfici, sulla base peraltro di cliché stra-abusati: gli elfi dei boschi vivono dentro le piante, si arrampicano sugli alberi, rispettano la Natura eccetera. La Storia sembra impotente di fronte alla razza: anche quando una città del Valenwood è colonizzata da decenni dagli altmer, questi ultimi vivono nelle loro case in muratura, ma i bosmer continuano a vivere dentro i loro alberi. Se osservato con l’occhio dell’antropologo, The Elder Scrolls Online sembra una specie di terribile incubo razzista.
Tutto ciò non ha solo conseguenze spiacevoli dal punto di vista della credibilità del mondo e del valore formativo del gioco nel suo insieme: ha anche un effetto letale sulla giocabilità. Se insediamenti e atmosfere sono collegate solo alla razza, il territorio di ciascuna razza risulterà alla fine come un amalgama indistinto: sfidiamo i giocatori a ricordare, dopo decine di ore di gioco, il nome di tutte le città incontrate. Siamo certi che al massimo a restare in mente saranno le diverse salienze etniche: col mio eroe sono stato nella patria degli altmer, in quella dei bosmer e in quella dei khajiit. I decenni di elaborazione di un background storico e culturale coi controfiocchi si sono, alla fine, ridotti a questo: gli elfi dei boschi si arrampicano sugli alberi, gli elfi alti vivono in case barocche dal retrogusto liberty, gli uomini-gatto vivono nel deserto e quindi abitano tende e capanne sollevate da terra. Solo a noi tutto questo sembra terribilmente deprimente?
13. Le espansioni e le sottoscrizioni
Come già dicevamo in apertura, i giochi online di massa sono entità in divenire, continuamente aggiornati sulla base delle necessità del pubblico dei clienti o degli autori. Nel tentativo di tenere alto l’interesse degli utenti, The Elder Scrolls Online viene periodicamente arricchito da espansioni: da questo punto di vista il lavoro degli sviluppatori è serrato e costante, segno che anche da parte del publisher c’è volontà di mantenere il mondo virtuale attivo ancora per molto tempo.
Il gioco offre anzitutto una pletora di contenuti aggiuntivi di piccolo taglio: vestiti o acconciature per il personaggio giocante, cavalcature di ogni tipo, pet di ogni sorta, scorte di pozioni o materiale per il crafting eccetera. In genere il costo è irrisorio, anche se non manca chi ha biasimato la scelta di offrire molto materiale solo ed esclusivamente in cambio di moneta reale. Un buon esempio sono appunto le cavalcature: è vero che sono acquistabili anche in-game con moneta virtuale, ma le più strane ed esotiche sono appannaggio dello store e sono quindi ottenibili solo con denaro reale.
Le vere e proprie espansioni, più sostanziose, costano più o meno una ventina di euro l’una e sono le seguenti:
Imperial City permette di visitare la città imperiale al centro di Cyrodiil, nella quale si incontrano nuovi contenuti sia PvE sia PvP;
Orsinium consente di affiancare il re orco Kurog nella ricostruzione della perduta capitale del territorio degli orsimer, offrendo al giocatore l’inedita possibilità di riedificare a piacimento la città in oggetto;
Thieves Guild e Dark Brotherhood aggiungono al gioco le due gilde in oggetto, assenti nella versione base di The Elder Scrolls Online;
Shadows of the Hist permette al giocatore di avventurarsi in un dungeon di Black Marsh assieme ad affiliati argoniani della Dark Brotherhood preoccupati da una minaccia che incombe sulla loro terra natia;
Morrowind, che verrà pubblicata a giugno 2017 e che viene annunciata come l’espansione di gran lunga più ricca (sarà, di conseguenza, più costosa), permetterà al giocatore di avventurarsi nelle terre di Vvardenfell, inaccessibili nel gioco base.
L’ultima aggiunta sostanziosa al gioco non è una vera e propria espansione a pagamento ma quasi: si tratta del pacchetto chiamato Homestead, che permette al giocatore di acquistare in-game una casa per il suo personaggio, concretizzata come area collocata all’interno del mondo di gioco ma ‘istanziata’ e arredabile a piacimento. Anche se è tecnicamente possibile ottenere una magione senza pagare denaro reale, va detto che le opzioni di personalizzazione sono assai più ampie per chi è disposto a separarsi da un po’ di moneta sonante.
Anche se ormai da molti mesi il gioco è gratuito se si esclude il costo iniziale di acquisto, è comunque possibile scegliere di sottoscrivere un abbonamento per uno, tre o sei mesi: così facendo si attiverà un profilo plus, collegato a numerosi vantaggi. Anzitutto, tutte le espansioni sono liberamente accessibili a chi ha un profilo plus: solo le espansioni maggiori, però, dato che i piccoli contenuti a pagamento continuano a restare tali. In secondo luogo, i personaggi di chi ha un profilo plus ottengono oro ed esperienza in-game più rapidamente. In terzo luogo, e questo è forse il vantaggio maggiore rappresentato da questa opzione, chi ha un profilo plus ha per ogni suo personaggio una crafting bag che consente di raccogliere una quantità infinita di materiale per il crafting. Diciamo pure che chi vuole dedicarsi seriamente all’artigianato è non obbligato ma almeno fortemente spinto alla firma di una sottoscrizione. Un altro punto importante da sottolineare è che la sottoscrizione si accompagna alla messa a disposizione dell’utente di una notevole quantità di crown, il denaro virtuale che corrisponde a quello reale: in un certo senso al pagamento della quota di sottoscrizione, che è di poco più di 10 euro al mese, corrisponde il ‘ritorno’ della stessa quantità di denaro sotto forma di valuta virtuale con cui acquistare liberamente nello store del gioco.
14. Grafica e sonoro
The Elder Scrolls Online utilizza un motore di gioco sviluppato internamente da Zenimax, coadiuvato, nelle fasi di prima elaborazione, dall’Hero Engine implementato anche da Star Wars: The Old Republic di Bioware. Il sistema grafico non mette in campo prodezze da far girar la testa, ma comunque costruisce scene gradevoli ed evocative, nonché estremamente stabili e non troppo difficili da gestire a livello di hardware: caratteristica, quest’ultima, assai importante per un gioco online di massa. In generale, le atmosfere non si discostano molto da quanto sperimentato in Oblivion o in Skyrim: peraltro, la salienza è sicuramente più vicina a quella del primo titolo che non a quella del secondo, probabile conseguenza del fatto che lo sviluppo è cominciato subito dopo Oblivion ed è quindi stato da quest’ultimo più profondamente influenzato.
Animazioni e gestualità dei personaggi e delle creature che popolano il mondo di gioco sono mediamente soddisfacenti, forse in determinati casi perfino di più che nei giochi per giocatore singolo, che non hanno mai brillato da questo punto di vista. Va detto, peraltro, che rispetto ai capitoli ‘veri’ della saga questa incarnazione non trasmette la stessa sensazione di ‘fisicità’ e di completo controllo del proprio avatar, e che la simulazione sembra lasciar spazio all’astrazione anche quando si parla di movimento, interazione col mondo, scontro col nemico. Un ottimo esempio di quel che stiamo cercando di spiegare è l’effetto di molte abilità utilizzate durante il combattimento, effetto che sembra avvenire in una dimensione parallela, del tutto indifferente alle caratteristiche fisiche e spaziali dell’ambientazione. Se Oblivion e Skyrim sono anzitutto mondi virtuali in cui muovere il nostro personaggio, The Elder Scrolls Online è anzitutto un gioco di combattimenti fantasy: è il mondo che si adegua alle meccaniche del combattimento e non viceversa.
Il comparto sonoro è pienamente soddisfacente e per i veterani della serie punta molto anche sull’effetto nostalgia, dato che riutilizza alcune tracce già presenti in Morrowind e in Oblivion. Gli effetti sonori sono appropriati e il parlato merita sicuramente un plauso dato che la quantità di dialogo presente nel gioco è semplicemente sbalorditiva e deve essere costata parecchio in termini di realizzazione e di cura.
15. Conclusioni
Come dicevamo all’inizio dell’articolo, questa più che una recensione è una analisi del tutto partigiana, nel senso che non si occupa del prodotto nella sua interezza ma solamente di una sua parte, quella utilizzabile e fruibile dal giocatore singolo, possibilmente intento a ricreare le atmosfere della giocabilità ‘classica’ della saga alla quale il prodotto appartiene.
Ebbene, può The Elder Scrolls Online essere considerato a pieno titolo come un episodio irrinunciabile della serie The Elder Scrolls? La risposta a una domanda siffatta deve essere un minimo articolata. Se identifichiamo la serie con il suo lore, ossia con il suo background e la sua storia, la risposta può essere “sì”: The Elder Scrolls Online si impegna molto nel veicolare e nell’evocare la sua ambientazione, e quest’ultima non appare mai come un semplice pretesto ma anzi si configura spesso come l’autentica ispirazione che ha portato a determinate direzioni artistiche e narrative. Che poi il risultato sia opinabile è un altro discorso: come diciamo nell’articolo, per esempio, non siamo affatto convinti dal piglio ‘razzista’ con cui sono tratteggiate le varie regioni di Tamriel. Ma che dietro ci siano stati studio e passione non c’è dubbio.
Se però la serie The Elder Scrolls più che la sua ambientazione è la sua giocabilità tipica, allora la risposta alla domanda soprastante deve essere “no”. Chi cerchi di riprodurre il passo simulativo dei giochi per giocatore singolo dentro The Elder Scrolls Online fa la classica figura del pesce fuor d’acqua: remeranno contro la sua volontà non solo e non tanto gli altri utenti, quanto la struttura stessa del prodotto, che come abbiamo ripetutamente detto non ci offre davvero un mondo da esplorare, quanto una serie di missioni più o meno concatenate da risolvere in sequenza, dentro un ambiente di gioco che privilegia anzitutto l’ottimizzazione dell’eroe in vista dell’inevitabile scontro con creature ostili.
Questo non significa che si debba rinunciare in partenza al godimento del gioco, peraltro. Se si calibrano adeguatamente le aspettative, The Elder Scrolls Online può regalare ore e ore di intrattenimento: se poi ci incuriosisce l’idea di interagire con altri giocatori e di fare gruppo magari con amici per esplorare il mondo, allora The Elder Scrolls Online è un investimento consigliatissimo. Solo, non ci si illuda che questo gioco possa saziare la nostra voglia di vita virtuale in attesa del prossimo ‘vero’ The Elder Scrolls.
Tre pregi di The Elder Scrolls Online
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Tre difetti di The Elder Scrolls Online
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Estremamente vasto e multiforme
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La giocabilità è assai lontana da quella degli episodi per giocatore singolo
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Le ambientazioni sono colme di riferimenti al complesso background della saga
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Il sovranismo con cui sono descritte le varie ambientazioni lascia perplessi
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Ottimo e approfondito comparto di crafting
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È un MMORPG, ergo è pieno di bimbiminkia
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