Shadowrun Returns

Nel 2013, dopo una fortunata campagna Kickstarter, lo sviluppatore statunitense Harebrained Schemes pubblicò un interessante GdR con visuale isometrica e combattimento a turni, costruito attorno a un importante regolamento cartaceo. Scopriamo cosa offre Shadowrun Returns.

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Esempio di gioco
Il nostro parere

1. Contaminazioni
Shadowrun è il nome di un gioco di ruolo creato nel 1989 da Jordan Weisman, autore statunitense allora ventinovenne. Il regolamento nasceva di pari passo con l’ambientazione, definibile come una via di mezzo tra il cyberpunk e l’urban fantasy. Il setting di Shadowrun si basa sulle conseguenze della conclusione del ciclo temporale scandito dal calendario maya e dal conseguente cataclisma paventato anche nella realtà da molti complottisti alla fine del 2012 (il cosiddetto 2012 phenomenon): negli anni Ottanta Weisman immagina che in quella occasione si verifichi l’awakening, una sorta di ‘invasione’ del mondo da parte di energie magiche e creature fantasy, che devono così trovarsi a convivere con gli esseri umani e con gli sviluppi tecnologici e sociali di un futuro un po’ distopico, caratterizzato dal dominio delle corporation e da un ruolo sempre maggiore che al loro interno esercitano gli shadowrun, agenti segreti in grado di appropriarsi di materiale fisico e digitale. In questo mondo futuro l’internet è un luogo ‘fisico’ nel quale gli hacker esperti, chiamati decker, possono muoversi tra le differenti reti, purché riescano ad avere la meglio sulla sorveglianza messa in atto dalle IC (Intrusion Countermeasure), sorta di guardie digitali.
Come si vede, si tratta di una ambientazione al contempo originale e familiare, che ricorda quella del GdR Cyberpunk 2020, pubblicato con questo nome l’anno successivo, e che per quel che riguarda la presenza di razze fantasy in un mondo non medievale potrebbe portare alla mente anche il videogioco Arcanum di Troika. Il fatto che sia Shadowrun sia Cyberpunk, anche quest’ultimo destinato ad avere presto una incarnazione digitale, abbiano entrambi visto la luce alla fine degli anni Ottanta, più o meno in corrispondenza con la svolta rappresentata dalla caduta del muro e dalla fine del “secolo breve”, è peraltro assai interessante dal punto di vista culturale e sociologico. Nel 2013 Weisman, diventato nel frattempo autore riconosciuto e pluripremiato, comincia a sorpresa una campagna Kickstarter per dar vita egli stesso, tramite la sua etichetta Harebrained Studios, a una versione digitale del suo GdR più famoso. A dire il vero Shadowrun aveva già avuto, negli anni Novanta e poi di nuovo nel 2007, diverse incarnazioni digitali: ma erano tutte, secondo lo stesso autore del regolamento, gravemente insoddisfacenti. Vediamo allora come questo mondo e queste regole hanno trovato concretizzazione digitale per la penna di Weisman: scopriamo insieme Shadowrun Returns.

2. Premesse narrative
A ogni altra considerazione, dobbiamo anzitutto anteporre l’assunto che il prodotto che stiamo analizzando nasce principalmente come un sistema di gioco e come un editor, del quale l’avventura ufficiale è una sorta di dimostrazione, un po’ come accaduto con il primo Neverwinter Nights. Oltre a essere stato utilizzato da tanti appassionati, l’editor, opportunamente aggiornato, ha preso anche le forme di altre due avventure ufficiali, pubblicate nel 2014 e nel 2015 e intitolate rispettivamente Dragonfall Hong Kong: ne parleremo in futuro qui in apposite recensioni dedicate. La campagna inclusa in Shadowrun Returns si intitola Dead man’s switch e ci mette nei panni di uno shadowrun temporaneamente disoccupato, con il conto in rosso e la prospettiva di una vita di espedienti; a cambiare le carte in tavola ci pensa una comunicazione da parte di un nostro ex sodale, Sam Watts, che ci offre una ricchissima ricompensa se riusciamo a condurre a giustizia il suo assassino. Perché la comunicazione che riceviamo è post mortem: è un messaggio registrato e programmato per partire solo in caso di dipartita del suo autore. Il nostro contatto defunto ci suggerisce di cominciare l’indagine analizzando il suo cadavere: un apposito chip impiantato nel suo cranio ci guiderà verso esso (nel mondo di Shadowrun gli impianti cibernetici sono assai diffusi). Ma quella che parte come una ‘semplice’ indagine per omicidio si allarga progressivamente, assumendo contorni sempre più inquietanti, fino a prendere le forme dell’immancabile minaccia globale, che solo il nostro eroe riuscirà, forse, a sventare.

3. Panoramica
Shadowrun Returns è un GdR con visuale isometrica dall’alto e interfaccia “punta e clicca”: l’esplorazione è in tempo reale, mentre il combattimento è a turni. Il giocatore controlla il proprio personaggio, creato all’inizio della partita, e lo muove nelle varie ambientazioni interagendo con personaggi non giocanti, contenitori e terminali. In determinati frangenti il protagonista è accompagnato da comprimari, ma solo alcuni di loro sono personaggi a tutto tondo: più spesso si tratta di generici runner arruolati da appositi fornitori, in modo non dissimile da quel che accade con i personaggi disponibili nelle locande in Pillars of Eternity. I comprimari, in ogni caso, non sono sempre sotto il controllo del giocatore: nelle fasi di esplorazione seguono automaticamente il protagonista e diventano vere e proprie ‘pedine’ nelle mani dell’utente solo durante il combattimento.
L’avventura Dead man’s switch è molto lineare: le missioni si susseguono l’una all’altra con poche possibilità di scartare di lato, e le location sono disegnate appositamente per l’incarico contingente. A fungere da quest hub è, per gran parte dell’avventura, la Seamstress Union, sorta di bar-bordello nei bassifondi di Seattle, città che fa da sfondo alla vicenda narrata: lì l’eroe può entrare in contatto anche con venditori di armi, armature, incantesimi e impianti cibernetici, così da effettuare opportuni upgrade tra una missione e la successiva. Ai segmenti nel mondo reale si alternano, nel corso di alcune missioni, momenti di esplorazione del cyberspazio, con tanto di combattimenti contro gli IC: i momenti più difficoltosi e concitati sono spesso quelli nei quali il giocatore è chiamato a gestire contemporaneamente uno scontro con nemici in carne e ossa e una tenzone con feroci guardiani digitali, gestita in autonomia dal decker presente nel party.

4. La gestione del personaggio
All’inizio dell’avventura il giocatore è chiamato a creare il suo alter ego, tramite un editor che segue scrupolosamente il regolamento del GdR di Shadowrun. Dopo la scelta del sesso, puramente estetica, si passa alla selezione della razza: oltre agli umani, che non hanno bonus alle caratteristiche ma che iniziano con una piccola quantità gratuita di karma, cioè di esperienza, è possibile scegliere tra quattro razze cosiddette metahuman che sono elfi, nani, orchi e troll; ciascuna di esse ha un bonus iniziale a uno degli attributi, e in generale ciascuna razza ha un valore massimo oltre al quale questi ultimi non possono essere aumentati. Gli attributi definiscono in modo profondo l’identità del personaggio, come le caratteristiche di base in Dungeons & Dragons: sono il body, che determina la quantità di punti ferita, la quickness, che influenza l’abilità con le armi a distanza e anche la capacità di schivare i colpi; la strength, che migliora il danno in corpo a corpo e l’abilità nel lanciare le granate; l’intelligence, che determina l’abilità con l’hackeraggio di terminali e con il combattimento contro le intelligenze artificiali; il willpower, che influenza l’abilità con gli incantesimi; e infine il charisma, che migliora le evocazioni e che se raggiunge alti livelli può permetterci la scelta di una o più etiquette, sorta di background che aprono nuove risposte nei dialoghi. Il giocatore può decidere di distribuire a piacere i punti a disposizione per gli attributi oppure può scegliere uno degli archetipi a disposizione. Ci sono scelte che funzionano meglio di altre in combattimento, ma non bisogna mai dimenticare che gli scontri più importanti presuppongono che il protagonista sia accompagnato da comprimari che coprano un po’ tutti gli ambiti di specializzazione.
Come abbiamo già accennato, l’esperienza nel gioco viene chiamata karma e prende la forma di punti abilità, distribuibili immediatamente sia tra gli attributi sia tra le abilità propriamente dette. Non esistono livelli: anche dopo aver ottenuto un solo punto karma siamo liberi di utilizzarlo. Certo, più gli attributi e le abilità aumentano e più servono punti karma per migliorarli, in un semplice rapporto uno a uno. Per portare la quickness da 8 a 9, per esempio, servono ben 9 punti; le abilità sottostanno a un attributo, ed è necessario aumentare prima quest’ultimo e solo successivamente l’abilità collegata. Nulla vieta di concentrare tutti i punti karma su un’unica statistica: in teoria il gioco ci mette a disposizione punti sufficienti per arrivare a livelli epici se ci si specializza, ma a un certo punto dovremo fermarci perché avremo raggiunto il massimale per la nostra razza.

5. Esplorazione e dialogo
Come già abbiamo scritto, l’avventura Dead man’s switch è molto lineare: le missioni si susseguono l’una all’altra e impongono l’accesso alle relative ambientazioni in ordine fisso. Anche se alcuni luoghi, in particolare la Seamstress Union, vengono visitati più volte, il giocatore non può andarci a sua discrezione ma solo dopo aver completato la missione in corso. In un paio di frangenti viene data all’utente la possibilità di scegliere tra due o più percorsi diversi per arrivare all’obiettivo, ma si tratta di biforcazioni comunque poco significative: possiamo tranquillamente affermare che l’avventura è totalmente priva di libera esplorazione. Anche l’interazione con l’ambiente è ridotta ai minimi termini: sarà necessario accedere a qualche terminale, cercare all’interno di qualche contenitore, ma anche in questo caso nulla premia in qualche modo l’intuizione o l’iniziativa del giocatore. Tra l’altro va detto che è particolarmente fastidioso il sistema di comunicazione dei punti di interazione: le icone relative compaiono solo se si passa il mouse su di esse, ma il feedback è incerto e non particolarmente reattivo.
I dialoghi sono costruiti col classico sistema della risposta multipla. L’interfaccia mostra una grande rappresentazione dell’interlocutore e non ci sono immagini riutilizzate: questo è importante perché permette al giocatore di collegare i personaggi importanti a una faccia, ovviando alla sinteticità del motore grafico. Anche i dialoghi sono investiti dalla struttura chiusa che caratterizza l’avventura: una volta che una conversazione chiave viene ‘percorsa’, non è più possibile accedervi. Solo i negozianti rimangono sempre ‘aperti’, ma solo quando si è nella Seamstress Union. I testi in sé sono soddisfacenti: lunghi quanto basta, ben approfonditi, scritti con un linguaggio credibile. Le opzioni di risposta disponibili solo raramente conducono a esiti particolari: il più delle volte servono semplicemente per ottenere informazioni aggiuntive. In alcuni casi le scelte sono mostrate ma non selezionabili: succede quando il nostro personaggio non ha carisma sufficiente o non ha l’etiquette richiesta, ma anche quando l’interfaccia di dialogo viene utilizzata per accedere a un terminale e mancano le adeguate conoscenze tecniche.

6. Le interfacce secondarie
La filosofia lineare e minimalista che permea il gioco abbraccia anche la gestione dell’inventario: in Shadowrun Returns esistono solo le armi equipaggiate e qualche spazio per gli oggetti da utilizzare rapidamente in combattimento, come granate o kit di guarigione. Non c’è uno ‘zaino’ propriamente detto e durante le quest troveremo pochissimi oggetti e nessuna arma: queste ultime, così come le armature e gli impianti cibernetici e gli incantesimi, possono solo essere acquistati tra una missione e l’altra, utilizzando la ricompensa in denaro ottenuta in genere al termine di ogni incarico portato a termine. Gli oggetti necessari per il completamento delle quest non compaiono nell’inventario ma in una lista nella schermata del diario, che è anch’essa decisamente minimalista: a essere visibile in ogni momento è solo una breve descrizione della missione corrente, verso la quale peraltro conducono con una certa evidenza anche appositi indicatori nella visuale principale. L’unica altra schermata secondaria è quella relativa alle abilità del personaggio, alla quale accederemo con una certa frequenza, ogni volta che otterremo qualche punto di karma.

7. Il combattimento
Quando il protagonista e i suoi compagni incontrano una creatura ostile, il tempo reale viene sostituito dai turni. A ciascun personaggio vengono assegnati di default tre punti azione da spendere nel proprio turno: i punti possono essere utilizzati per spostarsi (un apposito effetto grafico mostra fin dove si può arrivare spendendo uno, due o tre punti), per sparare o sferrare un colpo con un’arma a distanza, per lanciare un incantesimo, per adoperare un oggetto presente nell’inventario. In qualche occasione, a seconda del tipo di arma utilizzata, sarà necessario spendere un punto per ricaricarla. L’approccio semplice e lineare che caratterizza l’insieme è presente anche nel sistema di combattimento: ogni azione ‘costa’ un punto, e i punti non utilizzati vengono semplicemente sprecati dato non vengono portati al turno successivo. Gli incantesimi non richiedono alcuna energia magica, ma hanno un tempo di ricarica che può variare da uno a tre turni. Molte magie hanno effetti di danno diretto, ma non mancano gli effetti ad area, opportunamente indicati prima del lancio, nonché effetti più indiretti, di quelli chiamati in termini tecnici di crowd control.
Se un personaggio diverso dal protagonista vede i suoi punti ferita completamente azzerati, verrà ‘disattivato’ dallo scontro: a quel punto i suoi compagni avranno tre turni di tempo per farlo rivivere tramite un apposito kit; al termine dei tre turni il comprimario sarà morto e non sarà più possibile recuperarlo. Al termine del combattimento i punti ferita dei personaggi vengono ripristinati completamente: purtroppo però si verifica in più di una occasione la spiacevole fattispecie per cui è sufficiente un nemico lontano, o anche solo l’essere in una zona ostile, per avere l’interfaccia di combattimento fissa anche durante lunghe fasi di semplice ‘spostamento’ dei personaggi, con conseguente fastidioso rallentamento e frammentazione della giocabilità.

8. Grafica e sonoro
Com’è evidente appena ci si accosta al gioco, Shadowrun Returns è un prodotto semi-indipendente, creato con un budget modesto e quindi caratterizzato da un look che è minimal tanto quanto la giocabilità. Il sistema grafico è molto semplice e leggero e ricorda i giochi isometrici degli anni Novanta: a rimediare ci pensa lo stile ben caratterizzato, sia negli sfondi sia soprattutto nei disegni che rappresentano i personaggi. Le animazioni sono anch’esse ridotte all’osso ma riescono comunque a essere sufficienti a garantire una buona rappresentazione di ciò che avviene, soprattutto durante i combattimenti, durante i quali, per esempio, sono ben veicolati anche i gesti connessi alla ricarica delle armi.
Il commento audio, dal canto suo, è molto valido e decisamente coerente con l’ambientazione: le musiche alternano rock e pop elettronico con echi synth, e gli effetti sonori, pur essenziali, sono sufficientemente appropriati e diversificati. Non esiste alcun dialogo parlato, ma in un prodotto come questo non è affatto un elemento di disturbo.

9. Conclusioni
Shadowrun Returns è un gioco molto semplice e molto breve, almeno se si prende in considerazione solo l’avventura ufficiale; in teoria, come dicevamo, il prodotto è nato anzitutto come un editor e non mancano, nello Steam workshop e in altri luoghi virtuali, campagne amatoriali da scaricare e da provare. Non siamo sicuri che dopo tanti anni ne valga la pena, soprattutto se consideriamo che esistono altre due avventure ufficiali, Dragonfall Hong Kong, da tutti ritenute molto migliori rispetto a quella offerta dal gioco capostipite. Dato che queste ultime ‘nuove’ avventure sono stand alone, cioè non richiedono la presenza del gioco base, Shadowrun Returns può essere tranquillamente bypassato a favore delle sue nuove incarnazioni. Noi sentivamo il dovere di provarlo e analizzarlo per completezza: se anche voi avete questo approccio ‘storico’, appropriatevene e sperimentatelo. Visto il prezzo basso e la durata limitata, non sarà un investimento particolarmente impegnativo. Se però date valore a ogni minuti del vostro tempo da videogiocatori, potete tranquillamente farne a meno: non siamo di fronte a un gioco brutto, ma l’avventura, probabilmente per stessa scelta del suo autore, non ha molto da dire né in termini di contenuti né in termini di strategie richieste. In futuro avremo modo di scoprire se Dragonfall e Hong Kong riescono a far emergere la forza del regolamento e del motore di gioco, che pur essendo semplici e lineari, anzi forse proprio per questo, potrebbero avere parecchia potenzialità latente.

Tre pregi di Shadowrun Returns Tre difetti di Shadowrun Returns
Semplice e pulito Campagna breve e lineare
Ambientazione curiosa e ben veicolata La ricchezza del regolamento è poco sfruttata dall’avventura
Musiche evocative runner da aggregare al party non hanno alcuna personalità

8 thoughts on “Shadowrun Returns”

  1. Il Più Antico

    Lo conosco sto gioco perchè usci anche per Android qualche tempo fa (assieme a Dragonfall… Hong Kong mi sa che se lo sono perso per strada) ma mi sa che ora non è più disponibile (la maledizione del solo digitale ha colpito ancora alla faccia di chi invoca il gioco solo in cloud senza più supporti fisici o hardware dedicato….), comunque l’ho avuto installato per diverso tempo sui miei fidati smartphone ma non c’ho mai giocato!!! potrebbe essere l’occasione buona per farlo e per dare un parere (ovviamente non richiesto), conosco molto poco l’ambientazione perchè noi vecchi nerd ai tempi giocammo solo a Cyberpunk (molto poco) e questo lo consideravamo la sua versione caciarona e ci cozzavano male gli elfi con i pc e non in mezzo ai boschi dove devono restare!!! (ovviamente scherzo)
    Però giocai al vecchio rpg per Snes che era veramente bellissimo, pensavo che questa versione fosse un remake e invece da quanto ho letto non c’entra una accidente….

    1. Mosè Viero

      No, non c’entra niente con le precedenti incarnazioni digitali della stessa ambientazione. Anzi, da quel che ho capito l’autore non ha apprezzato i giochi precedenti e con questa serie ha voluto creare la ‘vera’ versione digitale della sua opera cartacea.
      Per certi versi la commistione tra cyberpunk e urban fantasy è strana, è vero. Mi piacerebbe che i giochi spiegassero un po’ meglio la natura dell’awakening che portò all’improvvisa comparsa dei metahuman nel mondo. Magari le ambientazioni cartacee lo spiegano bene e la serie digitale lo considera scontato.

  2. Returns è soltanto il prototipo, con un’avventura breve e poco interessante. Dragonfall e Hong Kong sono tutta un’altra cosa, non c’è davvero paragone.
    Maggior numero e varietà di missioni, hub centrale più ricco, personaggi e compagni molto più approfonditi. Inoltre riescono a rendere e coniugare meglio il connubio tra tecnologia cyberpunk e magia che caratterizza l’universo di Shadowrun.
    Secondo me Weisman ha partorito il tutto mentre si ascoltava The Chain dei Fleetwood Mac, ma rimane un’idea mia… running in the shadows!

    1. Mosè Viero

      Proverò presto Dragonfall! Ne ho sentito parlare davvero bene un po’ da tutti. Ma volevo cominciare dal primo per prospettiva storica.

  3. Il Più Antico

    Torno sull’argomento dopo quasi 2 anni perché nel frattempo mi sono giocato tutti e tre i titoli principali: Returns e Dragonfall di fila, Hong Kong l’ho cominciato immediatamente dopo il secondo, ma preso dalla nausea l’ho lasciato perdere dopo il prologo e l’ho rigiocato e finito in questi giorni (nel frattempo di roba sul mio schermo ne è passata: da Cyberpunk a Pillars of eternity 2 con Fallout New Vegas nel mezzo e altri titoli che ora manco ricordo).
    Returns è molto guidato e breve ma se lo scopo era far conoscere l’ambientazione e il sistema di gioco centra in pieno il suo obiettivo. Inoltre durante la trama si incontra anche il mitico Jake Armitage (protagonista del titolo per Snes), per me è stato come ritrovare un vecchio amico anche se poi il suo ruolo è molto marginale (un vero e proprio fan service per noi vecchi telamoni). Dragonfall (che nel mio vecchio post è stato corretto in DRAGONBALL….) e Hong Kong hanno la struttura praticamente uguale: un pretesto di trama affinché il nostro protagonista diventi il capo di un gruppo di Runners (in honk kong il pretesto è MOLTO labile), una base collocata all’interno di un area “sicura” dove sono presenti dei venditori e un computer (o sporadicamente altri npc) che forniscono le run affrontabili nell’ordine che si preferisce.
    Credo comunque che Dragonfall sia più equilibrato rispetto ad Hong Kong per alcuni aspetti che me lo fa preferire al titolo più recente: anzitutto le missioni opzionali sono amalgamate meglio con la principale e con quelle dei comprimari, l’ambientazione berlinese nello stato flusso mi è piaciuta di più di quella di Hong Kong (dove invece abbiamo una classica zona controllata dalla mafia usata e abusata in 18000 titoli/film/libri con tutti i cliché del caso), inoltre il terzo titolo soffre della sindrome di Pillars of Eternity con npc e comprimari che si parlano addosso per ore e ore (ovviamente con infiniti testi di descrizione delle espressioni o posture che io cerco di saltare quando è possibile) tanto che, ho notato, si passano più ore nella zona franca o nella base a parlare con gli npc che non a fare le run è questo secondo me è un bel problema perché vuol dire che i programmatori si sono lasciati prendere la mano e non hanno equilibrato benissimo i due aspetti. Ho anche trovato i gregari di Dragonfall più interessanti nonostante su Hong Kong ci siano delle eccezioni come i discorsi sul transumanesimo di Racter che noi cercatori dell’Azhi Dahaka abbiamo apprezzato molto….
    Sulle trame principali dei titoli non mi pronuncio perché tutti sono sempre interessanti, la preferenza di una o dell’altra potrebbe essere soggettiva, anche in questo caso, secondo me, la migliore è quella del secondo titolo ma mi ha fatto piacere ritrovare riferimenti agli Yama Kings (ciao Ravnos) su Hong Kong.
    Le regole come detto da Mosè sono semplici ma permettono una grossa variabilità e personalizzazione del personaggio purtroppo limitato al principale: avrei gradito molto la possibilità di modificare completamente anche i comprimari mentre invece ci è permesso solo di dare dei bonus o abilità speciali ai membri del nostro party impedendoci perfino di cambiargli le armature indossate o le armi utilizzate, questo limita molto l’impostazione strategica, inoltre alcune abilità e caratteristiche sono molto piu’ utili di altre: in Returns avevo creato un personaggio che utilizzava le pistole, scoprendo poi la loro inefficacia a livelli alti visto che la scelta migliore in tutti e tre i titoli è sviluppare unicamente l’abilita con i fucili le armi con gittata, danno e numero di munizioni migliori di tutte le altre. Il carisma è molto importante perché permette di bypassare quasi tutti i dialoghi con le etichette acquisite (ma anche senza perché spesso basta un punteggio alto). Ho trovato abbastanza inutile la forza, perché il combattimento corpo a corpo è raro e poco efficace e, se non si è maghi, la forza di volontà. Comunque c’è da dire che, nonostante questi squilibri, il gioco permette nelle run approcci diversi a seconda delle caratteristiche potenziate quindi si riesce ad arrivare alla fine anche se si sono scelti attributi e abilità meno utili.
    Mi devono comunque spiegare perché per metà gioco i personaggi hanno 2 punti azione che diventano magicamente 3 per l’altra metà della trama, non si poteva implementare questa roba tramite acquisto di abilità magari legata alla quickness????
    Apro una piccola parentesi sulla Matrix che è il mondo “virtuale” dell’ambientazione: in tutti e tre i titoli è presente come possibilità e spesso sblocca opzioni nelle run che facilitano di molto la vita, in hong kong hanno migliorato queste sezioni rendendole una via di mezzo tra un gioco stealth e un rompicato alla simon, all’inizio ho apprezzato molto il cambiamento ma anche qua chi ha creato la campagna si è lasciato un po’ prendere la mano rendendo questi “intermezzi” troppo lunghi o troppo ripetitivi (nella penultima missione dobbiamo accedere a 4 banche dati di fila facendo 4 volte il sottogioco dei numeri una vera rottura di p….).
    Il sistema grafico lo trovo molto piacevole e adeguato peccato che l’interattività sia molto molto limitata inoltre, secondo il mio parere, degrada in honk kong: ho trovato il titolo più confusionario, meno ispirato e qualche volta ho anche avuto problemi nei combattimenti perche non riuscivo a selezionare i nemici che si piazzavano dietro ad ostacoli (inoltre il mio cessoso 2 in 1 lo fa girare persino peggio di Dragonfall e Returns vai un po’ a capire perche!).
    In definitiva consiglio comunque di provarli, se avete tempo tutti e tre, se ne avete pochissimo solo Returns e se invece ne volete giocare solo uno per bene la scelta ricade su Dragonfall (del quale esiste una traduzione in italiano amatoriale, io l’ho scaricata da un link di mediafire perche quella su rpgitalia non funziona più…), non ho ben capito le critiche di chi dice che il gioco non sia un openworld ma abbia una struttura guidata, personalmente preferisco un gioco di questo tipo che sia interessante e piacevole da giocare piuttosto che i 18000 openworld che infestano il nostro hobby dove di open c’è solo la possibilità di andare a torgio in ambientazioni vuote senza niente da fare a parte maciullare trash mob su trash mob….

    1. Mosè Viero

      Grazie mille per il commento, caro Più Antico! Questa è quasi una recensione, in realtà.
      Io oltre a Returns ho giocato solo a un po’ di Dragonfall: l’ho messo colpevolmente da parte quando ho preso il nuovo PC, ansioso di provare titoli più affamati di risorse. Adesso sto lentissimamente giocando ad Elex 2, quando lo finisco cerco di ributtarmi su Dragonfall. Per quel che ho visto mi sento di condividere ciò che scrivi e mi dispiace riguardo all’eccessiva verbosità di Hong Kong. Dopo Dragonfall mi giocherò senz’altro anche quello.

  4. Si va beh raga, ma il problema non è ”open world contro non open world”, il problema è che tutti i Shadowrun (a livelli diversi per carità, Dragonfall è un po’ meno peggio) sono giochi sostanzialmente limitati e mediocri, su, un pò di obiettività, santo Dio.

    Io non sono certo un feticista dell’open world in quanto tale (adoro roba come Vampire Bloodlines o il primo The Witcher per dire) e ritengo pertanto che gli Shadowrun abbiano problemi ben più gravi che la dimensione della mappa. E nemmeno critico il comparto tecnico, ci mancherebbe: il primo Baldur’s Gate ed Arcanum sono ancora tra i miei preferiti, quindi figuriamoci.
    La realtà per chiunque non sia un fanboy è che si tratta di giochi con una longevità ridicola, quasi totalmente lineari, con pochissime missioni, con esplorazione prossima allo zero, con una interazione ambientale inesistente e basati quasi interamente su combattimenti. I quali combattimenti sono anche fatti bene in realtà, ma dopo il 200esimo di seguito (perchè non c’è quasi altro da fare) contro avversari similari le palle cominciano a cadere.
    Quanto alle mappe il problema non è che non siano aperte (?), il problema è che sono talmente piccole da togliere qualunque idea non dico di realismo, ma almeno di verosimiglianza. Metropoli cyberpunk di milioni di abitanti rappresentate da 5 vie e 2 vicoli con una popolazione di 4 gatti. Ma su, dai. Va bene che la suspension of disbelief sia una cosa soggettiva, ma qui siamo un po’ troppo oltre, eccheccazzo (scusate il francesismo).

    Poi capisco tutto, sono prodotti sostanzialmente indie e non devono confrontarsi con Fallout4 o The Witcher 3, ma il problema è che subiscono di brutto anche contro avversari di caratura uguale: un Underrail a caso ad esempio a questi gli mangia in testa come e quando vuole, senza offesa per nessuno. Ed è costato pure meno.

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