Risen

Il nuovo gioco di Piranha Bytes è tanto piacevole e divertente quanto povero di innovazioni e infarcito di deja-vu. D’accordo che “squadra che vince non si cambia”, ma qui si esagera.

[articolo originariamente pubblicato l’11 novembre 2009]

1. La storia intricata del pesce assassino
Chi voglia tentare la strada della carriera nella programmazione di software videoludico in Europa deve misurarsi con un clima assai meno favorevole rispetto a quello che si respira oltreoceano. A giudicare dalle vicende dei ragazzi tedeschi di Piranha Bytes questo luogo comune sembra vero, anche se non si può negare che qualche mancanza è riconoscibile, in questo caso, anche da parte delle ‘vittime’. Proviamo a fare un piccolo riassunto chiarificatore. Lo studio viene fondato nel 1997; il loro primo prodotto è il gioco di ruolo Gothic, inizialmente pensato per il solo mercato tedesco ma poi tradotto in varie lingue tra cui l’italiano. Corre l’anno 2001 e la pubblicazione di Gothic scuote parecchio il panorama del settore, soprattutto a causa di parecchie idee nuove e interessanti presenti nel gioco. L’utente viene messo nei panni di un galeotto, colpevole di un reato non precisato, che viene gettato in un carcere a cielo aperto, separato dal mondo esterno tramite una barriera magica insuperabile (si può entrare, ma non si può uscire). Nel mondo fantasy in cui è ambientata la vicenda, è in corso una guerra tra orchi e umani, e il re ha bisogno di metallo con cui forgiare le armi: il carcere è dunque una sorta di enorme miniera, solo che dopo l’evocazione della barriera magica i prigionieri si sono ribellati alle guardie e hanno dato vita a tre ‘campi’ separati, ciascuno con la sua idea riguardo al modo di fuggire dalla galera. L’alter ego del giocatore deve anzitutto farsi accettare dagli altri galeotti, poi cercare di ‘scalare’ uno dei tre campi così da diventare il vero responsabile della liberazione.
Gothic ha una struttura davvero originale: il mondo di gioco, di estensione relativamente modesta, è costruito in modo fortemente caratterizzato, tanto da consentire all’utente di riconoscere a colpo d’occhio i vari ambienti e di orientarsi senza bisogno di mappe; i personaggi non giocanti seguono complesse routine giornaliere e sembrano vivere la loro vita in modo indipendente, reagendo in maniera appropriata a eventuali comportamenti anomali da parte del protagonista; la trama, molto presente, sembra pensata assieme all’ambientazione, fondendo alla perfezione il racconto con l’esplorazione, quasi in una sorta di inedita alchimia tra sotto-generi diversi.
Nel 2003 Piranha pubblica Gothic II: le idee originali presenti nel gioco base vengono espanse e migliorate sotto tutti i punti di vista, pur senza tradirne la filosofia di fondo. Alla prigione si sostituisce l’isola di Khorinis, ma tutto il resto c’è: le tre fazioni da scalare, il mondo vivo e reattivo, la perfetta fusione tra racconto e ambientazione. Il terzo capitolo sembra l’occasione perfetta per il salto di qualità capace di proiettare Piranha nell’Olimpo dei maggiori sviluppatori di GdR per computer: gli annunci parlano di un mondo vastissimo, di una longevità senza pari, di un sistema grafico all’avanguardia e della solita, consueta cura per il dettaglio e la verosimiglianza dell’insieme. Purtroppo, qualcosa va storto e Gothic 3 giunge sugli scaffali in condizioni vergognose: instabile, incompleto, pieno di problemi di funzionamento, privo del mordente e della personalità dei capitoli precedenti. Piranha dà la colpa al produttore Jowood, che avrebbe forzato i tempi; Jowood dà la colpa a Piranha, che non avrebbe rispettato le scadenze contrattuali. I due gruppi si separano: Jowood mantiene i diritti sul marchio Gothic e ha già messo in cantiere un nuovo capitolo, affidato a Spellbound (il titolo sarà Arcania: A Gothic Tale). Piranha trova in Deep Silver un nuovo produttore e si rimette al lavoro, cercando di farsi perdonare il tremendo passo falso di Gothic 3. Il frutto delle loro fatiche è il gioco che stiamo per analizzare: li perdoniamo o no?

2. Panoramica
Risen si apre con un filmato in cui assistiamo a un combattimento tra un figuro che indossa uno strano monocolo, ospite di un piccolo vascello che sta navigando verso chissà dove, e una enorme creatura mostruosa che spunta dagli abissi. Chiaramente senza speranza, il tizio misterioso si teletrasporta altrove mentre il mostro causa una tempesta che distrugge la nave: il protagonista del gioco era ospite clandestino all’interno della medesima e si risveglia poco dopo sulla spiaggia di un’isola tropicale. A fargli compagnia, almeno per i primi minuti dopo il risveglio, è un’altra sopravvissuta, una ragazza di nome Sara, che funge in pratica da ‘tutorial vivente’: spiegherà al malcapitato, e quindi anche al giocatore che lo controlla, come muoversi, come brandire un’arma e in generale come interagire col mondo. L’innominato protagonista è l’unico personaggio messo a disposizione del controllo diretto da parte dell’utente, che potrà personalizzarlo nel corso dell’avventura. Risen è in terza persona: il punto di vista resta fisso alle spalle dell’eroe, il cui sguardo può essere diretto agendo sul mouse. Il movimento viene gestito tramite i consueti tasti WASD, mentre la barra spaziatrice comanda il salto e l’arrampicata. Il tasto centrale del mouse sguaina l’arma equipaggiata: il clic sinistro mena un fendente, il clic destro controlla le parate e i veloci contrattacchi. Non mancano, naturalmente, le apposite schermate con l’inventario, le caratteristiche del personaggio, il diario e la mappa.
Com’è consuetudine dei giochi Piranha, l’inventario ha capienza infinita e la mappa è un oggetto come gli altri, che deve essere trovata o acquistata prima di poter essere utilizzata (ne esistono di tanti tipi diversi). La prima occupazione in cui sarà intento il nostro alter ego ruota attorno alla necessità di trovare qualche arma rudimentale e di farsi largo tra la fauna che popola la spiaggia (uccellacci, lupi e ratti velenosi) per giungere infine a qualche luogo civilizzato. Lì comincia davvero il primo capitolo, che come sempre accade nei giochi Piranha è quello decisamente più interessante.

3. L’isola col vulcano
Il territorio su cui si trova suo malgrado il nostro eroe è l’isola vulcanica di Faranga: fino a non molto tempo addietro, si trattava di una località assolutamente periferica, su cui dominava un signorotto, tale Don Esteban, dalla sua magione nell’unico insediamento urbano esistente, chiamato semplicemente “Città del Porto”. Da qualche tempo, però, sull’isola succedono cose strane, che hanno attirato l’attenzione di parecchi gruppi di potere. Oltre ai terremoti provocati dal vulcano che svetta fumante al centro di Faranga, infatti, hanno cominciato a scuotere il terreno scosse di natura chiaramente sovrannaturale, che provocano il riaffiorare in superficie di vecchie rovine di templi dimenticati, colmi di tesori ma anche di creature mostruose che, nuovamente libere, infestano il territorio.
Come se non bastasse, le acque attorno all’isola sono costantemente travolte da violente tempeste che impediscono la navigazione e che sono causate, con ogni probabilità, da quel mostro misterioso intravisto durante il filmato iniziale. I tesori riemersi dai templi sono, in teoria, proprietà del Don: non è di questo parere, però, l’Inquisitore Mendoza, membro di un ordine religioso molto potente in terraferma. Come scopriremo presto, Mendoza è lo strano figuro con monocolo che viaggiava con l’eroe prima del naufragio: l’Inquisizione da lui guidata ha preso possesso di un monastero costruito sulle pendici del vulcano, già sede di un gruppo di maghi, e ora controlla con pugno di ferro tutta l’isola, costringendo ad arruolarsi tra le sue fila tutti i fuggiaschi trovati a vagare senza meta. Il Don non l’ha presa bene: abbandonata in fretta e furia la Città del Porto, lasciandovi però qualche sentinella, ha trovato rifugio assieme a una banda di fedelissimi nel bel mezzo di una palude malsana, e ora medita il modo più adatto per riprendersi il suo potere. Il primo autoctono in cui si imbatterà il nostro alter ego è proprio un uomo del Don, che si offrirà di accompagnarci all’accampamento del suo signore oppure alla Città del Porto. A questo punto le strade che ci si offrono davanti sono tre: possiamo andare nella palude occupata dal Don e provare a essere accettati all’interno di quel gruppo fino a poter conferire col capo in persona; oppure possiamo farci catturare dall’Inquisizione e cercare di collaborare con Mendoza; altrimenti, possiamo dare un’occhiata a quel che succede nella Città del Porto e fare per un po’ il doppio gioco, così da valutare meglio il gruppo che si rivelerà più affine all’indole del nostro eroe. Una quarta possibilità è iniziare a vagare per l’isola, che in teoria è aperta alla libera esplorazione fin dai primi momenti; in teoria perché appositi mostri potenti o barriere magiche impediscono in realtà l’accesso alle zone destinate a essere percorse nelle fasi avanzate della trama.

4. L’arte della guerra
Fin dai primi minuti di gioco, Risen ci mette di fronte a insidiosi nemici da sconfiggere, concretizzati in animali selvaggi nella prima fase della partita e in più forti creature umanoidi nelle fasi avanzate. Com’è tradizione nei giochi Piranha, il combattimento è improntato fortemente all’azione e quindi caratterizzato da una notevole tensione adrenalinica, nonché da una forte tendenza a mettere sotto pressione la capacità reattiva del giocatore. Come abbiamo già detto, i fendenti menati dall’arma sono controllati tramite il clic sinistro del mouse: a ogni clic corrisponde un fendente, ma all’inizio i movimenti del personaggio sono sgraziati e a ciascun colpo seguono istanti di vuota risistemazione. D’altro canto, un eroe ben addestrato nell’uso di una certa arma saprà combinare i colpi in sequenze terminate da una sorta di uber-fendente, capace di causare una notevole quantità di danni. Il problema è che tali sequenze possono essere interrotte dai colpi nemici se questi ultimi riescono a raggiungere il protagonista: il vero segreto non è dunque azzeccare semplicemente la tempistica delle mosse (come in The Witcher), bensì calibrarle sui movimenti del nemico, come in una sorta di ‘danza violenta’. A livelli di addestramento alti, si sbloccano colpi extra: per esempio veloci contrattacchi, controllati tramite il clic destro, capaci anche di ferire un nemico in posizione difensiva, oppure attacchi ‘caricati’, gestiti tramite lunghe pressioni del clic sinistro, in grado di infierire danni notevoli ma anche di lasciare scoperte le proprie difese per lunghi istanti.
Naturalmente anche l’eroe può mettersi in posizione difensiva, semplicemente cliccando e tenendo premuto il pulsante destro del mouse: gli attacchi nemici più potenti, però, sono in grado di rompere tale posizione e di infliggere danno comunque. Complessivamente, il combattimento in Risen sembra una sorta di mediazione tra quello dei primi due Gothic e quello, molto criticato, di Gothic 3. Quest’ultimo ricevette abbondanti strali soprattutto a causa del suo bilanciamento semplicemente scandaloso: in Risen la situazione è molto migliorata, ma purtroppo è ancora aleggiante nell’aria la sensazione che qualche volta il caso abbia un ruolo eccessivamente preponderante. Il sistema di combattimento dei primi due Gothic è inizialmente ostico, ma una volta padroneggiato diventa quasi istintivo e foriero di risultati abbastanza prevedibili; in Risen, invece, capita un po’ troppo spesso di chiedersi perché quell’uomo lucertola è morto dopo soli due colpi mentre quello precedente ci ha fatto ricaricare sei volte prima di stramazzare al suolo. Il vero problema, forse, è che Piranha sembra sempre più restia nel ricorrere all’astrazione: il realismo estremo è un po’ il suo marchio di fabbrica, ma è il caso di chiedersi se il gioco valga la candela. Anziché implementare tanti colpi diversi, ciascuno con la sua animazione e il suo comando a livello di interfaccia, quasi come se il gioco fosse un innocuo ‘picchiaduro’ che ha nel combattimento la sua anima, forse sarebbe il caso di innestare qualche automatismo che conceda ai programmatori, e quindi al giocatore, il privilegio di potersi concentrare anche su tutte le altre ‘portate’ che il gioco ha da offrire.

5. Lo sviluppo del personaggio
Come nei primi due Gothic, anche in Risen la fazione scelta ha precise ricadute in termini di ‘classe’. Chi deciderà di schierarsi con il Don vedrà il suo eroe trasformarsi in un guerriero abile con la spada o con l’arco e magari esperto anche nelle arti del sotterfugio (quali lo scassinamento o il movimento furtivo). Chi opterà per l’Inquisizione, invece, avrà davanti a sé due strade: o diventare Guerriero dell’Ordine (abile nell’uso del bastone ma capace anche di usare qualche magia) oppure diventare Mago. A ciascun passaggio di livello, determinato sulla base dei punti esperienza guadagnati uccidendo nemici o completando missioni, il protagonista aumenterà i suoi punti ferita e otterrà dieci punti-abilità: questi ultimi, per essere spesi, necessitano dei servizi di un addestratore e di una consistente somma di denaro. Le abilità principali sono quelle connesse all’uso delle armi: acquistando punti in quest’ambito si possono sbloccare nuove mosse, come spiegato nel paragrafo precedente. Le magie sono di due tipi: quelle basate sui cristalli e quelle basate sulle rune. Le prime corrispondono in tutto e per tutto alle armi, nel senso che sono esclusivamente di attacco; le seconde invece includono sia incantamenti offensivi sia magie più creative, come la levitazione o la trasformazione in insetto (necessarie entrambe per raggiungere alcuni luoghi altrimenti irraggiungibili).
Se un personaggio non addestrato nella magia sente il bisogno di lanciare un incantesimo, può farlo adoperando una pergamena monouso: queste ultime possono essere acquistate oppure create addestrando l’apposita abilità. Altre capacità spaziano in ambiti diversi: oltre alle consuete arti del sotterfugio, vi sono vari livelli connessi all’attività da fabbro, all’alchimia, alla ricerca di metalli preziosi. C’è da dire, da questo punto di vista, che i programmatori hanno effettuato un ottimo lavoro nel cercare di rendere interessante e appetibile ogni abilità: i fabbri più capaci possono creare armi più potenti di quelle offerte dal gioco, mentre gli alchimisti provetti potranno creare pozioni in grado di aumentare permanentemente gli attributi, portandoli anche oltre il livello massimo ottenibile con i mezzi consueti. Un’altra interessante curiosità riguarda la possibilità di cuocere cibi anche molto complicati utilizzando gli ingredienti sparsi per il mondo di gioco: pur non richiedendo alcun addestramento, l’abilità del ‘cuoco’ può dar vita a leccornie che veicolano effetti talvolta addirittura superiori a quelli delle pozioni più potenti!

6. Dialoghi, missioni e background
Come abbiamo già avuto modo di affermare, la parte più interessante di ogni gioco Piranha è quella iniziale, quando il nostro personaggio entra in contatto con le varie fazioni e cerca di ingraziarsele. Si tratta anche, solitamente, dell’unico momento in cui compaiono missioni che offrono varie possibilità di soluzione: Risen, da questo punto di vista, non fa eccezione. Il primo personaggio incontrato ci indirizzerà verso il Don: se seguiremo il suo consiglio, potremo cercare di guadagnare prestigio all’interno dell’accampamento aiutando i più influenti scagnozzi di Esteban. Prima di scegliere in modo definitivo di schierarsi dalla parte del Don, però, è una buona idea entrare in contatto anche con l’Inquisizione, così da avere una idea chiara della posta in gioco (e soprattutto così da effettuare il maggior numero possibile di missioni secondarie prima che molte vengano annullate in seguito alla nostra presa di posizione). Avvicinarsi al monastero non è una bella idea, dato che l’Inquisizione cattura tutti i vagabondi e li costringe all’arruolamento: il vero luogo dove soppesare le nostre possibilità è la Città del Porto.
Lì, come anticipato, incontreremo sia i soldati e gli adepti di Mendoza, sia gli uomini di Esteban, nascosti non troppo bene tra i normali cittadini. Generalmente a ciascuna missione ottenuta dai primi corrisponde una missione uguale e contraria ottenuta dai secondi: dare un colpo al cerchio e uno alla botte funzionerà solo per un po’, alla fine saremo costretti a decidere. Un aspetto interessante della faccenda è che le due fazioni non corrispondono al classico dualismo “buoni-cattivi”: sia l’Inquisizione sia il Don usano metodi spicci e violenti, e all’interno di entrambi gli schieramenti incontreremo personaggi simpatici e antipatici. Forse un valido criterio può essere, oltre naturalmente alle eventuali preferenze per lo sviluppo futuro dell’eroe, la nostra predisposizione nei confronti della legge: l’Inquisizione ricorda, almeno formalmente, un ordine organizzato gerarchicamente, mentre gli uomini del Don non sono altro che un’accozzaglia di banditi rifugiati in una grotta, almeno nel momento in cui il nostro personaggio giunge su Faranga.
A rendere particolarmente coinvolgente la prima parte del gioco è dunque la multiformità delle missioni, il loro reciproco intrecciarsi, la sensazione di sentirsi parte di una sfida politica che, verosimilmente, non ruota solo attorno alle nostre azioni. Come anche in tutti gli altri giochi Piranha, il dipanarsi delle missioni è sorretto da dialoghi essenziali ma pertinenti, quasi del tutto privi di divagazioni ma comunque perfettamente calati nell’atmosfera: le scelte multiple non sono numerose ma ‘pesano’, sempre però nell’ambito della lotta tra Inquisizione e Don. Una volta fatta la scelta della fazione, purtroppo la qualità del gioco si assesta su livelli decisamente meno ambiziosi: il prosieguo della trama, di spessore decisamente trascurabile, avviene su direttive lineari che si trasformano, soprattutto nelle ultime battute, in innumerevoli combattimenti all’interno di angusti (ma ben progettati) sotterranei. Serve a poco confidare, nel corso del gioco, nella profondità del background: come in tutti i prodotti Piranha anche in Risen i riferimenti alla storia o alla tradizione culturale di Faranga sono ridotti ai minimi termini e all’atto pratico non risulta alcun documento scritto che vada oltre qualche mappa o qualche semplice lettera strappata. Un aspetto, questo, che risulta francamente poco comprensibile in un gioco che in tanti aspetti fa del realismo la sua bandiera.

7. Tutto ciò mi ricorda qualcosa
Tentare di farsi perdonare dopo un passo falso non è facile come sembra, e il difetto principale di Risen è connesso proprio al suo smaccato obiettivo di tornare ai fasti dei primi due Gothic cercando, al contempo, di far dimenticare il terzo. La mira in sé è lecita, ma riproporre tal quali gli schemi dei propri primi capolavori è una mossa azzardata, dato che ciò che era fresco e originale qualche anno fa può risultare stantio e ripetitivo: i grandi autori non diventano mai imitazioni di se stessi ma sanno rinnovarsi senza per questo abbandonare le proprie radici. Piranha, invece, ha scelto semplicemente di tornare al punto di partenza, proponendo meccaniche di gioco che uniscono senza soluzione di continuità citazioni da Gothic con citazioni da Gothic II (e anche qualcuna, minima, da Gothic 3) e che dà in ultima istanza la sensazione di trovarci di fronte a un gruppo di sviluppatori totalmente incapace di far altro che non sia riproporre gli schemi portatori di successo in anni ormai lontani. Tentiamo una piccola e sicuramente incompleta lista di tutti i deja-vu davanti a cui si troverà il veterano della serie Gothic nella sua partita a Risen.
Anzitutto, il gioco inizia con un protagonista innominato praticamente identico a quello della serie Gothic. Questo protagonista si trova abbandonato in una terra sconosciuta e non può fuggire: trattato a pesci in faccia da chiunque, deve cercare di farsi strada tra i vari gruppi di potere onde poter conferire con i loro capi, che vivono in zone chiuse e protette. Questa descrizione si confà perfettamente all’inizio di tutti i giochi Piranha. Le tre zone abitate di Faranga sono la palude con l’accampamento del Don, il monastero sede dell’Inquisizione e la Città del Porto; la palude è sede di un campo anche nel primo Gothic; il monastero sui monti è sede dei maghi in Gothic II; la Città del Porto c’è anche in Gothic II. Quest’ultima, tra l’altro, contempla praticamente gli stessi edifici di quella del gioco precedente: bordelli, taverne, magazzini, abitazioni umili e ricche. Non solo dunque ci troviamo di fronte a un quasi-plagio in termini di giocabilità, ma perfino in termini di ambientazione. Abbiamo avuto occasione di criticare i mondi di Piranha per la loro inconsistenza a livello di background fin dai primi momenti: che tali mondi anziché essere approfonditi vengano continuamente riproposti anche a distanza di anni la dice lunga sulle risorse a disposizione di questo gruppo di programmatori.

8. Conclusioni
A livello prettamente ludico, Risen funziona molto bene. Chi non si è mai accostato al peculiare modo di interpretare il GdR di Piranha Bytes troverà in questo prodotto un ottimo modo per esercitare la propria interpretazione, anche se su binari abbastanza rigidi e senza poter contare sull’evocazione di atmosfere complesse (senza contare il combattimento, decisamente poco consono in un gioco di ruolo). La promessa di tornare ai fasti dei primi tempi superando il passo falso costituito da Gothic 3 è stata però concretizzata dagli autori in termini eccessivamente conservativi: non c’è nulla in Risen che non si sia già visto in Gothic o in Gothic II. Ciò che a suo tempo faceva meravigliare oggi fa ‘solo’ divertire: va benissimo, ma è un vero peccato che programmatori dotati di uno stile così caratterizzato non sappiano o non vogliano fare il salto di qualità. Il futuro è il vero banco di prova per Piranha Bytes: se il seguito di Risen proporrà di nuovo gli stessi meccanismi e le stesse ambientazioni, vuol dire che questi ragazzi hanno davvero finito di dire tutto ciò che hanno da dire.

Tre pregi di Risen Tre difetti di Risen
Giocabilità molto collaudata Troppo simile ai primi due Gothic!
Mondo ben costruito Combattimenti eccessivamente agonistici
Prima parte interessante e sfaccettata Background e ambientazione generici e privi di supporto letterario

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