L’ultima fatica di Piranha Bytes è un gioco senza infamia e senza lode, che ripropone le formule del passato senza troppa convinzione e ribadendo uno ad uno tutti i limiti di questo gruppo di autori.
[articolo originariamente pubblicato il 10 novembre 2015]
1. Trovare la propria dimensione
Tutti gli ambiti della produzione artistica, usando il termine nel senso più estensivo possibile, conoscono il fenomeno che potremmo chiamare della “partenza bruciante”: se ne trovano esempi nella musica, nel cinema, e ovviamente anche nel videogioco. Ci stiamo riferendo a quegli autori che cominciano il loro percorso con un’opera eccezionale o comunque riconosciuta universalmente come tappa essenziale nella storia di un determinato genere, e che rimangono inchiodati al loro esordio come a un termine di paragone impossibile financo da eguagliare, figuriamoci da superare. Ebbene, la casa di sviluppo tedesca Piranha Bytes rappresenta, nel piccolo ambito dei GdR digitali, l’esempio forse migliore di “partenza bruciante”: il loro epico Gothic del 2001 è ancora adesso considerato una vera e propria pietra miliare, il primo gioco dell’epoca contemporanea a offrire un mondo coerente e reattivo, rappresentato con un originalissimo approccio tutto basato sulla simulazione.
Il suo seguito Gothic II ampliava il concetto iniziale mantenendo un equilibrio mirabile, e infatti molti appassionati lo ritengono importante e significativo almeno come il titolo d’esordio: da lì in avanti, però, la parabola di Piranha è stata irresistibilmente discendente. Gothic III, un progetto letteralmente gigantesco, è crollato sotto il peso delle sue assurde ambizioni: e la nuova saga Risen oscilla tra sterili riproposizioni di formule ormai usurate e passi avventati in direzioni decisamente poco focalizzate.
Il gioco che ci apprestiamo ad analizzare, Risen 3: Titan Lords, è per di più esempio eminente della scarsa consuetudine che questa casa di sviluppo ha con i meccanismi del marketing più elementare: il prodotto in oggetto, infatti, venne annunciato con uno scarno comunicato poche settimane prima della sua pubblicazione, risalente all’agosto 2014. Si tratta certo di un problema che ci interessa assai meno di quelli presentati dal gioco in sé, ma siamo di fronte all’ennesima prova del fatto che Piranha sbaglia costantemente nel calibrare la natura stessa del suo campo d’azione. Se con i tuoi prodotti vuoi competere nel mondo dei giochi tripla A, devi necessariamente promuovere i tuoi titoli con forza e convinzione: se non hai i mezzi o la voglia per farlo, è saggio aggiustare la tua mira e collocarti in una dimensione differente, puntando a confezionare giochi di minor sforzo produttivo ma non necessariamente meno meritevoli di plauso. Il difetto capitale dei prodotti Piranha è forse proprio questo: mirano con ogni evidenza a competere con i ‘grandi’, ma senza averne i mezzi. Né dal punto di vista strettamente creativo né da quello più ampiamente produttivo. Risen 3, purtroppo, conferma in pieno il problema.
2. Premesse narrative
Risen 3 ci mette nei panni di un eroe senza nome, apparentemente del tutto simile a quello già controllato nei due precedenti capitoli della saga: la somiglianza è tale da aver tratto in inganno parecchi recensori, cosa se non altro utile a distinguere chi prova i giochi a fondo da chi li giudica dopo averli utilizzati solo pochi minuti. In realtà il protagonista di Risen 3 è un eroe senza nome tutto nuovo: per essere più precisi, trattasi del fratello della ‘piratessa’ Patty, personaggio chiave della trama del secondo capitolo. Non che questa novità abbia conseguenze eclatanti: come si è appena detto, il nuovo eroe è del tutto simile al primo, come anche al protagonista della serie Gothic. È senza nome, cinico, leggermente sbruffone, dotato di ironia macabra. Piranha manifesta i suoi limiti anche nella sua apparente incapacità di mettere a punto un protagonista un po’ diverso dal suo consueto eroe ‘tipico’.
Nel prologo, il nostro alter ego, che comincia come capitano di una grande nave pirata, viene immediatamente sbattuto nel mezzo di un furioso combattimento: il nemico è l’equipaggio del pirata fantasma Crow, anch’egli tra i personaggi del capitolo precedente. Ma la fine dello scontro rivela che si trattava solo di un sogno: un sogno premonitore, dato che i mari del sud sono effettivamente infestati dalla flotta fantasma di Crow. Con una giravolta narrativa di cui francamente si stenta a capire il senso, il tutorial prosegue imponendo al giocatore l’esplorazione di una ambientazione chiamata Crab Coast, alla ricerca di qualche misterioso tesoro, in compagnia con la sorella Patty. Nel tempio che custodisce il tesoro i due vengono sorpresi da inquietanti presenze demoniache, apparentemente ‘prodotte’ da un misterioso portale all’interno di una caverna a forma di teschio: l’arcidemone che controlla le schiere uccide il protagonista, e il prologo termina con la povera Patty intenta a seppellire l’eroe.
Naturalmente la dipartita è solo temporanea: un bizzarro stregone di nome Bones esegue alcuni rituali voodoo sul cadavere del protagonista, che magicamente ritorna in vita. Ma attenzione: Bones spiega che l’anima dell’eroe è ancora nel regno dei morti. La resurrezione è solo temporanea, e per renderla definitiva occorrerà ‘salvare’ l’anima tenuta prigioniera dalle “ombre”, ossia dai demoni incontrati nella grotta. A questo punto la trama comincia a ruotare attorno a tre urgenze che corrono parallele: organizzare un più potente rituale per recuperare l’anima del protagonista; sconfiggere le ombre che stanno invadendo tutte le isole dei mari del sud; mettere assieme una flotta per affrontare il temibile pirata fantasma Crow.
Com’è consuetudine per Piranha, l’eroe può cercare aiuto presso tre differenti fazioni: i Demon Hunter, installati in una fortezza chiamata Citadel nella baia di Calador; i maghi, dominatori dell’isola di Taranis, e infine i nativi Kila, abitanti dell’isola omonima. La scelta della fazione non comporta l’adesione a un determinato percorso di sviluppo per il personaggio, ma apre allo stesso l’accesso a una differente forma di magia: la magia delle rune per i Demon Hunter, la magia dei cristalli per i maghi e la magia voodoo per i nativi. La magia dei cristalli, peraltro, è la più indicata per gli attacchi diretti, essendo le altre due per lo più di supporto: chi vuole interpretare un mago il più possibile ‘puro’ farà bene dunque a installarsi a Taranis, ma non è necessariamente vero il contrario (anche un adepto dei maghi può diventare un guerriero potente).
3. La struttura del mondo
In Risen 3, il giocatore controlla solo ed esclusivamente il protagonista, inquadrato da dietro le spalle con punto di vista leggermente ‘zoomabile’. I consueti tasti WASD permettono di spostarlo, mentre il mouse controlla la direzione dello sguardo e l’interazione col mondo. Il cuore della giocabilità è rappresentato dalle sezioni di esplorazione “a piedi”: il gioco, però, mantiene la sua ambientazione ‘piratesca’ introdotta nell’episodio precedente, anche se veicolata con meno insistenza e maggiormente screziata da venature di fantasy classico, a tratti perfino gotico. Non mancano, quindi, le navi e gli equipaggi, essenziali negli spostamenti all’interno dell’arcipelago in cui si concretizzano i “mari del sud”.
Come in Risen 2, infatti, anche nel nuovo episodio il mondo di gioco è suddiviso in isole e brani di costa, visitabili a piacere e configurati come ambientazioni a sé stanti, ‘caricate’ in un’unica soluzione includente anche gli interni e i dungeon. Nelle prime fasi della trama, l’eroe si muove di isola in isola su una piccola imbarcazione e con un equipaggio ridotto ai minimi termini: ma proseguendo si troverà al comando di una potente nave, sulla quale troveranno spazio numerosi compagni di viaggio (dei quali parleremo meglio più avanti).
Ciascuna ambientazione è solitamente caratterizzata da un insediamento circondato da numerose zone selvagge, talvolta punteggiate da casupole o avamposti. Quando l’eroe visita una zona per la prima volta, in genere incontra immediatamente un personaggio che si offre di accompagnarlo nel relativo insediamento, che il più delle volte funge anche da hub per la distribuzione delle missioni. Oltre alle tre ambientazioni principali, sedi delle tre fazioni e maggiormente collegate alle vicende narrate dalla trama, vi sono luoghi la cui visita è del tutto opzionale ma decisamente consigliata, com’è ovvio, all’eroe che voglia dispiegare interamente il proprio potenziale. Un paio di isole, peraltro (nella fattispecie Antigua e Tacarigua), sono ‘riciclate’ dal capitolo precedente: ma l’invasione delle ombre ha gettato su di esse un alone di morte e distruzione.
Val la pena sottolineare che, a differenza che nei primi due capitoli, in Risen 3 è implementata anche la possibilità di nuotare. Attorno alle isole e a fianco delle coste, quindi, si trovano faraglioni o isolotti esplorabili e raggiungibili appunto tramite veloci nuotate. Trattasi, peraltro, di una aggiunta irrilevante, dato che l’eroe può solo nuotare in superficie e non esplorare le profondità, e dato che il gioco si premunisce di interrompere immediatamente le nostre bracciate quando queste vanno al di là dell’area ‘permessa’: in alcuni casi, anche i brani di terra apparentemente raggiungibili sono, per ragioni oscure, preclusi all’esplorazione, configurandosi dunque come puri e semplici sfondi scenografici.
L’esplorazione delle varie ambientazioni è facilitata dalla presenza di punti di teletrasporto, che vanno attivati tramite l’inserimento in essi di apposite pietre, che peraltro il gioco ci mette a disposizione in notevole abbondanza. Una volta attivato, ciascun teletrasporto è immediatamente raggiungibile da qualunque punto della medesima ambientazione, tramite semplice interazione con la mappa di gioco.
Due isole (la Fog Island e la Isle of Thieves) rappresentano il contenuto di due contenuti scaricabili a pagamento, quindi la loro esplorazione è del tutto opzionale, anche se può contribuire in maniera decisiva al potenziamento dell’eroe anche in vista delle fasi avanzate della trama. Va sottolineato il fatto che un manufatto incluso in una delle due mini-espansioni è quasi un cheat: il suo ritrovamento, infatti, aumenta l’esperienza acquisita dall’eroe del 10%. Molte guide online suggeriscono di appropriarsene subito dopo il tutorial, cosa peraltro possibile senza sforzi eccessivi.
4. Lo sviluppo del personaggio
Come anche nel capitolo precedente, in Risen 3 lo sviluppo del personaggio è in larga misura orizzontale: non esistono livelli e l’esperienza, chiamata pomposamente “gloria”, può essere spesa immediatamente dopo essere stata guadagnata per aumentare le caratteristiche di base del personaggio giocante. Queste ultime sono otto e rappresentano in realtà sia caratteristiche fisiche e mentali sia specifici ambiti di abilità: melee (combattimento in corpo a corpo), ranged (combattimento a distanza), cunning (sotterfugio), influence (carisma), toughness (robustezza), dexterity (destrezza), magic (magia) e spirit (spirito). Il valore di ciascuna caratteristica determina il grado di addestramento in più specifici ambiti di abilità: melee e ranged determinano per esempio le abilità con le armi, mentre influence determina l’abilità nella persuasione e nell’intimidazione, e dexterity nello scasso e nel furto.
Affinché il protagonista dispieghi interamente il suo potenziale, però, spendere la “gloria” per aumentare le caratteristiche non è sufficiente: le varie abilità, infatti, possono raggiungere livelli davvero alti solo tramite l’addestramento, da effettuare attraverso l’interazione con appositi personaggi non giocanti. Oltre a richiedere il pagamento di cospicue somme di denaro, ciascun addestramento richiede anche il raggiungimento di un determinato valore in una o più caratteristiche di base: anche il giocatore più ‘completista’ difficilmente riuscirà a costruire un eroe che raggiunga il massimo in ciascun ambito, anche se va sottolineato che il gioco dispensa “gloria” e denaro con una certa generosità e che un personaggio adeguatamente specializzato non si troverà mai a corto di mezzi per rendere concreto il proprio potenziale. Il problema maggiore, al contrario, sarà trovare l’addestratore giusto al momento giusto: alcuni offrono i loro servizi solo ai membri della loro fazione, e altri si trovano in luoghi remoti, raggiunti solamente dagli esploratori più puntigliosi.
L’addestramento non serve solo a dispiegare compiutamente ciascun ambito di specializzazione, ma anche a rendere disponibili attività che inizialmente sono precluse, soprattutto connesse alla creazione di oggetti personalizzati. Anche gli incantesimi, che come abbiamo già detto sono di categoria diversa a seconda della fazione scelta, vengono appresi tramite addestramento: ma in questo caso non in cambio di una somma di denaro bensì di un determinato manufatto, anch’esso diverso in base alla fazione scelta (cristalli per i maghi, giada per i Kila, tavolette scolpite per i Demon Hunter).
Purtroppo, l’addestramento avviene nella quasi totalità dei casi in modalità puramente astratte, senza nemmeno essere accompagnato, come avveniva nei capitoli precedenti della saga, da apposite righe di dialogo.
5. Il combattimento
Come in tutti i giochi Piranha, anche in Risen 3 il combattimento ha un ruolo centrale ed è sviluppato secondo modalità action che danno un peso notevole all’abilità e al tempismo del giocatore. Nel corpo a corpo, a un clic del mouse corrisponde un fendente dell’arma equipaggiata; con il giusto tempismo, i colpi si combinano in sequenze progressivamente più potenti e più difficili da interrompere (il numero dei colpi ‘combinabili’ dipende in larga misura dal livello di addestramento dell’eroe). Se si tiene premuto per qualche secondo il tasto del mouse, si procede al cosiddetto “colpo caricato”, evidenziato visivamente da un apposito bagliore: si infliggono più danni, ma durante la preparazione del colpo il personaggio è molto vulnerabile. Il clic destro ‘lungo’ mette l’eroe in posizione difensiva, capace di parare la maggior parte degli attacchi nemici (le parate vengono sempre effettuate con l’arma, dato che non esistono scudi); il clic destro veloce, a sua volta, attiva il rapido contrattacco capace di interrompere l’azione dell’avversario. La schivata, concretizzata tramite capriola, può essere attivata tramite la doppia pressione di uno dei tasti collegati al movimento.
Il sistema è particolarmente versatile e incoraggia la sperimentazione da parte del giocatore, soprattutto perché, come da tradizione Piranha, le mosse vanno attentamente calibrate sui movimenti del nemico, col quale occorre ‘agganciarsi’ in una sorta di danza violenta. Ciò nonostante, la sensazione provata nei primi due Gothic e anche, in parte, nel primo Risen, di migliorare progressivamente insieme al nostro alter ego, di sentire quasi il peso della sua arma e lo sforzo dei suoi muscoli, è notevolmente ridimensionata. Ci sentiamo di poter dire che una causa di questa minore identificazione possa essere la stessa ricchezza delle opzioni, quasi totalmente disponibile fin dall’inizio e quindi sostanzialmente slegata dalla crescita dell’eroe. Ma la mancanza principale va forse identificata nella presenza di azioni che in qualche modo ‘rompono’ il bilanciamento del sistema, rendendo assai più facile del previsto la sopravvivenza del nostro alter ego. Si è molto parlato, tra gli appassionati, del problema rappresentato dalla capriola, durante la quale l’eroe è sostanzialmente immune dagli attacchi (faccenda parzialmente corretta da una delle patch): ma a nostro avviso è ben più grave il fatto che le pozioni curative, peraltro abbondantissime se il personaggio ha cura di apprendere l’abilità relativa alla distillazione, hanno effetto istantaneo. Abusandone, il nostro eroe può affrontare fin dalle primissime battute creature spaventevoli e potentissime come i golem, e uscirne senza problemi.
C’è da dire che anche il bestiario stesso contribuisce alla sensazione di relativa omogeneità che Risen 3 ci fa provare nelle sue numerose ore di combattimenti all’arma bianca: i nemici, suddivisi peraltro in poche tipologie, sono distribuiti in maniera apparentemente del tutto casuale, senza alcuna attenzione né verso elementari criteri di verosimiglianza né tantomeno verso stratagemmi di carattere più eminentemente ludico. In altre parole: in pochissime circostanze un nemico molto potente blocca l’accesso a un luogo o il rinvenimento di un tesoro; il più delle volte, tutte le esplorazioni portano attraverso luoghi popolati sia da nemici deboli sia da nemici forti. Questo conferisce alle sessioni di combattimento un carattere di scoraggiante omogeneità: l’eroe avanzerà nel suo cammino eliminando senza problemi ogni creatura incontrata, e l’unica differenza sostanziale tra l’affrontare un debole scavenger o un potente golem sarà il fatto che durante lo scontro con quest’ultimo sarà anche necessario adoperare una pozione curativa.
Come se tutto ciò non bastasse, a compromettere il bilanciamento concorre anche la possibilità, opzionale ma in qualche modo ‘raccomandata’ dal gioco stesso, di far accompagnare l’eroe da un compagno di viaggio. Quest’ultimo interviene anche nei combattimenti: è vero che i nemici tendono sempre a concentrare i propri attacchi sul protagonista, ma bastano poche manovre di distrazione per farli virare sul compagno, che per giunta è sostanzialmente immortale. Imparando a ‘usare’ per bene il proprio accompagnatore, l’eroe può avere ragione di creature assai più potenti di lui senza ricevere un solo graffio, vanificando qualunque sensazione di crescita progressiva: una componente che, giova ricordarlo, ha avuto sempre un ruolo di primo piano nel caratterizzare i prodotti Piranha.
6. Armi a distanza e incantesimi
Anche se l’attenzione degli sviluppatori è stata rivolta con ogni evidenza soprattutto verso il combattimento in corpo a corpo, in Risen 3 sono presenti le armi a distanza, sotto forma di pistole e moschetti. Le prime hanno un ruolo accessorio rappresentando, assieme alle balestre e ai coltelli da lancio, una sorta di attacco secondario, affiancabile anche alle armi bianche: i secondi invece possono prendere il posto di queste ultime e provocare una notevole (e forse anche eccessiva) quantità di danni. Maneggiarli richiede però una qualche attenzione aggiuntiva, vista la necessità di mirare per qualche istante prima di sparare e visto il talvolta lungo tempo di ricarica, peraltro diminuibile tramite investimento nell’apposita abilità.
Anche la magia può rappresentare una forma di attacco privilegiata, ma il fatto che essa possa dispiegare il suo potenziale solo dopo aver scelto una delle tre fazioni, e dunque in una fase di gioco piuttosto avanzata, spinge naturalmente il giocatore a concentrarsi sul combattimento con le armi bianche. Costruire un personaggio simile a un mago puro richiede una sorta di pre-investimento in caratteristiche e abilità che potranno essere utilizzate solo in futuro: ma la preparazione può ampiamente ripagare, dato che alcune magie sono molto potenti e possono eliminare o indebolire più nemici con un semplice gesto.
Come abbiamo già scritto, esistono tre forme di magia, ciascuna collegata a una fazione. La magia più potente è la crystal magic, collegata naturalmente ai maghi di Taranis: è anche la forma di arte arcana più vicina a quella ‘classica’ vista per esempio nei Gothic, essendo ciascun incantesimo collegato a un elemento naturale (fuoco, fulmine, ghiaccio). La rune magic, appannaggio dei Demon Hunter, è prevalentemente di supporto: eccelle nelle protezioni, nei buffer che aumentano la potenza dell’eroe (una utilissima magia aumenta la frequenza dei suoi attacchi, per esempio) e nelle evocazioni. La voodoo magic, bagaglio delle conoscenze dei nativi Kila, è sia ad attacco diretto sia di supporto e si concretizza soprattutto sotto forma di maledizioni capaci, per esempio, di trasferire l’energia vitale dal nemico all’eroe o di causare una sete di sangue che spinge le creature ad attaccarsi tra di loro.
Le tre scuole di magia hanno un elemento che le accomuna: ciascun incantesimo ha un tempo di ricarica spesso non indifferente, e quindi sarà impossibile inanellare attacchi magici con la stessa velocità con cui si combinano i colpi all’arma bianca. È sempre possibile passare velocemente da un incantesimo all’altro, e d’altro canto alcune abilità diminuiscono anche considerevolmente il tempo di ricarica: ma tutto lascia intendere che gli sviluppatori abbiano comunque voluto considerare la magia soprattutto come una forma di supporto al combattimento con le armi anziché una vera e propria opzione autonoma di sviluppo dell’eroe.
Va sottolineato che un paio di magie voodoo sono pensate per essere utilizzate al di fuori del combattimento. Una indebolisce le serrature dei forzieri, permettendo lo scassinamento anche all’eroe che non ha investito adeguatamente nell’apposita abilità. Un’altra, senza dubbio la più interessante, permette all’eroe di trasformarsi in un pappagallo, e di raggiungere così zone altrimenti inaccessibili. L’utilizzo di questa abilità, accessibile a tutti dato che il gioco ci mette a disposizione decine di pergamene collegate alla relativa magia, va peraltro calibrato con attenzione: l’uccello può planare indefinitamente, ma ‘alzarsi’ solo per pochi secondi. Raggiungere determinate zone tramite questa singolare trasformazione diventerà, il più delle volte, una sfida notevole, una specie di gioco nel gioco.
7. Dialogo e personaggi non giocanti
Quasi tutti i personaggi non giocanti incontrati in Risen 3 hanno un nome proprio e una propria storia da raccontare, attraverso dialoghi asciutti ed essenziali. Quasi tutti sono anche collegati a una o più missioni, e in genere i dialoghi ruotano attorno, appunto, alla risoluzione delle quest: pochissimi tra essi risultano funzionali all’approfondimento del mondo di gioco, com’è d’altro canto caratteristica tipica dei giochi Piranha, da sempre allergici alle componenti slegate dalla pura e semplice giocabilità.
Due abilità sono collegate direttamente al dialogo: la persuasione (silver tongue) e l’intimidazione (intimidation). In alcuni casi, il loro utilizzo è richiesto per proseguire in determinate missioni: il più delle volte, tuttavia, si tratta semplicemente di uno sfizio a sé stante, che può portare a ricompense aggiuntive o a informazioni opzionali. Curiosamente, anche il borseggiamento è rappresentato sotto forma di opzione di dialogo: i personaggi potenzialmente derubabili sono determinati dal gioco, che indica esplicitamente la possibilità di riuscita del colpo. Se si fallisce, il personaggio reagisce attaccando l’eroe: ma sarà sufficiente allontanarsi e tornare in seguito per vedere tutto ripristinato alla normalità.
Questo succede anche quando si tenta un furto all’interno di un’abitazione: se si viene scoperti, basta sparire per qualche minuto e tutti si saranno ‘dimenticati’ dell’accaduto. In generale, l’intelligenza artificiale che governa i personaggi non giocanti risulta non molto curata e sicuramente inferiore a quella implementata nell’ormai preistorico primo episodio di Gothic, che colpì gli appassionati, a suo tempo, proprio in ragione della sua capacità di evocare un mondo vivo e credibile. In Risen 3, i PnG si limitano a restare fermi nella propria posizione per gran parte del tempo: l’unico comportamento verificabile con regolarità è l’andare a dormire quando calano le tenebre, ma neanche in questo caso si tratta di un’abitudine universalmente diffusa (i PnG più importanti non dormono mai).
Una volta conclusa la missione collegata a un determinato personaggio, nel novanta per cento dei casi quest’ultimo cessa di essere presenza attiva nella storia narrata: tornare a interagire con lui non ha dunque nessun senso. Ripulire una mappa dai nemici equivale ad averla ripulita dalle missioni e dai dialoghi: i primi prodotti Piranha, invece, trovavano un tratto importante della propria identità nel fatto che ciascuna ambientazione faceva da sfondo a tanti momenti diversi della trama, con innegabile godimento in termini di realismo.
Se si eccettuano alcuni rari frangenti, nel complesso i dialoghi di Risen 3 non sono particolarmente virtuosistici e anzi sembrano un lieve passo indietro rispetto alla freschezza che da questo punto di vista si respirava in Risen 2, forse il gioco Piranha con la scrittura più ispirata. Certo, alcune buone idee rimangono in campo, per esempio l’originale modo di esprimersi degli gnomi, e in particolare di Jaffar, personaggio esilarante già visto nel secondo capitolo della saga: ma questi sprazzi di piacevolezza finiscono per perdersi nell’amalgama indistinto costituito dal resto del prodotto, caratterizzato peraltro da una vastità davvero notevole. Non che si tratti di un problema gravissimo: i giochi di questo gruppo di sviluppatori non hanno mai puntato più di tanto sui contenuti, quanto sulle modalità con cui questi ultimi sono ‘comunicati’ al giocatore.
8. Il bello di esplorare
Come si è detto, il mondo di Risen 3 è suddiviso in varie ambientazioni, raggiungibili liberamente una volta superate le primissime fasi della trama. È nella costruzione dei luoghi che Piranha dimostra forse la parte migliore del suo talento: le ambientazioni sono costruite con grande attenzione, si sviluppano in tutte le direzioni e la loro esplorazione, almeno nelle prime ore di gioco, costituisce un notevole motivo di soddisfazione. Purtroppo alla lunga la routine tende a stancare, complice anche la vastità del mondo nonché l’omogeneità del suo bestiario, che sicuramente, come abbiamo già detto, avrebbe meritato una maggior varietà e una distribuzione più accurata. Anche il clima e la vegetazione dei luoghi non presentano, a nostro avviso, la giusta identità: quando ricaricheremo un salvataggio, non sarà così strano dover controllare la mappa per avere conferma sul luogo in cui si trova il nostro personaggio, dato che (quasi) tutte le isole e i brani di costa sono caratterizzati dalla consueta atmosfera tropicale.
Tutto ciò non è necessariamente criticabile, anzi dal punto di vista del realismo generale non c’è nulla di strano nel fatto che le ambientazioni siano così omogenee. Il vero problema, da questo punto di vista, è che gli sviluppatori non hanno avuto tempo e mezzi necessari per conferire identità più marcate tramite altri stratagemmi, quali un bestiario più diversificato o anche villaggi più vivi e riconoscibili. L’errore tragico dei ragazzi di Piranha, da Gothic 3 in avanti (con l’eccezione del primo Risen, che però presentava altri problemi), è la dispersione delle loro (poche) risorse nella messa a punto di mondi vastissimi e per forza di cose generici e ripetitivi anziché nella creazione di un mondo limitato ma fortemente caratterizzato nelle sue parti, come era d’altro canto quello del primo Gothic.
Poco possono aiutare, da questo punto di vista, le variazioni sul tema innestate nelle modalità esplorative in Risen 3. In alcuni punti prestabiliti, per esempio, le rocce si possono scalare, peraltro tramite un’animazione che non esiteremmo a definire oscena (come quasi tutte le animazioni del gioco). In altri punti altrettanto prestabiliti, il personaggio può adoperare liane o scale a pioli per raggiungere punti posti più in alto o più in basso: in questo caso l’animazione manca del tutto e l’eroe si limita a ricomparire magicamente all’altro capo della liana (o della scala). Dell’esplorazione tramite trasformazione in pappagallo abbiamo già parlato, e si tratta forse della trovata più apprezzabile; fa il suo ritorno da Risen 2 anche la scimmietta ammaestrata, tramite la quale il nostro eroe potrà accedere ad aree altrimenti precluse in quanto accessibili solo tramite piccoli anfratti.
9. Eroe senz’anima
Il fatto che il protagonista di Risen 3 sia qualcosa di simile a uno zombie, essendo un morto riportato in vita tramite la necromanzia, ha permesso agli sviluppatori di innestare nella giocabilità una interessante componente inedita. Oltre ai punti ferita e a tutti gli altri valori relativi ad abilità e caratteristiche, il personaggio giocante ha anche una statistica ulteriore da tenere sotto controllo: l’anima (soul). Il suo valore va da 0 a 100 e corrisponde in larga misura a quello che altri giochi registrano sotto il nome di Karma o di allineamento: l’anima ‘aumenta’ quando l’eroe compie buone azioni e ‘diminuisce’ quando si abbandona a gesti crudeli e inconsulti.
Il più delle volte non si tratta di vere e proprie scelte differenti in seno alle missioni, che in rarissimi casi hanno biforcazioni degne di nota. L’opzione di essere ‘buoni’ o ‘cattivi’ si concretizza nella semplice possibilità di scegliere risposte più o meno rudi, che condurranno comunque al medesimo esito. Qualche volta, però, l’anima subisce una flessione anche quando si utilizza l’abilità dell’intimidazione.
Purtroppo, anche in questo caso siamo di fronte all’esempio perfetto del fatto che l’accumulo di funzionalità non porta necessariamente a risultati apprezzabili: l’unico elemento della giocabilità collegato al valore dell’anima è la presenza o l’assenza di due compagni di viaggio. Il più malvagio infatti ci abbandonerà se l’anima è troppo ‘buona’, il più buono se l’anima è troppo ‘malvagia’. Chi si lamenta, peraltro giustamente, del peso scarso che l’allineamento ha nella serie di Baldur’s Gate rimarrà, in Risen 3, ancora più fortemente deluso.
La natura solo parzialmente umana del protagonista ha permesso agli sviluppatori di implementare anche un’altra funzionalità, la cosiddetta astral vision. È un qualcosa di simile agli incantesimi rubricati come detect in Morrowind: utilizzandola, il giocatore può immediatamente ‘vedere’, tramite appositi effetti grafici, entità come creature nemiche, piante, oggetti preziosi. Anche in questo caso, però, si tratta di un comparto poco sviluppato e che sembra quasi ‘dimenticato’ dal gioco stesso, che in ben poche occasioni ci suggerisce di usarlo o ci ricorda la sua stessa esistenza.
10. I compagni di viaggio
Un altro elemento nuovo di Risen 3 rispetto ai predecessori è l’implementazione di un buon numero di potenziali compagni di viaggio, che il nostro eroe potrà reclutare nelle prime fasi della sua avventura. I comprimari lo seguiranno sulla sua imbarcazione e rimarranno a sua disposizione, anche se la maggior parte di loro accetterà di seguirlo solo dopo che egli avrà sotto il suo comando una grande nave e non semplicemente la piccola barca che la trama gli assegna all’inizio del gioco.
La nave funge da sorta di ‘base’ alla quale l’eroe può tornare istantaneamente in ogni momento: lì potrà dormire per recuperare le forze, interagire con le postazioni relative al crafting, e soprattutto parlare con i comprimari, che regalano spesso commenti personalizzati sia sulle varie ambientazioni sia sugli sviluppi della trama. C’è da dire, peraltro, che anche quest’ambito sembra in qualche modo sviluppato solo a metà: in più di una occasione, ci stupiremo del fatto che i nostri compagni di viaggio non abbiano alcuna reazione di fronte ad eventi di portata capitale, soprattutto collegati alle ultime battute della trama principale.
L’eroe può scegliere di essere accompagnato, durante le esplorazioni, da uno dei membri della brigata. Quest’ultimo non mancherà, in qualche rara occasione, di intervenire nei dialoghi o di commentare le ambientazioni con battute estemporanee. Soprattutto, il nostro compagno non mancherà di aiutarci durante i combattimenti con le creature ostili, adoperando la sua arma predefinita, sia essa una spada o un fucile o anche un qualche tipo di attacco magico. Alcuni personaggi hanno anche abilità supplementari: per esempio, Jaffar può raccogliere il bottino al posto del protagonista (e consegnarglielo tutto quando questi glielo chiede) e Bones può guarire l’eroe quando i punti ferita cominciano a scarseggiare.
Come già dicevamo in precedenza, il problema maggiore connesso alla gestione dei compagni è l’estrema facilità con cui si può abusare della loro presenza in combattimento. Avendo cura di tenere le distanze dal nemico, quest’ultimo finirà per concentrare i loro colpi sul comprimario, dando all’eroe la possibilità di preparare, del tutto indisturbato, un paio di colpi caricati, di solito sufficienti per avere il vantaggio decisivo. Se si considera che i compagni di viaggio sono di fatto immortali si può facilmente comprendere quanto questo aspetto possa compromettere il bilanciamento dell’intera macchina sottesa al sistema di combattimento. Siamo dunque di fronte all’ennesima componente innestata nel gioco con incompletezza e superficialità: i pochi arricchimenti dovuti alla sua presenza sono tutto sommato trascurabili se paragonati ai problemi e alle inconsistenze a cui essi si accompagnano.
11. Interfaccia e minigiochi
L’interfaccia di Risen 3 è del tutto simile a quella del predecessore e questo è allo stesso tempo un bene e un male. È un bene perché risulta tutto sommato curata e finanche leziosa per un gioco Piranha; è un male perché le sue numerose schermate sembrano in qualche modo eccessivamente frammentate, costringendo l’utente a una numerosa serie di clic prima di raggiungere l’oggetto o l’informazione richiesti.
Nelle schermate del commercio, dell’inventario e del crafting tutta la parte centrale è occupata da una grande animazione: dell’eroe stante nell’inventario, o impegnato nella relativa attività nel crafting; nel caso del commercio, invece, a occupare la parte centrale è un’animazione del mercante con cui si svolge la transazione. In più di una occasione si ha la sensazione che lo spazio occupato da questa animazione, per quanto interessante in termini di atmosfera, si sarebbe potuto utilizzare più intelligentemente, riempiendolo di informazioni utili anziché disperdere queste ultime in tante sotto-schermate. Per raggiungere un oggetto equipaggiato nell’inventario, per esempio, occorre accedere all’inventario stesso, cliccare sul tasto che seleziona l’equipaggiamento e cliccare anche sulla parte del corpo che ci interessa (mano destra, mano sinistra, torso…): solo allora vedremo finalmente la lista di oggetti che cercavamo.
Un accenno merita anche la gestione della mappa: mentre nei capitoli precedenti della saga era necessario acquistare nel corso dell’avventura una mappa da utilizzare tramite l’apposita interfaccia, in Risen 3 la mappa viene messa a disposizione automaticamente ed è ‘aperta’ fin dall’inizio. Basterà dunque sbarcare su un’isola e si potrà subito conoscere la sua conformazione geografica e la distribuzione degli insediamenti, incluse le zone che si apriranno solamente nella fase avanzata della trama. È nostra convinzione il fatto che la faccenda si sarebbe potuta gestire in modo più realistico ed elegante: se non riprendendo la necessità di acquistare la mappa, almeno facendola progressivamente ‘aprire’ col procedere dell’esplorazione. Va anche sottolineato il fatto che il sistema di mappatura automatica implementa la segnalazione degli obiettivi delle missioni tramite appositi simboli: una funzione senza dubbio apprezzabile, ma applicata da Risen 3 con modalità forse troppo indiscriminate, per esempio in occasioni in cui la missione sottintende una ricerca che in realtà non si verifica, essendo la mappa già al corrente della posizione dell’oggetto da ritrovare.
Risen 3 implementa, come del resto i precedenti capitoli della serie, alcuni minigiochi. L’unico in qualche modo ‘obbligatorio’ è quello connesso allo scassinamento di serrature: identico a quanto visto nell’episodio precedente, è un rompicapo semplicissimo che viene a noia in poche battute e che sarebbe stato meglio rimuovere completamente. Gli altri minigiochi sono del tutto opzionali anche se qualcuno dà vita a missioni a se stanti, sul modello dei prodotti della serie The Witcher: si tratta del lancio dei coltelli, delle gare di bevute e del braccio di ferro. Non ci soffermeremo sulle modalità di svolgimento, limitandoci ad affermare che si tratta di divertissement molto poco riusciti e semplicissimi da padroneggiare.
Assai più grave della presenza dei minigiochi è l’incombenza di “battaglie navali” il cui superamento è richiesto per il prosieguo della trama. Intendiamoci: la totale assenza di scontri sul mare nell’episodio precedente era abbastanza scandalosa, essendo Risen 2 un gioco di pirati. Ma la modalità con cui le battaglie in mare sono state realizzate in Risen 3 fa quasi rimpiangere la loro passata latitanza. Non ci stiamo tanto riferendo alle battaglie che si concretizzano in semplici scontri all’arma bianca sullo sfondo del ponte delle navi coinvolte, quanto piuttosto agli estenuanti incontri con mostri marini da sconfiggere tramite colpi ben assestati da parte del cannone posto davanti alla nave o delle batterie laterali. La trama ci impone di affrontarne ben tre: durante i combattimenti potremo controllare l’intera nave, e dovremo far attenzione a non farla incagliare tra gli scogli e a tenerla alla larga dal mostro (che è una specie di serpentone che appare periodicamente in superficie), dando nel frattempo fondo alle polveri per portare a zero la barra dei punti ferita del mostro medesimo. Le giuste espressioni per esprimere quanto frustranti, noiosi e in ultima analisi inutili siano questi combattimenti non sono ancora state coniate: basti affermare che nel superarli (portando temporaneamente al minimo la difficoltà così da abbreviare lo strazio) abbiamo seriamente rimpianto il combattimento contro il kayran in The Witcher II, che è tutto dire.
12. Grafica e sonoro
Risen 3 utilizza lo stesso motore grafico del predecessore, mantenendone tutti i limiti: ma d’altro canto Piranha non ha mai puntato più di tanto sullo scintillio estetico, anche se a suo tempo Gothic II poteva forse vantare alcuni tra i migliori paesaggi visti in un GdR digitale. L’elemento naturale è reso in modo tutto sommato soddisfacente: e anche le strutture insediative e le rovine comunicano la giusta atmosfera di solennità e di decadenza. Le ombre, purtroppo, hanno la spiacevole sensazione di muoversi a scatti con lo scorrere del tempo: si tratta di un dettaglio, ma è molto visibile e rovina parecchio la suspension of disbelief.
Ciò che non funziona per nulla sono invece i modelli dei personaggi e le animazioni. I primi sono poco ispirati e ripetitivi, le seconde sono imbarazzanti, sia nel caso del semplice movimento sia soprattutto nel caso delle mosse collegate al combattimento. Da questo punto di vista Risen 3 sembra un gioco di molti anni fa: e anche se il problema non è così grave come certe recensioni affermano, un impegno maggiore in quest’ambito andava certamente profuso, se non altro per evitare violente stroncature da parte della critica più casual.
Il sonoro è adeguato per quel che riguarda le musiche, ma assolutamente dozzinale per quel che riguarda il parlato: da questo punto di vista Risen 3 sembra quasi un prodotto amatoriale, sia per la scelta delle voci sia anche per la pura e semplice qualità del suono. Il protagonista, interamente doppiato, si esprime con una voce roca che vorrebbe assomigliare a quella di altri eroi celebri (primo tra tutti Geralt di The Witcher) ma che alla prova dei fatti risulta così poco credibile da sfiorare il ridicolo.
Nell’autunno del 2015, in occasione della pubblicazione del gioco per Playstation 4, Piranha ha reso disponibile una corposa patch descritta come enhanced edition: su PC, questo aggiornamento rende disponibili opzioni grafiche più avanzate e destinate alle macchine più potenti. Se prima dell’applicazione di quest’ultima patch il gioco girava fluido con la grafica al massimo anche su sistemi piuttosto ‘stagionati’, ora non è più così: la grafica ‘ultra’ richiede risorse non indifferenti, a fronte peraltro di miglioramenti non così eclatanti.
13. Conclusioni
Risen 3: Titan Lords è, ci duole dirlo, l’episodio forse meno riuscito di tutta la serie. Non si tratta di un brutto gioco: è anzi un prodotto in grado di regalare ore di divertimento a tutti coloro che apprezzano il particolare modo di concepire l’esplorazione fatto proprio da Piranha Bytes. Il problema è che questo tratto fortemente identitario risulta, in questa sua incarnazione, in un certo senso ‘diluito’ dalla presenza di scelte di design che ne sporcano l’altrimenti profonda caratterizzazione: per esempio l’eccessiva vastità del mondo, la distribuzione irrazionale delle creature ostili, lo sbilanciamento dei combattimenti.
L’atmosfera gotica che caratterizza la nuova avventura, peraltro, contribuisce a collocare il gioco in una dimensione differente rispetto a quella in cui si collocava l’episodio precedente: e la stessa cosa succedeva mettendo in relazione quest’ultimo con il primo capitolo della trilogia. Piranha non ha mantenuto alcuna coerenza, narrativa o d’ambientazione, tra i differenti episodi della saga: dal fantasy classico di Risen si è passati all’atmosfera piratesca di Risen 2, per passare poi al fantasy gotico di Risen 3. Non sarebbe una mancanza grave, se ciascun episodio avesse una coerenza di fondo perfetta: purtroppo così non è. Gli ultimi due episodi di Risen sono ricolmi di diversivi inutili e distraenti, di idee accennate e mai pienamente sviluppate, configurandosi, in ultima analisi, come dei pout pourri irrisolti e mal bilanciati. Non stupisce che la saga stessa, presa nel suo insieme, possa essere descritta nello stesso modo: chi non riesce a calibrare le sue capacità sul medio-breve termine, solitamente, ci riesce ancora meno sul lungo termine.
Credo che ormai nemmeno i fan più sfegatati di questo gruppo di sviluppatori possano fare a meno di guardare in faccia la realtà: i ragazzi di Piranha Bytes sono senz’altro talentuosi, ma non hanno i mezzi per produrre i giochi che vorrebbero produrre. Non ce li hanno né finanziariamente, né dal punto di vista puramente creativo. Il desiderio del fan più autentico dovrebbe essere chiaro: questi ragazzi tedeschi devono mettere a fuoco la dimensione del proprio talento e tornare alla realizzazione di mondi piccoli e dettagliati, possibilmente appoggiandosi a un aiuto esterno per quel che riguarda la narrazione e le atmosfere. In un’epoca come quella contemporanea, nella quale esistono tanti modi per sopravvivere dignitosamente all’interno di nicchie sostenute da comunità floride e appassionate, non bisogna per forza ostinarsi a rivaleggiare con i titoli iperprodotti quali quelli sfornati da Bethesda, Bioware o CdProjekt. Il prossimo progetto di Piranha è un gioco di nome Elex, ambientato in un futuro post-apocalittico con venature fantasy: speriamo che nel realizzarlo questi ragazzi mettano a fuoco tutte le problematiche appena trattate, o almeno una parte di esse.
Tre pregi di Risen 3: Titan Lords
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Tre difetti di Risen 3: Titan Lords
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Esplorazione interessante
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Eccessivamente vasto e frammentato
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Sviluppo del personaggio stimolante e sfaccettato
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Pieno di funzionalità sotto-sviluppate e sotto-sfruttate
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Giocabilità scorrevole e facilmente padroneggiabile
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Combattimenti sbilanciati
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Ho rigiocato di recente Risen3, cambiando fazione (dai Maghi ai Demon Hunters) e mi sembra una affermazione davvero molto azzardata definire Risen3 il peggiore della serie.
Alcune delle accuse di Mosè sono senza dubbio fondate: l’ambientazione ha diverse forzature e molte funzionalità sono fatte coi piedi, come Alchimia e Vudu che ancora una volta sono comparti quasi inutili. Molti sottogiochi sono ridicoli, certo, specialmente il braccio di ferro e le gare di bevute. Le battaglie navali contro i mostri sono un’altra cosa letteralmente aberrante: va detto però che alla fine ti prendono una mezz’ora di gioco in tutto, non credo sia una cosa da perderci il sonno.
Ma per tutto il resto il confronto col secondo (e su molti aspetti anche col primo) è assolutamente impietoso e chiunque abbia un minimo di obiettività non può che riconoscerlo.
Prima di tutto il comparto esplorativo. La mappa di gioco è vasta, articolata, e molto varia: 6 isole (più quella finale) tutte abbastanza diverse tra di loro come insediamenti, ambiente, risorse eccetera. Per me è un passo in avanti enorme rispetto ai precedenti, in cui in 4/5 ore di gioco si vedeva tutto o quasi, mentre nel terzo anche dopo decine di ore di esplorazione continuano a sbucare cose nuove da vedere, e se questo non è un pregio per un gioco open world siamo davvero su pianeti differenti. Altro punto di forza è che disponendo di una barca da subito uno finalmente può esplorare le isole nell’ordine che cacchio gli pare, siamo lontani dalla rigidità del secondo.
Secondariamente le fazioni, santo Dio, che sono sempre state un marchio di fabbrica dei PB: ora abbiamo 3 fazioni enormemente diversificate a cui affiliarsi (più altre 2 che ti conferiscono missioni), e questo dona al gioco una componente di rigiocabilità notevole. Ricordiamo che nel secondo le fazioni erano solo 2 e oltretutto la scelta era sostanzialmente obbligata a favore dell’Inquisizione: chi parteggiava per gli indigeni infatti non poteva migliorare con le armi da fuoco, pertanto ci voleva un deficiente o un masochista per aderire alla loro causa.
In terzo luogo la longevità è molto superiore: più PNG, più insediamenti, più missioni, più nemici (e più vari), più segreti da scoprire, più tutto. Nell’ultima run sono arrivato ai titoli di coda in 50 ore tirando via nel finale e conoscendo già molte cose, se fosse stata la prima probabilmente ce ne avrei messe minimo 10 in più. E’ almeno il doppio del secondo e considerevolmente più del primo, che dopo il primo atto era il festival della linearità assoluta, ma così lineare che al confronto Metro 2033 era Morrowind.
A me sembrano tutte realtà evidenti e dimostrabili, poi chiaramente ognuno si tiene l’idea che vuole, ci mancherebbe.
Ciao a tutti. Ho giocato a Risen 2 e 1 nell’ordine, e poi a Risen 3 ma non l’ho finito; mi ero fermato ad un combattimento navale con i cannoni che ho trovato particolarmente snervante, quindi non posso esprimermi sul gioco in modo completo, tantomeno sulla (vera o presunta) eccessiva vastità del mondo di gioco. Detto ciò, condivido il senso del pensiero di Romolo; non ho trovato Risen 3 sensibilmente peggiore di Risen 2. Anzi, ci sono miglioramenti in certi comparti. Casomai, il 2 mi ha trasmesso qualcosa in più a livello di atmosfera generale, di “feeling” con il gioco (sensazioni soggettive, peraltro, benché importanti). Magari un giorno cercherò di riprendere il 3 e finirlo.
Però dimenticavo un commento per Romolo: aderire alla causa degli indigeni in Risen 2 non è deficienza o masochismo! Chi se ne frega se non miglioro con le armi da fuoco! W gli indigeni e abbasso l’inquisizione tutta la vita!!!! 🙂