Finalmente Piranha Bytes prova a rinnovare, senza tradirla, la sua formula storica: rispetto al passato, il risultato offre diversi passi in avanti, ma anche qualche passo indietro.
[articolo originariamente pubblicato il 21 giugno 2012]
1. Esser unici, esser diversi
Sia nella natura sia nella società umana, ci sono entità la cui unicità rappresenta al contempo una croce e una delizia. Esser unici impedisce la fuga nella medietà rassicurante, rende impossibile l’apprezzamento universale, e condanna alla ripetizione di sé come solo destino possibile. I ragazzi tedeschi di Piranha Bytes hanno segnato questo loro destino nel lontano 2001, dando alle stampe la loro opera prima Gothic. Si trattava di un gioco di ruolo talmente caratterizzato nelle meccaniche e nell’ambientazione da aver finito col catturare i propri autori dentro le spire della ripetizione seriale: infatti, appena tentarono di divincolarsene, firmando un terzo capitolo che provava la contaminazione con altri sotto-generi (peraltro attraverso un prodotto chiaramente incompleto e viziato da ambizioni eccessive), la bocciatura dei fan arrivò sonora e inequivocabile. La necessaria marcia indietro prese le forme del nuovo capitolo di una inedita saga, dal titolo Risen: senza dubbio un buon prodotto ma, come sottolineammo a suo tempo, si trattava né più né meno della riproposizione della consueta formula ‘unica’, che a dieci anni di distanza, però, cominciava a segnare il passo e ad apparire come inevitabilmente usurata. Risen 2 rappresenta dunque un passo importante: l’ultima occasione, per Piranha Bytes, di dimostrare che si può essere unici senza per questo essere sempre uguali a se stessi. Possiamo dire fin da subito che l’occasione è stata colta con piglio adeguatamente sicuro, anche se non tutto, in Risen 2, sembra al posto giusto. Diciamo che subito dopo aver sperimentato questa nuova esperienza siamo stati pervasi da una sensazione: la sensazione che appena questo gruppo di sviluppatori tenta di andare un centimetro al di là della sua “formula magica”, pecchi automaticamente di eccessiva ambizione. Un handicap non da poco, in un mondo in perenne mutamento come quello dell’intrattenimento videoludico.
2. Premesse narrative e ambientali
Il primo Risen era ambientato in un’isola tropicale vulcanica di nome Faranga: l’innominato protagonista vi arrivava da povero naufrago, e la sua avventura ruotava attorno alla necessità di sconfiggere il pericoloso titano del fuoco che viveva nelle profondità del vulcano stesso. Nel farlo, l’eroe poteva scegliere tre diverse strade, corrispondenti a tre differenti archetipi di personaggio (guerriero, mago, ibrido): soprattutto, doveva scegliere tra due differenti fazioni, l’Inquisizione guidata da Mendoza o i banditi guidati da Don Esteban. Parte della “formula magica” dei giochi Piranha è proprio la caratterizzazione delle fazioni, la necessità di ‘scalarle’ progressivamente (elemento che conferisce notevole spessore alla crescita stessa del personaggio), nonché il carattere reciprocamente escludente delle scelte compiute nelle prime fasi della partita, che rende quest’ultima potenzialmente diversa dalla precedente a seconda dello schieramento cui si aderisce.
In Risen 2 il protagonista è lo stesso del primo capitolo: la battaglia trionfante contro il titano del fuoco, però, non l’ha galvanizzato e reso più potente, ma l’ha invece fatto piombare nella depressione e nell’alcolismo, oltre che averlo privato di un occhio. Quel titano, infatti, era solo uno dei tanti: il vero nemico da sconfiggere è chi controlla i titani, ossia la malvagia divinità Mara. Ma nessuno sembra preoccuparsi di questo, né riconoscere al nostro sfortunato eroe i suoi meriti per l’impresa già compiuta. La nuova avventura inizia così con il povero protagonista in una sudicia stanza della fortezza dell’Inquisizione a Caldera, ultimo avamposto continentale oltre la devastazione compiuta dai titani: il destino gli dà una possibilità di riscatto sotto forma di un nuovo naufragio, a cui questa volta assistiamo da spettatori. Il galeone diretto verso il porto viene infatti intercettato da uno spaventoso mostro marino: tra i resti che giungono a riva, c’è Patty, una vecchia conoscenza del nostro alter ego visto che era presente anche nel primo capitolo. Patty è la scaltra figlia del pirata Steelbeard (che nella versione italiana diventa Barba d’Argento): secondo i suoi racconti, una parte consistente dei pirati sta combattendo contro Mara e i suoi scagnozzi. L’Inquisizione, vale a dire la nemesi di ogni pirata che si rispetti, condivide lo stesso obiettivo: ma chiedere a un membro dell’Inquisizione di allearsi direttamente con un pirata è come auspicare un accordo tra il Padreterno e Satana. È qui che entra in gioco il nostro personaggio: essendo un battitore libero, può tentare di infiltrarsi tra i pirati senza colpo ferire, così da poter portare finalmente a termine la missione iniziata su Faranga. Il suo primo compito sarà dunque imbarcarsi per l’isola di Tacarigua, dove si trovano sia un avamposto dell’Inquisizione sia un villaggio pirata: luogo perfetto per organizzare le prime mosse e valutare il da farsi.
Già da questa premessa si sarà notato che, nonostante la continuità narrativa tra i due titoli sia preservata, l’ambientazione subisce, nel passaggio tra Risen e il suo seguito, una virata consistente. Nel primo capitolo, i pirati erano una presenza marginale e poco significativa: ora tutto ruota attorno a loro, sia nel racconto sia nelle modalità di fruizione del medesimo. Indipendentemente dalle scelte fatte, il nostro alter ego si troverà da un certo momento in avanti nei panni di un capitano pirata, con tanto di vascello ed equipaggio ai suoi ordini: e tra una missione principale e l’altra, i suoi passatempi saranno cercare tesori nascosti, distillare rum, ammaestrare scimmiette e pappagallini. Quel che colpisce è che i programmatori non hanno pensato di fondere tutto questo con le premesse più schiettamente fantasy poste dal capitolo precedente, bensì di prescindere del tutto da esse e di avvicinarsi il più possibile a un mondo piratesco verosimile e plausibile: non avremo più dunque accesso ad archi e balestre, ma a più moderne armi da fuoco come pistole e moschetti, e non avremo più a disposizione incantesimi elementali distruttivi, bensì una forma di magia di supporto molto discreta, chiamata “vudù”. Il risultato finale non è disprezzabile, ma ci si chiede se non fosse il caso, anziché creare vistose inconsistenze solo in parte risolte a livello narrativo, di dar vita a una nuova serie, rinunciando a ogni connessione con il gioco precedente.
3. Il sistema di controllo e l’interfaccia
Come tutti i precedenti giochi Piranha, Risen 2 utilizza una visuale in terza persona, da dietro le spalle del protagonista, con distanza regolabile tramite la rotella del mouse. Gli spostamenti sono gestiti dai consueti tasti WASD: di default, il protagonista corre, ma lo si può far camminare premendo il tasto SHIFT (la camminata è utile per esplorare con più calma gli ambienti, ma anche per evitare cadute quando ci si muove sul ciglio di un precipizio). Quando l’eroe non impugna armi, il tasto sinistro del mouse gestisce l’interazione con il mondo: avvicinandoci a una entità con cui si può interagire, per esempio una pianta che si può raccogliere, o un personaggio con cui si può parlare, o una porta che si può aprire, vedremo comparire il suo nome a schermo; a quel punto basterà cliccare per far partire l’interazione prevista.
Una scelta particolare effettuata dai programmatori è quella di far comparire schermate differenti da quella standard all’attivarsi di determinate azioni: per esempio lo svuotamento di un forziere, o l’utilizzo di un fuoco da campo per arrostire della carne, o la distillazione di piante per la creazione di pozioni. Quando procederemo con queste azioni, vedremo una schermata che rappresenta, al centro, una animazione dell’eroe impegnato nel lavoro appropriato, e potremo scegliere cosa fare concretamente tramite una serie di tasti posti sul lato sinistro dello schermo.
L’interfaccia presente nella visuale normale prevede una tradizionale barra rapida personalizzabile in basso, tramite la quale è possibile attivare oggetti e azioni attraverso la pressione del tasto collegato, una barra rossa che rappresenta i punti ferita in basso a destra, con sopra l’icona dell’arma e del “trucco sporco” attivi (più avanti spieghiamo meglio di cosa si tratta), e una mini-mappa in alto a destra indicante l’orientamento del personaggio (non molto utile dato che è ‘cieca’, cioè non indica il territorio circostante né la posizione di nemici o comprimari).
Naturalmente non possono mancare le varie schermate necessarie per la gestione del personaggio giocante: a differenza che nei precedenti giochi Piranha, sono molto elaborate e ricche di decorazioni, qualche volta a scapito della praticità d’uso, ma tutto sommato non ci si può lamentare. L’inventario, per esempio, mostra al centro l’immagine dell’eroe e a sinistra una colonna di tasti che consente di accedere alle varie sezioni dell’equipaggiamento: mano destra, ossia arma principale, mano sinistra, ossia “trucco sporco”, busto, gambe, anello, eccetera. Una volta cliccato su una categoria, vengono elencati tutti gli oggetti in nostro possesso che possono essere equipaggiati in quel posto: sulla parte destra della schermata, invece, vedremo un confronto tra l’oggetto selezionato e quello attualmente equipaggiato dal personaggio. Non mancano, poi, sezioni dedicate al “bottino”, ossia agli oggetti non equipaggiabili ma comunque utili per la vendita o per usi di altro tipo, nonché agli oggetti rari che possono essere collezionati e che conferiscono bonus permanenti all’eroe. Una schermata particolare è dedicata anche all’equipaggio: come già detto, da un certo momento in avanti il protagonista potrà comandare un vascello, e quindi anche assoldare la sua ciurma; alcuni membri possono conferire vantaggi passivi, mentre altri possono accompagnare direttamente l’eroe nelle sue missioni. L’interfaccia del diario è piuttosto dettagliata: le missioni sono raggruppate in base alla zona, tranne quelle della trama principale, che hanno la loro categoria particolare. Una volta selezionata una missione è possibile non solo vederne una stringata descrizione, ma anche rileggere tutti i dialoghi a essa collegati (a volte è necessario, dato che non sempre il diario registra tutte le informazioni necessarie). Alcune missioni consentono di visualizzare sulla mappa la propria destinazione, così da rendere più semplice il completamento delle stesse: pur essendo una funzionalità opzionale, in alcuni casi diventa praticamente obbligatoria (per esempio quando si tratta di trovare l’ubicazione di un tesoro). Attenzione, però: la mappa locale dell’isola dove si trova l’eroe non è disponibile di default, sarà prima necessario procurarsela in qualche modo.
4. Lo sviluppo del personaggio
Le modalità di gestione della crescita dell’eroe meritano una attenzione particolare, perché in questo ambito i ragazzi di Piranha hanno introdotto numerose innovazioni. La principale si concretizza nel fatto che non esistono livelli nel senso tradizionale del termine: la risoluzione di missioni e l’uccisione di creature nemiche continua a comportare il guadagno di punti esperienza (chiamati “gloria”), ma questi ultimi non determinano un livello, bensì possono essere utilizzati a completa discrezione del giocatore per migliorare le caratteristiche di base del personaggio. Queste ultime sono cinque: spade, che governa l’efficacia dei combattimenti all’arma bianca; armi da fuoco, che influenza gli scontri a distanza; resistenza, che determina l’assorbimento passivo del danno e l’intimidazione; astuzia, che governa le abilità da ladro, i “trucchi sporchi” e la persuasione; e infine vudù, che gestisce l’efficacia di maledizioni, evocazioni e alchimia. Le caratteristiche vanno da un valore base di 1 a un valore massimo (richiesto per sbloccare tutte le abilità) di 10.
A ciascuna caratteristica sono associati tre talenti, che aumentano di cinque punti in corrispondenza all’aumento di un punto della relativa caratteristica: i talenti si misurano in una scala che va da 5 a 100, anche se in occasione della fine della partita probabilmente in alcuni casi avremo sforato tale cifra. I talenti, infatti, possono essere aumentati anche apprendendo determinate abilità o indossando apposito equipaggiamento. Nel caso delle caratteristiche associate alle armi, i talenti determinano l’efficacia delle diverse tipologie delle stesse: armi da punta, da taglio e da gittata nel caso delle spade, moschetti, fucili e pistole nel caso delle armi da fuoco. I talenti associati alle altre caratteristiche sono più vari: come abbiamo già detto, alla resistenza è collegata anche l’intimidazione, all’astuzia la persuasione, al voodoo l’alchimia.
Tutto questo riguarda però la crescita diciamo così ‘passiva’ del personaggio. Ma quel che maggiormente influenza la sua abilità nel cavarsi d’impaccio nelle varie situazioni proposte dal gioco non è tanto un valore piuttosto che un altro in una caratteristica o in un talento, per quanto questi valori siano ovviamente importanti: a determinare davvero la potenza dell’eroe sono le sue abilità, e queste ultime non sono apprese tramite la “gloria”, bensì pagando una grossa somma di denaro a uno dei tanti addestratori sparsi per le isole dei mari del sud. Caratteristiche e talenti si configurano, da questo punto di vista, come un semplice pre-requisito: solo trovando il giusto maestro e pagandolo potremo sbloccare le mosse speciali e le capacità con cui venire a capo dell’avventura. Questo sistema dà al denaro una importanza centrale: l’accumulo di ricchezze non serve più solo per acquistare equipaggiamento prezioso, ma soprattutto per accedere alle abilità, alcune delle quali sono davvero essenziali per poter proseguire.
Anche le abilità ricadono sotto la classificazione determinata dalle cinque caratteristiche di base. Tra le abilità legate alle spade, vi sono la parata, il contrattacco e il colpo caricato; tra quelle connesse alle armi da fuoco vi sono il colpo critico migliorato e la ricarica più rapida; tra quelle collegate alla resistenza c’è il calcio, la capacità di distillare liquori (che funzionano come pozioni guaritrici), l’aumento dei punti ferita e la loro rigenerazione; tra quelle collegate all’astuzia c’è l’addestramento del pappagallo per distrarre i nemici, della scimmia per effettuare i furti senza essere visti, e le più tradizionali capacità collegate allo scassinamento e al furto; tra quelle legate al vudù c’è la creazione di bambole vudù (utili per lanciare maledizioni), di pozioni e di talismani.
Complessivamente, quello offerto da Risen 2 è un ottimo sistema di crescita orizzontale del personaggio: non ci sono irrealistici ‘gradini’ di sviluppo rappresentati dai livelli, bensì un miglioramento lento e progressivo che procede in ambiti diversi (caratteristiche, talenti e abilità) e sulla base di presupposti diversi. Accumulare esperienza è inutile se non si accumula anche denaro, e viceversa; e l’accumulo di entrambi è poco utile se non si conosce un maestro capace di insegnarci l’abilità che desideriamo. Questa complessità, che peraltro sembra maggiore di quel che è realmente nel momento in cui si cerca di spiegare il sistema a parole, dona al gioco una profondità ‘strategica’ notevole, che richiederà diverse partite per essere adeguatamente esplorata in tutti i suoi ambiti.
5. Il combattimento in corpo a corpo
Come in ogni prodotto Piranha, anche in Risen 2 il combattimento ricopre un ruolo molto importante, e anche in questo caso, come in passato, la declinazione degli scontri concede molto spazio all’agonismo, in una cornice sempre caratterizzata da un livello di difficoltà superiore alla media. A dire il vero, questo aspetto ha anche provocato, tra gli appassionati, qualche perplessità: il sistema tramite cui sono gestiti i combattimenti sembra infatti, almeno all’inizio, decisamente semplicistico, dato che praticamente tutte le variabili sono collegate a qualche abilità, da sbloccare tramite la procedura descritta sopra, spesso sulla base di presupposti che si aprono solamente nelle fasi avanzate della partita. Una fattispecie a cui Piranha ha tentato di porre qualche rimedio con una patch, come racconteremo tra poco.
Ma andiamo con ordine, partendo dagli scontri in corpo a corpo. Quando il nostro eroe avvista una creatura nemica, può decidere di tornare sui suoi passi o di avvicinarsi: arrivato a un certo punto, la creatura si accorgerà di lui. Gli esseri umani attaccheranno immediatamente; gli animali, dal canto loro, si limiteranno per un po’ a fare qualche verso, così da dare all’eroe un’altra possibilità di indietreggiare (numerosi mostri, però, compaiono all’improvviso da sotto terra, rendendo la fuga una opzione poco praticabile). Sarà il momento di sguainare l’arma equipaggiata e di prepararsi allo scontro.
I fendenti normali si attivano con la pressione del tasto sinistro del mouse e sono organizzati in sequenze di tre: col giusto tempismo, si può mantenere un buon ritmo e avere il massimo ritorno in termini di danni inferti al nemico. Naturalmente la sequenza può essere interrotta dagli attacchi di quest’ultimo, nel qual caso occorrerà ricominciare dall’inizio. Il sistema ‘aggancia’ l’eroe al nemico vittima dei suoi attacchi, ma si tratta di un collegamento labile, esposto al cambiamento in base alla posizione degli avversari: una buona mobilità sul campo di battaglia sarà dunque richiesta per avere ragione dei combattimenti più complicati.
Come già detto, le cose iniziano a farsi davvero interessanti solo dopo aver sbloccato qualche abilità speciale. Il tasto destro, per esempio, attiva la parata, che può essere usata anche come ottima posizione di partenza per letali contrattacchi (la parata viene effettuata con l’arma stessa, dato che nel gioco non esistono scudi). La pressione prolungata del tasto sinistro, invece, fa partire un colpo caricato, tanto potente quanto delicato per via del tempo necessario al suo compimento, tempo durante il quale l’eroe resta esposto agli attacchi nemici. Il calcio, che può essere attivato premendo il tasto E mentre si è in posizione di parata, può far arretrare il nemico e interrompere il suo attacco; risulta praticamente indispensabile contro alcune tipologie di nemici, in particolare il granchio gigante, che in questo modo può essere fatto rotolare sulla schiena, rendendolo inoffensivo per parecchi secondi.
Da questo punto di vista, va detto che Piranha ha mantenuto intatta la sua capacità di rendere i combattimenti realistici e vari anche attraverso tipologie di nemici che variano non soltanto esteticamente ma soprattutto sulla base dello ‘stile’ di ingaggio. I cinghiali, per esempio, tenteranno di allontanarsi e di colpirci col muso dopo una lunga rincorsa; i granchi giganti, appena citati, sono in grado di bloccare completamente la maggior parte degli attacchi grazie alle loro grandi chele, usate come scudo; i giaguari cercheranno di sfruttare ogni apertura per bloccarci al suolo, guadagnando in questo modo una serie di attacchi ‘gratuiti’ mentre l’eroe tenta di liberarsi (dal punto di vista delle meccaniche di gioco, questo avviene cliccando velocemente il tasto sinistro del mouse fino a riempire una barra posta al centro dello schermo). C’è da dire che alcuni percorsi di attacco non sembrano funzionare a dovere: le grosse scimmie, per esempio, continuano a girare attorno al protagonista apparentemente alla ricerca di una apertura: in realtà il loro attacco parte molto raramente, per non dire mai.
Ciò nonostante, ai livelli di difficoltà più elevati gli scontri col nemico, soprattutto nelle fasi iniziali della partita, possono risultare molto frustranti. Sollecitata anche dai fan, Piranha ha deciso di introdurre, in una delle ultime patch, la possibilità di evitare gli attacchi attraverso una veloce capriola laterale, attivabile tramite la doppia pressione del relativo tasto di movimento. Questo ha contribuito senz’altro a rendere i combattimenti ancora più dinamici, anche se bisogna dire che la vera differenza viene fatta, da questo punto di vista, dai cosiddetti “trucchi sporchi”.
6. I “trucchi sporchi”
La bizzarra dicitura dirty tricks nasconde tutta una serie di abilità di combattimento supplementari (incluse tra le abilità collegate all’astuzia), ciascuna associata a un determinato oggetto, che va anzitutto recuperato e poi equipaggiato, nell’inventario, nella mano sinistra. A quel punto potremo attivare il “trucco” connesso a quell’oggetto premendo il tasto E durante gli scontri.
Facciamo un veloce elenco di tutti i dirty tricks disponibili. Il primo a rendersi accessibile è la noce di cocco: tirata in testa a un nemico, gli farà un lieve danno e soprattutto attirerà la sua attenzione. La manciata di sabbia, che più avanti può essere sostituita da una più efficace manciata di sale, può accecare il nemico e renderlo incapace di combattere per qualche secondo. Le pistole, che in Risen 2 non figurano tra le armi a distanza ma appunto tra i dirty tricks, possono ferire il nemico (probabilmente risulteranno, alla fine, il “trucco sporco” più usato dalla media dei giocatori). Il “respiro di fuoco”, ossia la fiammata dalla bocca realizzata tramite l’apposita bottiglia incendiaria, danneggia lievemente il nemico, e merita senza dubbio il premio per il “trucco” più improbabile. Il pappagallino ammaestrato, dal canto suo, distrae il nemico e lo rende molto più vulnerabile.
Nel complesso, i dirty tricks rappresentano senza dubbio una bella idea, ma forse si può dire che sono più riusciti concettualmente che non nella realtà. La differenziazione profonda dello stile di combattimento può essere un ottimo modo per caratterizzare il ladro rispetto al guerriero: anziché scontrarsi col nemico in maniera simile se non identica a quest’ultimo e avere come unica peculiarità la capacità di aprire forzieri o disattivare trappole, il ladro dovrebbe avere anche un suo approccio particolare agli scontri col nemico, giocando, appunto, più di astuzia che di forza o di agilità. Il problema è che in Risen 2 i dirty tricks hanno un ruolo puramente accessorio e non sono in grado di garantire alcuna seria marcia in più a chi decide di ‘investire’ molto nel loro sviluppo. Il gioco è stato chiaramente pensato anzitutto per le armi in corpo a corpo, e secondariamente per le armi da fuoco: tutto il resto, per quanto possa contribuire a rendere il tutto più vario e interessante, ha una funzione di contorno.
7. Il combattimento a distanza
Come abbiamo già detto all’inizio, Risen 2 non prevede più le armi a distanza tradizionali quali archi o balestre, bensì, in accordo con la virata introdotta nell’ambientazione, più moderne armi da fuoco quali fucili, moschetti e pistole. Queste ultime rientrano in realtà tra i dirty tricks, quindi hanno un ruolo abbastanza marginale negli scontri col nemico: le armi da fuoco di grosse dimensioni, invece, sanno essere estremamente potenti e rappresentano forse gli oggetti più devastanti che il nostro eroe può imparare a maneggiare.
Fucili e moschetti sono costosi e richiedono proiettili, quindi in ogni caso nelle prime fasi della partita dovremo per forza ricorrere alle armi in corpo a corpo (la vera sfida per un futuro cecchino sarà quindi gestire i momenti iniziali di gioco senza investire nessun punto abilità nelle spade). Quando riusciremo a mettere le mani su un’arma da fuoco più grossa di una semplice pistola, non dovremo far altro che equipaggiarla e ‘sguainarla’ come si farebbe con una spada. A quel punto, il tasto destro ci permetterà di mirare e attiverà anche un utile zoom per facilitare la cosa: il vantaggio principale delle armi a distanza è proprio la possibilità di colpire il nemico prima che egli sia anche solo consapevole della nostra esistenza. Il clic sinistro farà partire il colpo, che potrà anche andare a vuoto se la nostra abilità nelle armi da fuoco è bassa. Sia che vada a segno sia che manchi il bersaglio, il nostro colpo metterà il nemico immediatamente all’erta: è qui che entra in gioco l’importanza del tempo di ricarica dell’arma. Pur essendo possibile, è assai complicato mirare contro un nemico che nel frattempo ci sta attaccando in corpo a corpo: un buon cecchino deve abbattere la sua vittima prima che questa sia in grado di avvicinarsi troppo.
Il tempo di ricarica, che peraltro non è impreziosito da alcuna animazione (e la cosa è strana, tenendo conto della cura che solitamente Piranha mette in questi aspetti), impedirà tutto questo inizialmente, e in generale la cosa sarà difficile anche più avanti, nel caso dei nemici più coriacei. Però da un certo livello di abilità in poi, i nostri fucili e i nostri moschetti saranno in grado di abbattere il novanta per cento dei nemici prima che questi ci raggiungano, soprattutto se avremo l’accortezza di sfruttare a nostro vantaggio il paesaggio circostante. Complessivamente, e nonostante tutte le imperfezioni presenti (che a tratti fanno pensare anche che il comparto non sia stato sviluppato come inizialmente previsto), le armi da fuoco in Risen 2 sono ben realizzate e rappresentano una buona alternativa alle spade, soprattutto per chi ama uno stile di combattimento più lento e ragionato.
8. Vudù
Come abbiamo già detto, la tradizionale magia elementale è scomparsa dal mondo di Risen; al suo posto, vi è una nuova forma di arte arcana chiamata voodoo e collegata, a livello di ambientazione, alle tribù di nativi che popolano alcune delle isole e delle zone costiere toccate dall’avventura. Dato che entreremo in contatto con queste tribù solo in una fase piuttosto avanzata della partita, e che per giunta il vudù è potenziabile al massimo solo per chi si allea con queste tribù, è possibile che a quel punto lo sviluppo del nostro eroe sia già per così dire ‘impostato’ e che quindi il vudù venga messo da parte a favore di altri comparti. A essere sinceri, trascurare il vudù non porta molti danni, anzi con ogni probabilità si tratta di un’ottima idea: questa sezione del gioco è potenzialmente molto originale, ma risulta chiaramente incompleta e molto meno potente di quel che ci si aspetterebbe da quanto affermato nell’ambientazione.
I tre talenti connessi al vudù aumentano rispettivamente l’efficacia delle maledizioni, la forza degli spiriti evocati e la potenza delle pozioni create. Ciascuno di questi tre ambiti, però, ha evidenti problemi. Le maledizioni richiedono un tempo molto lungo per essere lanciate, e lasciano il nostro eroe completamente vulnerabile: tenendo conto che la loro efficacia è paragonabile a quella dei dirty tricks, e che questi ultimi sono collegati alla ben più utile caratteristica astuzia, non c’è nessun motivo reale per adoperare le maledizioni. Gli spiriti da evocare sono talmente pochi e talmente deboli da rendere insensato ogni ‘investimento’ nel settore. Le pozioni, d’altro canto, si trovano in gran numero già pronte: le uniche degne di nota creabili da un alchimista sono quelle che aumentano permanentemente i talenti, ma la differenza tra l’assunzione della pianta ‘grezza’ e l’assunzione della pozione (+2 versus +1) rende abbastanza inutile anche questo comparto.
Tutto questo è un vero peccato perché sulla carta il voodoo è un’idea molto buona, soprattutto grazie al suo stretto legame con l’ambientazione e grazie anche alla dinamica con cui sono proposte determinate meccaniche (è prevista, per esempio, la possibilità di prendere il controllo di alcune creature nemiche attraverso la creazione di “bamboline vudù” tramite appositi ingredienti). Ma nel momento in cui queste meccaniche sono calate nella giocabilità di Risen 2, però, mostrano tutta la loro debolezza, dovuta essenzialmente al fatto che si tratta con ogni evidenza di un settore incompleto. Nelle numerose anteprime a cui ho avuto modo di partecipare, ho chiesto in ogni occasione che ci venisse mostrato qualcosa del vudù: la risposta era sempre negativa, e la motivazione addotta era che si voleva che questo comparto fosse una completa sorpresa per i giocatori. La risposta autentica, purtroppo, è che il vudù non è stato realizzato come avrebbe meritato. E non si tratta, ahinoi, dell’unica sezione di Risen 2 che lascia a desiderare.
9. Intelligenza artificiale
Il primo Gothic fece colpo anche e soprattutto per le prodezze dell’intelligenza artificiale che governava i personaggi non giocanti: non solo questi ultimi esibivano una routine giornaliera realistica e credibile (si alzavano, si lavavano il viso, andavano a lavorare, facevano pausa per mangiare, la sera si riunivano attorno al fuoco per chiacchierare e suonare…), ma erano anche in grado di reagire prontamente ai comportamenti del protagonista, per esempio quando quest’ultimo tentava di entrare di soppiatto in una casa altrui. Purtroppo ci tocca dire che anche questo comparto, in Risen 2, sembra in qualche modo incompleto: e sinceramente non sappiamo dire se si tratti di assenza di sufficiente tempo per lo sviluppo (com’è di certo il caso del vudù) o di una precisa scelta stilistica.
Cominciamo col dire che il mondo di gioco non presenta alcun grande insediamento umano: tutti i villaggi che punteggiano isole e zone costiere sono molto piccoli, composti al massimo da cinque o sei edifici, e già questo rende vana la speranza di veder vivere sullo schermo un mondo ‘piratesco’ complesso e stratificato. Esistono ancora case e stanze in cui è vietato entrare pena la reazione della guardia o del legittimo proprietario: ma in molti posti si può entrare e rubare impunemente, e anche quando non si può, di solito è molto facile gabbare chi è preposto alla sorveglianza semplicemente correndo verso la meta prima che vi sia sufficiente tempo di ‘risposta’. Anche nel caso in cui scatti un combattimento, basterà vincerlo e aspettare un po’: la vittima si dimenticherà completamente del fattaccio e ci tratterà di nuovo come l’amico che eravamo prima del medesimo. Gli oggetti sparsi a vista in giro per case e locande possono essere intascati senza problemi: guardie e proprietari si limiteranno a sgridarci a voce, senza alcuna conseguenza pratica.
Come se non bastasse, le routine dei personaggi non giocanti sono ridotte all’osso. Molti vanno semplicemente a dormire la sera, e per il resto del giorno se ne stanno immobili nella loro posizione (o continuano a spostarsi tra due punti: è il caso ad esempio dei portatori d’acqua); molti non fanno nemmeno questo, e stanno ventiquattr’ore su ventiquattro in piedi o seduti nello stesso punto.
Come dicevamo sopra, potrebbe essere una precisa scelta stilistica: in fondo Risen 2 è un gioco molto più complesso e articolato dei primi due Gothic, e gli sviluppatori forse hanno voluto semplicemente tentare di innovarsi, e per farlo hanno dovuto perdere un po’ di vista alcune delle caratteristiche che avevano i loro prodotti precedenti. Si può discutere se questa sia stata una buona idea o meno: dal mio punto di vista, l’intelligenza artificiale dei personaggi non giocanti è quasi una ‘firma’ dei Piranha Bytes, un elemento che in passato ha contribuito con decisione a caratterizzare le loro opere. Forse sarebbe stato meglio avere ambizioni minori in termini generali, e curare maggiormente particolari come questo.
10. Il capitano
Val la pena soffermarsi un po’ su quella che è forse la novità maggiore introdotta da Risen 2, cioè la struttura del mondo. Tutti i precedenti giochi di Piranha si svolgevano su un unico territorio, più o meno esteso: e il loro difetto maggiore era connesso proprio a questa caratteristica, dato che le prime sezioni di gioco, segnate dall’esplorazione minuziosa di quel territorio, risultavano sempre molto più interessanti delle sezioni successive, che non erano altro che sequenze di combattimenti dentro enormi dungeon o in territori già esplorati.
Risen 2 si svolge invece in un insieme di isole e di zone costiere. Inizialmente il giocatore è costretto dalla trama a spostarsi da un’isola all’altra sulla base di una sequenza precisa: più avanti però l’eroe diventa un capitano pirata, e a quel punto è libero di decidere di volta in volta la sua destinazione. Ogni zona, sia essa un’isola o una costa, è come un vecchio gioco Piranha in miniatura: ci sono aree civilizzate e aree selvagge, e spesso per accedere alle prime (o almeno alle stanze del comando) occorre soddisfare qualche requisito, che va dall’abbigliamento al completamento di qualche missione. Gran parte di queste ultime si svolgono nell’ambito di un unico territorio; alcune, però, richiedono l’accesso a isole diverse, e naturalmente l’ordine di visita sarà deciso dal giocatore stesso.
C’è da dire che la trama principale costringe comunque a visitare tutti i territori disponibili, e che in fondo questa nuova libertà si concretizza nella semplice possibilità di decidere l’ordine in cui giocare i vari ‘capitoli’ di cui la trama stessa è composta. Non mancano, però, casi in cui si deve tornare in qualche luogo già visitato in precedenza: ma si tratterà quasi sempre della necessità di contattare un determinato personaggio già incontrato, senza che questo si traduca in qualche tipo di cambiamento nel territorio medesimo. Rispetto all’avventura vissuta dal nostro eroe, il mondo di Risen 2 sembra in qualche modo ‘bloccato’, un po’ come succede nel giochi della serie The Elder Scrolls, che però hanno obiettivi e ambizioni non certo paragonabili a quello del lavoro di Piranha, e nei quali l’immobilismo dell’ambientazione risponde a chiari criteri di tipo interpretativo.
Va sottolineato che gli spostamenti tra un territorio e l’altro avvengono in maniera puramente astratta: pur essendo un gioco ad ambientazione ‘piratesca’, Risen 2 non offre alcuna possibilità di comandare barche o vascelli. Anzi, all’eroe di questa avventura non è nemmeno concessa la possibilità, invero piuttosto comune nei GdR non isometrici, di fare un tuffo in acqua e di raggiungere la sua meta a nuoto: appena si tenta di dirigere il protagonista verso le acque profonde, il gioco si bloccherà e il personaggio ricomparirà poco dopo di nuovo sulla spiaggia. Non solo la scelta di rendere impossibile il nuoto è biasimabile: lo è ancora di più l’ineleganza della soluzione messa a punto per concretizzare tale impossibilità.
11. Minigiochi e QTE
Una caratteristica senza dubbio positiva di Risen 2 è che i suoi minigiochi, componente ormai a quanto pare irrinunciabile nei GdR digitali, sono poco invasivi e ancor meno frustranti. Quello che ci capiterà di usare più di frequente è collegato allo scassinamento: si tratta semplicemente di trovare l’ordine giusto tra i dentelli dei meccanismi di apertura, per fortuna senza alcun rischio di rompere il grimaldello (le serrature più complesse sono del tutto inaccessibili a chi non ha l’abilità sufficientemente alta). La “gara di bevute” si concretizza nella necessità di afferrare tramite il mouse, in una visuale in prima persona, una serie di bottiglie allineate su un tavolo, con la visuale che diventa progressivamente più sfocata e ‘ballerina’. Le gare di mira si risolvono invece nella necessità di centrare col puntatore del mouse vari oggetti che passano velocemente attraverso lo schermo. Questi ultimi due minigiochi sono del tutto opzionali: in alcune missioni vengono tirati in ballo, ma esiste sempre anche una strada alternativa.
Molto interessante e originale è il sistema con cui vengono gestite le trappole, che sono nient’altro che ben piazzati quick time event (QTE). Mentre il nostro personaggio sta avanzando nella sua esplorazione, potrà improvvisamente capitarci di vederlo traballare su una superficie precaria o cadere colpito da una croce di legno: avremo solo pochi istanti per premere il pulsante giusto (di solito la barra spaziatrice) per liberarlo; se saremo distratti, lo vedremo soccombere e ci toccherà ricaricare. La realizzazione delle trappole è forse eccessivamente brusca e rozza, ma l’idea di fondo secondo noi non è male e andrebbe approfondita a dovere in futuro. Sottolineiamo che anche alcuni combattimenti molto importanti sono arricchiti da particolari QTE: non si tratta di alcunché di complicato, ma neanche di un elemento capace di dare profondità strategica a questi scontri. Se teniamo in conto che molti utenti sono profondamente disturbati dai QTE, e peraltro non del tutto a torto, ci si chiede se non fosse il caso di rimanere, anche nel caso dei combattimenti coi boss, alla struttura tradizionale.
12. DLC
La popolarità che Piranha Bytes ha presso i suoi fan ‘storici’ è talmente forte che gran parte dei difetti esibiti dai giochi realizzati da questa compagnia viene spesso imputata non alla compagnia medesima ma ad altri, per esempio il produttore. È quel che accadde nel caso di Gothic 3, la cui natura scandalosamente incompleta si deve in realtà non tanto alle pressioni del publisher Jowood, bensì alla smisurata ambizione che Piranha mostrò in quella occasione, senza rendersi minimamente conto delle sue forze e di dove queste sono in grado di condurre. Un peccato di cui questo gruppo di sviluppatori sembra macchiarsi spesso, come vedremo tra poche righe.
Qualcosa di simile sta succedendo anche a proposito della politica che Piranha ha deciso di seguire a proposito dei contenuti scaricabili per Risen 2. Per il momento ne esistono tre: uno, del tutto trascurabile, aggiunge alcuni oggetti all’inventario dell’eroe; gli altri due innestano nell’avventura principale due nuove piccole sotto-trame, con altrettante nuove piccole isole da esplorare. Queste due mini-espansioni, che durano ciascuna poche ore, costano ben 9,99 euro l’una: un prezzo decisamente sproporzionato se paragonato a quello del gioco base. Ma quelle sul costo non sono le uniche considerazioni che si possono fare. Pur biasimando il purismo fuori tempo massimo di tanti vecchi appassionati, per cui sviluppatori e produttori di videogiochi dovrebbero essere quasi istituzioni di beneficenza, ci sentiamo di dire che la politica delle piccole aggiunte poco significative, delle mini-espansioni concepite solo come un modo per guadagnare velocemente su un prodotto già fatto e finito, seguita ahinoi da tante compagnie, non dimostra un grande rispetto nei confronti del pubblico. Preferiremmo pagare un po’ di più il prodotto completo e averlo, appunto, davvero completo, piuttosto che dover versare altri oboli pena la sensazione di starci ‘perdendo qualcosa’, senza che questo qualcosa però sia una vera e propria espansione degna di questo nome.
Immaginiamo che non mancherà chi affermerà che queste sono solo e soltanto le leggi del mercato. Ma ci sono grandi compagnie che sembrano immuni da questa politica, o almeno che sono incappate nell’errore ma l’hanno riconosciuto come tale. Basti pensare a Bethesda: mesi dopo la sua uscita, Skyrim è ancora un gioco completo privo di DLC a pagamento; è stata annunciata una espansione corposa, Dawnguard, e sono state aggiunte tante funzionalità nuove (come il combattimento a cavallo) attraverso patch completamente gratuite. La strada peggiore non è necessariamente obbligatoria, e Piranha non può pensare di nascondersi eternamente dietro l’altro (sia esso il mercato o il publisher) per ovviare ai propri passi falsi.
13. Grafica e sonoro
La qualità grafica di Risen 2 è altalenante. Alcuni paesaggi disegnati dal motore di gioco (che è una versione riveduta e corretta di quello del primo Risen) sono davvero suggestivi e credibili: e anche il design di alcune creature mostruose è senza dubbio ispirato. Purtroppo i personaggi non giocanti e gli umani in generale lasciano molto a desiderare, sia in quanto ad aspetto sia in quanto ad animazioni. Ma anche le ambientazioni hanno tratti che lasciano stupefatti per la loro approssimazione: la prima versione del gioco, per esempio, mostrava alberi che crescevano o ‘calavano’ vistosamente in base al movimento dell’eroe, nonché un popup (l’apparizione improvvisa di oggetti nel campo visivo) davvero imbarazzante. Una delle ultime patch ha parzialmente migliorato la situazione, ma le aberrazioni restano presenti e parecchio fastidiose.
Pur non essendo più dovute al ‘guru’ Kay Rosenkranz, le musiche sono di ottimo livello e riescono a evocare molto bene le atmosfere vagamente sospese e la sensazione di pericolo che i titoli Piranha Bytes riescono così bene a realizzare sullo schermo. Gli effetti sonori sono appropriati, così come il doppiaggio inglese, che peraltro avrebbe goduto di qualche perfezionamento ulteriore.
14. Conclusioni
Nell’ultimo lavoro di Piranha Bytes, i difetti non mancano di certo. E in alcuni casi riguardano anche comparti non esattamente secondari, soprattutto se pensiamo alla storia che questi sviluppatori hanno alle spalle. Eppure la nostra valutazione è positiva, perché Risen 2 rimane nonostante tutto un titolo dannatamente divertente. È tale per via della qualità notevole della sua esplorazione, connessa al fatto che le ambientazioni create dai ragazzi di Piranha sono tra le più realistiche e ‘genuine’ in circolazione; ed è tale anche per l’ottimo sistema di crescita del personaggio, che rende estremamente appagante il suo progressivo potenziamento, anche considerando i notevoli sbilanciamenti presenti tra le sue varie componenti. Il grado di coinvolgimento che sanno offrire i giochi Piranha è forse difficilmente descrivibile a parole: pur nella loro innegabile rozzezza, si tratta sempre di prodotti dotati di anima, identità e caratterizzazione, fatti da giocatori per giocatori.
Certo, come abbiamo visto i problemi non mancano, e sono tutti in qualche modo collegati all’idea da cui siamo partiti: appena questi sviluppatori tentano di andare al di là della loro “formula magica”, c’è sempre qualcosa che non torna, che appare inconsistente, incompleto. Se è per mancanza di tempo nello sviluppo, c’è da augurarsi che questi autori sappiano calibrare meglio le proprie ambizioni, senza dimenticare che non è affatto necessario mettersi in competizione col resto del mondo. Se è per mancanza di capacità, pazienza; in tutta sincerità, ci basta e avanza quel che questi ragazzi sanno fare qui e ora. Per tutto il resto c’è, appunto, il resto del mondo.
Tre pregi di Risen 2
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Tre difetti di Risen 2
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Ottimo sistema di crescita del personaggio
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Combattimenti imperfetti
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Esplorazione molto appagante
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Abilità scarsamente bilanciate
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La costruzione del mondo lo rende interessante dall’inizio alla fine
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Alcuni comparti sono chiaramente incompleti
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A mio avviso, Risen 2 è l’ultimo titolo godibile dei Piranha Bytes. Non un gioco straordinario, ma comunque divertente, graficamente accettabile per l’anno in cui è uscito, e impreziosito dal contesto esotico delle isole tropicali e dall’atmosfera piratesca che si respira.
Belle alcune trovate, come i trucchi in combattimento e il pappagallo. Personaggi comprimari meno anonimi del primo episodio, e anche la qualità dei dialoghi mi è sembrata migliore.
Ho accolto bene l’implementazione, per quanto basilare, di abilità diplomatiche (clamorosamente assenti nel predecessore) e delle armi di fuoco, che se bene sviluppate nella crescita del personaggio, si rivelano un’ottima alternativa al solito, frustrante sistema di combattimento corpo a corpo tipico delle produzioni Piranha.
Perfino i QTE, che io normalmente detesto, risultano digeribili e perfino bene integrati senza essere troppo invasivi.
Insomma, tutto sommato un bel gioco, senza dubbio migliore del primo e del terzo capitolo della serie,e soprattutto di quel pasticcio brutto di Elex.
Voglio far finta che il team tedesco si sia fermato a questo titolo, e che i titoli successivi siano il parto di qualche allucinazione doposbronza (come per la serie di Star Wars : se me lo chiedete, non esiste nessuna terza trilogia, è solo un brutto sogno).
Quasi quasi ci rigioco, corpo di mille leviatani ubriachi!
Ehi Warren! Tutto sommato anche io ho ricordi positivi di questo gioco, ma devo ammettere che è anche perché a suo tempo GMC mi mandò ben due volte negli studi di Deep Silver a Berlino per parlare con produttori e sviluppatori. Tocca ammettere che molte delle promesse che fecero allora andarono poi a vuoto, ma come dici tu il gioco è comunque divertente e anche originale nell’ambito delle produzioni Piranha.
Caro Mosè, purtroppo è diventata una triste abitudine da parte di molti sviluppatori, specialmente quelli impegnati in progetti finanziati tramite crowfunding, disattendere molte delle promesse fatte in fase di raccolta fondi.
Devo dire tuttavia che preferisco quando certe aggiunte promesse vengono a mancare del tutto, piuttosto che inserite in forma incompleta o difettosa, magari andando poi a peggiorare la qualità del gioco (basti pensare agli orrendi combattimenti navali di Risen 3 o le noiosissime esplorazioni con il Mako in Mass Effect).
Comunque, lo sto rigiocando in questi giorni dopo 4 anni e devo dire che mi sta prendendo bene come la prima volta, complice anche la possibilità (tipica dei prodotti Piranha) di schierarsi su fronti diversi, opzione che mi sta dando la possibilità di affrontare quest e situazioni diverse rispetto alla mia prima esperienza.
Insomma, quasi meglio che affogare in un barile di rum di Ticaragua!
Risen 2 è un titolo su cui sono molto combattuto.
Se lo valuto come titolo in sé mi piace, anzi quando lo giocai mi esaltò molto, complice il fatto che ho sempre avuto una passione per i pirati (quelli veri, non il carrozzone Disney) e all’epoca in cui uscì Assassin’s Creed IV: Black Flag non c’era ancora. Guardandolo all’interno della saga, invece, mi trasmette la pessima impressione di un seguito appiccicato con lo sputo al predecessore. Troppo repentina e traumatica la virata di ambientazione e meccaniche rispetto al primo capitolo, dalla pseudomedievaleggiante Faranga si è passati a un mondo più vicino al Cinque-Seicento negli armamenti, nella moda, in generale nella cultura materiale. Va bene che è un mondo immaginario ma un minimo di verosimiglianza, di coerenza, di omogeneità dev’esserci.
Quindi concordo pienamente quando scrivi che sarebbe stato il caso di dar vita a un’altra serie di giochi, piuttosto che presentarlo forzatamente come seguito di Risen; o al massimo, se proprio si voleva mantenere il collegamento, sarebbe stato meglio amalgamare la nuova ambientazione con le caratteristiche più fantasy del gioco precedente, che so, mantenere in piedi il vecchio sistema di magia. E magari anche introdurre un nuovo protagonista, perché è poco credibile che l’eroe senza nome del primo gioco non sappia più usare le potenti magie apprese su Faranga (però ammetto che Risen 2 l’ho giocato anni fa, quindi lascio aperta la possibilità che a proposito di questo punto ci sia una spiegazione nel gioco che adesso non ricordo XD).
Il gioco in sé funziona molto bene, come del resto funzionano, qualcuno più e qualcuno meno, tutti i giochi della serie. Però l’inconsistenza delle ambientazioni e dei temi è davvero fastidiosa e non ci si può passare sopra in alcun modo.
Sulla recensione in se non ho granchè da dire, in linea di massima concordo. Si tratta di un gioco con diversi punti di forza importanti: ambientazione originale e ben realizzata, un mondo di gioco vivo e realistico, una grafica che anche al giorno d’oggi si difende (e certi tramonti tropicali ancora adesso ti lasciano a bocca aperta) e un ottimo sistema di crescita del PG.
Di contro l’amara realtà è che Risen 2 è oggettivamente un ”giochino”. L’area di gioco è davvero ridotta per gli standard moderni: non pretendo TW3 o Skyrim, ma anche sommando tutte le isole insieme non arriviamo nemmeno vicino a quella di un Morrowind, e questo ne abbassa tremendamente le potenzialità esplorative, perchè ogni isola la conosci a menadito nel giro massimo di un paio di ore. In aggiunta abbiamo pochi insediamenti (e minuscoli, oltretutto), pochi PNG, poche quest eccetera. La scarsità di quest si riflette pari pari in una generale scarsità di scelte: ne hai talmente poche che per forza di cose le devi fare tutte o quasi, non puoi permetterti di scartare nulla. La longevità risultante è in ogni caso pericolosamente scarsa: in 30 ore massimo sei ai titoli di coda.
Non entro nel merito dei difetti minori (ad esempio la realizzazione discutibile di molte abilità, come l’Alchimia), ma a mio avviso bastano e avanzano quelli principali per renderlo un gioco da sufficienza risicata e nulla più.