La morte come liberazione? Può quello che tutti temono trasformarsi, in casi particolari, nell’unica via di uscita possibile? E basterà la morte a sfuggire alle terribili responsabilità che ciascun essere umano si porta dentro al momento del trapasso? Non ci si crederà, ma stiamo parlando di un videogioco: uno dei migliori GdR mai pubblicati.
[articolo originariamente pubblicato il 29 novembre 2005]
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Nota del 2020
Anche se è ancora possibilissimo installare il gioco originale e ‘moddarlo’ per renderlo compatibile con le risoluzioni moderne, il miglior modo per godere di questo capolavoro è senza dubbio acquistare la Enhanced Edition realizzata da Beamdog e pubblicata nel 2017.
1. L’immaturità (non sempre) inevitabile
Il problema maggiore del mondo dell’intrattenimento videoludico è il pubblico a cui esso si rivolge. Alla base di questa fetta di mercato c’è infatti un colossale equivoco: che il videogioco sia una cosa da bambini, o comunque che solo un adulto che ha tempo da perdere possa dedicarvisi. L’equivoco può avere due radici. Da un lato c’è il problema semantico: se qualcosa è gioco, non può essere una cosa seria. Dall’altro c’è il problema per così dire ‘agonistico’: fra i non-videogiocatori c’è una idea un po’ distorta del videogioco, tramite la quale si tende a ridurre la molteplicità dei generi alle categorie più superficiali e dominate dalla componente d’azione. In altri termini, per molti non-videogiocatori, videogiocare significa sparare più velocemente del nemico o superare tutti in una corsa automobilistica. Stenta a prender piede l’idea che, come in qualsiasi altro settore, anche nel campo dell’intrattenimento videoludico ai prodotti più semplici si affiancano prodotti profondi, meditativi, impegnativi, la cui fruizione è paragonabile alla fruizione di un testo filosofico.
Ovviamente si tratta di prodotti di nicchia, non diversamente da come i libri di filosofia sono di nicchia rispetto ai romanzi best-seller di un Grisham o di un Crichton (eppure leggere un Grisham o un Crichton viene considerato positivo mentre giocare a un videogioco ‘di massa’ viene considerato negativo, anche se l’impiego di materia grigia nei due casi è più o meno lo stesso, anzi forse è maggiore nel videogioco). Comunque, nel lontano 1999 fu proprio uno di questi giochi di nicchia a sconvolgere i videogiocatori di ruolo di tutto il mondo, complice anche il fatto che il titolo in questione sfruttava il conosciutissimo sistema di regole di Advanced Dungeons & Dragons. Si tratta del mai troppo elogiato Planescape: Torment, partorito dalle menti della Black Isle, defunta casa di sviluppo appartenente a Interplay, menti capitanate da Chris Avellone, ora in forze presso Obsidian. Torment è arrivato nei nostri dischi fissi con la stessa sconvolgente e disarmante forza dell’arrivo della pubertà su una mente infantile: mettiamo da parte per un po’ la caccia al cattivo di turno, è il momento di immergerci nel mondo più assurdo e contemporaneamente più ‘vero’ mai messo a disposizione di un RPG. È il momento di passare attraverso le macchine informatiche per arrivare, finalmente, alla realtà.
2. Vita/Morte
C’è chi prende la vita come un gioco. Chi la prende come una missione da compiere. Chi semplicemente si trascina attraverso i giorni e i mesi senza costruirsi una piena consapevolezza. E chi la prende come una condanna ai lavori forzati. Ad accomunare tutte queste visioni c’è, però, un elemento: la morte. Tutti muoiono, indipendentemente dalla concezione della vita che ognuno si costruisce. C’è chi tenta di superare questa inevitabile necessità: magari con teorie religiose o filosofiche. C’è chi cerca di anticiparla. C’è anche chi vive come se non esistesse. E se la certezza della morte non esistesse *davvero*? In Planescape: Torment, il protagonista che il giocatore è chiamato a impersonare è appunto immortale. Da secoli la sua esistenza continua a proseguire, però in maniera ridicola e surreale: ogni volta che muore, questo individuo si risveglia poco dopo e, se la morte è stata particolarmente violenta, c’è il rischio che tutta la memoria accumulata vada perduta. È ciò che è capitato poco prima dell’inizio della storia: il protagonista non ricorda nulla, neanche il suo nome, infatti viene semplicemente indicato come Nameless One, il senza-nome. In più, l’immortalità non si riflette nel corpo di questo personaggio, che appare piuttosto deperito, pieno di cicatrici tanto da farlo somigliare ad un patetico cadavere ambulante che non riesce a trovare l’estremo riposo nel sonno eterno. Ma per quale ragione è ridotto così? Per quale motivo tutti i suoi simili fanno una vita normale, mentre lui è condannato a questo ciclo perenne di morte e rinascita, che a tutto somiglia fuorché a una benedizione?
“You shall meet enemies three, but none more dangerous than yourself in your full glory.”Deionarra |
3. Il Multiverso, i Piani, Sigil
La prima cosa da fare dopo aver visto il filmato iniziale, nel quale osserviamo il nostro alter ego mentre viene trascinato dentro una camera mortuaria, immerso in inquietanti e (per ora) incomprensibili sogni, è la creazione del personaggio. Questa schermata ci consente in realtà solamente di variare qualche caratteristica, visto che non ci è consentito creare un personaggio diverso dal Nameless One. A questo punto saremo pronti a partire con la nostra avventura, che inizierà appunto dal Mortuary, un grande edificio della città di Sigil gestito da una fazione, i Dustmen, di seguaci di un culto distorto della morte, la cui occupazione consiste nell’accumulare cadaveri per poi, talvolta, rianimarli. Appena iniziato il gioco faremo la conoscenza del primo NPC che si aggregherà al nostro party (gruppo di avventurieri): si tratta di un teschio volante di nome Morte. Questa bizzarra creatura ci darà un primo prezioso consiglio per venire fuori da questa assurda situazione: ci sono dei tatuaggi sulla nostra schiena che ci suggeriscono di cercare un diario che avevamo in passato e di cercare una persona di nome Pharod. Meglio evitare di rivelare altre cose della trama, almeno a questo punto. Spostiamo la nostra attenzione su quello che già tutti avranno notato: la tonalità cupa e deprimente dell’ambientazione.
Già in questo Torment spiazza: chi si immaginava la tipica ambientazione fantasy ‘rilassante’, con elfi, draghi e cavalieri rimarrà a bocca asciutta. In Torment l’attenzione è sempre puntata su temi assolutamente scottanti: la morte soprattutto, ma anche la morale, la coerenza, la giustizia, il senso della vita, l’amore: e questa declinazione tematica trova un riflesso nei colori e nella caratterizzazioni del mondo che fa da sfondo all’avventura. Talvolta la concentrazione di elementi ‘seri’ è talmente forte da sembrare perfino esagerata, soprattutto in confronto allo spessore che di solito hanno i giochi per computer; all’inizio della partita solamente Morte regala qualche sorriso, quando tenta, ad esempio, di fare avances alle orribili zombi femmine che popolano il Mortuary. Scopriremo ben presto che il nostro alter ego si trova a Sigil, uno dei luoghi più strani delle tante ambientazioni di D&D, il gioco di ruolo da tavolo sulle cui regole è costruito Torment. Sigil è una città che è una sorta di ‘cerniera’ fra i ‘piani’ di esistenza. Non è un concetto semplice, da spiegare in poche parole (la Guida ai Piani di D&D è un librone di centinaia di pagine), ma proviamo a metterla così: gli umani e tutte le creature che di solito popolano le ambientazioni tradizionali (come i Forgotten Realms di Baldur’s Gate, tanto per capirci) vivono nel “Primo Piano Materiale”, ma esistono moltissimi altri piani: i piani elementali, i piani infernali, i piani dell’energia positiva o negativa, eccetera.
Negli altri piani non è detto che funzionino le stesse leggi che governano il primo piano materiale; e non sto parlando solamente di leggi fisiche ma anche di leggi ‘spirituali’: ci sono dei piani in cui, per esempio, basta pensare una cosa e questa diventa realtà. Sigil è appunto un crocevia di tutti i piani; fra i suoi quartieri possiamo trovare nei posti più impensati dei portali che, se attivati, ci possono trasportare all’istante su un piano diverso da quello in cui ci troviamo. È un posto strano per sua natura, in cui possiamo trovare pericolosissimi demoni, come umili e spaventati “primevi” (così vengono volgarmente chiamati gli abitanti del primo piano materiale), capitati da quelle parti per chissà quali oscuri motivi. Torment ci immerge dentro un’ambientazione che non lascia spazio alla tradizione, alle abitudini, al deja-vu: da un lato sono garantite sorprese ad ogni angolo, dall’altro non mancherà chi si sentirà a disagio e troverà tutto troppo assurdo per essere appassionante.
4. Una ricerca interiore
Una caratteristica tipica (e tipicamente ripetitiva) dei giochi di ruolo è che i personaggi giocanti sono di solito personaggi eroici: forti a dismisura o dotati di un’intelligenza sovrumana, in ogni caso sono sempre attesi come i salvatori del mondo, in qualsiasi posto si rechino. Anche in questo caso Torment si distacca dalla massa: in partenza, il Nameless One è un personaggio debole e insignificante nel mondo del gioco, nessuno aspetta il suo intervento e nessuno ne magnifica le doti; il suo compito non è quello di salvare qualcuno o qualcosa, ma di ricostruire il percorso intricatissimo compiuto dalle sue varie identità nel corso delle sue molte esistenze. Ecco allora che alla ricerca del tesoro o del drago cattivo si sostituisce la ricerca della natura intima dell’essenza di un individuo, ricostruita pian piano e non senza momenti intensamente drammatici, accumulando mattone su mattone i pezzi di una verità talvolta terribilmente difficile da verbalizzare e da accettare. “What can change the nature of a man?”, ossia “Cosa può cambiare la natura di un uomo?”, è la domanda attorno a cui ruota gran parte della scioccante iniziazione filosofica a cui il Nameless One deve, suo malgrado, prendere parte; trovare la risposta significherà finalmente dare riposo allo spirito del nostro povero alter ego, forse il personaggio più interamente miserabile dell’intera storia dei videogiochi.
Questi tratti narrativi trovano la loro esplicazione più coerente nella scelta di un linguaggio ultimamente sempre più trascurato dal videogioco: il linguaggio testuale. Torment è paragonabile ad un grande libro interattivo. La quantità di testo presente, la lunghezza e la profondità dei dialoghi, le possibilità interpretative offerte sono mirabili. Ma non è solo questione di dialogo; a differenza degli altri titoli basati sul motore Infinity, Torment utilizza il testo anche per descrivere quello che vediamo, le sensazioni del nostro personaggio, l’atteggiamento di chi ci parla o semplicemente il colore della luce che fa da sfondo ad un momento della nostra avventura. Qualcuno ha affermato che questo è un espediente per ovviare ai limiti grafici del motore di gioco, incapace di raffigurare gesti particolareggiati; può essere vero, ma non è questo che conta. Ciò che conta è che tramite il magico potere della parola si apre davanti a noi un mondo particolareggiato e credibile come non mai. Per quanto evoluto, nessun sistema grafico riuscirà mai a comunicarci quello che un brano di grande prosa può racchiudere. In questo senso, Torment è anche una sorta di esercizio mentale, di invito alla lettura. L’unica controindicazione è che risulta difficile fare lunghissime sessioni di gioco, a causa dell’affaticamento degli occhi nel leggere tanto testo su schermo. Questo è un altro indizio del fatto che Torment non è certo indicato come ‘scacciapensieri’ dopo una giornata di lavoro.
“Endure. In enduring, grow strong.”Dak’kon |
5. Muoversi nei piani
L’interfaccia di gioco di Torment è leggermente diversa da quella tradizionale degli altri giochi basati sul motore Infinity, come Baldur’s Gate o Icewind Dale. Col tasto sinistro selezioniamo e muoviamo i personaggi (qui però si può anche correre, basta tenere premuto il tasto shift); la barra nella parte inferiore dello schermo mostra i ritratti dei membri del nostro party e la quantità dei punti ferita; in più, vari pulsanti portano alle altre schermate, come quella dell’inventario, del registro, del diario o della minimappa. Il tasto destro del mouse ha una funzione nuova: apre una sorta di quick-menu circolare che consente di aprire altre schermate, di scegliere un’azione diversa da quella predefinita e di selezionare un’arma o un incantesimo da utilizzare.
Anche in Torment è prevista la pausa attiva, ossia la possibilità di mettere in pausa il gioco, dare gli ordini ai personaggi e vederli eseguiti una volta tolta la pausa; sono previste anche varie opzioni di pausa automatica, che consentono di trasformare i combattimenti in tempo reale in combattimenti a turni. Un plauso particolare merita la sezione del diario, molto migliorata rispetto a Baldur’s Gate: le missioni eseguite e quelle da eseguire sono chiaramente divise e c’è una sezione che analizza in dettaglio tutte le creature incontrate dal nostro gruppo. La grafica e il sonoro non sono certo all’avanguardia, ma svolgono la loro funzione in maniera assolutamente egregia: commoventi risultano le musiche in alcuni tratti e magistrale l’uso dei colori in certe ambientazioni. Chi non ha mai letto il primo dialogo fra il Nameless One e Deionarra e ascoltato il suo accompagnamento musicale, non sa che tipo di emozione è in grado di veicolare un mezzo come il videogioco. Torment è la vendetta più efficace contro la superficialità della critica qualunquista.
6. Un giullare dei tempi moderni
A proposito del party, anche in questo ambito le novità sono parecchie. Anzitutto i personaggi arruolabili sono pochi, ma caratterizzati in maniera egregia, sia dal punto di vista grafico sia da quello morale; talvolta sono ardui da localizzare o da convincere, per cui è probabile che la fine dell’avventura giunga quando non siamo ancora riusciti a raccogliere il numero massimo di compagni (sei, compreso il protagonista). In secondo luogo, ora i membri del party hanno una individualità ben precisa: possiamo parlare con loro (e ci diranno cose diverse a seconda del momento in cui ci troviamo), farci aspettare in un posto, chieder loro se possono insegnarci qualcosa; ma la cosa più notevole è che (udite udite) possono mentirci. Proprio così: lungi dall’essere semplici pedine nelle nostre mani, i nostri compagni stanno magari da giorni tramando alle nostre spalle. Questa caratteristica ci dà la possibilità di parlare di un altro aspetto importante del gioco.
Quanto detto finora potrebbe far pensare ad una storia dai risvolti filosofici freddi e perfino accademici: ma si tratterebbe di un pensiero completamente sbagliato; in Torment saremo perennemente tesi e concentrati, perché ci accorgeremo presto che non tutto è come sembra e che non possiamo fidarci praticamente di nessuno. È finita l’epoca del vecchio saggio che ci dà la missione e poi ci ricompensa generosamente; così come è finita l’epoca di quello che sembra un vecchio saggio e poi si rivela un crudele profittatore: magari le cose fossero così semplici nella realtà. Dimentichiamoci del bene e del male, del bianco e del nero, delle semplici direttive etiche tagliate con la motosega: in Torment ben presto non riusciremo più a distinguere il bene dal male, saremo realmente indecisi e disarmati come solo la vita riesce a disarmarci, ci troveremo a fare scelte terribili con grande naturalezza, ci lasceremo alle spalle anni di moralismi forieri di danni incalcolabili. La componente contenutistica più importante del gioco è forse proprio il carattere distruttivo e vagamente nietzschiano di molti momenti dell’avventura: il protagonista è spesso costretto dagli eventi ad attraversare sensazioni e vicende attentamente sceneggiate con l’apposito scopo di confondere le carte in tavola, mettendo a durissima prova la bussola esistenziale del Nameless One e del giocatore che ne muove i passi.
Nordom: “Attention, Morte: I have a question. Do you have a destiny? A purpose?”Morte: “Is Annah still wearing clothes?”Nordom: “Affirmatory.”Morte: “Then the answer is yes.” |
Verrebbe da chiedersi come mai questo gioco non ha fatto scandalo: come mai spesso i giornalisti si accaniscono contro Grand Theft Auto o World of Warcraft e nessuno ha mai mosso una critica a Torment? La questione, a mio avviso, è formale: in apparenza, Torment è un gioco innocuo; in fin dei conti, si tratta di una avventura fantasy ambientata in un mondo che non potrebbe essere più diverso, superficialmente, da quello in cui trascorriamo la nostra vita di tutti i giorni. GTA è estremamente realistico dal punto di vista dell’ambientazione, mentre WoW, come molti MMORPG, ha la ‘colpa’ di creare una sorta di dipendenza a chi lo utilizza: tutte cose immediatamente percepibili da chiunque, anche senza la necessità di immergersi in questi giochi per davvero. Tutto questo mi riporta alla mente una delle grandi lezioni che ci insegna il teatro ideato dal nostro Nobel per la letteratura Dario Fo: nel Medioevo, le forme oppressive di potere non si sono mai accorte, o si sono accorte raramente, che i fomentatori maggiori dei malumori popolari giravano liberi come l’aria. Si tratta dei giullari: questi personaggi avevano la strana caratteristica di parlare per allusioni e per ammiccamenti, spesso utilizzando il linguaggio dei poveri contadini e non il forbito eloquio dei potenti e riuscendo così a passare inosservati alle maglie della censura.
Oggi la maggior parte delle persone è convinta di vivere in un mondo libero e privo di censure, ma mai come in questo caso l’apparenza inganna: quando ci si sofferma sulle strane abitudini che assorbiamo e metabolizziamo senza farci caso, ci si può rendere conto che viviamo circondati da assurdi tabù. Chi li rompe in maniera rumorosa e maldestra (come, appunto, GTA) scatena le ire dei benpensanti ma, forse, è proprio quello che cercava per porsi in evidenza, senza comprendere che, comunque, esibendo la sua sfrontatezza non farà che partecipare al mantenimento dello status quo, recitando la parte (necessaria) del disturbatore. Chi invece agisce in maniera sottile, instillando dubbi dapprima piccolissimi e muovendosi come un serpente silenzioso dentro il ‘branco’, distruggendone in maniera impercettibile le fondamenta, è il vero preparatore del cambiamento. Sarebbe troppo generoso nei confronti dei benpensanti ritenerli capaci di smascherare un giullare: le cose non sono poi così cambiate dall’epoca medievale. In Torment non ci sono verità urlate, semplicemente perché non ci sono verità. C’è un percorso che, pian piano, porta a mettere in discussione una piccola parte di noi e che ci fa guardare la realtà con occhi diversi, più maturi. Più che di fronte ad un gioco siamo di fronte ad un’esperienza di vita, da consigliare senza riserve a tutti quelli che non sono intimoriti dall’impegno richiesto o dalla necessaria malinconia.
Tre pregi di Planescape: Torment | Tre difetti di Planescape: Torment |
Adulto e maturo | Tecnicamente, è un gioco primitivo |
Eversivo | Fa rimpicciolire quasi tutti gli altri GdR |
Necessario | A un certo punto finisce |