Lo studio russo/cipriota Owlcat Games ci porta un gioco ambiziosissimo, che però soddisfa solo in minima parte le aspettative che suscita.
I nostri contenuti dedicati a Pathfinder: Kingmaker su YouTube:
Esempio di gioco
Analisi critica
La nostra collezione
Le registrazioni dei nostri gameplay live
1. L’era del Kickstarter
Si può dire senza timor di star esagerando che il processo produttivo alla base di Pillars of Eternity è stato un punto di svolta nella storia del gioco di ruolo per computer contemporaneo. Va dato merito a Obsidian di aver scoperto e utilizzato una piattaforma, e di concerto un metodo, all’epoca, ovvero nel 2012, quasi completamente sconosciuti: se usato con intelligenza, il crowdfunding è, a tutti gli effetti, una versione infinitamente più ‘potente’ di quelli che una volta erano i semplici preordini, dato che consente al pubblico di contarsi, riconoscersi come una comunità e sentirsi parte del processo che porta alla realizzazione dell’opera. Quel passo fu, va riconosciuto, anche un po’ una sfida: i giochi di ruolo isometrici mancavano dal mercato da molti anni, tanto che i modelli citati dagli autori risalivano a più di dieci anni addietro. Ma quando qualcosa manca dal mercato, in genere è perché il mercato, ovvero il pubblico, non c’è; o è talmente esiguo da non giustificare l’investimento. Invece in quell’occasione risultò evidente a tutti che il pubblico c’era ed era così affamato di nuovi prodotti di quel tipo da essere disposto a investimenti anche importanti. L’effetto cascata fu inevitabile: i progetti Kickstarter videoludici si moltiplicarono, fino a disperdere i finanziamenti in rivoli così numerosi da provocare la sensazione di una bolla gonfiatasi a dismisura e infine esplosa. Oggi, raggiungere di nuovo cifre superiori al milione di dollari tramite crowdfunding è molto più difficile che in passato: ma l’esistenza orgogliosa di un pubblico che vuole giochi di ruolo isometrici sullo stile dei capolavori del passato è una realtà con cui ci si misura al di là del proprio percorso produttivo.
Il gioco di cui ci apprestiamo a parlare risale a un momento, il 2017, in cui Kickstarter era ancora forte e fecondo. Proprio su quella piattaforma nacque l’ambiziosissimo progetto di un gioco di ruolo digitale basato sul regolamento e sulla ambientazione di Pathfinder, mondo fantasy basato sulla terza edizione di Dungeons & Dragons che vede la luce in forma cartacea nel 2009. Se ne fa carico uno studio di sviluppo russo, originariamente di modeste dimensioni, chiamato Owlcat Games. La campagna Kickstarter ebbe un successo grandioso: il gioco solleticava i gusti del suo pubblico potenziale toccando molti tasti importanti. Doveva essere un’opera sullo stile della serie Baldur’s Gate di Bioware (già evocata in precedenza da Pillars of Eternity, che però aveva centrato l’obiettivo solo in parte), si poneva molta importanza sulle scelte e sulle conseguenze, e si introduceva una componente gestionale importante, che avrebbe dovuto fondersi senza soluzione di continuità con la parte più propriamente interpretativa. Pubblicato nel 2018, il gioco ha avuto un’accoglienza multiforme: una parte della fanbase si è mostrata subito entusiasta, tanto che il gioco è entrato in diverse classifiche anche importanti, ma la critica non ha mancato di sottolineare diversi problemi, sia tecnici sia di progettazione e di contenuto. Negli anni successivi, Pathfinder: Kingmaker è stato arricchito da aggiornamenti ed espansioni più o meno rilevanti, di cui meglio parleremo in seguito; nel 2019 è stata realizzata una nuova campagna Kickstarter per un seguito, Wrath of the Righteous, pubblicato nel 2021. Sempre nel 2019 Owlcat decide di staccarsi dal suo studio madre MY.GAMES e di lasciare la Russia stabilendosi a Cipro: questo ha provocato la perdita dei diritti su Kingmaker, che da quel momento non viene più aggiornato.
2. Premesse narrative
Nella grande città di Restov, nella parte meridionale della nazione di nome Brevoy, avventurieri da tutte le terre di Golarion sono sopraggiunti e si accalcano nella magione della ricca famiglia Aldori. Il membro più illustre di questa famiglia, l’aiuvarin (mezzelfa) Jamandi Aldori, è una famosa swordlord, esperta di tecniche di combattimento con la spada: la sua genia è a tutti gli effetti a capo di una gilda, che rappresenta la scuola di arti marziali forse più famosa di tutta Golarion e che esercita una notevole influenza politica a Restov e in generale in tutto il Brevoy. Il motivo della convocazione è la precaria situazione che si sta verificando nelle Stolen Land, il territorio che si estende a sudest del Brevoy: precipitata nell’anarchia in seguito a complesse vicende politiche, la zona è finita sotto il potere di un fuorilegge che si fa chiamare lo Stag Lord. Le Stolen Land sono una polveriera che rischia di scoppiare, travolgendo anche l’economia degli stati confinanti: ecco perché gli swordlord Aldori vogliono finanziare una spedizione di avventurieri combattenti che liberino quelle terre dallo Stag Lord, costruendo al suo posto una nazione indipendente ma alleata del Brevoy. Il nostro alter ego è tra gli avventurieri più promettenti, e viene messo quindi a capo di una compagnia: il suo scopo sarà non solo liberare le Stolen Land, ma anche avere ragione della compagnia rivale, guidata da un losco figuro di nome Tartuccio. Ma una volta risolti questi problemi, la storia sarà solo all’inizio: il nostro alter ego diventerà a quel punto il sovrano delle Stolen Land e dovrà vedersela con ben altre sfide.
3. La gestione del personaggio
Pathfinder: Kingmaker si basa sul regolamento dell’omonimo gioco da tavolo, nella sua prima versione: regolamento che deriva a sua volta dalla terza edizione di Dungeons & Dragons. Il processo di creazione del protagonista è lungo e dettagliato: ma il gioco offre anche la possibilità di scegliere tra diversi archetipi già finalizzati così da cominciare subito l’avventura. È anche possibile scegliere se gestire personalmente ogni aspetto della crescita di livello o se utilizzare, per il protagonista o anche solo per i compagni di viaggio, un sistema di crescita automatico.
La prima scelta da effettuare è relativa alla razza: l’ambientazione di Pathfinder è, da questo punto di vista, molto simile a quelle classiche dei giochi basati su Dungeons & Dragons, come i celebri Forgotten Realms. Avremo quindi a disposizione la scelta tra umano, elfo, mezzelfo, nano, gnomo, halfling, mezzorco, aasimar e tiefling, ciascuno con bonus o malus particolari.
Si passa poi alla scelta della classe, che determinerà lo stile di gioco del personaggio: in questo comparto le novità sono più sostanziose. Oltre alle classi più comuni, quali guerriero, barbaro, paladino, ladro, bardo, ranger, chierico, druido, monaco e mago, ci sono anche classi più singolari: l’alchimista è un sapiente arcano specializzato in pozioni e bombe; l’inquisitore è un sapiente divino, come druidi e chierici, ma specializzato in maledizioni; il cineticista (posto che sia questa la traduzione corretta) è un guerriero che combatte a distanza manipolando l’energia elementale; il magus è un combattente a metà strada tra un monaco e un mago; lo slayer è una classe marziale a metà tra un ranger e un ladro. Come in D&D dalla terza edizione in poi, il multiclasse è consentito quasi senza alcuna restrizione: a ogni passaggio di livello possiamo cambiare classe, combinando le abilità di più specializzazioni differenti; ma si tratta di una scelta appannaggio degli esperti del sistema. Ci sono anche, come già visto per esempio in Neverwinter Nights, le cosiddette classi di prestigio: ovvero classi che si sbloccano solo a partita avanzata, avendo particolari requisiti da sbloccare.
Una delle scelte più importanti che faremo in fase di creazione del personaggio sarà quella relativa agli attributi: anche in questo caso chi conosce D&D si sentirà a casa, dato che si tratta dei classici Forza, Destrezza, Costituzione, Intelligenza, Saggezza, Carisma. Non si lanciano dadi virtuali ma si distribuisce una quantità prestabilita di punti: acquistare gradini di crescita diventa però sempre più costoso man mano che il valore dell’attributo aumenta. Il gioco segnala con appositi accorgimenti gli attributi raccomandati sulla base della classe scelta.
Nella stessa schermata in cui si ottimizzano gli attributi si devono anche distribuire punti tra le 11 diverse abilità che i personaggi possono padroneggiare: athletics e mobility influenzano le prestazioni fisiche del personaggio; trickery e stealth sono importanti per i ladri; le quattro abilità di knowledge e lore determinano le conoscenze del personaggio; la perception è fondamentale per tutti per motivi che spiegheremo più avanti; la persuasion è utilizzata nei dialoghi e infine l’abilità use magic device permette di manipolare oggetti anche non consentiti dalla propria classe.
Il passo successivo è la scelta dei feat, ovvero tratti in grado di cambiare anche profondamente le prestazioni e la giocabilità del personaggio: ogni feat ha prerequisiti di vario tipo, e tra i più importanti vi sono quelli che permettono di utilizzare con profitto armi o armature di un determinato tipo. A seconda della classe scelta, potremmo dover scegliere anche altro, per esempio gli incantesimi di partenza nel caso delle classi arcane o divine.
Come si sarà già intuito da questa pur sintetica spiegazione, il sistema di gestione del personaggio in Pathfinder: Kingmaker è molto complesso e sfaccettato. Gli sviluppatori da questo punto di vista non hanno voluto rinunciare a nulla rispetto alla controparte cartacea: e se questo per certi versi può essere un punto di merito, nel contesto dell’opera digitale non sempre la bontà dell’intento si traduce in un risultato finale apprezzabile. L’interfaccia grafica tenta di rendere comprensibile il quadro d’insieme e l’interazione tra le parti per il tramite di grafici tanto belli da vedere quanto complessi da decifrare, soprattutto a causa della discutibile scelta di rappresentare abilità e talenti tramite icone ora grafiche ora semplicemente testuali. La saturazione cromatica può catturare l’occhio e rendere meno aride le tabelle e le sequenze di numeri con somme e sottrazioni: ma ben poco può fare per aiutare davvero l’intelligibilità del tutto. Chi non sarà già esperto si sentirà irrimediabilmente spaesato: e probabilmente si troverà a chiedersi per quale motivo debba essere esposto a tutti questi meccanismi di gioco quando il bello dello star utilizzando un calcolatore elettronico dovrebbe essere proprio quello di far lavorare quest’ultimo dietro le quinte, mettendo sul davanti solo il risultato finale del processo. A questa domanda si potrebbe ribattere: se non vuoi occuparti di tutte queste opzioni, scegli un personaggio preconfezionato. Ma non è così semplice: questo gioco ti sbatte la sua complessità in faccia in ogni momento, indipendentemente dalle opzioni scelte. Selezionando la crescita di livello automatica, per esempio, ci troveremo comunque davanti a schermate che ci riassumeranno i risultati del nostro passaggio. A quel punto ci chiederemo: e quindi? Cosa implicano, nel concreto, questi cambiamenti? Nel capirli poco o nulla ci sentiremo in colpa nel non aver studiato e nel non averli scelti noi stessi. Le vere opzioni in campo sono le seguenti: studiare fino a diventare esperti del sistema, oppure scegliere tutto comunque facendo mille errori e mosse casuali, oppure ancora far scegliere il sistema restando sempre con il dubbio su quel che sta davvero succedendo ai nostri eroi. Si converrà che l’unica opzione non criticabile è la prima: il che ci porta a concludere che questo è, per come è stata pensata la sua struttura, un gioco per esperti. Le varianti che automatizzano le procedure non aiutano in nessun modo a dissipare lo smarrimento del neofita: anzi, per certi versi lo rendono ancora più intenso.
Excursus: i compagni di viaggio | |
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Linzi è una barda halfling che accompagna il protagonista fin dall’inizio della partita: questo personaggio ha un ruolo molto importante nella trama principale, sia perché funge da narratore della medesima sia per altri motivi che non sveliamo per evitare eccessivi spoiler. Linzi è la tipica halfling svampita e naif: ma in certi momenti emerge il suo lato più furbo e smaliziato, tanto da farci chiedere se ci è o ci fa. La voce di Linzi è della doppiatrice americana Lindsay Sheppard. |
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Amiri è una umana barbara forte e risoluta, che pur essendo orientata verso il bene tende sempre a preferire la soluzione più violenta. Proveniente dalle terre del nord, si è auto-esiliata perché sminuita dal maschilismo della sua tribù di origine. La voce di Amiri è della doppiatrice Tiana Camacho. |
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Jeathal è un’elfa nonmorta inquisitrice di Urgathoa, la divinità della malattia e della morte. Ha tutti i vantaggi e gli svantaggi della sua condizione di nonmorta: non può mai essere realmente uccisa, nemmeno ai livelli di difficoltà più alti, ma non può nemmeno essere curata con i metodi tradizionali. La voce di Jeathal è della doppiatrice Bailey Carr. |
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Valerie è una guerriera umana specializzata nell’uso dello scudo a torre. Paladina decaduta di Shelyn, dea dell’amore e della bellezza, Valerie vive un lacerante contrasto interiore: tutti la concupiscono per la sua avvenenza, e questo la fa sentire sminuita nelle sue capacità belliche. Nel corso dell’avventura il protagonista può accompagnarla nel far pace con la sua bellezza. La voce di Valerie è della doppiatrice Vanessa Gardner. |
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Harrim è un nano chierico della divinità apocalittica Groetus. Compiaciutamente pessimista, Harrim è preda di un fatalismo talmente esagerato da sfiorare la comicità. La sua voce è del doppiatore Scott Ray. |
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Tristian è un chierico di Sarenrae, divinità della pazienza e della temperanza. Il protagonista lo incontra mentre è intento a indagare sulle maledizioni che infestano le Stolen Land. Nel corso dell’avventura, Tristian percorre un’importante trasformazione, che può portarlo a rinnegare il suo credo. La voce di Tristian è dell’attore Eddy Lee. |
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Octavia è una mezzelfa multiclasse maga/ladra. Il protagonista la incontra in un accampamento della Technic League, una fazione schiavista che la acquistò quand’era bambina: se eliminiamo i suoi aguzzini e la liberiamo, si unirà al nostro gruppo. Nonostante i suoi difficili trascorsi, Octavia è un personaggio solare e positivo. La sua voce è della doppiatrice Alyson Leigh Rosenfeld. |
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Regongar è un mezzorco di classe magus, una specializzazione che unisce le abilità del mago arcano a quelle del guerriero. Lo incontreremo insieme a Octavia, di cui è partner e con la quale è schiavo della Technic League. Regongar è violento e maschilista, e il suo rapporto con Octavia è piuttosto turbolento. La voce di Regongar è dell’attore Major Attaway. |
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Ekundayo è un ranger umano devoto di Torag, divinità nanica dell’onore. Rigoroso e solitario, ha in realtà un carattere sfaccettato, che emerge appieno solo nelle fasi avanzate dell’avventura. La voce di Ekundayo è del doppiatore Tyler Bunch. |
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Jubilost è uno gnomo alchimista: si tratta di un personaggio molto noto dell’ambientazione di Pathfinder, principalmente per il suo essere uno scrittore prolifico e di una certa fama. Il protagonista lo incontra nel secondo atto e può convincerlo a unirsi al gruppo: bisognerà però imparare a sopportare la sua appuntita arroganza. La voce di Jubilost è del doppiatore Abe Goldfarb. |
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Nok-Nok è un goblin ladro che può decidere di unirsi al gruppo se il protagonista aiuta la sua tribù. È un personaggio molto divertente: pur essendo immaturo e propenso al male per ragioni ‘genetiche’, nel corso dell’avventura cerca in tutti i modi di diventare simile agli altri nostri comprimari, e può anche riuscirci ‘ufficialmente’ sul finale. Curiosità: Nok-Nok è il contributo principale scritto da Chris Avellone per Pathfinder: Kingmaker (Avellone è autore di alcuni tra i più importanti GdR digitali, tra cui Planescape: Torment). La voce di Nok-Nok è del doppiatore Dustin Hummel. |
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Kalisse e Kanerah sono 2 sorelle tiefling che a causa di una maledizione sono costrette ad alternarsi sul primo piano materiale. Ovvero: se scegliamo di avere una, non possiamo avere l’altra. Siamo però liberi di scambiarle in qualunque momento. Questo particolare personaggio è stato aggiunto al gioco originale da un DLC intitolato The Wildcards. La voce di entrambe le sorelle è dell’attrice Michele Benzin. |
4. Il sistema di controllo
Quando ci troviamo nella visuale isometrica ‘normale’, che in questo gioco però come vedremo non è il tipo di interfaccia che useremo più spesso, Pathfinder: Kingmaker appare come un prodotto estremamente classico. Il nostro party è inquadrato dall’alto tramite una telecamera virtuale che può essere spostata liberamente entro i confini dell’ambiente in cui ci troviamo. A coprire le zone ancora da esplorare c’è la “nebbia di guerra”; le parti già esplorate ma lontane dallo sguardo dei personaggi mostrano il terreno ma non le creature presenti, come nei giochi strategici in tempo reale. Lo spostamento avviene tramite un sistema punta e clicca: cliccando su un determinato punto, il nostro party si muoverà in quella direzione. I personaggi sotto il controllo del giocatore possono essere mossi in maniera del tutto indipendente oppure come squadra, scegliendo anche una formazione: da questo punto di vista il gioco funziona esattamente come Baldur’s Gate. I contenitori o i punti comunque interagibili possono essere evidenziati tramite la pressione di un tasto che di default è TAB: è importante però sottolineare che il gioco fa un uso estensivo degli stat check nel mostrare o celare i tesori, quindi è sempre una buona idea usare come esploratore principale un personaggio dotato di percezione alta. Quest’ultima è fondamentale anche per individuare le trappole: può essere una buona idea, per evitare di incappare in esse inavvertitamente, selezionare una opzione di pausa automatica.
Gli ambienti possono essere collegati da punti di passaggio: molto più frequentemente, peraltro, uscire da un ambiente porterà alla mappa del mondo. Una scelta curiosa ma criticabile effettuata dai designer è dare ai giocatori la possibilità di recuperare tutto il bottino lasciato indietro nel corso dell’esplorazione di una mappa nel momento in cui la si abbandona: è quindi possibile ignorare del tutto il bottino lasciato a terra dai nemici per recuperarlo velocemente solo quando si intraprende un viaggio.
5. Le schermate secondarie
Oltre alla visuale di gioco isometrica e alla mappa del mondo, di cui parleremo più avanti nel dettaglio data la sua importanza, il gioco offre dettagliate sezioni dedicate alle caratteristiche del personaggio, alla gestione degli incantesimi, all’inventario, al diario e anche alla “enciclopedia”, dove sono raccolte informazioni sul mondo e sulle creature ostili.
L’inventario è comune a tutti i personaggi: questo implica che il peso trasportabile è calcolato sommando i valori di forza di tutto il party. Quando ci si trova in una “base” sicura, che nella prima parte del gioco è la locanda di Oleg ma da un certo punto in avanti diventa la capitale del regno, avremo sotto controllo solo il nostro eroe: ma potremo comunque accedere all’inventario di tutti i compagni di viaggio. Oltre a poter dare a ciascun personaggio armi e pezzi di equipaggiamento, è anche possibile collocare gli oggetti utilizzabili in combattimento, quali pozioni o pergamene, in una barra facilmente accessibile dalla visuale principale.
Un’idea davvero simpatica è che il diario viene scritto dal punto di vista di Linzi, la barda halfling che incontriamo all’inizio dell’avventura e che può accompagnarci fin quasi alla fine della medesima. Anche se il giocatore decide di non portarla con sé, la storia viene sempre raccontata dal suo punto di vista, per il tramite del suo filtro psicologico, che è fortemente caratterizzato nel senso di una bontà ingenua e disarmante, con qualche tratto però di svampita furbizia. Può sembrare contraddittorio che Linzi sappia sempre tutto indipendentemente dalla sua presenza o meno sulla scena: ma in realtà non lo è, solo che non ne spiegheremo il motivo perché saremmo costretti a compiere uno spoiler troppo importante.
6. La struttura del mondo
In un gioco nel quale gli eroi sono letteralmente i “cercatori di sentieri”, non c’è da stupirsi che gran parte del tempo lo si spenda esplorando il mondo. Questa esplorazione non avverrà però passando da un ambiente all’altro tramite la visuale isometrica, come nell’originale Baldur’s Gate, bensì tramite una curata e multifunzionale mappa del mondo: in essa, il nostro party è rappresentato da una sorta di pedina che si muove lungo i percorsi presenti. È possibile muovere da un incrocio al successivo secondo una procedura step by step, oppure selezionare una destinazione lontana: in questo caso il gioco stabilirà la rotta più breve sulla base dei percorsi già scoperti. Il tempo scorre inesorabile durante gli spostamenti, che saranno più brevi o più lunghi sulla base dell’asprezza del terreno: questo è rappresentato visivamente da un movimento più rapido o più lento della pedina. Sarà necessario far riposare il party molto spesso: ma di questo parleremo meglio più avanti.
Molti incroci servono solo da punto di collegamento tra percorsi: se invece un determinato luogo può essere visitato, la mappa ci chiederà se vogliamo entrarci. È importante sottolineare che non tutti i percorsi presenti verranno evidenziati fin da subito: alcuni si mostrano solo dopo determinati eventi della trama, altri invece vengono individuati tramite stat check (anche in questo caso il valore di riferimento è la percezione). L’estensione generale del mondo aumenta progressivamente con l’avanzamento della storia: in occasione di alcuni eventi chiave si sbloccheranno nuove zone. Alcune destinazioni offrono risorse utilizzabili in fase di gestione del regno: anche di questo scriveremo più nel dettaglio in seguito. Molto spesso i viaggi sono interrotti da incontri che ci proiettano nella normale visuale isometrica: può trattarsi di creature ostili che bloccano la strada e che vanno sconfitte, o anche di pacifici mercanti o messaggeri. A meno che questi incontri non siano essenziali per la trama, il giocatore può cercare di evitarli tramite stat check basato sullo stealth.
Soprattutto nelle fasi avanzate dell’avventura, il giocatore trascorrerà molto più tempo nella mappa del mondo che non nella normale visuale isometrica: tramite pochissime eccezioni, nella fattispecie alcuni grandi dungeon, le aree davvero esplorabili sono molto circoscritte. Si tratterà di piccole sezioni di bosco o di strada, piazze cittadine che rappresentano astrattamente tutto un insediamento, modeste celle sotterranee. Molte ambientazioni, peraltro, sono spudoratamente riciclate per decine di volte: è il caso dell’ingresso di molti dungeon, dei tratti di strada dove avvengono gli incontri durante i viaggi, ma anche delle città che il nostro eroe fonderà gestendo il suo regno, tutte rappresentate dalla stessa identica piazza, con gli stessi identici edifici. Non proprio il massimo dal punto di vista dell’immersione e della conservazione della sospensione dell’incredulità.
7. Il sistema di combattimento
Pathfinder: Kingmaker nasce con scontri gestiti tramite il sistema in tempo reale con pausa tattica, anche in questo caso sull’esempio dell’illustre Baldur’s Gate. Nel corso dei vari aggiornamenti, il gioco è stato arricchito da un sistema di combattimento a turni: il giocatore può passare da un approccio all’altro liberamente, anche nel bel mezzo di una schermaglia.
A meno che non si scelga lo story mode, ovvero il livello di difficoltà più basso, superare gli scontri richiede una buona pianificazione e un uso accorto delle abilità dei personaggi: queste ultime sono organizzate attorno all’interfaccia presente nella parte bassa dello schermo, in sottoinsiemi a scomparsa. Le più utilizzate possono essere comodamente trascinate direttamente sulla barra sempre visibile. Non necessariamente l’attacco di default deve essere quello con l’arma equipaggiata: i personaggi in grado di lanciare incantesimi possono anche scegliere, come attacco ‘normale’, un incantesimo, magari di livello 0 (i cosiddetti trick). Selezionando un incantesimo ad area, il gioco indica chiaramente quale sarà la parte interessata: mentre lanciano incantesimi, i personaggi, sia ‘nostri’ sia ostili, possono essere interrotti e perdere la concentrazione, fallendo il lancio. I movimenti sul campo di battaglia vanno calibrati attentamente perché possono causare attacchi di opportunità, ovvero attacchi gratuiti e aggiuntivi: in diverse occasioni disperdere il party è più efficace che non tenerlo compatto. A meno che non si scelga un livello di difficoltà alto, i personaggi ridotti a 0 punti ferita non muoiono ma diventano inattivi fino alla fine del combattimento per poi rialzarsi: solo quando tutti i personaggi sono sconfitti scatta il game over.
Il sistema a turni organizza i partecipanti in sequenza sulla base dell’iniziativa: nel proprio turno un personaggio può, generalmente, muovere e attaccare, oltre che usare qualche abilità speciale ‘gratuita’ o effettuare un piccolo movimento aggiuntivo. Se si è in grado di attaccare senza spostarsi, il personaggio può essere in grado di attaccare più volte in base al suo livello; il sistema però non consente di selezionare più bersagli. Se dopo un attacco un nemico viene ucciso e il personaggio ha altri attacchi a disposizione, li rivolgerà automaticamente verso un nemico casuale a portata di tiro.
Complessivamente, il sistema di combattimento di Pathfinder: Kingmaker è senza infamia e senza lode. Sicuramente è più confuso e meno intuitivo di quello presente nei primi due Baldur’s Gate, sia per la maggior quantità di opzioni presenti sia anche per un sistema grafico e un motore meno chiari e precisi; d’altro canto, è gestito molto meglio di quello offerto da Pillars of Eternity, ancora più arzigogolato e incomprensibile. La modalità a turni rende tutto più chiaro, ma anche più lento e ripetitivo: il gioco purtroppo non è ben bilanciato dal punto di vista dei contenuti, dato che in alcune istanze ci costringe a superare decine di scontri in sequenza. Chiaramente rispetto ai giochi che nascono con combattimento a turni, come Baldur’s Gate III, il sistema di Pathfinder: Kingmaker appare come limitato e semplicistico. Una soluzione che probabilmente ci troveremo a utilizzare spesso è di lasciare il tempo reale per gli scontri contro i mostri generici, i cosiddetti trash mob, per scegliere invece i turni quando dovremo superare un combattimento particolarmente difficile, magari contro un temibile boss.
8. Dialoghi e librigame
Il nostro tempo nella visuale principale trascorrerà non sono effettuando scontri e spostamenti, ma anche confrontandoci con i personaggi non giocanti tramite dialoghi. Con le semplici comparse potremo leggere una breve battuta senza possibilità di replica: con i personaggi più importanti si aprirà un’interfaccia dedicata e il tempo di gioco verrà messo in pausa. Questi dialoghi sono in genere prolissi, a tratti noiosi, e utilizzano piuttosto estensivamente speech tag che indicano il tono, la postura e l’espressione dell’interlocutore: al giocatore verranno messe a disposizione varie risposte, talvolta collegate alle caratteristiche e all’allineamento dei personaggi. Per quel che riguarda le caratteristiche, in alcuni casi le opzioni sono aperte o chiuse a seconda dei personaggi coinvolti: il gioco prende sempre in considerazione il membro del party più ‘dotato’ come criterio, anche se non è colui che sta effettivamente conducendo la conversazione. In altri casi invece scegliere un’opzione fa scattare una prova dall’esito incerto, basata su un tiro di dado virtuale: è quel che accade, per esempio, per le scelte basate sulla persuasione. Per quel che riguarda l’allineamento, invece, a volte le opzioni richiedono di averne uno, altre volte sceglierle provoca un cambiamento: l’allineamento infatti è, in questo gioco, almeno per quel che riguarda il protagonista, ‘mobile’, e viene tracciato tramite un grafico basato su assi cartesiani. Val la pena sottolineare che il sistema mostra apertamente solo le opzioni effettivamente disponibili: se una certa scelta richiede una caratteristica che non abbiamo, ci viene mostrata una voce ‘bianca’ con scritto semplicemente: richiede questa caratteristica o questo allineamento.
Un sistema simile a quello dialogico viene utilizzato anche per determinate sequenze di gioco, sia obbligatorie sia opzionali, descritte astrattamente tramite un’interfaccia che evoca i librigame: brani di testo corredati da immagini descriveranno ciò che il party vede e ‘sente’, e verranno offerte al giocatore varie scelte, quasi sempre collegate a prove da superare, basate su caratteristiche e abilità. A volte queste sequenze si aprono direttamente dalla mappa generale: il gioco le utilizza anche per aprire o chiudere determinate zone del mondo a seconda del capitolo in corso. Questi momenti sono spesso piacevoli diversivi e appaiono estremamente curati dal punto di vista grafico: ma contribuiscono anch’essi a dare al giocatore la sensazione di essere di fronte a un prodotto che cerca di fare troppe cose, a un’opera troppo frammentata e dispersiva non solo dal punto di vista del ‘dosaggio’ dei contenuti, ma anche da quello delle modalità espressive scelte e implementate.
9. Un party molto stanco
Nel suo lunghissimo peregrinare, il nostro gruppo di avventurieri dovrà dedicarsi molto spesso a una attività che tanti giochi di ruolo digitali semplicemente non rappresentano per nulla: il riposo. Percorrere i sentieri delle Stolen Land richiede tanto tempo: dopo ore e ore di cammino, che sulla mappa generale risulteranno però ‘compresse’ in pochi minuti di spostamento della pedina, sarà necessario far riposare i nostri avventurieri. L’accampamento è rappresentato da una schermata apposita, insolitamente dettagliata: a ogni eroe andrà assegnato un preciso compito, per il quale potrà essere efficace o meno a seconda delle sue caratteristiche e abilità. Tra i compiti più importanti è quello del cacciatore, che dovrà andare alla ricerca di cibo; il cuoco avrà il compito di trasformare le provviste in ricette capaci di darci bonus per le ore successive al riposo; le guardie dovranno badare alla difesa della posizione, mentre un eroe abile nello stealth potrà rendere quest’ultima meno esposta. Una volta assegnati i compiti, cliccando su un tasto avvieremo il riposo e scopriremo l’esito delle scelte fatte: se il riposo avrà successo vedremo i nostri eroi in salute e pronti a riprendere il cammino, mentre in caso di problemi potremmo dover combattere contro creature ostili o semplicemente riprovare. Una scelta curiosa è che solo riposando avremo modo di leggere e ascoltare divertenti scambi di battute tra i membri del party.
Ci si può accampare anche nella normale interfaccia di gioco isometrica: in quel caso il riposo funziona allo stesso modo, ma viene rappresentato in maniera più diretta. Avremo dunque la possibilità di osservare l’accampamento e i movimenti dei personaggi al centro dello schermo: se però ci troveremo in un dungeon non sarà possibile cacciare, quindi dovremo già avere con noi provviste sufficienti.
L’idea di un riposo così attentamente descritto non è biasimevole in sé, anche se ci sentiremmo di affermare che è più adatto a un gioco simulativo che non a uno story-driven, che Pathfinder: Kingmaker comunque è nonostante tutto. Il vero problema è che, vista la frequenza e la lunghezza degli spostamenti su mappa, ci troveremo ad accamparci continuamente: la sensazione sarà quella di star controllando un party perennemente stanco, che deve riposare dopo ogni curva, dopo ogni ponte, dopo ogni salita. Le prime dieci, venti volte il sistema di riposo ci sembrerà un simpatico diversivo: a un certo punto non ne potremo più, lo affronteremo come si affronta un dovere, una routine, e arriveremo a odiare le voci dei personaggi che parlano del più e del meno. In generale gli scambi di battute tra i membri del party sono uno dei punti di forza dei giochi party-based: in questo caso specifico, piazzandoli nel bel mezzo di una delle attività più inutili e ripetitive offerte dal gioco, gli autori sono riusciti a trasformarli in una iattura.
Excursus: moddare Pathfinder: Kingmaker
Nella galassia di siti noti come Nexus, celebri soprattutto per fungere da punto di raccolta delle centinaia di migliaia di mod prodotti per i giochi della saga The Elder Scrolls, c’è anche un comparto dedicato a Pathfinder: Kingmaker. Vi si possono trovare nuovi ritratti, traduzioni amatoriali, e soprattutto un mod che si chiama Bag of Tricks – Cheats and Tools. Noi suggeriamo di installarlo quanto prima: si tratta di un mod altamente configurabile che permette di cambiare tantissime statistiche e meccanismi interni al gioco. Per quanto ci riguarda il mod ha soprattutto una funzione essenziale: permette di calibrare meglio le tempistiche con cui il nostro party si stanca durante le esplorazioni del mondo. È anche possibile, per il tramite di questo pacchetto amatoriale, disattivare completamente la necessità di riposare: l’esplorazione del mondo diventerà, in questo modo, (quasi) divertente. |
10. La gestione del regno
La coesistenza tra l’avventura e una importante parte gestionale è stata, fin dalle prime fasi dello sviluppo del gioco, una delle caratterizzazioni più centrali di Pathfinder: Kingmaker. Da un certo momento in avanti, il nostro eroe diventa prima barone e poi sovrano delle Stolen Land: questo si traduce, in termini di gameplay, nella necessità di accedere periodicamente a una serie di schermate apposite, nelle quali dovremo gestire la politica e l’economia della regione. Il regno ha ben 10 statistiche da tenere sotto controllo: Community, Loyalty, Military, Economy, Relations, Divine, Arcane, Stability, Culture, Espionage. Ognuna di esse ha un valore numerico e un rank, ovvero un livello: per aumentare quest’ultimo sarà necessario eseguire un progetto, assegnandogli un personaggio. I progetti sono sorta di missioni che si svolgono in background: alcuni hanno sempre successo e richiedono semplicemente di investire risorse e aspettare, altri invece hanno un esito incerto e dipendono dalle abilità del personaggio che deve gestirli. A volte i progetti possono avere un tratto di urgenza: se non vengono affrontati in tempo utile, dovremo gestire conseguenze negative. La gestione del regno non richiede l’oro che accumuliamo nel corso del gioco ‘vero’, ma una sua risorsa dedicata, i building point, che vengono generati automaticamente da determinati edifici e risolvendo determinati progetti.
Un aspetto molto importante di questo comparto è la possibilità di nominare determinati personaggi non giocanti nel ruolo di consiglieri, sorta di ‘ministri’ del Governo. Possiamo coinvolgere sia i membri del party sia altri personaggi con un ruolo importante nella vicenda narrata. Ogni consigliere ha un suo ruolo specifico, influenzato dalle sue abilità: ciascun eroe può essere assegnato a uno o più ruoli, a seconda delle sue inclinazioni. Il gioco indica anche qual è l’approccio che in genere un certo personaggio predilige: diplomatico o combattivo, a favore della tradizione o dell’innovazione, eccetera. Talvolta ha senso assegnare un personaggio meno capace solo perché preferiamo una soluzione di un certo tipo anziché un’altra. I personaggi possono diventare più efficaci nel loro ruolo di ‘ministri’ sottoponendoli ad addestramento, che prende le forme di un progetto con apposito costo e tempo di realizzazione.
Nel gestire i nostri territori, ci troveremo anche a fondare insediamenti e a decidere quali edifici erigere al loro interno. Ogni volta che conquistiamo una nuova zona, tramite eventi scriptati o appositi progetti, avremo la possibilità di creare una nuova città: all’inizio saranno piccoli villaggi, ma col passare del tempo potremo farli crescere e farli diventare grandi capitali. Entrando in una città tramite la schermata di gestione del regno ci troveremo in una differente visuale, che rappresenta l’insediamento a volo d’uccello come in un citybuilder: vedremo diverse caselle vuote, sulle quali potremo collocare, spendendo building point, edifici di vario tipo. Le strutture disponibili variano in base a molti fattori: quali edifici sono già presenti, quali scelte sono state fatte tramite i progetti o anche la trama del gioco, qual è la dimensione e la collocazione geografica dell’insediamento. Costruire un edificio non ha solo un costo ma anche delle conseguenze, in genere sulle caratteristiche del regno. È particolarmente importante, nelle fasi avanzate della partita, cercare di creare in ogni città un punto di teletrasporto, così da facilitare i frequenti spostamenti necessari. Purtroppo le città che fondiamo non sono realmente rappresentate tramite la normale visuale di gioco: potremo visitarle, ma ciò che vedremo sarà una piccola piazza centrale, sempre la stessa in tutte le città. Anche la nostra capitale, dove si troverà la sala del trono, sarà rappresentata astrattamente da una ambientazione ristretta, nella quale potremo visitare solo alcuni ambienti: a tutti gli effetti, in Pathfinder: Kingmaker non c’è alcuna vera grande città paragonabile a Baldur’s Gate nell’omonimo titolo, o a Defiance Bay in Pillars of Eternity.
La gestione del regno è forse il comparto più controverso di questo gioco. Nelle prime versioni, il giocatore doveva prestare moltissima attenzione a questo aspetto, che poteva anche portare al game over se trascurato o gestito in maniera meno che competente. Negli aggiornamenti pubblicati successivamente, gli autori hanno fatto una parziale marcia indietro e introdotto opzioni che permettono di automatizzare molti aspetti e soprattutto hanno tolto la possibilità che un regno fallimentare possa portare alla fine prematura della storia. Non è però possibile ignorare completamente il comparto gestionale, anzi il gioco ci richiede in ogni caso di dedicarci tempo e attenzione visto che lo stesso avanzamento della trama principale è collegato a doppio filo, in vari frangenti, alla risoluzione di progetti politici o militari. In tutta franchezza ci sfugge la ratio dietro la scelta di implementare un comparto gestionale così profondo e dettagliato in un gioco di ruolo con visuale isometrica: ci sembra che un’idea come questa non possa che portare a insoddisfazione sia per chi cerca un gioco di ruolo sia per chi cerca un gestionale ‘vero’. Baldur’s Gate II introdusse per primo l’idea di assegnare al giocatore una fortezza da gestire: ma in quel caso si trattava di semplici missioni opzionali, che si inserivano senza soluzione di continuità nella struttura di gioco. Già la gestione della fortezza in Pillars of Eternity sembra forzare la mano nell’introdurre meccaniche alloctone e distraenti: con Pathfinder: Kingmaker si avanza ancora di più, implementando quel che si può definire quasi un gioco nel gioco. Probabilmente l’idea in sé non è da scartare del tutto: il problema è, come già accennato, la coerenza tra le parti. Una parte gestionale in un gioco di ruolo con visuale isometrica può funzionare solo se non tradisce l’impianto generale e l’approccio primario al gioco: in questo caso invece ci si troverà, soprattutto in fase avanzata, a passare molto più tempo nel comparto di amministrazione che non nell’esplorare, nel dialogare e nel combattere.
11. L’arte di aspettare
Il peso che gli autori hanno voluto dare alla parte gestionale è ingrandito anche da una scelta di design davvero singolare. Quasi tutti gli eventi scriptati che mandano avanti la trama principale e le missioni secondarie sono organizzati sulla base di scansioni temporali, a volte palesi e più spesso nascoste. Già la primissima missione della campagna, ovvero liberare le Stolen Land dallo Stag Lord, è una missione a tempo: e il diario ci informa in ogni momento di quanti giorni abbiamo ancora a disposizione per completarla. Più avanti nella storia, ci saranno numerose occasioni in cui avremo apparentemente risolto tutto quel che c’è da risolvere: per avere un nuovo input, dovremo semplicemente aspettare. L’idea alla base è evidente: dato che i progetti relativi alla gestione del regno richiedono quasi sempre molti giorni o anche molte settimane di tempo ‘virtuale’ per essere completate, il gioco ‘spalma’ la sua storia su un orizzonte molto lungo, così da darci la possibilità di dedicare la giusta attenzione all’amministrazione, la cui gestione permette di far scorrere in avanti il tempo molto velocemente. Il risultato finale però è straniante: soprattutto se il giocatore è abile nell’organizzare le missioni in modo da ottimizzare i tempi, egli si troverà di fronte in più e più occasioni a momenti letteralmente morti, momenti in cui non si deve far altro che far scorrere in avanti il tempo nella schermata del regno, nella speranza che prima o poi succeda qualcosa.
Altre volte a scattare è la fattispecie contraria: un ottimo esempio è il sopracitato inizio della campagna. Il tempo che ci viene messo a disposizione per sconfiggere lo Stag Lord è ragionevolmente lungo: ma avere costantemente sott’occhio il cronometro che scorre inesorabile ha l’inevitabile effetto di farci correre in avanti. Se la conseguenza fosse semplicemente la perdita di qualche trascurabile missione secondaria, ci si potrebbe passare sopra: ma può facilmente accadere, e infatti ci è accaduto nella nostra prima avventura, di perdere per sempre due importanti compagni di viaggio. Lo riscriviamo così che sia più chiaro: il gioco ci mette (artificiosamente) fretta in una fase durante la quale l’esplorazione attenta del mondo può farci scoprire ben due personaggi fondamentali per la storia e anche per la giocabilità generale. E se non scopriamo quei due personaggi in quel momento, non potremo scoprirli mai più.
12. Tecnicismi
Pathfinder: Kingmaker si appoggia al motore Unity: al momento dell’uscita, il gioco era fortemente instabile, ma la situazione è decisamente migliorata per il tramite delle numerose patch pubblicate. Ciò nonostante, il comparto tecnico resta criticabile: il motore di gioco risulta notevolmente pesante da gestire, con tempi di caricamento insolitamente lunghi, senza offrire una controparte grafica all’altezza delle risorse impiegate. Non che l’aspetto del gioco sia biasimevole: l’interfaccia isometrica che dovrebbe essere quella principale (come scritto sopra in realtà non lo è) è colorata e dettagliata, nonché colma di elementi animati, dall’erba alle fronde degli alberi. I personaggi sfoderano le armi quando inizia la battaglia e le ripongono nel fodero alla fine delle ostilità, e nei momenti di stasi si producono in simpatiche animazioni, tutte diverse e caratterizzanti. Talvolta i colori sembrano fin eccessivi e accecanti: la direzione artistica sembra talvolta incerta, in bilico tra l’evocazione di un mondo fiabesco fin quasi infantile e il tratteggio di dungeon incredibilmente scuri e minacciosi.
La colonna sonora è del compositore veterano Inon Zur, già all’opera in innumerevoli altri videogiochi di grande successo, tra cui Icewind Dale II, Dragon Age Origins e Fallout 3. Lo stile è appropriatamente epico, con grandi orchestrazioni aperte ed elaborate: non mancano però momenti più particolari, in cui fa capolino l’uso di strumenti etnici, fiati e cori. Solo una minima parte dei dialoghi è parlata: il doppiaggio è fin troppo fortemente caratterizzato, diventando a tratti quasi caricaturale.
13. Conclusioni
Pathfinder: Kingmaker è un gioco vastissimo, pieno di contenuti e anche pieno di idee talvolta originali e interessanti. È anche, però, un gioco incredibilmente dispersivo, con mille problemi di coerenza interna tra le parti, di bilanciamento, di comunicazione delle informazioni, di pura e semplice utilizzabilità. L’avventura alterna momenti di dettagliata simulazione, in cui ci viene richiesto di assegnare i turni di guardia mentre ci accampiamo e quale ricetta deve seguire il responsabile delle cibarie, a momenti di astrazione estrema, in cui viaggi ed epiche battaglie sono descritti tramite asettiche schermate testuali o sintetici movimenti di una pedina sulla mappa. Nel grande quadro generale, questa seconda fattispecie risulta progressivamente più dominante: Kingmaker è un gioco la cui epica avventura è raccontata più che mostrata, e nel quale i rari momenti di show diventano a un certo punto talmente radi da sembrare quasi fuori posto. Il flusso degli eventi segue ritmi che la struttura multiforme rende inevitabilmente sincopati e innaturali: il mondo dev’essere salvato dalla catastrofe imminente, ma quest’ultima aspetta a palesarsi così da darci tempo (fin troppo tempo) per decidere come regolare le tasse o dove costruire quel tempio in quello sperduto villaggio. Il protagonista gestisce un regno vasto e dalle intricate geometrie politiche e sociali, che però non ‘vediamo’ mai davvero: il nostro personaggio accede a città tutte rappresentate dalla stessa identica piazza, affronta viaggi che portano nella maggior parte dei casi a paesaggi simili se non identici, risolve missioni disperse in rivoli talmente lontani nel tempo e nello spazio da risultare impossibili da interpretare e da interiorizzare.
Le buone idee, come già scritto, ci sono. L’utilizzo della scelta multipla nelle sequenze simili a libri-game è interessante, anche se non inedita. La rappresentazione degli spostamenti nella mappa del mondo è piacevole, come anche l’idea che il territorio si ampli progressivamente: andrebbe solo snellita rendendo meno frequente la necessità del riposo. Il sistema di combattimento è semplicistico e migliorabile, ma mostra anche una certa duttilità e il poter passare al volo dalla modalità in tempo reale a quella a turni è senz’altro un plus non indifferente. Quel che manca è, come appena spiegato, il mostrato. Gli ambienti direttamente esplorabili dovevano essere molti di più e tutti unici e caratterizzati; le grandi città dovevano essere vere grandi città; la parte gestionale è un comparto ipertrofico e distraente, che poteva essere simpatico se reso più sintetico. A tutto questo va poi aggiunto un sistema di regole molto complesso e ‘tradotto’ in digitale con notevoli incertezze e con nessuna indulgenza nei confronti dei neofiti. Pathfinder: Kingmaker richiede al suo fruitore molto più di quel che dà: e per un’opera dell’ingegno di questa durata non c’è peccato più grande.
Tre pregi di Pathfinder: Kingmaker | Tre difetti di Pathfinder: Kingmaker |
Le sequenze interpretative danno una buona libertà di scelta. | Il gioco è incredibilmente lento e dispersivo. |
Alcune parti simulative sono molto curate. | Il comparto di gestione del regno è ipertrofico. |
Il motore di gioco è pesante ma l’aspetto del gioco è gradevole. | Il gioco si appoggia troppo al tell e troppo poco allo show. |
Che bello una nuova recensione di un gioco di ruolo per computer! Appena ho un attimo la leggo, intanto: bentornato!
Grazie! 🙂
Quando è PK è uscito, mi sono come al solito informato prima di decidere se comprarlo o meno.
Alla fine mi sono detto “no grazie, non amo i gestionali, preferisco i giochi di ruolo”. Certo è che il titolo stesso (Kingmaker) ti fa subito capire in che acque rischi di andare a navigare.
Carina comunque l’idea della gestione del riposo, la preferisco al modello random dei vecchi classici, dove la possibilità che i mostri ti interrompano è casuale. Il fatto che la prima quest abbia un limite temporale mi fa imbestialire, lo stesso motivo per cui ho mandato al diavolo Tyranny dopo qualche ora. Io voglio potermi godere il gioco al ritmo che preferisco, soprattutto all’inizio quando sto ancora impadronendomi delle meccaniche basilari.
Il doppiaggio non può competere con Pillars 2, dove ogni singola parola del testo è parlata, e che peraltro esiste anche in italiano. Anche PH è stato tradotto in italiano da alcuni volenterosi, ma il risultato non mi è parso eccezionale (cosa comunque comprensibile, data la mole di testi da tradurre).
PS: grande Mosè ad essere tornato alle recensioni scritte di videogames! Spero che, quando uscirà il remake di Gothic, lo prenderai in considerazione per una bella analisi, magari raffrontandolo col mitico anche se vetusto originale.
Grazie per il commento Warren!
Concordo su tutto quel che scrivi. Gli autori che pretendono di veicolare il realismo tramite artifici che danneggiano la fruizione (limiti di tempo, impossibilità di salvare) secondo me sbagliano alla grande. Un gioco è anzitutto qualcosa che va utilizzato, e nulla deve danneggiare l’usabilità: esiste la sospensione dell’incredulità, nessun giocatore si è mai lamentato perché la possibilità di salvare danneggia il realismo.
Non sapevo che PoE 2 fosse interamente doppiato, interessante! Devo decidermi a giocarlo.
Sicuramente recensirò il remake di Gothic! Sempre coi miei tempi però 😀
Ho letto la recensione (a proposito concordo completamente con quel tizio di Youtube che diceva che le tue recensioni sono le più approfondite!), volevo sapere un paio di robe se possibile:
1: quanto dura sto gioco, ho letto in giro che ci vogliono un’assurdità di ore per finirlo tutto… Vale la pena stare a perderci 18000 ore per fare tutto o c’è un level cap e quindi, una volta raggiunto, sticazzi il resto….
2: non mi sembri molto convinto del combattimento a turni/tempo reale ma non è la soluzione migliore la possibilità di poterlo swappare alla bisogna?? Io ho trovato i combattimenti di Baldur’s Gate 3 spesso di una pallosità estrema e mi sarebbe piaciuto molto poterli mettere in tempo reale con pausa tattica negli scontri più semplici. Su Pillars of eternity 2 puoi scegliere all’inizio se li vuoi in tempo reale o a turni peccato che poi durante il gioco non si possa tornare indietro!!! la soluzione di questo Pathfinder mi sembra na roba che accontenta tutti.
Il gioco dura veramente tanto. E la cosa particolare è che è difficile “rusharlo” perché i momenti morti non si contano: il gioco stesso ti ‘costringe’ a giocarlo a lungo. Secondo me parliamo almeno di 200 ore.
Secondo me la soluzione ibrida riguardo al combattimento è subottimale, però non è da disprezzare nel contesto preciso di questo gioco, così ricco di scontri con trash mob ma anche di combattimenti più impegnativi. In Baldur’s Gate III il combattimento a turni è infinitamente migliore da tutti i punti di vista: e lo dico pur nella convinzione che sarebbe stato meglio, per quel gioco, un tempo reale con pausa tattica, anche solo per ragioni di continuità ‘storica’.