Nel 2002 Bioware pubblicò un GdR dall’ambizione sconfinata: Neverwinter Nights doveva offrire una bella campagna per giocatore singolo, un editor di avventure flessibile e potente e una modalità online per ricreare vere e proprie sessioni digitali di Dungeons&Dragons, il tutto trasportando la gloriosa tradizione della visuale isometrica nelle tre dimensioni. Qualche cosa è venuta bene, qualche altra meno.
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Esempio di gioco
Il nostro parere
La nostra collezione
1. Attese spasmodiche
Per chi frequenta il nostro hobby da un po’ più di un paio di decenni, crediamo sia difficile ricordare un hype più elevato di quello che ha caratterizzato gli anni di sviluppo di Neverwinter Nights. Gli autori, i canadesi di Bioware, venivano da una serie di successi clamorosi, che aveva dato vita a una vera rinascita del genere su PC: parliamo anzitutto della saga di Baldur’s Gate, i cui due capitoli, per motivi diversi, erano considerati il non plus ultra dell’interpretazione digitale. Bisogna riconoscere che Bioware non si sedette certo sugli allori: avrebbe potuto in un certo senso vivere di rendita, riproponendo le medesime formule che caratterizzano i suoi primi capolavori, ‘rivestendole’ solo di nuovi contenuti. Invece questi sviluppatori, all’epoca assai più liberi dai meccanismi del grande mercato che non negli anni successivi, decisero di buttare il cuore oltre l’ostacolo cercando di creare più che un gioco un ‘sistema’ o per meglio dire un ‘ambiente’ in cui collocare non solo l’avventura ufficiale ma una serie infinita di avventure potenziali, creabili dall’utente o anche ‘improvvisabili’ da più giocatori, seduti attorno a un tavolo virtuale, proprio come se stessero giocando a una avventura del ‘vero’ Dungeons & Dragons. L’obiettivo doveva essere reso possibile da una struttura di gioco ‘modulare’, nella quale ciascuna ambientazione prendeva le forme di una sorta di puzzle ordinato di segmenti rappresentanti prati, boschi, strade, abitazioni, e dalla presenza di un client che riproponeva, in forme circoscritte e ‘controllabili’ dal dungeon master virtuale, le meccaniche del gioco online di massa.
Analizzare un prodotto così sfaccettato è complesso, ma ci aiuterà la prospettiva storica: sono passati quasi vent’anni dalla pubblicazione di Neverwinter Nights, nel frattempo è uscito un seguito, la comunità ha prodotto per anni migliaia di avventure amatoriali e negli ultimi tempi il gioco sta vivendo una seconda giovinezza grazie alla realizzazione, a opera di Beamdog, di una Enhanced Edition. Va comunque subito chiarito un punto: come i nostri fedeli lettori sanno, qui preferiamo il gioco in solitaria al multiplayer. Giocammo a Neverwinter Nights subito dopo la sua uscita, sperimentammo tutte le espansioni e tanti moduli amatoriali, ma non abbiamo mai provato, né all’epoca né più di recente, la modalità multigiocatore indicata da molti come il vero fiore all’occhiello di tutta la produzione. Quindi questa recensione sarà quantomeno parziale, e vorrà soprattutto rispondere alla domanda: cosa ha offerto e cosa può ancora offrire Neverwinter Nights all’utente singolo, magari grande fan di Baldur’s Gate e delle altre produzioni Bioware?
2. Approccio critico
Potremmo dividere il ‘mostro’ oggetto di questa recensione in tre grandi sezioni, corrispondenti ai tre modi in cui è possibile interagirvi. Neverwinter Nights è GdR per giocatore singolo, è simulatore di GdR cartaceo tramite multiplayer e infine è editor di avventure e personaggi. L’elemento di interesse è che questa tripartizione, apparentemente comune dato che in fondo molti prodotti di intrattenimento digitale offrono più modalità di gioco e un editor con cui creare mappe e storie personalizzate, rappresenta, nel caso in oggetto, l’identità più forte del marchio. In altre parole: Neverwinter Nights non è un GdR che offre *anche* una modalità multigiocatore e *anche* un editor. È, invece, un software che è nato per essere tutte e tre queste cose e che è stato progettato precisamente attorno a questo concept, sacrificando tutto il resto, inclusi i contenuti. Quest’ultimo assunto può sembrare strano e ha causato più di un misunderstanding in occasione della pubblicazione del gioco: ma noi de La maschera riposta siamo convinti che ciascun prodotto vada giudicato sulla base di ciò che offre. Ecco perché è fondamentale avere chiara la natura dell’operazione intentata a suo tempo da Bioware.
Come scrivevamo sopra, da queste parti non giochiamo spesso in multiplayer e quindi su questo comparto sospenderemo il giudizio. Ma questo non vuol dire che giudicheremo Neverwinter Nights come se fosse un nuovo episodio di Baldur’s Gate: lo giudicheremo, come sempre si dovrebbe fare, sulla base della sua natura, che è profondamente diversa dai prodotti precedenti degli stessi autori. Per molti versi, Bioware decise di compiere, a suo tempo, un passo proiettato verso il futuro: in un’epoca in cui la connessione internet era, rispetto a ora, lenta e instabile (e in Italia anche non particolarmente diffusa), questi sviluppatori canadesi intuirono che l’online poteva servire non solo a scaricare patch o a mettere in piedi mondi virtuali popolati da migliaia di utenti, ma anche a replicare le dinamiche del GdR cartaceo tramite un client che, messo nelle mani di un buon dungeon master, potesse offrirgli gli strumenti per dirigere un’avventura di Dungeons & Dragons proprio come se si fosse attorno a un tavolo, ma con il supporto della rappresentazione grafica tridimensionale. Neverwinter Nights è anzitutto la concretizzazione di questa intuizione: più che un gioco, è un editor di avventure e uno strumento di gestione delle medesime per dungeon master. Certo, è anche un gioco per giocatore singolo, ma l’avventura offerta dalla scatola base non è il punto centrale dell’operazione, e questo è un elemento che va tenuto sempre a mente mentre la si gioca e la si giudica. Non parleremo, in questa sede, di quanto e come l’intuizione di Bioware si sia rivelata azzeccata sulla lunga distanza: basterà accennare al fatto che le previsioni di chi all’epoca sosteneva che nel giro di dieci anni il virtuale avrebbe completamente ucciso il ‘reale’ si sono mostrate quanto meno azzardate. Ciò che conta è avere chiaro, appunto, il senso dell’operazione: per molti versi siamo di fronte a un prodotto coraggioso e innovativo, e già per questo i suoi autori si meritano il plauso che troppo spesso fatichiamo a riconoscergli.
3. Il sistema di gioco
C’è un elemento condiviso da tutti i comparti di Neverwinter Nights, e forse ha senso cominciare l’analisi proprio da questo elemento. Si tratta del motore di gioco, ovvero del modo in cui il software rappresenta gli ambienti e le azioni che in essi si possono compiere. Il protagonista controllato dal giocatore, sia quest’ultimo l’unico utente o uno dei tanti partecipanti a una sessione multigiocatore (tranne il master, che controlla il client), si trova sempre al centro dello schermo e può essere mosso nelle ambientazioni sia tramite interfaccia punta e clicca, cioè attraverso il mouse, sia con i tanti WASD, come nei giochi in terza persona. Ai differenti sistemi di controllo si accompagnano differenti visuali ideali: isometrica dall’alto nel primo caso, da dietro le spalle nel secondo (in quest’ultimo caso, il motore grafico visualizzerà anche i soffitti o il cielo). La visuale isometrica è ampiamente prediletta dai giocatori, probabilmente per senso di continuità con i prodotti precedenti degli stessi autori e basati sullo stesso regolamento cartaceo; d’altro canto è comunque necessario accedere al mouse per interagire con gli scenari, quindi usare il mouse anche per il movimento è forse la scelta più conseguente e naturale.
Spostando il nostro avatar, la visuale si muoverà con lui: il motore grafico ‘ritaglia’ un cerchio trasparente attorno al protagonista quando la visuale è bloccata dagli ambienti, ma agendo sulle opzioni è anche possibile far sparire completamente edifici ed elementi del paesaggio quando questi intralciano la visuale. Le ambientazioni sono costruite a blocchi modulari, la cui natura resta riconoscibile anche al semplice fruitore: questo rende particolarmente problematica la resa delle aree naturali, caratterizzate sempre da terrazzamenti artificiosi e quasi completamente prive di superfici curve. Le aree esplorabili sono sempre relativamente modeste in termini di dimensioni: sui bordi, appositi punti di passaggio permettono di viaggiare verso un’altra area; alcuni moduli implementano una mappa del mondo, ma le avventure ufficiali non la contemplano e quindi rappresentano aree tutte confinanti tra loro, da riattraversare spesso nel corso delle vicende narrate.
A suo tempo gli sviluppatori posero un accento importante, anche a livello comunicativo e di marketing, sulla funzionalità dell’interfaccia. Il gioco offre una barra di selezione di azioni e oggetti altamente personalizzabile, collocata nella parte bassa dello schermo. Ma la funzionalità forse più interessante implementata dall’interfaccia di gioco è il menu radiale che si apre cliccando col pulsante destro del mouse sia su un elemento sia su una zona libera dell’ambientazione: attraverso una serie rapida di clic, è possibile raggiungere in questo modo qualunque abilità particolare che sia possibile usare su quell’elemento o qualunque azione eseguibile dal proprio personaggio in quella circostanza.
Le interazioni con il mondo sono essenzialmente di due tipi: i combattimenti e i dialoghi. Ne parleremo presto nel dettaglio, ma prima occupiamoci del processo di creazione del personaggio.
Excursus: le espansioni ufficiali
Neverwinter Nights è stato arricchito da due espansioni maggiori, dotate anche di edizione ‘fisica’. La prima, uscita nel 2002, si intitola Shadows of Undrentide ed è co-sviluppata con Floodgate Entertainment, marchio dietro cui si celavano alcuni autori di prestigio, provenienti da Looking Glass Studios (a cui si dovevano titoli come Ultima Underworld e System Shock). La nuova campagna per giocatore singolo offerta dall’espansione, pensata per personaggi di primo livello, comincia con la necessità di recuperare quattro artefatti magici rubati a Drogan, mentore del protagonista: l’indagine scoperchierà un pericoloso piano, architettato da una maga di nome Heurodis, incentrato nella volontà di far ri-alzare in volo la città di Undrentide, dell’antica civiltà Nether, celebre proprio per le sue città sospese nell’aria. L’espansione introduce poi le nuove classi di prestigio e nuove funzionalità, tra cui la possibilità di modificare l’inventario dei compagni di viaggio. La seconda espansione esce nel 2003 e si intitola Hordes of the Underdark. La nuova campagna prende le mosse dalla fine di Shadows of Undrentide: il protagonista, ritiratosi a vivere a Waterdeep, viene di nuovo coinvolto in una epica impresa quando la città viene improvvisamente invasa da orde di drow, elfi scuri provenienti dall’Underdark, il Sottosuolo. Hordes of the Underdark implementa poi nuove classi di prestigio, alza il livello massimo al quarantesimo introducendo i livelli ‘epici’ e infine permette il reclutamento di due comprimari. La nuova avventura costituita dalle due campagne delle espansioni viene in genere indicata come molto migliore rispetto a quella presente nel gioco base: sicuramente si tratta di una vicenda più serrata e meno dispersiva, ma a nostro avviso è comunque lontana dall’essere davvero memorabile, caratterizzandosi anzi come molto rigida e tutta basata su ‘moduli’ giustapposti. Forse l’elemento più interessante dell’insieme è Deekin, personaggio arruolabile in entrambe le espansioni: si tratta di un improbabile bardo coboldo, che cerca costantemente di mettere in versi, a voce alta, qualunque cosa succeda sullo schermo, incluse le fattispecie più sciocche e triviali, con risultati spesso esilaranti. |
4. Il personaggio giocante
Neverwinter Nights implementa con notevole rigore la terza edizione del regolamento di Dungeons & Dragons, pubblicata da Wizard of the Coast nel 2000 (oggi il più famoso GdR cartaceo è arrivato alla quinta edizione, risalente al 2012). Le differenze con la seconda edizione, chiamata Advanced Dungeons & Dragons e implementata da tutti i gloriosi giochi Infinity da Baldur’s Gate in poi, sono notevoli. Giusto per fare alcuni esempi, scompare il THAC0, sostituito dal BAB (Base Attack Bonus); la Classe Armatura è indicata con una cifra che migliorando aumenta anziché diminuire; le attività secondarie sono organizzate secondo abilità e talenti; soprattutto, il giocatore può prendere liberamente livelli in qualunque classe seguendo (quasi) qualsiasi combinazione, senza essere limitato dalle regole che in precedenza governavano i personaggi multiclasse e biclasse.
Il computer richiede ovviamente di scendere a qualche compromesso e a qualche semplificazione: per esempio lo stealth mode nel regolamento cartaceo non esiste e il motore di gioco lo simula fondendo assieme le abilità hide e move silently. Però l’attenzione con cui gli autori hanno cercato di riprodurre il complesso insieme di regole del sistema di Wizard of the Coast è senz’altro commendevole e rappresenta senza dubbio uno dei motivi di successo del gioco, soprattutto tenendo conto che all’epoca non esisteva nessun altro prodotto che tentasse la medesima impresa (ci proverà l’anno successivo la Troika con Temple of Elemental Evil, ma con risultati controversi).
Ci sono un paio di passaggi del processo di creazione del personaggio che meritano di essere adeguatamente sottolineati. Anzitutto, nel determinare le caratteristiche non si è più di fronte al tiro di dadi virtuale a cui ci avevano abituato Baldur’s Gate e Icewind Dale, assai aperto ad abusi, bensì a una determinata quantità di punti da distribuire a piacimento, tenendo conto dei bonus e dei malus della razza scelta e anche del fatto che più si aumenta una caratteristica e maggiore è il numero di punti necessario per aumentarla ulteriormente. In secondo luogo, il gioco si premura di offrire al giocatore non particolarmente avvezzo al regolamento una serie di “pacchetti” di abilità e talenti pensati per un determinato stile di gioco. Certo, volendo questo tipo di giocatore può anche scegliere direttamente un personaggio preconfezionato, ma è interessante il fatto che ci sia anche questa sorta di via di mezzo: determino in autonomia il nome, la razza, la classe e le caratteristiche di base ma tutto il resto lo faccio gestire dal gioco.
Con la pubblicazione delle due espansioni ufficiali, di cui parliamo meglio in un apposito excursus, il già ricco menu presente nel gioco base viene ulteriormente arricchito. Alle classi base si aggiungono le cosiddette prestige class, ottenibili solamente a partita avanzata e se si soddisfano determinati requisiti (creare un personaggio con fin dall’inizio l’idea di farlo appartenere a una classe di prestigio diventa quasi un gioco nel gioco), e per campagne destinate a personaggi di livello molto alto vengono introdotte le epic class, versioni potenziate delle classi base e delle classi di prestigio. A questo proposito un punto importante da mettere in evidenza è il fatto che l’editor permette di creare avventure anche destinate a personaggi già di livello molto alto: in questo caso lo strumento di creazione del personaggio permetterà sia di scegliere un personaggio preconfezionato del livello adeguato sia anche di plasmare un eroe di livello 1 e di portarlo immediatamente attraverso tutti i livelli richiesti, con pieno controllo dell’operazione.
5. Il combattimento
Neverwinter Nights gestisce gli scontri violenti attraverso un sistema in tempo reale con pausa attiva. Il gioco trasforma i turni in sequenze di durata fissa, sovrapponendone gli sviluppi tra le diverse creature coinvolte. Ciascun attacco si concretizza in un tiro di dadi virtuale, che è possibile anche visualizzare nella finestra di dialogo, al quale viene aggiunto il bonus o sottratto il malus; in caso di colpo a segno, segue un successivo tiro di dado per determinare il danno. È sempre possibile mettere in pausa per dare ordini complessi e vederli poi eseguiti una volta ripartita l’azione. Il fatto che i turni virtuali abbiano sempre durata fissa dà un sapore lento e in qualche modo ‘meccanico’ ai combattimenti: soprattutto per i personaggi di livello basso, a ciascun attacco seguono lunghi secondi di ‘attesa’, un po’ inspiegabile per chi non abbia chiaro in testa il senso generale dell’operazione.
La terza edizione di Dungeons & Dragons dà un notevole peso, durante gli scontri, ai cosiddetti attacchi di opportunità. Si tratta di attacchi ‘gratuiti’ che le creature ottengono quando i loro avversari tentano azioni in qualche modo pericolose, come per esempio bere una pozione, preparare un incantesimo, tirare con un’arma a lunga gittata o anche solo riposizionarsi sul campo di battaglia. La presenza degli attacchi di opportunità, non prevista dei giochi precedenti basati su AD&D, ha conseguenze importanti dal punto di vista della gestione dei combattimenti: bere una pozione quando si è impegnati nel corpo a corpo risulta assai più problematico che in passato, e gli eroi specializzati nel lancio di incantesimi devono fare molta attenzione nel posizionarsi, onde evitare di regalare attacchi gratuiti al nemico.
Gli scontri sono accompagnati da animazioni fatte molto bene, nelle quali il tiro di dado mancato prende forme sempre adeguate e credibili: in una occasione il nostro personaggio schiverà il colpo spostandosi di lato, in un’altra abbassandosi sotto la traiettoria del fendente, in un’altra ancora parando con lo scudo. Animazioni personalizzate si accompagnano agli attacchi speciali, quelli che per esempio hanno come effetto il knockdown o il disarm. Gli incantesimi, dal canto loro, sono caratterizzati da effetti grafici per l’epoca decisamente avveniristici, e dal consueto e in qualche modo familiare catalogo di formule recitate in latinorum. I nemici sconfitti scompaiono rapidamente dal campo di battaglia: se è previsto che lascino a terra qualche oggetto, quest’ultimo prenderà le forme di un anonimo sacchetto.
Excursus: la Enhanced Edition
Le immagini a corredo di questo articolo sono tratte non dal gioco originale bensì dalla sua Enhanced Edition, realizzata da Beamdog (gli stessi autori delle ‘nuove’ edizioni di Baldur’s Gate e dei suoi epigoni) e pubblicata nel 2018. Le descrizioni promozionali di questa riedizione vantano tutta una serie di migliorie grafiche che a stento si riescono a riconoscere nel programma: se le Enhanced Edition dei Baldur’s Gate possono vantare una riscrittura dell’interfaccia e nuove funzionalità che effettivamente rendono la vita più semplice, a conti fatti quella di Neverwinter Nights è quasi indistinguibile dal gioco originale, del quale anzi trattiene tutti i problemi più fastidiosi (lo scandaloso pathfinding e la tremenda IA dei compagni di viaggio, tra i tanti). Forse i due elementi di cambiamento più vistosi sono la nuova schermata iniziale, con un bell’artwork di sfondo che copre tutto lo schermo anche alle alte risoluzioni, e la nuova ‘bolla’ ritagliata attorno al protagonista per renderlo visibile anche quando viene ‘impallato’ dal paesaggio. Un po’ poco, per una riedizione che ha fatto sparire dai negozi digitali il gioco originale costringendo i nuovi utenti a un esborso di denaro decisamente maggiore per avere un’esperienza di gioco alla fin fine identica a quella che si poteva avere nel 2002. Se non altro, la Enhanced Edition è pienamente compatibile sia con i vecchi salvataggi sia con i mod prodotti per l’originale: nelle foto qui presenti, infatti, è presente un mod che aumenta leggermente la dimensione del carattere dei dialoghi (altro problema dell’originale rimasto irrisolto). Segnaliamo che la Enhanced Edition ha avuto l’effetto di rendere il gioco sperimentabile anche su console e piattaforme mobili, tra cui i dispositivi Apple: è però necessario ricomprare il prodotto per ogni singola piattaforma. |
6. Il dialogo
Interagendo con un PnG, si aprirà in alto a sinistra la finestra di dialogo. Di fianco al ritratto del nostro interlocutore vedremo la sua battuta e sotto una classica lista di possibili risposte, ciascuna collegata a un numero. È possibile, ma qui tutto dipende ovviamente dall’autore dell’avventura, collegare alcune risposte a una specifica abilità, per esempio la persuasione, ma anche a una caratteristica: in questo modo il gioco simulerà una prova tramite tiro di dado virtuale, e il dialogo avrà esito positivo solo in caso di successo.
L’interfaccia di dialogo viene utilizzata dalle campagne ufficiali anche come strumento per la gestione di interazioni particolari con lo scenario, soprattutto in collegamento con enigmi da risolvere tramite manipolazioni. Va detto peraltro che il gioco implementa anche la possibilità di collegare a ciascun elemento interattivo una descrizione visualizzabile cliccando su una apposita icona, che rappresenta un occhio, accessibile tramite il menu radiale (utilizzandola sui nemici, la descrizione indica anche la loro pericolosità); alcune avventure realizzate da appassionati fanno un uso molto creativo delle descrizioni, richiedendone per esempio la lettura in fase di raccolta di indizi.
Di default, il motore di gioco fa partire un potente zoom sull’interlocutore quando scatta un dialogo: noi troviamo questa cosa piuttosto fastidiosa, anche perché i modelli tridimensionali delle creature non sono particolarmente belli da vedere da vicino. Fortunatamente è possibile disattivare questa funzionalità nel pannello delle opzioni. Quest’ultimo ci dà anche la possibilità di aumentare la dimensione del carattere, ma va detto che alle alte risoluzioni Neverwinter Nights ha un’interfaccia decisamente insoddisfacente, troppo piccola, mal distribuita e troppo poco personalizzabile. Purtroppo nemmeno la Enhanced Edition aiuta molto a risolvere questo problema.
7. Compagni di viaggio
Uno degli elementi più discussi di Neverwinter Nights fin dai tempi del suo sviluppo è il suo essere pensato per il controllo di un singolo personaggio. La campagna ufficiale permette di arruolare un henchman, un compagno di viaggio, ma il giocatore potrà assegnargli comandi molto basilari (seguimi, stai fermo, attacca e poco altro); peraltro, questi ordini tendono spesso a essere ignorati dall’intelligenza artificiale, come vedremo meglio più avanti. Il giocatore non avrà in ogni caso nessun controllo né sull’equipaggiamento né sulla scelta degli incantesimi o delle abilità né tanto meno sulla crescita di livello del comprimario. Bioware veniva, all’epoca, da titoli che facevano dell’approccio party-based uno dei tratti di identità più forti, quindi si può facilmente comprendere la perplessità degli appassionati di fronte alla scelta di costruire un motore di gioco tutto incentrato sull’eroe singolo. Bisogna anche tener conto, in più, del fatto che lo stesso regolamento cartaceo alla base del gioco, Dungeons & Dragons, nasce come strumento più che per la costruzione di eroi per la costruzione di gruppi di eroi, ciascuno con forze e debolezze, pensati per essere utilizzati in sinergia. Uno degli elementi di sfida più importanti dei gloriosi giochi basati sul motore Infinity era la creazione di un party ben bilanciato: un comparto completamente abbandonato in Neverwinter Nights, a scapito della stessa coerenza col regolamento. La motivazione dietro questa scelta apparentemente così bizzarra in realtà è molto chiara: questo prodotto, come abbiamo già scritto, nasce anzitutto come strumento per la creazione e la gestione di sessioni di GdR virtuale, con un master e tanti giocatori che controllano ciascuno il proprio personaggio e nient’altro. Il problema è che questo approccio mal si adatta alle esigenze del giocatore solitario, che pure rappresenta forse la modalità di fruizione principale del prodotto.
Hanno tentato parzialmente di correre ai ripari le due espansioni principali. Mentre come dicevamo nella campagna base il giocatore può arruolare un compagno e dargli solo qualche ordine essenziale, eseguito dal comprimario in autonomia, in Shadows of Undrentide viene introdotta la possibilità di accedere all’inventario del proprio compagno di viaggio, potenziandone l’equipaggiamento e indirizzandone, entro certi limiti, le scelte in combattimento. Hordes of the Underdark, dal canto suo, espande il party a tre personaggi: ma i comprimari restano sotto il controllo dell’intelligenza artificiale e possono essere indirizzati solo con ordini molto vaghi. Come si vede, sono comunque interventi di portata limitata: anche nell’avventura narrata dalla seconda espansione, il giocatore ha il pieno controllo solo ed esclusivamente del proprio personaggio.
Excursus: i moduli premium A partire dal 2004, Bioware e Atari mettono in vendita, tramite il loro negozio online, i cosiddetti moduli premium: piccole avventure vendute a poco prezzo a mo’ di DLC. I primi a essere pubblicati furono Kingmaker, Shadowguard e Witch’s Wake, questi ultimi due venduti assieme. Il più corposo è il primo, realizzato da Floodgate Entertainment (gli stessi autori di Shadows of Undrentide) e consistente in una nuova avventura di una decina di ore, con tanto di nuovi elementi grafici e nuovo parlato. Tra gli altri due, promette benissimo Witch’s Wake, avventura introspettiva chiaramente debitrice nei confronti di Planescape: Torment: ma il modulo doveva essere il primo di una lunga serie mai completata, quindi dà l’impressione di essere di fronte a una sorta di introduzione irrisolta. I primi tre moduli premium vengono pubblicati anche in una edizione fisica, proprio come una vera espansione. Nel 2005 vede la luce un nuovo modulo premium, Pirates of the Sword Coast, di cui abbiamo scritto una esaustiva recensione. Nel 2006 viene pubblicato Infinite Dungeons, modulo basato sulla generazione casuale di sotterranei da esplorare, sullo stile di Diablo. L’ultimo modulo premium regolarmente pubblicato è Wyvern Crown of Cormyr, uscito alla fine del 2006. A quel punto l’operazione si interrompe: nel 2009, per decisione di Atari, viene cancellata anche la possibilità di acquistare i moduli già pubblicati. Un modulo che doveva essere premium ma che non venne mai pubblicato, Darkness Over Daggerford, viene pubblicato dai suoi autori, gli Ossian Studios, in forme del tutto gratuite: anche di questo modulo abbiamo una recensione. |
8. La campagna ufficiale
Un altro punto controverso di Neverwinter Nights al tempo della sua pubblicazione fu la sua campagna ufficiale. È vero che vista la natura generale del prodotto questa avventura può essere vista quasi solo come un esempio di ciò che si può fare tramite l’editor: Bioware, però, era nota a quel tempo, e lo è tutt’ora, per le sue storie intricate, epiche, flessibili, caratterizzate da scelte capaci di plasmarne profondamente l’esito. La campagna ufficiale di Neverwinter Nights è, invece e inaspettatamente, piuttosto piatta e dispersiva, priva di momenti di scelta importanti e segnata da una evidente discontinuità di carattere, probabile prova della sua realizzazione da parte di mani differenti.
La vicenda prende le mosse da una terribile pestilenza, dall’origine ignota, che colpisce la città di Neverwinter: il nostro alter ego è un avventuriero che ha risposto alla chiamata da parte dell’accademia locale, intenta a radunare forze per indagare e sconfiggere il sortilegio. Il re di Neverwinter, Nasher, ha incaricato dell’organizzazione delle forze una valorosa paladina di Tyr, Aribeth de Tylmarande, che per gran parte dell’avventura sarà la più importante quest giver. La storia è suddivisa in quattro “atti”, che sono in tutto e per tutto quattro moduli differenti, che si svolgono in ambientazioni completamente separate e che hanno come unico punto di congiunzione il fatto che il protagonista viene ‘importato’ da uno all’altro. Il primo atto si svolge tutto nella città di Neverwinter e ruota attorno alla necessità di recuperare quattro creature esotiche necessarie per la creazione di una ipotetica cura per la pestilenza; il secondo atto è ambientato nella cittadina di Port Llast e nei dintorni; il terzo nell’insediamento druidico di Beorunna’s Well e nei paraggi, e infine il quarto vede il ritorno dei protagonisti nella città di Neverwinter per risolvere una volta per tutte la questione. Senza entrare troppo nei dettagli per evitare eccessivi spoiler, tocca dire che i vari atti hanno uno svolgimento estremamente lineare e anche stranamente ripetitivo: alla location centrale di partenza corrispondono sempre tre o quattro diramazioni da esplorare e ‘risolvere’ in sequenza, generalmente uccidendo tutte le creature ostili che le popolano. In certi momenti il ritmo di gioco è quasi più simile a un action che a un tradizionale GdR Bioware: va detto però che i dialoghi sono molto lunghi e corposi, anche se il più delle volte l’impressione è che si tratti di puro e semplice manierismo, dato che alla mole di testo non si accompagna altrettanta mole di profondità e di arguzia. In alcuni frangenti il gioco sembra volare più alto: nel terzo capitolo il nostro personaggio dovrà gestire un processo per determinare la pena a cui sottoporre un soldato apparentemente colpevole di aver ucciso un compagno; gli esiti del processo possono essere molto differenti in base alle mosse preparatorie, e la gestione dell’evento, nel quale il giocatore vede in tempo reale chi sta votando a favore e chi contro, è davvero curiosa e interessante. Se si escludono questi momenti circoscritti, però, la campagna risulta tanto lunga quanto scialba e inutilmente ‘diluita’ nei suoi contenuti. Ciascun obiettivo si trova al termine di quello che è alla fin fine un lungo ‘corridoio’ di combattimenti, nei quali il ritmo viene spezzato quasi solamente dallo scassinamento degli innumerevoli forzieri che inspiegabilmente punteggiano ogni ambientazione, dalle case ai dungeon alle strade cittadine.
C’è peraltro un altro elemento discutibile nelle modalità in cui è svolta la narrazione. La campagna base di Neverwinter Nights non è la storia del personaggio giocante, è la storia di Aribeth: è lei la protagonista incontrastata, con le sue passioni, la sua fede a tratti vacillante, la sua evoluzione profonda che non racconteremo per non rovinare la sorpresa a chi volesse comunque percorrerne le vicende. Mai come in questo gioco abbiamo avuto l’impressione che il nostro personaggio non fosse l’attore ma semplicemente uno spettatore: il suo compito non è mai prendere in mano la situazione e viverla, bensì eseguire degli ordini il cui effetto non si proietta mai sul presunto protagonista ma solo ed esclusivamente sui personaggi non giocanti. Certo, per molti versi Aribeth è un personaggione, un carattere memorabile e ben raccontato: ma tutte le volte che ci accostiamo alla sua storia non possiamo non pensare alla clamorosa scorciatoia presa dai programmatori per gestirne la narrazione. Un GdR story-driven ben fatto deve essere basato su architetture narrative flessibili: a rendere tale il protagonista è proprio il fatto che può lasciar traccia nella vicenda, determinandone il finale o almeno alcune parti dello sviluppo. I comprimari possono essere uno strumento prezioso nel definire la storia e le sue atmosfere, ma vanno inseriti in queste ultime in maniera da assecondarne la flessibilità, per esempio consentendo al protagonista di essere nei loro confronti ostile o amichevole. Bioware ha invece scelto la strada più semplice: ha costruito una vicenda profonda e toccante, che è tale anzitutto perché è monolitica e definita nel dettaglio, e ci ha disposto attorno degli elementi interattivi il cui unico scopo è far procedere la vicenda stessa nei suoi rigidissimi binari. Da questo punto di vista, la campagna di Neverwinter Nights è del tutto simile a quella di Diablo III. Il problema è che la giocabilità di Neverwinter Nights non è quella di un action bensì quella di un GdR lento e rigoroso, per di più tratto da un celebre regolamento cartaceo: il meccanismo ludico rema contro la struttura della storia, e viceversa.
9. Incertezze
A suo tempo, la pubblicazione di Neverwinter Nights si accompagnò a numerosi problemi. Il gioco era inizialmente viziato da una quantità davvero notevole di bug e di difetti, alcuni dei quali, sperimentati all’epoca anche da noi, impedivano di avanzare nella campagna. Con le patch la situazione è ovviamente migliorata, ma il gioco rimane ancora oggi, anche nella sua incarnazione enhanced, ben lontano dallo stato dell’arte. Il problema maggiore e più clamoroso è senza dubbio l’intelligenza artificiale che gestisce i compagni di viaggio. Come scrivevamo sopra, il giocatore può, in teoria, dare ordini molto semplici ai suoi comprimari; questi ultimi li eseguono, ma per qualche ragione li ‘dimenticano’ dopo pochi istanti, rendendo a conti fatti impossibile tenere la situazione sotto controllo. Facciamo un paio di esempi. I compagni tendono ad attaccare a testa bassa qualunque nemico entri nel loro raggio di percezione; a volte, il giocatore vorrà invece tentare un approccio furtivo o magari raggiungere una posizione favorevole e solo dopo procedere con l’attacco. Il compagno può essere ‘convinto’ a non attaccare dandogli il comando di seguire il protagonista; ma dopo pochi istanti la sua IA si ‘resetta’, col risultato che il personaggio tenterà nuovamente di gettarsi nella mischia. Altro esempio: in teoria, possiamo dire al nostro compagno di usare un’arma in corpo a corpo oppure un’arma a distanza; ma anche in questo caso l’ordine verrà seguito solo per pochi secondi, o a volte non verrà seguito proprio. Infine: alcuni comprimari sono maghi o sacerdoti; l’IA utilizza gli incantesimi nella prima occasione utile, magari contro un nemico molto debole, e non c’è alcun modo per gestire il comparto magico in un modo un minimo sensato. I giochi basati sul motore Infinity presentavano la possibilità di lasciare i comprimari nelle mani dell’IA: ma si trattava di una opzione del tutto accessoria, dato che il giocatore poteva tranquillamente controllare tutti i personaggi. Se l’utente è costretto a lasciare il compagno all’IA, quest’ultima dev’essere quanto meno accettabile. Quella di Neverwinter Nights è invece davvero pessima, tanto da rendere l’utilizzo dei compagni più un fardello che ci si porta dietro sperando in qualche dialogo brillante che non una possibilità per arricchire o facilitare la giocabilità.
La programmazione di questo gioco, peraltro, ha manchevolezze non trascurabili anche se si esce dall’ambito relativo alla gestione dei compagni di viaggio. Il pathfinding, per esempio, è davvero terribile, al livello degli strategici dei primi anni Novanta, anzi forse perfino peggiore. In diverse occasioni dovremo utilizzare i tasti WASD, per fortuna implementati in parallelo con l’interfaccia punta e clicca, semplicemente per far raggiungere una posizione al personaggio o per farlo uscire da un ‘incastro’ poco felice. Altri momenti di sconforto sono connessi a scelte di design francamente incomprensibili. Per esempio, l’atto di forzare una serratura si traduce nella necessità demenziale di ‘attaccare’ il contenitore, con tanto di animazione identica a quella implementata dal combattimento, con finte e riposizionamenti continui: al di là della ridicolaggine della situazione, questo vuol dire dover attendere ogni volta infiniti secondi, nella speranza che l’attacco vada a segno e non tocchi aspettare il round successivo.
10. Estetica
Il motore grafico di Neverwinter Nights, chiamato Aurora, venne a suo tempo molto lodato da parecchi commentatori, ed ebbe anche un utilizzo illustre al di fuori del suo franchise, nel primo The Witcher. Certo, chi ne tesseva gli elogi metteva al primo posto tra i suoi pregi la sua estrema flessibilità: ma, per chi come noi si limitava al suo utilizzo da utente finale privo di qualunque velleità creativa, l’Aurora già all’epoca sembrò tutto fuorché piacevole da vedere, e in ogni caso l’operazione ci parve un enorme passo indietro rispetto ai gloriosi giochi bidimensionali prodotti da Bioware fino a pochi anni prima. Il problema è anzitutto proprio la natura modulare dell’opera in oggetto, che ne fa apparire le ambientazioni come un susseguirsi ripetitivo e artificioso di ‘blocchi’ del tutto incapaci di evocare atmosfere caratterizzate e singolari. Tanto per essere più diretti: i blocchi “città” hanno tutti la medesima direzione artistica, quindi a conti fatti ogni città fatta con quei blocchi è identica a tutte le altre. Per quanto la narrazione ci sforzi di raccontare che adesso siamo a Neverwinter mentre dopo siamo a Luskan, alla fine l’impressione è di essere sempre a Neverwinter: a cambiare non è l’ambientazione, ma solo il modo in cui i suoi elementi sono combinati. Se questo problema può essere meno pressante nelle ambientazioni selvagge, dato che si potrebbe dire che in fondo i boschi si somigliano un po’ tutti, in quel caso spuntano altri problemi: per esempio la difficoltà estrema del sistema modulare di costruire linee curve o di gestire diversi livelli di altezza, ma anche il fatto che le mappe devono in qualche modo ‘chiudersi’ ai lati, col risultato che le ambientazioni selvagge sono circondate da improbabili muri con disegnati degli alberi, come nelle scenografie teatrali.
A questo va aggiunto il fatto che di default il gioco fa sparire completamente gli elementi che nascondono il personaggio, sostituendoli con orribili blocchi neri: data la frequenza con cui si è circondati da elementi tridimensionali, si passa una buona metà del tempo di gioco, se non di più, con lo schermo quasi completamente nero, e per di più con spiacevoli artefatti collegati alla presenza, nelle zone ancora da esplorare, di qualche effetto di luce. Per fortuna il programma permette di disattivare la scomparsa dei moduli di disturbo, e per ulteriore fortuna la Enhanced Edition gestisce un po’ meglio la situazione facendo apparire attorno all’eroe un alone trasparente ogni volta che un elemento potrebbe nasconderlo alla vista.
Un altro elemento discutibile, ma qui si va più sul gusto personale, è il sapore più futuristico che fantasy conferito ai vari elementi dell’interfaccia, tutti trasparenti e dominati da barre luminescenti di colore blu. Esistono diversi mod che possono essere utilizzati per dare all’interfaccia un ‘gusto’ più coerente con l’ambientazione. Nulla invece è in grado di risolvere un’altra incomprensibile mancanza: le finestre secondarie, come quelle relative all’inventario o alle caratteristiche del personaggio, non sono a tutto schermo e possono anche essere aperte in più di una istanza per volta, ma per qualche motivo non possono essere ridimensionate né spostate. Per essere un gioco tutto basato sulla creatività e sulla modularità, Neverwinter Nights mostra diversi lati inspiegabilmente monolitici.
11. Conclusioni
Questa recensione, come abbiamo già ampiamente spiegato in apertura, è decisamente incompleta, perché non tocca minimamente il comparto multigiocatore, che doveva essere il fiore all’occhiello del progetto Neverwinter Nights. Questo però non significa che le nostre ore passate in compagnia di questo gioco siano state poche: anche solo giocando l’intera campagna del gioco base, quella delle due espansioni, i moduli premium e i più famosi moduli amatoriali, abbiamo accumulato centinaia e centinaia di ore. Molto probabilmente abbiamo comunque ‘mancato’ la parte migliore del progetto, ossia la sua volontà di riprodurre virtualmente le sedute di GdR cartaceo: questo ci dispiace, soprattutto perché i contenuti da noi percorsi ci hanno sempre lasciato con qualche insoddisfazione. Le campagne ufficiali non sono particolarmente riuscite, i moduli premium sono talvolta interessanti ma restano dei brevi divertissement, e i moduli amatoriali mancano quasi tutti, com’è ovvio, del livello di pulizia che caratterizza i prodotti professionali. Al di là dei contenuti, peraltro, è il sistema stesso a lasciarci in balia della perplessità: per la grafica anonima e imperfetta, per l’IA scandalosa, per l’interfaccia così poco personalizzabile, per i bug ancora irrisolti a quasi vent’anni dall’uscita. Intendiamoci, in più di una circostanza il tocco di Bioware si sente, sia a livello di contenuti sia a livello di programmazione: nel primo caso per esempio attraverso i modi in cui è cesellato il carattere di Aribeth, nel secondo attraverso l’implementazione perfetta e ottimamente fruibile del sistema di combattimento della versione 3.5 del regolamento di Dungeons & Dragons.
Gli anni successivi saranno di grande successo per gli sviluppatori canadesi: nel 2003 vedrà la luce Star Wars: Knights of the Old Republic, un trionfo di critica e pubblico, nel 2005 Jade Empire, vero gioiellino stranamente mai più ripreso, nel 2007 Mass Effect, primo capitolo di una trilogia considerata un caposaldo nella storia dei GdR occidentali. Nessuno di questi giochi ha la carica rivoluzionaria e sperimentale di Neverwinter Nights, ma tutti sono assai più puliti e ‘centrati’ a livello di contenuti per giocatore singolo, anche perché la modalità singleplayer è l’unica che essi consentono. Bioware tenterà ancora la strada del prodotto incentrato sul gioco online, con alterni successi ma mai con il piglio innovatore e pionieristico che caratterizza il gioco oggetto di questa recensione: ultimamente peraltro la casa di sviluppo è parte di EA e ha al suo interno ben pochi designer presenti nei primi anni duemila.
Retrospettivamente, dunque, Neverwinter Nights rappresenta un momento di ricerca e sperimentazione importante nella storia del nostro hobby. Cogliere oggi il sentimento collettivo dell’epoca non è semplice, e prescindendo da esso, sulla base di una analisi puramente ‘tecnica’, il gioco probabilmente risulterebbe meritevole di una sufficienza risicata. Ma mai come in questo caso il contesto storico è fondamentale. Con questo prodotto, gli autori all’epoca più famosi e amati di GdR digitali tentarono l’impossibile impresa di rendere l’interpretazione digitale un tutt’uno con quella ‘reale’: e ci provarono rischiando perfino di scontentare il grosso della loro platea, cioè i giocatori solitari. Per molti versi, Neverwinter Nights fu un azzardo; e per molti versi fu anche un’operazione sostanzialmente fallita, visto che non inaugurò certo un nuovo modo per intendere e vivere il Gdr su PC, come si proponeva di fare. Ma nel tempo lento e lungo della Storia, i fallimenti possono essere anche più importanti dei successi.
Tre pregi di Neverwinter Nights | Tre difetti di Neverwinter Nights |
Ardito e sperimentale | Incerto e buggato |
Le campagne ufficiali vantano qualche personaggio interessante | Sistema grafico povero e artificioso |
Ottima trasposizione digitale del regolamento cartaceo di riferimento | Campagne rigide e dispersive |