La grandiosa space opera di Bioware è giunta alla fine, con un terzo capitolo che conferma tutte le ottime caratteristiche del predecessore e che offre contenuti complessi e controversi, peraltro non sempre ‘risolti’ con agilità dagli autori.
[articolo originariamente pubblicato il 6 settembre 2012]
1. Verso l’infinito e oltre
La casa di sviluppo canadese Bioware è senza ombra di dubbio da annoverare tra i fuoriclasse del GdR digitale: fin dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso, i suoi prodotti hanno costituito il termine di paragone principale nel sotto-genere dei giochi di ruolo story-driven, ossia caratterizzati dalla scelta morale quale ossatura della narrazione e quindi, indirettamente, di tanta parte della giocabilità. L’arco di sviluppo della storia di questa casa è abbastanza ampio da abbracciare periodi molto diversi, soprattutto se teniamo conto della velocità con cui cambia il mondo dell’intrattenimento digitale: nel corso degli anni Bioware, passata dall’essere gruppo autonomo a membro di quel colosso di nome Elecronic Arts, ha dato vita a giochi complessi e dal regolamento arzigogolato come la serie di Baldur’s Gate per poi approdare, di recente, a prodotti di facile accesso e dall’alta impronta cinematografica, come la serie fantascientifica di cui torniamo a parlare in questo articolo. Nonostante le enormi differenze estetiche e strutturali, però, qualcosa accomuna Baldur’s Gate II a Dragon Age, a Jade Empire e infine a Mass Effect: la costruzione, appunto, di una giocabilità che, pur essendo pienamente auto-sussistente (condizione necessaria perché un gioco possa essere definito tale), è interamente piegata ai ritmi della trama e trova la sua sublimazione nelle possibilità interpretative offerte da quest’ultima.
Dedicare ampio peso alla narrazione ha indubbi vantaggi: non solo permette di ‘controllare’ maggiormente le azioni dell’utente, evitando alla radice le inconsistenze tipiche dei giochi che lasciano a quest’ultimo completa libertà di movimento, ma consente anche di catturare il fruitore attraverso il meccanismo universale del pathos. Nulla può eguagliare le sensazioni trasmesse da una storia ben raccontata. La vita stessa, nelle sue pieghe più drammatiche, deve farsi romanzo per catturare l’attenzione di un pubblico vasto e influenzarne idee e comportamenti: lo sapevano bene già i filosofi greci, dalla Sofistica in avanti, e lo sanno altrettanto bene alcuni tra i maggiori scrittori contemporanei, che usano come substrato per la propria materia letteraria eventi reali e che manifestano la propria abilità conferendo loro appetibilità estetica contro ogni possibile previsione (basti pensare a Roberto Saviano).
Se nell’ambito del GdR digitale si sceglie la via della narrazione, però, bisogna possedere come minimo un requisito: saper padroneggiare l’arte della narrazione. Sembra un’affermazione tautologica, ma non lo è nel momento in cui consideriamo che l’intrattenimento videoludico è un prodotto anzitutto ingegneristico, che richiede competenze di tipo logico-matematico più che di tipo estetico-immaginifico. Un videogioco non può essere scritto da uno scrittore in senso stretto: non posso mettermi di fronte a una pagina bianca e dar libero sfogo al mio talento, devo lavorare con una squadra che ha come obiettivo principale, ricordiamolo sempre, la costruzione di una esperienza ludica soddisfacente. Il progressivo approfondimento delle tematiche narrate nei videogiochi ha fatto sì che oggi i grandi capolavori siano spesso caratterizzati da uno spessore impensabile fino a pochi anni fa, sia dal punto di vista dei semplici contenuti, sia dal punto di vista delle tecniche narrative utilizzate. In quest’ambito Mass Effect 3 rappresenta, forse, il culmine di un percorso: pensiamo di poter dire che forse mai un videogioco ha ‘osato’ tanto in termini di riflessione filosofica, psicologica, antropologica, sociologica, financo semiologica. Ma, posto che secondo noi il videogioco non è il medium più adatto per riflessioni complesse, qual è stato il risultato di tutta questa ambizione? Possiamo ritenerci soddisfatti, o siamo di fronte alla prova che certe tematiche vanno tenute lontane dai programmatori informatici?
2. Caccia e raccolta
Abbiamo già raccontato nel dettaglio le premesse narrative della saga di Mass Effect nella recensione del secondo capitolo, a cui rimandiamo. Potendo ora dare alla serie uno sguardo di insieme, notiamo come ciascun episodio sia segnato da un nemico principale, dietro cui però si cela sempre il nemico ‘vero’, che diventa infine la vera minaccia da sventare nel capitolo conclusivo. Nel primo Mass Effect, i ‘cattivi’ sono rappresentati in larga misura dai geth, esseri meccanici creati dagli alieni quarian e poi sfuggiti al loro controllo; ma il loro leader, Saren, altri non è che una pedina nelle mani di Sovereign, membro della oscura specie dei reaper. In Mass Effect 2, la minaccia da sventare è rappresentata dai collector, semi-sconosciuta specie aliena che devasta le colonie umane più periferiche; ma durante il gioco si scopre che i collector sono una progenie corrotta dei prothean, avanzatissima specie aliena estinta millenni fa a causa dei soliti reaper. Nel capitolo conclusivo, è tempo finalmente di affrontare a viso aperto i reaper: anche se i leader del Concilio, l’organo di rappresentanza delle specie più potenti della galassia, rifiutano fino all’ultimo di credere alla loro esistenza, il loro scetticismo deve arrendersi di fronte all’improvvisa comparsa dei “distruttori” in innumerevoli pianeti, con conseguente devastazione, in alcuni casi vera e propria estinzione, di intere specie e di interi ecosistemi.
Qual è lo scopo della distruzione portata dai reaper, che sono esseri in parte biologici e in parte meccanici? La domanda trova una risposta più o meno soddisfacente solo verso le ultime battute: fin dall’inizio del terzo capitolo, invece, si sa che periodicamente, ogni 50000 anni, i reaper spuntano dal loro nascondiglio ai margini della galassia e iniziano il cosiddetto harvesting, che altro non è se non la meticolosa distruzione di ogni essere senziente nel cosmo. L’harvesting inizia appunto con i primi minuti di Mass Effect 3, che mostrano l’arrivo dei reaper sulla Terra, attraverso scene dalla carica drammatica fin da subito molto forte: gli eventi dei primi due capitoli si configurano allora come una sorta di ‘preparazione’ all’invasione, messa in atto da parte di alcuni reaper d’avanguardia.
Gli harvesting precedenti si sono sempre risolti con la vittoria schiacciante dei reaper. Sembra che nulla sia nemmeno lontanamente in grado di fermare la loro incredibile potenza, sia a livello di tecnologia bellica sia a livello di puro numero: le civiltà galattiche più avanzate del passato, prima tra tutte quella dei prothean, dovettero alzare bandiera bianca, e limitarsi a cercare di lasciare ai posteri qualche informazione per aiutarli quando sarebbe giunto il momento della loro battaglia. È proprio in queste informazioni che le civiltà galattiche del ‘presente’ trovano un barlume di speranza: pare infatti che esista un’arma in grado di sconfiggere i reaper. Quest’arma, chiamata Crucible, è del tutto ignota nell’aspetto, nel funzionamento e anche negli effetti: si sa, però, che in passato si cercò di costruirla, senza mai riuscirci prima che partisse l’harvesting.
È da queste premesse che parte l’ultima avventura del protagonista della saga, il capitano Shepard. La sua missione si svolge su due binari paralleli: unire tutte le civiltà della galassia contro i reaper, sanando conflitti spesso vecchi di secoli, e raccogliere quante più informazioni possibili sul Crucible. Ad aggiungere problema a problema, c’è il fatto che gran parte dell’intelligence su questa strana arma è in possesso di Cerberus, potente organizzazione terroristica di cui Shepard è stato in passato, suo malgrado, una pedina (fu Cerberus a ‘resuscitare’ il comandante dopo il primo, letale scontro con i collector all’inizio di Mass Effect 2, innestando nel suo corpo alcune componenti cibernetiche). Tutti pronostici sembrano a favore dei reaper: la battaglia di Shepard e delle civiltà galattiche appare del tutto simile agli ultimi vani colpi di coda di una vittima già in procinto di essere sacrificata. Ma è proprio quando tutto sembra perduto che val la pena lottare.
3. Giocabilità essenziale
La struttura essenziale di Mass Effect 3 è del tutto simile a quella del secondo capitolo: se tra primo e secondo episodio vi sono stati cambiamenti di peso, tra secondo e terzo possiamo dire che sono stati fatti dei semplici ritocchi ad aspetti secondari. Anche qui, quindi, il comandante Shepard, che può essere uomo o donna a seconda della scelta effettuata dal giocatore in fase di creazione del personaggio, può spostarsi nella galassia a bordo della sua astronave Normandy (anche questa rimasta identica a quella vista nel secondo capitolo) e imbattersi in missioni principali e secondarie, che si concretizzano nella necessità di visitare un qualche pianeta e di percorrere un ‘corridoio’ abilmente dissimulato sulla superficie del medesimo, devastando nel frattempo con le sue armi e i suoi poteri biotici orde di nemici di vario tipo (principalmente reaper e soldati di Cerberus).
Le missioni principali, ossia quelle la cui risoluzione comporta l’avanzamento della trama, sono immediatamente riconoscibili grazie all’etichetta priority che viene visualizzata nel diario: in alcuni casi ne avremo a disposizione più di una contemporaneamente, ma il più delle volte si renderanno disponibili in sequenza, quindi la strategia più sensata sarà risolvere tutte le missioni secondarie aperte (e risolvibili) e solo poi passare a quella principale. Alcune missioni facoltative hanno ampio respiro e possono essere paragonate a quelle legate alla trama; altre si esauriscono nella semplice raccolta di qualche oggetto da qualche pianeta e nella sua consegna a un personaggio e risultano, nel loro minimalismo, del tutto inutili e anzi forse perfino dannose dato che interrompono la tensione drammatica senza offrire alcun reale contraccambio.
Anche in Mass Effect 3 le aree legate alle missioni possono essere visitate solamente per completare la missione relativa, e diventano inaccessibili al termine della medesima. L’unico ambiente che resta costantemente ‘aperto’ è, oltre ovviamente all’astronave Normandy, la Cittadella, ossia la base spaziale che funge da ‘capoluogo’ della galassia. Anche nella Cittadella, in realtà, gli spazi realmente percorribili sono minimi: ma sono senz’altro di più ampia fattura rispetto a quel che accadeva in Mass Effect 2, dove le ‘basi’ pacifiche accessibili in ogni momento erano però più numerose e dislocate in vari settori della galassia.
Oltre al protagonista Shepard, il giocatore può controllare, durante ogni missione, due suoi compagni di viaggio, scelti nel selezionatissimo equipaggio della Normandy. I comprimari, di cui parliamo diffusamente in un apposito excursus, agiscono autonomamente, ma l’utente può, se lo ritiene, dar loro ordini essenziali durante gli scontri. Neanche il sistema di sviluppo del personaggio ha subito trasformazioni drastiche: a ogni passaggio di livello, i personaggi giocanti ottengono punti abilità da spendere per migliorare le proprie capacità in combattimento o la propria resistenza passiva. Una novità degna di nota è il fatto che alcune abilità hanno uno sviluppo che si ‘biforca’, rendendo necessario scegliere secondo che direzione portare avanti il loro miglioramento. Va segnalato, inoltre, il fatto che sono del tutto scomparse le abilità dedicate all’oratoria: la capacità di persuasione e di intimidazione di Shepard, che possono far virare la sua personalità da paragon a renegade e viceversa, si basa unicamente sulle scelte fatte in fase di dialogo. Anche l’interfaccia è rimasta praticamente identica al passaggio dal secondo al terzo capitolo, con qualche variazione trascurabile solo nelle schermate relative alla selezione e al miglioramento delle armi e delle armature.
4. Alla guerra
Anche il combattimento è rimasto molto simile a quanto visto in Mass Effect 2: da questo punto di vista la serie di Bioware è assimilabile ai classici sparatutto tattici in stile Gears of Wars, con scontri basati principalmente sulle armi da fuoco e caratterizzati dalla notevole importanza conferita alle coperture e all’uso attento dei ‘poteri’. Se nel primo capitolo il comparto bellico soffriva per una complessità incapace di tradursi in autentico spessore e anzi spesso fonte di confusione e inconsistenza, a partire dal secondo episodio Bioware si è saggiamente incanalata su meccaniche più classiche e forse più inverosimili ma assai più efficaci dal punto di vista ludico. Quindi anche in Mass Effect 3, ad esempio, la salute si ricarica completamente nell’arco di pochi istanti quando si è al sicuro dal fuoco nemico: e i cosiddetti medipack servono solo a ‘resuscitare’ i compagni sconfitti, che peraltro si rialzano autonomamente in piena salute al termine dello scontro.
Certo, qualche novità in quest’ambito è comunque presente, e va vista soprattutto come tentativo di conferire agli scontri una varietà maggiore. Se in Mass Effect 2 ogni combattimento aveva uno svolgimento abbastanza simile e solo l’incontro con i ‘boss’ richiedeva qualche strategia particolare, in Mass Effect 3 abbondano le occasioni in cui la nostra squadra viene sorpresa alle spalle o attaccata da nemici dotati di abilità speciali, come l’invisibilità, il teletrasporto o la capacità di lanciare fumogeni che annebbiano completamente la vista. Sarà allora necessario agire con notevole prontezza di riflessi, in alcuni casi ritirandosi e cercando costantemente una posizione adeguata alla circostanza; talvolta ci troveremo nostro malgrado costretti a combattere in corpo a corpo, e il gioco ci mette opportunamente di fronte a diverse nuove opzioni anche in questo comparto. Rimane la necessità di controllare lo stato delle munizioni (che non esistevano nel primo capitolo): ma ciascun scenario è talmente colmo di depositi di proiettili da rendere la faccenda abbastanza trascurabile. Rappresenta invece un’altra novità il fatto che le armi hanno un ‘peso’ che, se raggiunge livelli critici, comporta la diminuzione della velocità di ricarica dei poteri: i personaggi che puntano molto su questi ultimi dovranno, dunque, viaggiare con un armamento più leggero. Complessivamente, gli scontri di Mass Effect 3 rimangono tutto sommato ‘tranquilli’ e, complice anche l’esistenza della classica ‘pausa attiva’, perfettamente gestibili anche da chi non è interessato alla componente agonistica: chi, viceversa, non concepisce videogioco senza “sfida”, potrà alzare il livello di difficoltà e soffrire con gioia.
Qualche preoccupazione aveva destato, in fase di sviluppo, l’annuncio che il gioco avrebbe implementato tre diverse modalità: la modalità azione, la modalità storia e la modalità rpg. La terza è quella normale, che ogni giocatore ‘sano’ dovrebbe scegliere e che offre una esperienza di gioco del tutto simile a quella vista nei capitoli precedenti; la prima automatizza i dialoghi così che il giocatore possa concentrarsi sui combattimenti, la seconda automatizza i combattimenti così che il giocatore possa concentrarsi sui dialoghi. I timori non hanno ragion d’essere, dato che, come risulta già chiaro da quanto detto finora, la modalità ‘normale’ non subisce alcun contraccolpo dall’esistenza delle altre due. E se queste ultime sono servite a venire incontro a qualche richiesta da parte della comunità, sono benvenute.
5. Dialogo
La serie di Mass Effect è nota e celebrata per lo spessore e la virtuosistica sceneggiatura dei suoi dialoghi interattivi, e il terzo capitolo non fa eccezione. Le conversazioni che Shepard ha con i suoi compagni di viaggio, i suoi alleati e talvolta anche i suoi nemici sono intense e commoventi e non hanno nulla da invidiare a quelle presenti nei capolavori della cinematografia sci-fi: quel che colpisce, soprattutto, è la capacità degli autori di fondere alle perfezione l’interattività con il realismo di espressioni e movimenti, che non subiscono mai artificiosi ‘stacchi’ nemmeno quando è richiesto l’inevitabile stand-by necessario per lasciare al fruitore il tempo di scegliere la sua risposta. Questo risultato, che pensiamo di poter dire sia per il momento appannaggio esclusivo di Bioware, è raggiunto attraverso tecniche, appunto, squisitamente cinematografiche: prima tra tutte l’implementazione di una vera e propria telecamera mossa da una sorta di “operatore virtuale”, che passa in maniera del tutto naturale da primi piani a campi lunghi a seconda delle esigenze del momento. Dimentichiamoci, dunque, quella fissità tipica dei GdR tradizionali, dove i due dialoganti rimangono semplicemente in piedi uno di fronte all’altro limitandosi magari a qualche gesto con le mani: in Mass Effect ogni scambio verbale è accompagnato da altrettanto significativi scambi prossemici, che contribuiscono spesso a costruire la salienza dei momenti ben più di quanto facciano le parole.
A gestire i dialoghi ritroviamo la classica ‘ruota’, che Bioware trova talmente funzionale da averla esportata anche verso la serie Dragon Age. In genere troveremo le risposte che approfondiscono sulla sinistra, quelle che portano il dialogo alla conclusione sulla destra; tra queste ultime, troveremo in alto le risposte paragon, cioè educate e altruistiche, e in basso le risposte renegade, cioè scortesi ed egoistiche. Se una risposta è colorata di blu o di rosso, significa che per accedervi occorre avere accumulato sufficienti punti paragon o renegade, attraverso risposte coerenti nei dialoghi precedenti. Anche se dal punto di vista puramente ludico la scelta più ovvia sarebbe appunto rimanere coerenti, non sarà sempre facile: a seconda del tipo di eroe che avremo in mente, ci troveremo a dover scegliere risposte ora paragon ora renegade, anche perché le circostanze messeci di fronte dal gioco sono talmente ‘enormi’ da richiedere comportamenti estremi, che probabilmente mai accetteremmo in condizioni ‘normali’.
Oltre ai punti paragon e renegade, il gioco implementa un terzo valore inedito, la reputazione, anche questo capace di sbloccare risposte ulteriori nelle conversazioni più importanti. La reputazione aumenta semplicemente completando missioni o anche intervenendo in dialoghi estemporanei nella Cittadella o nella Normandy: la sua presenza, complessivamente, non sembra in grado di influenza il gioco in maniera significativa.
6. La solita, noiosa questione
Il fluire dinamico e realistico dei dialoghi può dare l’impressione che le scelte compiute dal giocatore non abbiano alcuna conseguenza se non modificare le statistiche che registrano lo stato di paragon e renegade di Shepard. Niente di più sbagliato: rigiocando la serie più volte, o anche semplicemente consultando le guide ufficiali o le innumerevoli guide disponibili in rete, ci si rende conto di quante risposte e di quante scelte vengano memorizzate dal gioco e utilizzate per determinare lo svolgersi degli eventi futuri, anche al passaggio da un episodio al successivo.
Questo aspetto ci dà l’occasione per affrontare, con lo sguardo di insieme che la fine della serie consente, l’annoso problema di quanto Mass Effect sia vero gioco di ruolo. Molti appassionati affermano che non lo è per niente: ma questa obiezione viene sollevata dai puristi per quasi ogni prodotto presente sul mercato, e la cosa quindi non dovrebbe stupire. Stupisce di più, al contrario, quando questa ‘scuola di pensiero’ viene fatta propria dalla critica professionale. La compianta rivista Giochi per il Mio Computer, con la quale il sottoscritto ha più volte collaborato, etichetta come GdR solamente il primo episodio della serie; il secondo viene etichettato come GdR action (in pratica sarebbe assimilabile a un gioco come Diablo) mentre il terzo viene addirittura etichettato come “avventura/azione”. Come mai? La spiegazione addotta in genere da chi si oppone all’inserimento di Mass Effect tra i giochi di ruolo ruota, solitamente, attorno a particolari di carattere formale: per esempio, si concentra l’attenzione sul fatto che tra primo e secondo episodio è scomparso l’inventario, e si è progressivamente semplificato il processo di personalizzazione delle abilità del personaggio (nel primo capitolo, tra le altre cose, si poteva scegliere il grado di capacità nell’utilizzo di ogni singola tipologia di armi).
Tutto sta, naturalmente, nel mettersi d’accordo su che cos’è un gioco di ruolo: ma sappiamo bene che quando parte questo dibattito di solito non si arriva da nessuna parte, dato che le idee degli appassionati sono le più varie e le più incoerenti. Quello su cui vorremmo puntare l’attenzione in questa sede è il fatto che, curiosamente, l’argomento della scelta-conseguenza non viene mai tirato in ballo quando si tratta di decidere che tipo di gioco è Mass Effect, mentre al contrario è sempre l’argomento principale quando si tratta di definire l’identità di altri titoli. Si prenda in considerazione il caso della serie The Witcher: nel primo capitolo ogni scelta ‘pesante’ viene sottolineata dal gioco stesso con tanto di flash-back al momento in cui si presenta la sua conseguenza, e nel secondo capitolo una scelta decisiva può cambiare quasi del tutto lo svolgimento di gran parte della trama. Ebbene, la serie di Mass Effect non è per nulla inferiore alla serie The Witcher da questo punto di vista, anzi forse le è perfino superiore (la macro-scelta di The Witcher 2, secondo noi, non è una vera scelta: ne parliamo diffusamente nelle recensioni della serie): sicuramente le è superiore se consideriamo il peso delle scelte tra un capitolo e l’altro, che è praticamente assente nella serie The Witcher mentre è incredibilmente sviluppato nella serie Mass Effect. Diamo alcuni numeri per dare più sostanza alla nostra presa di posizione: la lettura della guida ufficiale di Mass Effect 3 rivela che ci sono almeno una ventina di episodi del gioco che possono essere influenzati pesantemente dalle scelte compiute nei capitoli precedenti. Ci stiamo riferendo a cambiamenti sostanziali, quali la presenza o meno di un personaggio importante (con conseguenti dialoghi che potremo o non potremo effettuare), la possibilità o meno di effettuare una scelta decisiva per le sorti della galassia, la possibilità di ottenere la ricompensa migliore, in termini di sostanza e soprattutto di morale, al termine di complesse missioni.
In altri termini: se il GdR, come sembra di poter intuire dalle affermazioni fatte da tanti appassionati, è anzitutto “scelta e conseguenza” (affermazione, si badi, con cui noi concordiamo solo in parte), non solo la serie di Mass Effect è un GdR, ma è uno dei *migliori* GdR attualmente sulla piazza. E questo al di là di tutte le trascurabili considerazioni di carattere puramente formale. Se la schizofrenia degli appassionati può agevolmente trovare spiegazione nei loro radicati pregiudizi (Bioware è il colosso cattivo, CdProjekt, autori di The Witcher, è il gruppo indipendente che lotta contro i colossi cattivi), più complicato diventa spiegare i tentennamenti della critica professionale. Ci viene da pensare, ma si tratta solamente di uno spunto di riflessione, di essere di fronte a una prova da manuale della potenza del marketing: se la promozione di The Witcher era anzitutto basata sull’idea che si trattasse di un GdR ‘vero’ che punta tutto sulla “scelta-conseguenza”, quella di Mass Effect puntava di più sulla spettacolarità dei combattimenti e sulla suggestione dell’ambientazione. Col risultato che, in Mass Effect, risulta più difficile ‘vedere’ la componente interpretativa, che non solo è presente ma rappresenta, per noi e non solo per noi, la punta di diamante del prodotto.
7. Stelle e pianeti
Il punto più debole della saga di Mass Effect può essere forse individuato nella modalità di rappresentazione dell’esplorazione della galassia tra una missione e l’altra. Nel primo episodio, molti pianeti potevano essere esplorati con un veicolo chiamato mako, ma le sezioni risultanti erano noiose e improduttive, oltre che talvolta incoerenti con il background del gioco. Nel secondo episodio, ciascun pianeta poteva essere ‘scansionato’ alla ricerca di segnali o di risorse da utilizzare poi per il miglioramento di armi e armature: ma anche in questo caso la procedura era noiosa e ripetitiva.
Il terzo capitolo rimuove del tutto anche lo scansionamento, o meglio lo trasferisce dal singolo pianeta all’intero sistema stellare: muovendo la Normandy al suo interno è possibile, cliccando col tasto destro, inviare un segnale che controlla l’esistenza di eventuali risorse o altri elementi di interesse. A quel punto, accedendo alla schermata di descrizione del pianeta, è possibile attivare la vecchia procedura di scansionamento e rinvenire la posizione dell’elemento di interesse. A volte, è possibile rinvenire risorse (carburante per lo spostamento da un sistema all’altro nell’ambito dello stesso ammasso stellare) anche nel bel mezzo dello spazio ‘vuoto’: una percentuale, in ogni caso, ci avvisa dell’esistenza o meno di altri elementi di interesse in un certo sistema. A rendere più complicata la faccenda, c’è il fatto che il segnale inviato dalla Normandy per scansionare può attirare l’attenzione dei reaper che stanno invadendo la galassia. Una barra a riempimento progressivo ci informa dello stato di allerta dei reaper: in genere al terzo tentativo di scansione la Normandy verrà individuata, e di conseguenza appariranno alcuni reaper nella mappa del sistema stellare. I nemici si dirigeranno verso la Normandy, a velocità rapidamente crescente: l’unica cosa che potremo fare a quel punto sarà scappare dal sistema, dato che se l’astronave verrà raggiunta la partita verrà considerata automaticamente persa.
Lo stato di allerta dei reaper nei sistemi stellari viene resettato al termine di ogni missione di un certo peso. Sulla base della stessa tempistica, compaiono anche nuove opzioni di conversazione con i nostri compagni di viaggio, e a volte nuove missioni nella Cittadella. In conseguenza di questo, la giocabilità si assesterà presto sulla base di una sequenza di azioni ben precisa: missione, giro per la Normandy per attivare le nuove conversazioni, esplorazione della galassia con eventuale ritorno verso sistemi stellari non ancora scandagliati al cento per cento, visita della Cittadella per cercare nuovi incarichi o accedere ai mercanti (con i quali peraltro è possibile comunicare anche dalla Normandy, ma pagando un sovrapprezzo), nuova missione e così via. Pur contribuendo a variare la giocabilità, questo ordine di azioni acquista presto un sapore quasi ‘burocratico’. In una nuova serie ambientata nello stesso universo, che possiamo dare per certa, Bioware dovrà impegnarsi a rendere l’esperienza meno frammentata e a dare finalmente un senso compiuto all’esplorazione dei pianeti secondari; se non ne è capace, a nostro avviso è meglio rimuovere del tutto questi comparti.
Excursus: i compagni di viaggio La squadra che accompagna Shepard durante la sua ultima avventura è composta da vecchie conoscenze ma anche da alcune facce nuove. I comprimari sono meno numerosi che in Mass Effect 2 e hanno anche un peso minore nella trama (quella del secondo episodio era, all’atto pratico, quasi tutta ruotante attorno ai compagni), ma rimangono un pilastro del gioco, sia in termini di contenuti sia in termini di puro pathos. Va sottolineato che in Mass Effect 3 il loro comportamento è più dinamico che nei titoli precedenti: quando non accompagnano Shepard in missione, li possiamo incontrare in posti diversi della Normandy o della Cittadella, impegnati nelle attività più disparate, nelle quali spesso Shepard stesso può essere coinvolto. Nota: diversi personaggi possono morire nelle vicende narrate nei primi due capitoli; se importiamo un salvataggio in cui sono morti, naturalmente non saranno presenti. Il primo Mass Effect consente di salvare solo uno tra Ashley e Kaidan; se non viene importato alcun salvataggio, il gioco dà la possibilità al giocatore di scegliere, a inizio partita, quale dei due personaggi si è salvato. |
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Già compagna di viaggio di Shepard nel primo episodio e semplice comparsa nel secondo, Ashley Williams è una valorosa soldatessa dell’Alleanza umana. Se nell’originale Mass Effect il suo carattere era piuttosto rigido e non alieno da tendenze razziste e xenofobe, nel terzo episodio sembra più rilassata, anche se resta per lungo tempo sospettosa del passato di Shepard con Cerberus. La voce di Ashley è della doppiatrice statunitense Kimberly Brooks. |
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Già compagno di viaggio di Shepard nel primo episodio e semplice comparsa nel secondo, Kaidan Alenko è un biotico al servizio dell’Alleanza umana. Potenziato con innesti cibernetici dagli effetti collaterali talvolta spiacevoli, Kaidan soffre di frequenti emicranie; forse come conseguenza di ciò, mostra un carattere delicato e sensibile. Kaidan è doppiato dall’attore statunitense Raphael Sbarge. |
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Già compagno di viaggio di Shepard nel primo episodio e protagonista del DLC Lair of the Shadow Broker nel secondo episodio, Liara T’Soni è un alieno asari specializzato nei poteri biotici e nelle operazioni di intelligence, oltre che gran conoscitore degli estinti prothean. Nonostante il suo ruolo e il suo potere, Liara è estremamente razionale e conscia dei suoi limiti, e mostra sempre quella capacità di mettere gli eventi nella giusta prospettiva che è tipica della sua specie, caratterizzata da una durata della vita molto estesa. La voce di Liara è dell’attrice statunitense Ali Hillis, mentre il suo volto è stato modellato sulle fattezze di quello dell’attrice Jillian Murray. |
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Già compagno di viaggio di Shepard in tutti i precedenti episodi della serie, Garrus Vakarian è un alieno turian che mostra il suo valore, com’è tipico della sua specie, soprattutto in combattimento. Nel corso dei tre capitoli della saga, il carattere di Garrus subisce una profonda evoluzione, toccando propositi di sterile violenza e superandoli, o approfondendoli, sulla base del comportamento del protagonista. La voce di Garrus è dell’attore statunitense Brandon Keener. |
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James Vega è un nuovo compagno di viaggio introdotto in Mass Effect 3: si tratta di un soldato dell’Alleanza, tanto valoroso in combattimento quanto ingenuo e impreparato nelle grandi questioni di politica interstellare. Talvolta impulsivo e irruente, James è protagonista di scene spesso impagabili con altri membri dell’equipaggio (in particolare con Cortez, il pilota del modulo spaziale che trasporta Shepard dalla Normandy ai vari pianeti). La voce di James è dell’attore statunitense di origine ispanica Freddie Prinze Jr. |
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Già compagna di viaggio di Shepard in tutti i precedenti episodi della serie, Tali’Zorah è un’aliena quarian specializzata nella meccanica e nella robotica. Il debole sistema immunitario dei quarian impone loro di restare sempre coperti da tute e caschi isolanti: questo ha alimentato sospetti sul loro vero aspetto e sulla loro vera natura… ma possiamo anticipare che, se si avverano determinate circostanze, il giocatore può finalmente vedere il volto di Tali nel corso di Mass Effect 3 (anche se solo indirettamente). La voce di Tali è dell’attrice statunitense Liz Sroka. |
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EDI è una Intelligenza Virtuale creata da Cerberus per assistere Shepard nella gestione della nuova Normandy costruita all’inizio delle vicende narrate in Mass Effect 2. Nelle prime battute di Mass Effect 3, EDI, che nel frattempo ha ‘tradito’ Cerberus per continuare a restare al servizio di Shepard, si appropria del corpo di un androide al soldo di Cerberus, di nome Eva Corè, e lo trasforma nella sua piattaforma mobile, così da poter accompagnare il protagonista anche durante le missioni. EDI è un personaggio fondamentale nello svolgimento di Mass Effect 3, perché in un certo senso incarna alcune delle questioni più profonde affrontate dalla vicenda narrata. Senza contare che lei e Joker, il pilota della Normandy che accompagna Shepard fin dal primo episodio, danno vita ad alcune delle scenette più esilaranti di tutta la serie. La voce di EDI è dell’attrice e modella canadese Tricia Helfer. |
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Javik è l’unico membro superstite della potentissima specie dei prothean, estinta millenni fa a causa della precedente invasione dei reaper. Conservatosi grazie a una avanzata tecnica di refrigerazione, viene riportato in vita da Shepard per trovare aiuto nella nuova battaglia contro i razziatori. Javik corrisponde molto poco allo stereotipo idealizzato del prothean così come ci è stato descritto nei vari episodi della serie: lungi dal rappresentare una specie saggia e illuminata, egli verbalizza idee di civiltà e convivenza basate unicamente sul potere cinico della violenza, costringendo il protagonista e il suo equipaggio (soprattutto Liara) a fare i conti con l’illusione che il dominio possa davvero accompagnarsi alla clemenza. Javik è il protagonista del DLC From Ashes, contenuto nella edizione da collezione e acquistabile a parte per chi possiede l’edizione normale. La voce di Javik è dell’attore afroamericano Ike Amadi. |
8. I finali
***Attenzione! Spoiler!***
Questo capitolo della recensione parla estesamente di tutti i finali del gioco, quindi la sua lettura è sconsigliata a chi deve ancora completarlo.
Mass Effect 3 ha provocato, pochi giorni dopo la sua pubblicazione, una specie di rivolta da parte di una fetta consistente di appassionati. Motivo delle proteste è il finale, o sarebbe meglio dire i finali, scritti da Bioware per la sua ambiziosa space opera. Le critiche mosse dalla comunità possono essere agevolmente divise in due insiemi: da una parte abbiamo la messa in evidenza di pure e semplici inconsistenze narrative, chiamate spesso con l’espressione inglese plot holes, alle quali possiamo riconoscere una patente di oggettività; dall’altra, abbiamo giudizi di valore sulla natura stessa dei finali offerti, sul loro contenuto e sulle modalità con cui tale contenuto viene presentato, i quali dipendono essenzialmente dalla sensibilità del singolo giocatore. Analizzeremo entrambi gli insiemi, riservando più spazio al secondo, dato che ci dà la possibilità di effettuare interessanti riflessioni sullo stato dell’arte complessivo del nostro hobby.
Praticamente tutti gli oggettivi plot holes presenti nel finale originale sono stati risolti con la pubblicazione gratuita da parte di Bioware del DLC Extended Cut, che peraltro come vedremo interviene anche nel secondo insieme di critiche, aggiungendo ai tre finali originariamente previsti un quarto finale che risulta forse il più coerente con lo spirito della serie. Val la pena, però, di parlare ugualmente delle inconsistenze narrative originarie, dato che la loro primitiva esistenza rappresenta un passo falso molto grave per Bioware, che è riuscita poi a salvarsi ma con un ritardo che probabilmente tanti giocatori non perdoneranno facilmente. Per poter elencare tutte queste inconsistenze, dobbiamo per forza di cose raccontare i tre finali originariamente previsti. Con il completamento del Crucible, l’arma definitiva contro i reaper, si scopre che il suo catalizzatore è nientemeno che la Cittadella, nel frattempo devastata e spostata dai reaper nell’orbita della Terra. Shepard e la sua squadra atterrano in mezzo alle rovine di Londra: compito del comandante è raggiungere un raggio trasportatore che può portarlo nella Cittadella, da dove dovrà cercare di farla ‘aprire’ così da installarvi il Crucible. Shepard sopravvive a stento gli attacchi dei reaper sulla Terra: moribondo, raggiunge la Cittadella, dove trova ad attenderlo, oltre al suo fedele alleato capitano Anderson, anche il temibile capo di Cerberus chiamato Illusive Man, del quale può sbarazzarsi in vari modi. Nel momento cruciale, davanti agli occhi di Shepard si materializza, sotto forma di fantasma a foggia di bambino (un bambino che Shepard vede morire nelle prime, drammatiche sequenze di gioco), una entità che rappresenta l’intelligenza collettiva dei reaper e che spiega al protagonista le sue possibili opzioni. La prima è procedere alla distruzione dei reaper (sarebbe più giusto chiamarla autodistruzione), che però comporta la distruzione di tutti gli esseri meccanici o ibridi, incluso quindi Shepard stesso, che ha vari innesti cibernetici impiantati da Cerberus per farlo ‘risorgere’ all’inizio di Mass Effect 2. La seconda è prendere il posto dell’intelligenza collettiva, dominando di fatto i reaper ma trasformando Shepard in una intelligenza virtuale, simile a un computer. La terza è fondere esseri viventi e creature meccaniche trasformando ogni entità esistente in un ibrido perfetto tra le due nature, inaugurando quindi una nuova era nella storia della galassia, un’era segnata dalla totale omologazione, all’apparenza scevra da qualunque tentazione di conflitto: ma per ottenere questo risultato, Shepard deve agire al posto della intelligenza collettiva, cioè sacrificarsi. Ogni scelta si accompagnava, all’atto pratico, all’esplosione della Cittadella e alla distruzione di tutti i mass relay, cioè le enormi strutture galleggianti nel cosmo che permettono il viaggio istantaneo tra i diversi ammassi stellari, lontani milioni di anni luce l’uno dall’altro. La prima grave inconsistenza è che si vedeva, nelle scene finali, l’astronave di Shepard allontanarsi a tutta velocità dall’esplosione, con sopra tutto il suo equipaggio tranne il comandante. Questo serviva per poter poi rappresentare, in una elegante metafora alludente a una sorta di nuova Creazione, la Normandy atterrare su un pianeta ricoperto di lussurreggiante vegetazione, con l’equipaggio pronto a ripopolarlo e a iniziare una tranquilla esistenza in ricordo del sacrificio di Shepard, con Joker ed EDI novelli Adamo ed Eva. Il problema è: perché la Normandy, nel momento culminante del confronto con i reaper, stava fuggendo? È evidente che i compagni di Shepard non l’avrebbero mai abbandonato, neanche a costo di sacrificare se stessi: la morte del comandante deve per forza accompagnarsi a quella di tutto l’equipaggio. E soprattutto: come hanno fatto i compagni che combattevano con Shepard nell’ultima missione a essere poi a bordo dell’astronave? Molte cose non tornavano. Ma il problema principale era un altro: nei capitoli precedenti, si spiegava chiaramente che la distruzione di un mass relay avrebbe comportato la distruzione di tutto il sistema in cui questo si trovava. Rebus sic stantibus, Shepard si configurava come la causa di una quantità di morti ben superiore a quella imputabile ai reaper. E anche ipotizzando che le esplosioni finali dei mass relay fossero ‘diverse’ da quelle spiegate in precedenza, restava il fatto che tutti gli eserciti della galassia, confluiti verso la Terra per la battaglia finale coi reaper, sarebbero rimasti intrappolati lì per sempre. Come avrebbero fatto a sopravvivere? Il finale originale lasciava presupporre l’imminenza di un olocausto galattico di proporzioni inimmaginabili: sarebbe certamente stato meglio lasciar agire indisturbati i reaper fin dall’inizio, probabilmente avrebbero fatto meno danni. Come dicevamo, il DLC Extended Cut risolve tutti questi problemi, secondo noi in maniera appropriata, anche se magari non perfetta; a spiegare ancor meglio le cose, peraltro, interviene anche il DLC Leviathan, di cui parliamo meglio più avanti.
Ben più interessante, come dicevamo, è prender nota delle critiche effettuate da una vasta parte della comunità ai contenuti stessi dei finali, al di là delle pure inconsistenze narrative. Ci preme fin da subito affermare che, a nostro avviso, i finali di Mass Effect 3 così come vengono modificati e ampliati dall’Extendend Cut sono non solo soddisfacenti, ma anche decisamente apprezzabili, soprattutto per il loro essere adulti, dolenti, rassegnati. In un mondo ancora acerbo e infantile come quello dei videogiochi, siamo davvero di fronte a una boccata di aria fresca. Questo, ovviamente, non significa che debbano essere esenti da critiche: anche noi abbiamo qualche perplessità, di cui adesso parleremo. Cominciamo col dire che l’Extended Cut aggiunge un quarto finale ai tre già spiegati in precedenza: Shepard può anche rifiutare del tutto la logica sottesa alle scelte presentate dall’intelligenza collettiva dei reaper, e astenersi da qualunque azione, in nome di un più alto ideale di coerenza. Il risultato di questa scelta è ovvio: il Crucible non si attiva, l’harvesting continua indisturbato, tutte le specie viventi vengono sterminate dai reaper come previsto. Le ultime sequenze mostrano però che le informazioni messe in salvo da Liara aiutano il ciclo di civiltà seguente a sconfiggere i reaper, evidentemente senza i sacrifici che la loro sconfitta nel ciclo ‘presente’ avrebbe comportato. Più sopra dicevamo che questo finale è, secondo noi, quello più ‘giusto’ per il gioco. Per comprendere meglio questa affermazione, bisogna almeno accennare a quello che è l’autentico filo conduttore di tutta la lunga avventura del comandante Shepard: la esaltazione della diversità. La galassia futura immaginata da Bioware pullula di forme di vita, naturale e sintetica, ciascuna con la sua cultura e la sua visione del mondo: naturalmente l’incontro/scontro tra le culture si traduce molto spesso in conflitto, in una sorta di versione allargata di quel che è stata fino a questo momento, e per chissà quanto ancora, la storia umana. Ebbene, in questo contesto il ruolo di Shepard è quello di supremo paciere: la sua missione, che può svolgersi con metodi ‘gentili’ (scelte paragon) o con metodi brutali (scelte renegade), ha comunque l’obiettivo di favorire la pacifica convivenza tra specie e culture differenti, nella convinzione, propria delle elite più avanzate della società contemporanea, che il dialogo, l’ibridazione, il meticciato siano il metodo migliore per rafforzare la società e favorirne l’esistenza e lo sviluppo, indipendentemente dalla cultura di base a cui appartengono le sue componenti. Ci preme sottolineare, ma lo fa già con sufficiente forza il gioco, che non si tratta di una battaglia di carattere etico-morale, o meglio ideale: si tratta della scelta pratica più ovvia per una società che abbia a cuore se stessa. E non si tratta nemmeno di una battaglia pacifista, spinta da ingenue pulsioni ideologiche: si tratta di una scelta razionale basata sull’evidenza che potremmo definire genetica secondo cui l’incrocio tra uguali indebolisce, mentre l’incrocio tra diversi rafforza. Se consideriamo questi assunti come il pilastro su cui poggia la morale del comandante Shepard, e il gioco ci spinge in tutti i modi a questa considerazione, è evidente che nessuna delle opzioni presentate dall’intelligenza collettiva dei reaper è in alcun modo accettabile. Non lo è la distruzione di tutti gli esseri meccanici, dato che il gioco ci mette più e più volte (basti citare la figura di EDI) di fronte al fatto che le intelligenze artificiali più evolute sono assimilabili in tutto e per tutto a esseri viventi, e che anzi la convivenza tra esseri meccanici ed esseri biologici è non solo possibile ma anche auspicabile. Non lo è il ‘controllo’ dei reaper, dato che l’idea stessa che possa esistere un deus ex machina che determina il comportamento della specie più potente dell’intera galassia spegne ogni possibile esistenza di libero arbitrio (senza contare che Shepard dovrebbe corrompere del tutto la sua identità, dando una sorta di ragione postuma ai deliri dell’Illusive Man). Non lo è, soprattutto, quella che superficialmente può sembrare la soluzione migliore, ossia la fusione perfetta tra esseri viventi e esseri meccanici in una nuova specie che renda omogenee tutte le creature esistenti: questa è, anzi, la soluzione *peggiore*, dato che, cancellando ogni diversità, stravolge il senso di tutta l’avventura suggerendo un’idea di futuro dal carattere chiaramente assolutistico e nazistoide, una società popolata solamente da esseri perfetti di livello superiore, una specie di incubo che cancellerebbe ogni barlume di senso alla vita stessa. Di fronte a queste opzioni, l’unica scelta tragicamente accettabile è, appunto, accettare il fatto che questo ‘ciclo’ di civiltà non è pronto ad affrontare i reaper. Spesso bisogna arrivare fino all’ultimo passo possibile, prima di rendersi conto che la strada effettuata non portava da nessuna parte.
Le altissime riflessioni che gli ultimi minuti di gioco possono scatenare nel fruitore adeguatamente preparato a una simile tempesta filosofica non mettono certo il tutto, come dicevamo, al riparo da ogni critica. A nostro avviso il problema principale del finale di Mass Effect 3 è rubricabile come un tipico infantilismo: si tratta della volontà di spiegare ogni cosa nel dettaglio, per dare la giocatore la sensazione che sia tutto a posto, tutto sensato, tutto comprensibile. Ebbene, uno dei segnali che un individuo, o un medium, o una società, sono adulti è proprio l’accettazione del fatto che esiste l’inspiegabile. Attenzione, non ci stiamo riferendo a improbabili ‘misteri’ come quelli di cui si occupa il peggiore “complottismo”: ci riferiamo al fatto che una parte importante dei comportamenti umani si muove su binari del tutto irrazionali. Quella che spesso rubrichiamo come “follia”, attribuendola sempre a qualcun altro e mai a noi stessi, pervade ogni ambito della nostra vita e della nostra società. Le culture post-illuministe tributano spesso alla follia un valore catartico e liberatorio, e a nostro avviso questa ideologia filo-irrazionalista rappresenta uno dei problemi maggiori del mondo contemporaneo: l’obiettivo di ogni essere umano ‘sano’ dovrebbe essere anzitutto quello di liberarsi da ogni irrazionalismo, senza però dimenticare che l’irrazionalismo esiste e va accettato. Quindi bisogna accettare che esiste il comportamento immotivato, l’inspiegabile, appunto. Se questo è vero nell’ambito della nostra specie, figuriamoci cosa può succedere quando a confrontarsi sono specie intelligenti completamente differenti. Il comportamento dei reaper, a nostro avviso, semplicemente non andava spiegato: i reaper esistono, periodicamente compaiono per distruggere la galassia, e bisogna affrontarli. Tanto basta per rendere la missione di fermarli degna di essere svolta. Tentando di rendere comprensibili sulla base della logica umana i comportamenti di tutte le specie aliene, Bioware ha reso “umano, troppo umano” tutto il cosmo, e in ultima analisi si è avventurata in ragionamenti che rischiano in ogni momento di essere stucchevoli e riduttivi. Per chi volesse approfondire le tematiche che qui, per forza di cose, ci siamo limitati ad accennare, suggeriamo la lettura dell’imprescindibile testo La banalità del male di Hannah Arendt.
Concludiamo il capitoletto con una ulteriore considerazione sulle critiche rivolte ai finali dalla comunità di appassionati. Anche se alcuni articoli fortemente critici ci girano attorno senza mai ammetterlo (o ammettendolo solo di sguincio), è evidente che ciò che ha davvero urtato tanti fan della serie è l’assenza di un lieto fine. Quel che molti appassionati volevano è semplicemente osservare il loro eroe Shepard mentre assiste alla definitiva disfatta dei reaper e magari poi si trasferisce a vivere una vita tranquilla con il suo partner in un pianeta meraviglioso e pacifico. A dire il vero, in alcuni casi una enigmatica sequenza finale mostra Shepard, travolto dalle macerie della Cittadella, esalare un respiro: ma non si tratta certo di qualcosa definibile come happy ending. Ebbene, dal nostro punto di vista l’assenza del lieto fine ‘tradizionale’ è proprio quel che rende grande Mass Effect 3 e quindi, indirettamente, tutta la serie a cui il gioco appartiene. Il desiderio del lieto fine è un altro tipico infantilismo: le fiabe hanno il lieto fine perché la puericultura contemporanea pensa sia saggio tenere i bambini al riparo dalla sconfortante verità che la vita è soprattutto esperienza tragica, ma ci sono stati tempi in cui le cose erano molto diverse, e in ogni caso una volta abbandonata l’infanzia bisogna anche abbandonare i suoi artificiosi conforti e guardare in faccia la realtà. Se il ‘ciclo’ di civiltà immaginato da Bioware non è pronto ad affrontare i reaper, ci tocca affermare che gran parte della comunità di giocatori non è pronta ad affrontare videogiochi adulti.
9. Multiplayer e DLC
Un’altra grande novità presente in Mass Effect 3 rispetto ai suoi predecessori è la modalità multigiocatore. Qui non ce ne occupiamo perché non ci interessa minimamente: ci preme però affermare che, nonostante il multiplayer possa influenzare indirettamente anche la campagna per giocatore singolo, tutti i contenuti del gioco sono perfettamente accessibili anche a chi non vi si dedica.
Il meccanismo merita qualche spiegazione ulteriore. Il finale dell’avventura viene influenzato in qualche dettaglio non solo dalle scelte fatte durante i tre capitoli della medesima, ma anche dai war asset (risorse belliche) e dalla galactic readiness (preparazione della galassia). I war asset possono essere sia eserciti sia armi o anche elementi di intelligence ottenuti nel corso del terzo capitolo dell’avventura, in premio dopo la risoluzione delle missioni o anche semplicemente in seguito all’esplorazione planetaria. La galactic readiness invece aumenta con l’aumentare delle sfide multigiocatore affrontate e risolte. Questi due elementi, però, sono equivalenti dal punto di vista dell’ottenimento delle sequenze ‘migliori’ nel finale: quindi chi ottiene tutti i possibili war asset non ha alcun bisogno di dedicarsi al multigiocatore, mentre viceversa chi si dedica molto al gioco online può evitare di esplorare minuziosamente ogni angolo della galassia durante la campagna. C’è da dire che, in generale, il meccanismo che misura il grado di preparazione delle civiltà interstellari nei confronti della minaccia rappresentata dai reaper pecca di astrazione eccessiva, sia per quel che concerne i war asset sia per quanto riguarda la galactic readiness. Ancora una volta: Bioware farebbe bene a dedicarsi solo all’avventura vera e propria, dato che ogni deviazione verso forme di giocabilità diverse si risolve in sostanziale irrisolutezza.
Ne abbiamo già parlato nel corso del resto dell’articolo, ma per praticità riassumiamo qui il contenuto dei DLC (contenuti aggiuntivi) pubblicati finora per il gioco. Oltre a quelli qui elencati, esistono anche DLC che aggiungono armi o mappe per il multigiocatore: essendo del tutto trascurabili, non ce ne occuperemo.
From Ashes: questa espansione, già inclusa nelle edizioni per collezionisti di Mass Effect 3, aggiunge un nuovo personaggio arruolabile, il prothean Javik, oltre a una nuova avventura incentrata nel suo ritrovamento. Javik è un personaggio molto interessante e interagisce con Shepard e gli altri membri dell’equipaggio in vari momenti dell’avventura, quindi questo DLC è senza dubbio un acquisto consigliato.
Extended Cut: ne abbiamo già parlato diffusamente nel capitoletto precedente. Questo DLC, peraltro gratuito, è essenziale per risolvere le inconsistenze dei finali e per dare, più in generale, un senso maggiore a essi.
Leviathan: questa espansione aggiunge una nuova, lunga avventura, che si svolge in parte nella Cittadella e in parte in varie altre zone della galassia. Pur essendo molto interessante e sfoggiando alcune delle ambientazioni più riuscite e originali di tutta la serie, questo DLC contribuisce pesantemente all’infantilismo di cui sopra, cercando di spiegare in maggior dettaglio, non sempre in modo convincente, le ragioni dietro la nascita dei reaper e le ragioni del loro comportamento. Si tratta comunque, dal nostro punto di vista, di un acquisto assolutamente consigliabile.
Omega: questa espansione aggiunge una nuova avventura ambientata nell’omonimo insediamento, già visitato in Mass Effect 2. A suo tempo, l’asteroide era regno incontrastato dell’alieno asari Aria T’Loak, noto per i suoi metodi decisamente sbrigativi. Aria è presente anche in Mass Effect 3, ma come semplice cameo: questo DLC le restituisce un ruolo centrale, offrendo a Shepard la possibilità di dare una mano nella riconquista di Omega, nel frattempo caduta nelle grinfie di Cerberus. L’elemento più interessante introdotto nell’espansione è forse la possibilità di incontrare per la prima volta un alieno turian di sesso femminile, Nyreen Kandros. Per il resto, l’avventura è una semplice sequenza di combattimenti intervallata da brevi dialoghi: ma le ambientazioni, la giocabilità e il level design meritano senza dubbio un plauso.
Citadel: questa espansione, senza dubbio la meglio riuscita, riporta Shepard e il suo equipaggio nella capitale della galassia, la Citadel appunto, col pretesto di organizzare una sorta di festa di buon auspicio prima della missione conclusiva. Pur non mancando intense sessioni di combattimento, peraltro contro un nemico veramente sorprendente, il piatto forte dell’espansione è costituito dai momenti di dialogo con i vari compagni di viaggio. Da questo punto di vista i nuovi contenuti sono caratterizzati da un piglio ironico e sbarazzino, che però riesce a non confliggere con le atmosfere apocalittiche della campagna in cui sono inserite. Si tratta senza dubbio di un acquisto da consigliare a chiunque.
10. Conclusioni
La saga di Mass Effect è destinata a rimanere probabilmente per sempre un prodotto controverso. Anche noi abbiamo, come si sarà capito, varie perplessità: sia per quel che riguarda le meccaniche di gioco sia anche per quel che riguarda i contenuti, forse eccessivamente ambiziosi nella loro carica universale e ‘totalizzante’. Forse tutta la serie va considerata come una sorta di work in progress, segnato da passi avanti e passi indietro, esperimenti più o meno riusciti, da leggere come tessere del puzzle che potremmo definire il videogioco contemporaneo adulto e di largo consumo, che cerca di essere popolare ma senza rinunciare all’alta qualità.
L’alta qualità, pensiamo di poter dire senza timor di smentita, pervade il gioco in quasi ogni suo aspetto: dall’attenzione per la costruzione del background al meccanismo della giocabilità generale (combattimento alternato a dialogo), dalla grafica straordinariamente evocativa al sonoro eccezionalmente professionale (mai abbastanza elogiato sarà specialmente il doppiaggio, grazie anche al magnifico lavoro di Mark Meer e Jennifer Hale, le voci rispettivamente dello Shepard uomo e dello Shepard donna). La critica principale che ci sentiamo di muovere a Bioware è di non aver avuto, con Mass Effect, lo stesso coraggio mostrato con altri suoi prodotti, come Dragon Age: Origins: il coraggio di mettere tutto il gioco al servizio dei suoi punti di forza, senza inutili vagheggiamenti in ambiti di scarso interesse. Ci stiamo anzitutto riferendo al fatto che, secondo noi, l’esplorazione libera presentata alternativamente sotto forma di mako o di viaggi della Normandy tra pianeti e pianetini privi di qualsivoglia interesse non dovrebbe davvero trovare spazio in un titolo così fortemente drammatico.
In ogni caso, Mass Effect rappresenta, nel suo insieme, un episodio straordinario nello sviluppo del GdR digitale contemporaneo. Chiunque abbia un qualche interesse nei confronti di questa particolarissima forma di espressione artistica non può rinunciare a farsi catturare dalla sua quasi perfetta giocabilità, e a farsi trascinare in un universo descritto con accenti lirici e toccanti, che in alcuni tratti raggiungono i toni dell’autentica elegia. Onore al merito di chi, pur con tutti i suoi limiti, ha tentato e portato a termine una simile impresa.
Tre pregi di Mass Effect III
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Tre difetti di Mass Effect III
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Ambientazioni, trama e personaggi da Oscar
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Il finale presente in origine era pieno di inconsistenze narrative e in parte irrisolto
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Combattimenti stimolanti e ottimamente calibrati
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La materia trattata è estremamente complessa e non sempre risolta con agilità
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Il finale, modificato dall’Extended Cut, rappresenta forse il tentativo più coraggioso di far diventare finalmente ‘grande’ il videogioco
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Tutti i comparti che vanno al di là dei combattimenti e dei dialoghi sono inutili e controproducenti
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Non condivido il commento finale di questa recensione nel quale si dice che: “Il finale modificato dall’extended cut rappresenta forse il tentativo più coraggioso di far diventare “grande” il videogioco”, secondo me invece: “Il finale modificato dall’extended cut rappresenta forse il tentativo MENO riuscito e MENO coraggioso di far diventare “grande” il videogioco”, dato che, essendo i finali originali contraddittori di per se stessi, ma ottimamente sceneggiati, NON DOVEVANO ESSERE SPIEGATI (ma casomai rifatti ex novo), la soluzione di essi doveva essere lasciata all’immaginazione del giocatore. Il fatto di cercare di arrampicarsi sugli specchi per poterli spiegare, appare un tentativo questa volta sì, INFANTILE e giustificatorio, come se si dovesse in qualche modo cercare di “contentare” la parte più immatura del pubblico. Riescono soltanto, per così dire, a mettere il dito sulla piaga, e quindi finalmente “rivelare” al mondo intero, la problematicità e le contraddizioni dei finali sintesi e controllo, che, ripeto, NON DOVEVANO ESSERE SPIEGATI, e che quindi (dopo la spiegazione) appaiono totalmente IMPLAUSIBILI e rispettivamente il primo “indecoroso” e il secondo “osceno”. Inoltre La parte raccontata dalla voce fuori campo, che si vede dopo il naufragio della Normandy, è di una mediocrità sconcertante, potrei definirla catastrofica, assolutamente giustificatoria, retorica e sbagliata, è semplicemente, come ha scritto qualcuno, un inno al “tarallucci e vino”. Considero inoltre fuori luogo che si vogliano fare delle considerazioni sul fatto che una soluzione sia accettabile o meno in termini morali, come quando si dice che il finale distruzione non sarebbe “accettabile” perchè “la convivenza tra esseri meccanici ed esseri biologici è non solo possibile ma anche auspicabile”, oppure anche che gli altri due finali non sarebbero “accettabili” nel merito per questo-e-quello, per poi finire col preferire il finale in cui Shepard rinuncia a combattere i Reaper, definendolo “il più giusto”. In realtà qualsiasi soluzione è apprezzabile, a prescindere dalla sua accettabilità in termini morali, ma soltanto a patto che la sua sceneggiatura sia VALIDA, tenuto conto anche del fatto che una soluzione totalmente implausibile difficilmente potrà fruire di una sceneggiatura valida (infatti nel caso specifico non era fattibile, quindi manca del tutto), poi, a parte il fatto che quest’ultimo finale è certamente da bocciare per incoerenza alla storia, l’infima qualità lo rende il finale più CATASTROFICO del mondo dei videogiochi, praticamente senza contenuti. Potevano inserire, al suo posto, direttamente la scritta:
“Fallimento critico”.