Nel 2016 gli sviluppatori americani radunati sotto l’etichetta di Crate Entertainment hanno dato alle stampe un GdR action che ha ricevuto molto seguito e altrettanto onore presso recensori prestigiosi. Eppure, Grim Dawn non ci ha convinto. Vediamo perché.
1. Al seguito dei Titani
Nel lontanissimo 2006 la neonata compagine di nome Iron Lore Entertainment pubblicò quello che è secondo noi tutt’oggi uno dei più riusciti GdR action dell’epoca contemporanea, Titan Quest. Alla giocabilità quasi perfetta, mutuata da Diablo II ma dotata di elementi di sufficiente autonomia, Titan Quest univa l’ambientazione peculiare, un fantasy mitologico che pescava a piene mani dalla letteratura greca, egizia, mediorientale e orientale. L’ispirazione tradiva la presenza tra i programmatori di quel Brian Sullivan a cui si deve il caposaldo della strategia in tempo reale Age of Empires, recentemente ripubblicato in una sfavillante Definitive Edition. Purtroppo Iron Lore non riuscì a dare degno seguito a quell’eclatante prima mossa: nel 2008, la compagnia venne chiusa per mancanza di fondi. Molti suoi membri, però, fondarono subito un nuovo gruppo, chiamato questa volta Crate Entertainment. Nel 2009, Crate ottenne la licenza per l’utilizzo del motore di gioco di Titan Quest: a quel punto era evidente che un seguito ‘spirituale’ era imminente. Il nuovo gioco venne annunciato nel 2010: si sarebbe intitolato Grim Dawn e avrebbe avuto una ambientazione di vaga ispirazione vittoriana, a metà strada tra il fantasy e l’horror di stampo lovecraftiano. Nel 2012, Crate mise in piedi una campagna Kickstarter per finanziare il progetto: l’iniziativa ebbe un notevole successo e spinse il gioco, pubblicato nel 2016, verso il milestone del milione di copie vendute. La maggior parte delle recensioni fu entusiasta, e molti arrivarono a definire Grim Dawn il nuovo punto di riferimento per il suo sotto-genere particolare. Oggi, dopo quattro anni, il gioco è ancora molto frequentato e ottimamente supportato: andiamo a scoprire di cosa si tratta.
2. Istantanea
Grim Dawn è un Gdr action grossolanamente costruito attorno allo schema inaugurato a suo tempo dal mitico Diablo II e poi ripreso da una lunga serie di cloni. Il giocatore controlla un unico personaggio e lo muove tramite un’interfaccia punta e clicca; l’eroe è sempre al centro dello schermo e interagisce con le ambientazioni secondo i meccanismi consueti: a un clic su un mostro corrisponde un attacco, a un clic su un contenitore corrisponde la sua apertura o distruzione, a un clic su un personaggio non giocante corrisponde la partenza del relativo dialogo. Il mondo di gioco è costruito da ambientazioni collegate le une alle altre in una sorta di lunghissimo ‘corridoio’, abilmente dissimulato sotto forma ora di prateria, ora di boscaglia, ora di vero e proprio dungeon. Questi ultimi peraltro si trovano spesso in mappe separate, il cui caricamento però è quasi istantaneo. Non si può salvare, se non nel modo particolare inaugurato ancora una volta, a suo tempo, dal mai troppo citato Diablo II: il salvataggio, cioè, salva in realtà solo lo stato del personaggio ma non quello del mondo di gioco. All’inizio della sessione successiva, il giocatore dovrà ripartire dall’ultimo avamposto pacifico visitato e muoversi verso il suo obiettivo attraverso i teletrasporti, la cui attivazione è dunque fondamentale nel determinare il ritmo delle sessioni. I mostri si rigenerano completamente quando la partita viene ricaricata: a differenza che in Diablo II (e in misura ancora maggiore in Diablo III), però, le ambientazioni non sono generate casualmente ma ‘disegnate’ a mano e sono identiche in ogni partita. Verrà quindi salvato, tra una sessione e l’altra, anche il feedback relativo alla parte esplorata e a quella rimasta da esplorare. Analizziamo la situazione più nel dettaglio, cominciando dalle modalità di sviluppo del personaggio giocante.
3. L’eroe
L’uccisione di mostri e la risoluzione di missioni consente al protagonista di ottenere punti esperienza. Una volta raggiunto il secondo livello, il giocatore deve scegliere una tra le sei specializzazioni previste (nove contando anche quelle aggiunte dalle espansioni), corrispondenti alle ‘classi’; una volta raggiunto il decimo livello, può scegliere una seconda specializzazione, ma non è obbligatorio. Le specializzazioni ricordano, alcune più da vicino e altre più alla lontana, i classici archetipi dei GdR fantasy: il soldier è il guerriero specializzato nel corpo a corpo, il demolitionist è esperto nelle armi da fuoco a distanza, l’occultist è il mago specializzato nelle evocazioni e nelle maledizioni, il nightblade è provetto negli attacchi furtivi, l’arcanist è il più classico mago elementale, lo shaman è esperto nella magia druidica (nell’apposito excursus ci occupiamo brevemente anche delle classi aggiunte dalle espansioni). Ciascuna specializzazione offre abilità attive e passive, che vanno sbloccate investendo i punti abilità che si ottengono a ogni passaggio di livello. Come in Titan Quest, ogni specializzazione va migliorata anche investendo punti direttamente su di essa: solo una volta che si sono investiti sufficienti punti si sbloccheranno le abilità più potenti. Ciascuna abilità, poi, è in genere essa stessa migliorabile. Dato che i punti abilità vengono distribuiti dal gioco con una certa parsimonia, è perfettamente possibile raggiungere la fine dell’avventura senza aver ‘esaurito’ del tutto il miglioramento anche di una sola singola classe.
Oltre che dalle abilità, ciascun personaggio è definito dalle sue caratteristiche di base, che sono tre: phisyque, cunning e spirit. La prima determina la robustezza e funge da requisito per armature e armi pesanti; la seconda determina il tiro per colpire e funge da requisito per armi leggere e a distanza; la terza determina la quantità di energy, che corrisponde al mana e che serve per utilizzare non solo gli incantesimi ma tutte le abilità attive. Anche le caratteristiche sono sotto il controllo del giocatore, che può migliorarle a ogni passaggio di livello: solitamente si userà come linea guida il requisito di qualche prezioso pezzo di equipaggiamento, ma è abbastanza scontata la concentrazione sul phisyque per i guerrieri, sul cunning per i ladri/arcieri e sullo spirit per i maghi.
C’è una ulteriore statistica che può essere migliorata dal giocatore, ed è la devotion. I relativi punti non si ottengono però salendo di livello, ma purificando le shrine maledette disseminate per il mondo di gioco. Interagendo con queste particolari postazioni, dovremo superare una qualche prova: a volte dovremo offrire materiali particolari, altre volte dovremo sconfiggere mostri potenti. Una volta superata la prova, verremo ricompensati con un punto devozione, che può essere collocato in una delle costellazioni mostrate nella schermata relativa a questo comparto, che prende le forme di un suggestivo cielo stellato. Le costellazioni sono, in concreto, piccoli alberi di abilità che offrono in genere bonus passivi nei primi livelli e potenti abilità attive nei livelli più alti.
4. Il sistema di combattimento
Grim Dawn è un GdR action nel senso più puro del termine: il personaggio giocante passa un buon novanta per cento del suo tempo a combattere contro centinaia di creature ostili, che il gioco gli riversa addosso senza risparmiarsi. Tutto avviene con la frenesia del tempo reale: a un clic sinistro corrisponde un fendente, ma il grosso del danno sarà fatto dalle abilità, attivabili sia tramite i due tasti del mouse (quasi tutte le abilità possono essere collegate al tasto destro, solo alcune possono fungere da attacco principale e quindi essere collegate al tasto sinistro) sia tramite la barra in fondo allo schermo, collegata a sua volta alle consuete scorciatoie da tastiera. Le abilità attive consumano la energy: in genere comunque solo i maghi dovranno preoccuparsi costantemente di quest’ultima risorsa, dato che le abilità più tipiche del guerriero ne consumano poca. Tutti invece devono fare i conti con il tempo di ricarica delle abilità, che per le più potenti può essere tanto lungo da rendere impossibile l’utilizzo del relativo potere per più di una volta per scontro.
La maggior parte delle creature nemiche cadrà sotto i nostri colpi con relativa rapidità: di quando in quando, però, occorrerà affrontare mostri particolarmente potenti, che il gioco ci segnalerà tramite apposite icone sopra le loro teste. In quei casi è necessario elaborare strategie di combattimento più complesse, spesso basate sull’hit and run. In ogni momento si deve tenere sotto controllo la quantità dei punti ferita dell’eroe così da utilizzare nel giusto istante le utilissime pozioni curative, caratterizzate anch’esse da un tempo di ricarica molto lungo. Anche in Grim Dawn i mostri lasciano talvolta cadere oggetti che ripristinano istantaneamente una certa quantità di salute, ma il meccanismo è molto meno centrale che non in Diablo III. Rappresenta invece una interessante novità il meccanismo collegato a quella che viene chiamata la constitution. Sopra la barra dei punti ferita c’è una ulteriore barra trasparente: quando l’eroe non viene attaccato per qualche secondo, la barra trasparente si svuota per riempire la barra dei punti ferita, che quindi si ricaricano quasi istantaneamente. Quando anche la constitution si esaurisce, però, questa forma rudimentale di cura smette di funzionare e si ripristina solo attivando gli untouched meal sparsi per le ambientazioni.
Per quanto il giocatore si impegni, prima o poi i mostri più potenti riusciranno a uccidere l’eroe. Grim Dawn gestisce la morte con modalità non troppo punitive, del tutto simili a quelle già viste in Titan Quest. Una volta sconfitto, l’eroe perderà una certa quantità di punti esperienza (senza però mai perdere livelli) e ‘resusciterà’ nell’ultimo avamposto pacifico: tornando nel luogo della sconfitta, troverà una sua lapide, che se attivata gli permetterà di recuperare un po’ dell’esperienza persa. Per abbreviare il tempo necessario per ripercorrere la strada dall’avamposto al luogo della morte, è utile aprire periodicamente dei portali magici di teletrasporto, che possono essere evocati liberamente e senza alcuna restrizione. L’assenza di penalità serie connesse alla morte porta a una situazione paradossale: molti boss possono essere uccisi semplicemente facendo morire l’eroe decine di volte, in uno stanco pattern che ci sentiamo di definire alienante pur considerando la natura globale del titolo. Non serve neanche dire che non c’è nulla di esaltante nell’uccidere una creatura nemica in questo modo, soprattutto se si trattiene il sospetto che non esistano modalità alternative.
5. L’equipaggiamento
Come in tutti i GdR action, anche in Grim Dawn la raccolta dei tesori e la personalizzazione dell’armamentario del protagonista è un’attività estesa ed importante. Tocca purtroppo dire che da questo punto di vista il lavoro di Crate Entertainment soffre più di altri titoli di quella travolgente ipertrofia che spesso caratterizza questo comparto nel sottogenere particolare di cui ci stiamo occupando: il giocatore è letteralmente inondato di oggetti magici fin dalle primissime battute, tanto che converrà dedicarsi presto alla regolazione dell’interfaccia così da ‘nascondere’ determinate categorie di oggetti, onde non avere lo schermo colmo di spazzatura. Armi e armature ‘normali’ sembrano introvabili nel mondo di Cairn, l’ambientazione fantasy/horror che fa da sfondo al gioco: sono invece abbondantissime le armi magiche, epiche, leggendarie, uniche, parti di set, migliorabili, craftabili e chi più ne ha più ne metta. La situazione è molto più che paradossale: man mano che aumentano in valore e potenza, gli oggetti sono accompagnati da elenchi sempre più lunghi di bonus e caratteristiche aggiuntive, per studiare i quali sono necessari lunghi momenti di cernita e di confronto. Data la natura non esaltante di questa attività, e dato che i programmatori non fanno nulla di nulla per rendere gli oggetti davvero affascinanti o degni di nota (tanto per dire, non hanno alcuna descrizione testuale), il più delle volte il giocatore si baserà su una occhiata veloce, che confronti magari semplicemente il valore in monete dei vari oggetti, sperando che oggetti di valore superiore siano, nel complesso, anche più potenti. Noi siamo andati oltre e da un certo punto in avanti abbiamo abbandonato quasi del tutto l’attività di collezione di oggetti e di costante upgrade dell’equipaggiamento, riservandoci di dedicarcisi solo una volta ogni cinque o sei livelli.
A rendere la faccenda ancora più difficile da gestire è anche l’approfondimento estremo che ha visto, rispetto a Titan Quest, il comparto di crafting, cioè di creazione di oggetti personalizzati. Nel GdR action ad ambientazione mitologica trovare un qualche reagente per la creazione di manufatti era un evento raro e degno di nota: ora invece dopo ogni scontro troveremo materiali, ingredienti, ricette, in una assurda corsa all’accumulo che rende vano ogni goffo tentativo di rendere qualche oggetto “speciale”.
Tutto questo è un vero peccato perché agli autori la creatività non sembra mancare. Alcuni oggetti, per esempio, sono collegati a vere e proprie abilità extra, non disponibili normalmente, che si attivano periodicamente durante gli scontri e che possono fare la differenza tra la vita e la morte. Ma se queste abilità vengono descritte con numeri e tabelle, peraltro dopo una lunghissima lista di bonus passivi, chi ha tempo e voglia di scoprirne e approfondirne l’uso? Grim Dawn è forse l’esempio meglio riuscito di quanto l’accumulo e l’ipertrofia possano danneggiare un gioco e la sua ambientazione. Il nostro tempo è prezioso: averne rispetto non significa affatto darci tutto subito, significa semmai darci la sensazione che il nostro impegno abbia un senso, il nostro ‘lavoro’ una contropartita.
6. L’esplorazione del mondo
Come già scrivevamo, Grim Dawn offre una ambientazione descritta tramite luoghi collegati tra loro in una sorta di elaborato ‘corridoio’ che talvolta assume anche forme aperte, ma comunque sempre da esplorare secondo una direzione più o meno precisa. Di quando in quando, e purtroppo con una certa parsimonia, il personaggio giocante si imbatterà in portali di teletrasporto che fungeranno da vero e proprio motore del ritmo delle esplorazioni: dato che si riparte sempre e comunque dall’avamposto pacifico, è una buona idea abbandonare la partita subito dopo aver attivato un portale, così da non dover ripulire nuovamente un’area già esplorata in precedenza.
Le ambientazioni sono parecchio interattive e questo dà una certa soddisfazione durante i combattimenti: lanciando incantesimi o fendenti con le armi ci capiterà di distruggere mobili, abbattere steccati, incendiare prati eccetera. Non mancano le solite casse e i soliti barili da distruggere per trovare monete o tesori: il bottino più ricco peraltro è di solito riservato ai contenitori presenti nelle aree ‘nascoste’, cioè non indicate come esplorabili dalla minimappa.
Un elemento molto importante da raccontare è il modo in cui il gioco gestisce il rapporto tra l’eroe e le creature ostili. Grim Dawn implementa, a differenza di molti suoi concorrenti, un sistema di livellamento automatico. Non stiamo parlando di meccanismi totalizzanti e indiscriminati come quelli presenti ad esempio in Oblivion di Bethesda, ma è comunque un punto discutibile. Funziona in questo modo: ogni macro-area è collegata a un determinato range, che può essere per esempio dal livello 40 al livello 50. I mostri di quell’area, di tipologia fissa e collegata all’ambientazione, avranno statistiche calibrate sul personaggio giocante, ma sempre rimanendo all’interno di quel range. Quindi per esempio un personaggio di livello 45 che esplorasse l’area ipoteticamente evocata qui sopra troverebbe tutti mostri di livello 45; una volta guadagnato un livello, troverà tutti mostri di livello 46. Se però il personaggio esplora quell’area quando è al livello 55, troverà tutti mostri di livello 50 (il massimo); mentre se la esplora quando è al livello 30, troverà tutti mostri di livello 40 (il minimo). Il problema di questo sistema è che la necessità di visitare nuovamente le vecchie aree già esplorate è rarissima: in genere il personaggio avanza con la storia in maniera piuttosto lineare. Quindi a conti fatti è come se il livellamento automatico fosse sempre presente: nel novanta per cento dei casi, l’eroe si troverà di fronte mostri del suo stesso livello, e questo dà la spiacevole sensazione che alla fine potenziare il protagonista non sia così importante, dato che il livello di sfida è più o meno sempre lo stesso.
Altro elemento degno di nota è che alcune ambientazioni sono caratterizzate da un livello di difficoltà molto più alto del normale: in genere si tratta di luoghi opzionali o collegati a missioni secondarie. Il gioco ci segnala con grande evidenza il fatto che ci si trova in una dangerous area, e ci specifica anche, secondo la consueta poetica della giocabilità matematica, il tipo di bonus che hanno i nemici e il tipo di malus che ha il protagonista.
Excursus: le espansioni Grim Dawn ha avuto finora ben tre espansioni: la prima abbastanza trascurabile, le altre due più importanti. |
7. L’ambientazione
Come sanno i nostri lettori, generalmente le nostre recensioni cominciano con il delineare per sommi capi il contesto narrativo e d’ambientazione del gioco che si sta analizzando. Non è un caso che nella recensione che state leggendo questo passaggio si trovi alla fine anziché all’inizio: l’ambientazione e la trama di Grim Dawn sono quanto di più scialbo, inutile e derivativo ci sia capitato di incontrare in tanti anni di esperienza videoludica. Peraltro devono aver pensato lo stesso anche gli sviluppatori, dato che non hanno prestato la minima attenzione nel mettere in evidenza i contenuti, e hanno fatto anzi di tutto per ‘nasconderli’, sperando forse di dissimulare la loro fragilità. Ci riferiamo per esempio al fatto che pochissimi dialoghi sono parlati (in Titan Quest lo erano tutti, come peraltro in gran parte della concorrenza), che i dialoghi stessi sono ridotti all’osso, che quasi non esistono momenti di sola narrazione (nessuna cosiddetta cutscene, tanto per capirci), che i capitoli si susseguono senza essere scanditi da alcun evento significativo, né a livello di storia né a livello di ambientazione. La sensazione generale è che a nessuno tra gli autori importasse davvero la creazione di una storia: le atmosfere, che come abbiamo detto dovrebbero essere di ispirazione un po’ vittoriana e un po’ horror, sullo stile di H. P. Lovecraft (apertamente citato in più occasioni), sembrano avere come unico scopo l’evocazione di tinte gotiche, oscure, sanguinolente, forse pensate come contraltare allo stile più sbarazzino esibito dall’ultimo capitolo di Diablo o da certi suoi cloni come Torchlight. Ebbene, spiace dire che le macabre pile di cadaveri, gli esagerati schizzi di sangue, gli smembramenti continui presenti in Grim Dawn non hanno per niente l’effetto che spererebbero di avere. Comunicare sensazioni non passa solo dagli occhi o dalle orecchie, altrimenti l’unico medium esistente sarebbe la pornografia, che prospera tranquillamente anche senza la presenza del racconto. In tutti gli altri generi di comunicazione, la narrazione è essenziale: e costruirla richiede l’attenta calibrazione di tanti elementi, non solo visivi e auditivi ma anche verbali, gestuali, emozionali. La sostanziale assenza di contenuto estetico e narrativo in un gioco come Grim Dawn, peraltro, è tanto più grave in quanto il contenuto è l’unica possibilità che ha la giocabilità ‘automatica’ e ripetitiva tipica dei GdR action di non venire a noia e di fissarsi nella mente del fruitore. Se la serie Diablo è considerata la pietra miliare di questo sottogenere non è solo per la sua giocabilità perfetta e a suo tempo innovativa, ma anche per i suoi contenuti e le sue atmosfere, tanto semplici quanto iconiche, proprio perché perfettamente raccontate. Affronteremo meglio questo tema nella conclusione.
8. Grafica e sonoro
Come già scrivevamo, Grim Dawn utilizza lo stesso motore di Titan Quest, ovviamente rifinito e tirato a lucido. La virata in termini di atmosfere, dalla solarità accecante del titolo originale di Iron Lore alla cupezza inquieta del nuovo gioco, non si è peraltro concretizzata per il meglio: le ambientazioni hanno particolari interessanti, ma soffrono di una certa eccessiva uniformità cromatica e di una notevole ripetitività estetica. Ancor peggio sono messe le animazioni, inspiegabilmente legnose per quanto riguarda il personaggio giocante: la faccenda migliora un po’ con le creature nemiche, che però d’altro canto hanno spesso il torto di confondersi eccessivamente con i fondali. Anche il comparto audio ha parecchi elementi di criticità: le musiche sono discrete ma mancano di un chiaro tema memorabile, mentre il parlato è ridotto ai minimi termini e di qualità davvero insoddisfacente, quasi da produzione home made. Titan Quest non brillava certo per i suoi estetismi, ma era messo sicuramente, ai suoi tempi, molto meglio del suo erede spirituale.
9. Conclusioni
L’analisi critica di Grim Dawn ci ha permesso di mettere a fuoco e in parte ripensare un assunto che abbiamo sempre considerato una specie di dogma: i GdR action sono giocabilità ‘pura’, che prescinde da tutto, e dunque sono, in un certo senso, l’iper-videogioco. Certo, il ‘meccanismo’ ludico di Grim Dawn ha problematiche non indifferenti, quali la gestione dissennata degli oggetti e dell’inventario, il disturbante livellamento automatico, la sciocca routine che porta ad affrontare i boss semplicemente facendo morire l’eroe decine di volte fino ad azzerare i loro punti ferita. Ma qualcosa non tornava: possono questi elementi da soli far precipitare il giudizio dall’ottimo per Diablo III (in cui sono peraltro anche presenti, pur se non in forma così grave) all’insufficiente per Grim Dawn? Doveva chiaramente esserci qualcosa di più. Per trovare il bandolo della matassa, siamo arrivati al punto di reinstallare l’ultimo capitolo della saga di Blizzard per giocarlo in parallelo col titolo di Crate Entertainment. A quel punto tutto si è chiarito: a rendere Diablo III infinitamente più godibile di Grim Dawn non è affatto il meccanismo, bensì il contenuto. Il meraviglioso filmato introduttivo di Diablo III, il carisma dei personaggi trasmesso tramite i deliziosi se pur brevi dialoghi, le descrizioni dei mostri ‘raccontate’ da esploratori e sapienti, i suggestivi recap narrati di quando in quando dal personaggio giocante, ogni personaggio con un approccio e una lettura differenti: sono elementi come questi a differenziare un buon gioco da un capolavoro, o un gioco passabile da un buon gioco. Quindi la nostra teoria vacilla: anche nel caso di prodotti così iper-regolati, caratterizzati da una giocabilità che deborda costantemente nel ‘meta’ e che rompe continuamente la quarta parete, come sono i GdR action, non si può prescindere in alcun modo dalla componente estetica. Se poi nel caso in oggetto si considera che Grim Dawn è decisamente manchevole anche sotto il profilo della pura e semplice giocabilità, la ragione della nostra delusione diventerà ancora più chiara ed evidente.
Tre pregi di Grim Dawn | Tre difetti di Grim Dawn |
È facilmente accessibile | La narrazione è debole e pretestuosa |
Il motore di gioco è leggero e flessibile | L’ambientazione è scialba e derivativa |
È molto lungo | L’afflusso di tesori e oggetti magici è ridicolmente ipertrofico |
Personalmente ritengo che nell’ambito degli ARPG, ad oggi nessun titolo possa rivaleggiare con Diablo2 in carisma, lore e giocabilità pura, mentre Diablo3 si limita a presentare un nuovo motore di gioco e veste grafica, ma perlopiù ripropone personaggi e nemici già visti.
Tutti gli altri derivati, compresi Titan Quest, Torchlight, Van Helsing e il presente Grim Dawn, sono copie più o meno riuscite, magari piacevoli da giocare, ma sempre copie che cercano troppo spesso di ovviare al minore fascino rispetto al capolavoro Blizzard cambiando qualche opzione tanto per dare un’illusione di originalità.
Questo è a mio avviso il fondamentale problema, o se vogliamo limite, degli ARPG : se mancano di un setting vincente, il resto perde di mordente. La serie Diablo non ha questo cruccio : il suo lore, i suoi personaggi, il suo pantheon demoniaco è da tempo assurto a leggenda tra i videogiocatori, e il suo continuo successo è la prova migliore della sua capacità di sfidare il tempo. Titan Quest, tra i tanti imitatori, è forse il solo a tenere testa in questo ambito al Maligno, grazie al suo rimando alla ben nota mitologia greca, mentre Sacred è stato il primo ad aggiungere qualcosa di interessante come le combo e il cavallo.
Grim Dawn tenta la carta delle atmosfere alla Dark Souls, ma poi manda tutto in vacca con infelici trovate come quella della morte senza penalità che finiscono per affossare difficoltà e soddisfazione. Se poi aggiungiamo che la sceneggiatura è di una piattezza disarmante, l’uso eccessivo del gore non ottiene lo sperato risultato estetico, e lo scenario è davvero troppo ripetitivo, siamo di fronte a un prodotto mediocre su tutti i fronti.
Non avrei saputo dirlo meglio, caro Warren! Tra l’altro sto rigiocando a Sacred per ritoccare la sua espansione prima di ri-pubblicarla, ed è anch’esso, pur con tutti i suoi limiti, più godibile di Grim Dawn.
Dopo aver letto la recensione mi è venuto voglia di acquistare il gioco, ed effettivamente non sono riuscito a trovare in essa un solo motivo per il quale non dovrebbe piacermi.
Basandomi soltanto su quel che leggo vorrei osservare che:
il fatto di affermare che il suo problema principale sia la “sostanziale assenza di contenuto estetico e narrativo”, non è un motivo valido, poichè in questo genere di giochi, chiamati ACRPG, la trama serve solitamente soltanto da canovaccio per giustificare l’azione, l’elemento scenico prevale sull’elemento narrativo che rimane soltanto coreografico. Quando si dice che: “anche nel caso di prodotti … come sono i GdR action, non si può prescindere in alcun modo dalla componente estetica”: vuol dire che si è sbagliato gioco, oltre al fatto che la pressochè assenza di contenuto narrativo era prevedibile millemila miglia da parte di qualsiasi giocatore anche alle prime armi. Sembrerebbe che l’Autore della recensione viva nel Mondo delle Sfere Sempiterne 🙂
Un gioco del genere è maggiormente assimilabile a The Division, oppure a Borderlands, che sono Action con PIU’ o MENO elementi rpg, così come qualsiasi ACRPG.
Affermare che siccome il comparto narrativo è assente –> anche il gameplay non impressiona, è un’assurdità, poichè narrazione e gameplay procedono su due binari separati. Fare dipendere l’uno dall’altra è fuorviante, dato che fa pensare che si sia esaminata la parte relativa al gameplay essendo animati da un pre-giudizio, e inoltre che a quest’ultimo non si sia rivolta la dovuta attenzione, per la conseguente “perdita di interesse”.
Quanto all’accusa rivolta al gameplay di essere “ripetitivo” questa è la solita cosa che si dice quando non-si-sa-cosa-dire, dato che qualsiasi gioco lo è.
Sta a vedere poi se si tratta di una ripetitività che piace. Quindi se si dice che un determinato gioco ha un gameplay ripetitivo può essere soltanto per due motivi:
1) il livello di difficoltà è troppo basso (e quindi bisognerebbe alzarlo). 2) non si apprezza il genere, allora è una ragione Pretestuosa.
Caro Mirko, devo dire che sono un pò invidioso : ti sei divertito sia con Dragon Age Origins che con Grim Dawn (ma lo hai poi comprato, sì?), quando io in entrambi casi dopo una trentina di ore ho alzato le mani e mi sono dato dell’idiota per 1.aver buttato via le suddette 30 ore (moltiplicate per due) della mia vita 2.aver buttato via i soldi 3.aver buttato il tappetino del mouse fuori dalla finestra dopo aver realizzato i primi due punti.
A questo punto mi viene il sospetto che riusciresti a trovare qualcosa di positivo anche in Age of Decadence, che rappresenta forse l’esperienza più autopunitiva che un gdr possa procurare. Beato te.
Comunque, nel caso del presente “gioiello”, io apprezzo il genere (Diablo, Titan Quest, Sacred e financo Van Helsing) e ci ho giocato al massimo livello di difficoltà (come sempre), eppure il gameplay ha ammazzato di noia anche me. Dove ho sbagliato?
Non direi che se uno apprezza un gioco e un altro no allora uno dei due “sbaglia”. Siamo diversi, Grim Dawn ha parecchi fan (lo testimoniano le vendite e la quantità di persone che ci gioca) e in fondo le mie recensioni rappresentano solamente un punto di vista.
Certo, poi magari un giorno Mirko ci spiegherà chi lo paga per passare così tanto tempo a vivisezionare le mie recensioni come un debunker 🙂
Ho detto Dragon Age Origins, ma intendevo Inquisition.
Origins è un capolavoro che ho finito due volte.
Ribadisco che non ci ho giocato, ma per l’occasione ho provato a scaricare Sacred 2, e già a prima impressione pare che abbia un gameplay parecchio confusionario, ma di grande atmosfera e degli aspetti di originalità che lo rendono “ipnotico”. Quindi io suggerirei di cominciare a giocare a questa categoria di giochi come se si trattasse di prodotti del tutto sperimentali, per poi continuare solo e soltanto in caso di Attrazione Irresistibile. Invece tu, per quanto possa essere un esperto in auto-flagellazioni, come fai a giocare controvoglia per renderti conto solo dopo 30 ore che giocarci E’ UNA TORTURA.
Mah, sarà che sono un pò sadomasochista…
Scherzi a parte, forse il motivo è che cerco di perseverare nella speranza che a un certo punto il gioco decolli, magari grazie all’introduzione di una particolare meccanica (vedi ad esempio proprio le combo di Sacred) oppure tramite l’incontro con un NPC particolarmente interessante (come Minsc, che per me è anche meglio di Forrest Gump), o magari un colpo di scena nella storia.
Poi, qualora questo non avvenisse (e purtroppo spesso non avviene), dopo un certo numero di ore la mia pazienza saluta e il cursore scorre fatale verso il comando di disinstallazione.
Comunque dieci volte meglio Sacred 2 (con tutti i suoi difetti) del qui presente mattone : almeno non si corre il rischio di sprofondare nella noia.
… spero lo abbia acquistato e si stia divertendo… oggi sono in modalità ‘”politically correct off”… 🙃