Geneforge I: Mutagen

Il primo episodio della miglior serie di GdR realizzata da Spiderweb Software è stato appena ripubblicato in una versione modernizzata e arricchita. Torniamo nella misteriosa isola Sucia alla ricerca dei misteri lì abbandonati dagli Shaper.

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Esempio di gioco
Il nostro parere

1. Il passato e il presente
Jeff Vogel è un personaggio particolare. Scrittore, programmatore, umorista, diede vita, nel 1994, alla sua personalissima etichetta di produzione di GdR per computer, chiamata Spiderweb Software: il nome fa pensare a un team, ma Vogel in realtà fa tutto da solo, almeno all’inizio e per moltissimi anni. La sua prima opera nell’ambito dell’interpretazione digitale fu Exile, trilogia di GdR party-based modellata sulle vecchie glorie degli anni Ottanta: pubblicata originariamente tra il 1995 e il 1997, la serie venne poi ammodernata a partire dal 2011 col nuovo nome Avernum. Dopo l’one-shot Nethergate, curioso fantasy storico ambientato ai tempi dell’invasione romana della Britannia, Vogel dà vita a quella che si rivelerà non una trilogia ma una pentalogia, intitolata Geneforge: il primo episodio è del 2001, il quinto del 2009. La serie rappresenta un passo in avanti enorme per Spiderweb, sul piano dei contenuti come soprattutto su quello della giocabilità: Geneforge accoppia esplorazione in tempo reale con combattimenti a turni e offre, rispetto ai precedenti giochi di Vogel, un livello di accessibilità notevole, che però non va affatto a scapito dei contenuti. Successivamente, Vogel si dedica anche ad altro, ma Geneforge resta senza dubbio la sua serie più amata e meglio riuscita, tanto da fargli progettare un suo ritorno in grande stile. Con l’aiuto della piattaforma di crowdfunding Kickstarter, già utilizzata per altri giochi Spiderweb, Vogel chiama a raccolta i fan di Geneforge per mettere a punto un rifacimento dell’intera serie, partendo ovviamente dal primo episodio. Geneforge I: Mutagen è il frutto di questo lavoro e presenta non solo una grafica rinnovata e adatta alle nuove risoluzioni, nonché tutta una serie di quality of life improvements, ma anche nuovi contenuti, e di una certa consistenza. Abbiamo amato moltissimo il primo Geneforge, unico gioco della serie che abbiamo giocato più volte nella sua interezza: ecco perché vogliamo parlarvi del suo remake, ma per farlo non abbiamo realizzato una nuova recensione da affiancare a quella vecchia, ma abbiamo fatto, proprio come Vogel, un lavoro di ampliamento e riscrittura. Abbiamo anche deciso di lasciare un paio di vecchie immagini così da rendere più chiaro il passaggio dal gioco originale alla nuova edizione. Che si aprano le porte del misterioso mondo degli Shaper!

2. I creatori di vita
Riuscire a creare dal nulla la vita è un antico sogno coltivato dalla specie umana. Nel mondo di Geneforge, questo sogno è stato realizzato da una antica setta di maghi-studiosi chiamati Shaper (parola che potremmo tradurre con “formatori”, vale a dire: “coloro che danno la forma”): attraverso particolari sostanze e complicati macchinari, questi arditi intellettuali possono dar vita sia a figure antropomorfe miti e laboriose (i servile) sia a vari mostriciattoli con compiti di difesa o di conquista. Chiaramente possedere un potere simile è rischioso: per questo la trafila per diventare Shaper è estremamente lunga e complessa, piena di prove ed esami che attestino non solo le capacità del candidato ma anche il suo stato psicologico. In Geneforge il giocatore è chiamato a impersonare proprio uno Shaper in procinto di terminare il suo periodo di formazione e addestramento. L’ultima prova comporta un viaggio navale fino a una determinata isola, ma qualcosa va storto: improvvisamente, una strana imbarcazione attacca il natante del nostro alter ego, che finisce in acqua e riesce a salvarsi solo perché si trova a pochi metri dalla riva di un’altra isola. È l’isola Sucia, ma non è precisamente un luogo idilliaco: si tratta infatti di un territorio proibito, etichetta che viene posta su tutte quelle zone dichiarate inaccessibili a causa di qualche esperimento degli Shaper finito male.
Ripresosi dal trauma, il nostro personaggio deve cercare in qualche modo di tornare a casa: dopo aver mosso pochi passi nell’isola, però, scopre che la cosa non sarà così semplice. Non c’è nessuna barca a disposizione, e in più nell’isola stanno succedendo cose davvero strane: molti servi, abbandonati a se stessi dopo la fuga degli Shaper in seguito alla proibizione del territorio, hanno costruito città e insediamenti e si sono perfino divisi in fazioni contrapposte; innumerevoli creazioni feroci e violente popolano i boschi selvaggi; come se non bastasse, pare che una ignota popolazione umana straniera sia giunta nell’isola e abbia velleità di conquista. Riuscirà il nostro eroe a dipanare la matassa e a tornare a casa sano e salvo?

3. Giocabilità
Geneforge è un classico gioco di ruolo in due dimensioni con visuale isometrica, esplorazione in tempo reale e combattimenti a turni. Il mondo è diviso in mappe collegate da punti di entrata e di uscita e riunite in una grande mappa del mondo tramite la quale è possibile ‘saltare’ direttamente nelle zone già esplorate. Il movimento all’interno di una mappa avviene tramite la semplice pressione di un tasto del mouse: col personaggio si muove anche la linea visuale, che viene bloccata da muri e altri ostacoli visivi; le zone già esplorate ma non visibili sono coperte dalla consueta “nebbia di guerra”. Il cursore del mouse cambia quando viene sovrapposto a oggetti con cui è possibile interagire: contenitori, leve e macchinari, personaggi non giocanti o nemici. Il dialogo è a risposta multipla: le risposte possibili dipendono da una gran quantità di variabili, dalle caratteristiche del nostro personaggio alle sue scelte precedenti. La nuova interfaccia è molto discreta rispetto a quella originaria: in alto a sinistra ci sono i ritratti del nostro eroe ed eventualmente delle creature che lo accompagnano, in alto a destra c’è la minimappa e in basso c’è la barra personalizzabile che permette di accedere rapidamente a pozioni e incantesimi. L’inventario è in una schermata separata e altre interfacce riuniscono i dati relativi alle statistiche, alle abilità e al diario. Quest’ultimo non solo tiene traccia delle quest assegnate ma offre anche una utile opzione che consente di registrare qualunque dialogo o qualunque libro per poi rileggerlo in seguito.
Una particolarità interessante è che ogni locazione è letteralmente piena di oggetti con cui è possibile interagire, anche se spesso l’interazione non serve a nulla se non ad aumentare il senso di realismo del mondo: tramite un apposito tasto si apre una finestra che mostra tutti gli oggetti che si possono raccogliere, e spesso tra essi ci sono piatti, posate, bicchieri, abiti e perfino spazzatura. È possibile imbattersi in cibo e mangiarlo, rinvenire pozioni e artefatti utili in combattimento, e spesso gli oggetti sono collegati a un certo personaggio non giocante e raccoglierli significa rubarli, con tutte le conseguenze del caso (il programma ci avvisa quando stiamo per compiere un furto). I personaggi possono essere attaccati liberamente, compresi quelli che hanno un ruolo cruciale nella storia: il gioco comunque offre talmente tante possibilità di conclusione che rimanere bloccati è un evento quanto mai improbabile. Il combattimento è organizzato a turni: ciascuna creatura ha a disposizione un certo numero di punti azione che può utilizzare per muoversi, sferrare un attacco, lanciare un incantesimo o adoperare un oggetto. Normalmente i punti azione disponibili sono 8 (il numero può aumentare se siamo sotto la positiva influenza di un incantesimo di velocità, o può diminuire se siamo sovraccarichi o storditi): spostarsi di una casella costa 1 punto, adoperare un oggetto costa 3 punti, attaccare o lanciare un incantesimo costa 5 punti.
Attenzione però: queste ultime due azioni terminano comunque il turno, indipendentemente dal numero di punti azione a disposizione (a meno che i punti restanti non consentano un altro attacco o il lancio di un’altra magia). Una buona strategia è quindi usare un oggetto e poi attaccare: ma occorrerà giudicare spesso in base alla condizione, e uno stesso combattimento affrontato con strategie diverse avrà esiti molto lontani tra loro. Il gioco mette a disposizione armi in corpo a corpo e armi a distanza, nonché incantesimi offensivi anche molto potenti. Geneforge contiene anche qualche blando enigma, e diverse aree sono pensate per i personaggi con doti ‘tecniche’ molto sviluppate: abbondano infatti le porte e i contenitori chiusi a chiave, nonché i macchinari atti a disattivare le difese di un edificio o a volgerle a proprio vantaggio. Lo scassinamento avviene tramite l’utilizzo di uno strumento chiamato living tool: dovremo averne parecchi per scassinare una singola serratura, se la nostra abilità meccanica non è sufficientemente elevata.

4. Lo sviluppo del personaggio
Geneforge inizia ovviamente con la creazione del nostro alter ego: come già detto, impersoneremo comunque un membro della setta degli Shaper, ma questo non significa che non vi sia possibilità di personalizzazione. Anzitutto occorre scegliere tra tre classi: il Guardian, l’Agent e lo Shaper propriamente detto. Il Guardian è un esperto combattente, sia con le armi in corpo a corpo sia con le armi a distanza, ma ha anche qualche discreta dote evocativa, mentre è poco portato per la magia. L’Agent è un valente mago, ma ha anche qualche dote di combattimento, mentre è poco abile nell’evocazione. Lo Shaper è un valente evocatore, ma ha anche qualche dote magica, mentre è molto scarso nel combattimento. La scelta della classe non è una cosa di poco conto perché influenza tutto lo svolgimento del gioco, nel modo che ora analizzeremo.
La crescita del personaggio avviene tramite l’acquisizione di punti esperienza, derivanti dall’uccisione di nemici e dalla soluzione di quest; la quantità acquisita in seguito a una certa azione varia pesantemente nel corso del gioco: quando il nostro personaggio è potente, uccidere una creatura inerme non porterà alcun risultato in termini di esperienza. Una volta raggiunto un nuovo livello, il nostro personaggio avrà a disposizione 10 punti attributo, da distribuire a piacere. Alcune caratteristiche hanno un costo uguale per tutti, per esempio le quattro caratteristiche base (forza, agilità, intelligenza, costituzione) nonché i valori di leadership, di meccanica e di movimento furtivo. Le altre hanno un costo che varia in base alla classe: un Guardian spenderà poco per aumentare le caratteristiche di combattimento, ma spenderà moltissimo per quelle magiche; lo stesso accade alle altre classi in base alle rispettive specializzazioni. È quindi teoricamente possibile conferire qualche abilità magica a un Guardian, ma il costo di questa operazione sarà talmente alto da scoraggiare i più e da favorire la costruzione di personaggi specializzati. Gli incantesimi e le abilità di evocazione non possono essere acquistati tramite i punti attributo né imparati dai personaggi non giocanti se non in casi eccezionali: per averli e poterli usare è necessario trovare in giro per l’isola di Sucia i cosiddetti canister, particolari artefatti dimenticati dagli Shaper e in grado di conferire immediatamente a chi li usa una determinata abilità. La necessità di trovare il maggior numero possibile di questi oggetti è un decisivo stimolo per l’esplorazione approfondita delle mappe: molti canister si trovano infatti in zone remote e nascoste, o magari in anfratti difesi da qualche pericolosa creatura. In giro per Sucia ci sono numerosi canister per ciascuna abilità: se adoperiamo un canister relativo a una abilità già conosciuta dal nostro personaggio, ne miglioreremo l’utilizzo.

5. Evocazioni per tutti i gusti
La caratteristica che distingue gli Shaper dal resto dell’umanità è la loro capacità di creare la vita: il gioco pone una grande enfasi su questo aspetto, dando al nostro personaggio la capacità di evocare dal nulla molte creature che potranno poi accompagnarlo nelle sue avventure. In particolare chi sceglie di interpretare uno Shaper ‘puro’ si vedrà costretto a creare un vero e proprio piccolo esercito per avere la possibilità di sopravvivere ai combattimenti. Le creature evocate variano in aspetto, potenza e abilità, e possono essere personalizzate in fase di creazione, aumentando la potenza delle loro caratteristiche al costo di una maggior difficoltà nel controllarle: vi sono mostri che gettano palle di fuoco, potenti umanoidi combattenti o anche creature che lanciano incantesimi magari inaccessibili al nostro personaggio. La riedizione del gioco ha ri-calibrato completamente la gestione delle creature: ora queste ultime non accumulano più punti esperienza e non salgono di livello, ma hanno invece una potenza e delle abilità che dipendono dalla capacità del nostro eroe e dalle scelte fatte nel momento in cui la creatura viene messa al mondo. Rispetto al gioco originale, quindi, è meno cruciale mantenere in vita le creature; d’altro canto, è anche più difficile tenerle sotto il nostro controllo, dato che non è più possibile conferir loro un’alta intelligenza per tenerle sempre a bada.
Evocare una creatura costa una determinata quantità di essenza, un valore che è determinato dall’intelligenza del nostro personaggio: se però l’essenza che viene spesa per lanciare incantesimi può essere ripristinata tramite pozioni o appositi altari, quella spesa per evocare le creature viene cancellata dalla nostra essenza totale fintanto che le creature stesse resteranno in vita. Chi vuole evocare creature ma anche lanciare qualche incantesimo dovrà quindi bilanciare attentamente questi due aspetti. Per lanciare magie è necessaria, oltre all’essenza, anche la cosiddetta energy, il corrispettivo del mana che si trova in molti altri giochi: questa si ricarica molto velocemente e la sua presenza ha la sola funzione di evitare il lancio ripetuto di incantesimi molto potenti in fase di combattimento.

6. Ermeneutica del servilismo
Occupiamoci ora più dettagliatamente dell’interessante ambientazione di questo gioco. L’originale spunto narrativo di partenza ha infatti permesso a Vogel di creare situazioni a dir poco singolari, ricche di quella fertile ambiguità che sta alla base di ogni buon gioco di ruolo. Dicevamo che l’isola di Sucia è stata abbandonata dagli Shaper e dichiarata territorio proibito, non si sa per che motivo. I servi creati dagli Shaper e rimasti da soli sull’isola si sono organizzati per tentare di sopravvivere anche senza i loro padroni. Le vicissitudini vissute dai servi hanno portato alla formazione di tre diverse fazioni, distinte in base alla strategia che i servi stessi hanno intenzione di mettere in atto nei confronti dei loro (ex?) padroni. Gli Obeyer sono convinti che i servi siano nati per servire e debbano rimanere per sempre fedeli a questa loro natura sottomessa; gli Awakened sono convinti che i servi siano in grado di badare a se stessi e che si debba promuovere una pacifica convivenza tra loro e gli Shaper, nel rispetto della reciproca indipendenza; i Taker sono convinti che gli Shaper siano i responsabili di enormi crudeltà verso di loro e che vadano quindi annientati senza pietà.
Appena messo piede sull’isola, il nostro alter ego si trova suo malgrado coinvolto nella lotta tra queste tre fazioni e si scoprirà costretto o quasi a schierarsi con una di esse (“quasi” perché in realtà è possibile completare il gioco anche rimanendo neutrali, ma è molto più difficile). La veloce descrizione fatta sopra non deve far pensare che le fazioni siano tratteggiate in base al bene o al male: in realtà tutte e tre hanno un po’ ragione e un po’ torto, per diversi motivi. Molto spesso, scopriremo che i principi filosofici e politici alla base di una certa fazione sono condivisibili, ma che lo sono molto meno i metodi adoperati per concretizzarli: probabilmente ciascuno dei giocatori vedrà nascere le sue particolari simpatie, connesse con il suo modo personale di guardare al mondo e a concetti come giustizia, pace, legge, ordine. Il sottoscritto per esempio trova particolare affinità con l’idea libertaria portata avanti dai Taker, ma trova disgustosi i loro metodi violenti e terroristici; gli Obeyer sembrano miti e gentili, ma in realtà adoperano la loro posizione favorevole nell’isola per applicare una sorta di embargo contro le altre fazioni; gli Awakened sembrano equilibrati e pieni di buon senso, ma in realtà sono incapaci di portare alle estreme conseguenze la loro sudata e riacquistata libertà. Questa situazione dà all’autore la possibilità di dar vita a dialoghi e scenette memorabili e praticamente impossibili da risolvere in modo piano e giusto. Molti servi, specialmente tra gli Obeyer, si prostrano letteralmente ai piedi del nostro alter ego e mostrano una sorta di masochistico piacere nel ricevere insulti e ordini faticosi o impossibili da portare a termine.
Se liberare un servo gli provoca una profonda depressione, qual è la cosa giusta da fare? In una occasione, una servile mind, cioè una specie di animaletto posto sopra una colonna atto a controllare gli edifici un tempo dedicati agli esperimenti degli Shaper, dovrà essere disattivata e uccisa per accontentare una fazione e ottenere così il suo aiuto: il povero servitore tenterà di trattenerci dall’insano gesto con parole sagge e commoventi, ma lasciarlo in vita significherà dover trovare una strada diversa per proseguire nel gioco. A parte questi casi specifici, comunque, tutto il concept del gioco rivela una natura quanto meno ambigua della setta di cui il nostro personaggio fa parte: i servi mostrano non solo una chiara aspirazione di libertà, ma sono anche capaci di pensieri complessi, di innamorarsi e di riprodursi, e le istigazioni all’obbedienza introiettate nel loro ego al momento della creazione provocano spesso situazioni di profonda dissociazione psicologica. Siamo sicuri di essere contenti di appartenere a una setta che si diletta con simili esperimenti?

7. Finali per tutti i gusti
Un altro aspetto peculiare di Geneforge è la sua estrema duttilità dal punto di vista narrativo. Si può quasi dire che non siamo di fronte a una vera e propria trama ma a un canovaccio composto da varie tessere che possono essere combinate in modo diverso e che non necessariamente devono essere tutte toccate. Non si tratta solo, quindi, di poter finire il gioco dal lato cattivo, ma di poterlo finire in molti punti diversi. Il nostro personaggio può scegliere fino a che punto farsi coinvolgere dalle faccende interne dell’isola, e se decide di pensare ai fatti suoi il gioco non lo penalizza e gli dà comunque la sensazione di aver completato un percorso. Lo scopo principale del nostro personaggio è fuggire dall’isola: se a un certo punto troverà una barca (ce n’è una nascosta in un porto remoto e ben difeso) potrà andarsene ignorando tutti i problemi emersi sull’isola e concludendo, in modo comunque legittimo, il gioco.
Potremmo fare altri esempi, ma saremmo costretti a rivelare frangenti del canovaccio che è meglio scoprire giocando. Questa estrema versatilità narrativa ha una evidente conseguenza: l’alta rigiocabilità. Anche due personaggi che finiscono il gioco allo stesso modo, infatti, difficilmente avranno adoperato sempre i medesimi percorsi: non solo aderire a una delle tre fazioni ha delle conseguenze precise, ma ciascuna meta importante può essere solitamente raggiunta almeno in due modi, uno adatto a personaggi combattivi e l’altro adatto a personaggi carismatici e abili nella meccanica. Nel costruire ambientazione e storia Vogel dimostra non solo di avere notevoli doti narrative ma anche di padroneggiare alla perfezione le diverse parti di cui si compone un plot e di essere in grado di scomporle e ricombinarle senza cadere in gravi contraddizioni.

8. Grafica e sonoro
Il confronto tra le immagini catturate dal gioco originale e quelle relative alla nuova edizione mostrano plasticamente i passi in avanti fatti da Spiderweb: il remake di Geneforge è molto più bello da vedere rispetto al suo predecessore e ha, come abbiamo già scritto, un’interfaccia molto più moderna e discreta. Purtuttavia, non possiamo certo dire che l’aspetto di questa nuova edizione sia lo stato dell’arte della grafica isometrica in due dimensioni, e nemmeno qualcosa che gli si avvicini lontanamente. Geneforge I: Mutagen è visivamente scarno non solo rispetto a Pillars of Eternity, ma anche rispetto al primo Baldur’s Gate, un gioco del 1998. Questo è un problema serio: in questo gioco l’assenza di personalità di ambientazioni e creature cozza visibilmente con l’originalità del concept e della narrazione. Il problema non è la semplicità delle texture né la modestia degli effetti, ma piuttosto gli ambienti costruiti a blocchi tutti uguali, che impediscono al giocatore di collegare visivamente un certo luogo alle sue caratteristiche estetiche. È evidente che una cosa simile ha una forte ricaduta sul piano della giocabilità, tanto che molte volte le descrizioni testuali tentano di colmare il problema caratterizzando maggiormente una certa ambientazione.
Appunti simili a questi merita l’impianto musicale, in pratica del tutto assente se si esclude un innocuo motivetto di apertura e qualche timidissimo effetto ambientale.
Il paradosso è che molti fan di Spiderweb si aspettavano grandi cose quando Vogel mise a punto la sua prima campagna Kickstarter: il finanziamento dal basso sembrava proprio il possibile calcio d’inizio, appunto, per proiettare questi giochi meravigliosi magari non nell’ambito delle produzioni tripla A ma almeno verso un bel 2D pulito e moderno. Così non è stato, e il passo in avanti si è concretizzato nel minimo indispensabile o quasi. La faccenda è difficilmente comprensibile: che costo può avere, al giorno d’oggi, la creazione di un motore grafico come l’Infinity, realizzato a fine anni Novanta? Il sospetto è che quella di Vogel sia una vera e propria scelta di campo, di carattere ‘politico’ prima ancora che estetico o stilistico: l’orgoglioso rivolgersi a una nicchia, ribadito anche di fronte alle nuove possibilità offerte dal finanziamento dal basso, si traduce in una precisa identità, che va forse a discapito della qualità del singolo prodotto ma a vantaggio del ‘marchio’ visto nella sua interezza.

9. Conclusione
Geneforge I: Mutagen è un gioco di ruolo per computer di tutto rispetto. In esso, la scarsità di appeal grafico e sonoro è pari alla ricchezza in termini di ambientazione, di narrazione e di duttilità interpretativa. Se fosse dotato di un motore grafico e sonoro all’avanguardia, questo prodotto potrebbe tranquillamente competere ad armi pari con i titoli basati sulla interpretazione più blasonati. La riedizione ha reso quel piccolo gioiello che era l’originale in un prodotto ancora migliore: più facilmente utilizzabile, più adatto alle risoluzioni moderne, più ricco di contenuti; ma allo stesso tempo ha mantenuto l’identità primigenia, quella di un prodotto che è profondo ma accessibile, ponderoso in termini di tematiche ma leggero in termini di testo, sfidante senza essere inutilmente complicato, perfettamente equilibrato in quasi ogni sua parte. Se non c’erano scuse prima, adesso ce ne sono ancora meno.

Tre pregi di Geneforge I: Mutagen Tre difetti di Geneforge I: Mutagen
Ambientazione e concept curati e originali Il bilanciamento talvolta è imperfetto
Giocabilità classica e perfettamente funzionale L’interfaccia ha ancora qualche margine di miglioramento
Estremamente versatile Grafica e sonoro sono primitivi

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