La prima mini-espansione per il Fallout di Obsidian è una profonda e originale avventura caratterizzata da un livello qualitativo almeno paragonabile a quello del gioco base.
[articolo originariamente pubblicato il 7 marzo 2011]
1. Il tramonto dell’espansione, l’ascesa del DLC
Il sottoscritto iniziò a giocare di ruolo nel lontano 1998, con l’indimenticato Baldur’s Gate di Bioware. Ebbene, quando un gioco colpiva l’utente, in quegli anni (ma anche in gran parte del decennio successivo), quest’ultimo si metteva pazientemente in attesa di poter giocare alla sua espansione, che di certo sarebbe arrivata entro qualche mese se il titolo aveva riscosso un certo successo commerciale. L’espansione rappresentava, in un certo senso, l’uovo di colombo: da una parte consentiva al giocatore di tornare in uno dei suoi mondi preferiti per viverci nuove avventure, senza il necessario periodo di ‘rodaggio’ che segna l’iniziale sperimentazione di un prodotto nuovo; dall’altra consentiva a sviluppatori e produttori di monetizzare la fidelizzazione del cliente, bypassando tutte le onerose procedure che stanno dietro la creazione di un gioco inedito. Ma perché stiamo parlando al passato? La motivazione è presto detta: l’epoca dell’espansione sembra irrimediabilmente conclusa.
A parte alcuni casi, che hanno chiaramente il carattere dell’eccezionalità (vedi The Sims, del quale ogni episodio vanta un numero spropositato di pacchetti aggiuntivi venduti nei negozi), oggi i prodotti caratterizzati da notevole successo commerciale hanno trovato una via più semplice per espandere il proprio mondo e gli introiti economici a esso collegati: il contenuto scaricabile online. La diffusione universale di internet, che tra i paesi occidentali incontra ancora difficoltà solo in Italia, probabilmente a un certo punto farà sparire del tutto anche le copie fisiche del gioco completo: che abbia fatto sparire praticamente subito quelle delle espansioni è perfettamente comprensibile, dato che un’espansione molto raramente è accompagnata dalla frenesia di possesso che accompagna l’uscita di un nuovo gioco, che spesso ci sembra ancora di avere solo a metà se non possiamo esporre sullo scaffale la sua scintillante scatoletta. Senza contare che il vero appassionato punterà, nel caso dell’uscita di un gioco atteso, sulla lussuosa edizione da collezionisti, edizione che le espansioni non hanno mai avuto se non in casi particolari. Che la confezione fisica degli add-on sparisse presto era dunque nell’ordine delle cose: meno prevedibile, forse, poteva essere il fatto che tale sparizione si sarebbe accompagnata a mutamenti nella natura stessa delle espansioni. Internet favorisce naturalmente le micro-transazioni: basti pensare a tutti quei giochi online teoricamente gratuiti, che in realtà richiedono il pagamento di piccole somme di denaro per ottenere elementi aggiuntivi capaci di migliorare l’esperienza complessiva. Questo talvolta si traduce, nei prodotti ad alto budget, nel proliferare di micro-espansioni vendute per pochi euro ciascuna e spesso concretizzantesi in semplici oggetti virtuali quali nuove armi o armature per il personaggio giocante.
Se queste sono le nuove espansioni del terzo millennio, c’è poco da stare allegri: i pacchetti venduti in passato nei negozi avevano contenuti di dimensioni variabili, ma comunque sempre di un certo peso, nell’ordine delle decine di nuove ore di gioco. Per fortuna la situazione sta maturando e nei programmatori è sempre più radicata la convinzione che siano le espansioni ‘vere’ quelle a meritare l’attenzione maggiore: il pubblico dei giochi di spessore, evidentemente, non è lo stesso dei browser game ed è forse meno incline alla micro-transazione frequente e compulsiva. Già Fallout 3 di Bethesda ebbe cinque espansioni di un certo peso; la stessa situazione si sta ripetendo per Fallout: New Vegas di Obsidian. Anzi, molto probabilmente la fattispecie è ancora migliore: la prima mini-espansione, intitolata Dead Money, è tale in realtà solo di nome, dato che presenta contenuti abbondanti e interessanti. Scendiamo nei dettagli.
2. I segreti del Sierra Madre
Una volta acquistata, scaricata e installata l’espansione (venduta solo tramite Steam, la piattaforma di digital delivery di Valve già utilizzata per la protezione del gioco base), basterà caricare un salvataggio che preceda il ‘finale’ di New Vegas, oltre il quale, come si sa, non è più possibile proseguire la partita. Fatti pochi passi nel Mojave, il nostro eroe capterà un messaggio radio: sta per essere inaugurato un nuovo casinò, il “Sierra Madre”, che promette tante sorprese e addirittura la possibilità di “ricominciare da zero”, qualsiasi cosa questo significhi.
Val la pena indagare: il messaggio arriva da un avamposto all’apparenza abbandonato della Brotherhood of Steel, una delle più importanti fazioni del mondo di Fallout, presente in ogni episodio della serie. Basterà tentare di introdursi al suo interno per ricevere dal gioco un messaggio sotto forma di finestra: una volta iniziata l’avventura nel Sierra Madre, non sarà più possibile tornare indietro fino alla sua conclusione; inoltre, le sfide presenti sono riservate a personaggi di alto livello. Se ci sentiamo preparati, proseguiamo nell’esplorazione dell’avamposto: nel giro di qualche secondo il nostro personaggio perderà i sensi, per risvegliarsi in un luogo dall’aria decisamente infernale. Nubi rosse si addensano in cielo, lasciando cadere periodicamente a terra cumuli di gas tossico; sullo sfondo si staglia la sagoma beffardamente glamour del casinò, mentre attorno al nostro personaggio si allarga un villaggio dal sapore vagamente ispanico, all’apparenza diroccato e abbandonato. Ci accoglie in questo bel contesto un ologramma, proiettato sulla cima di una fontana al centro della piccola piazza in cui si materializza il nostro alter ego: è l’avatar di un ex capo della Brotherhood, Father Elijah, già ricordato nel gioco base soprattutto per la sua estrema ambizione, ma anche per le motivazioni dubbie dietro certi suoi comportamenti. L’anziano scriba ci racconta la storia del luogo dove ci troviamo: veniamo a scoprire che il Sierra Madre in realtà non è mai stato inaugurato, dato che la cerimonia è stata interrotta e messa in una sorta di perenne stand-by dallo scoppio della guerra. All’interno della struttura, quindi, giacciono presumibilmente tanti tesori dell’epoca pre-bellica, a disposizione di chiunque riesca a aprire lo scrigno rappresentato dal casinò stesso: operazione più semplice a dirsi che a farsi, dato che l’apertura è operativamente connessa all’inaugurazione stessa, per far partire la quale occorre la collaborazione di una squadra, un solo avventuriero non è sufficiente. L’intento di Elijah, che ci parla da un luogo inizialmente ignoto, è utilizzare il nostro personaggio per aprire il casinò e scoprire i suoi segreti e le sue ricchezze.
Per assicurarsi la nostra benevola ‘collaborazione’, lo scriba ha pensato bene di mettere al collo del nostro personaggio un inquietante collare esplosivo: basterà rifiutare di eseguire un ordine per saltare in aria e dire addio a qualsiasi missione. Il collare, però, ha uno spiacevole effetto collaterale: fa interferenza con le onde radio. Basterà avvicinarsi troppo a una radio accesa per vederlo attivarsi, con conseguente fine prematura della partita. E non è tutto: il villaggio attorno al casinò è funestato anche dai gas velenosi che invadono alcune sue aree, ferendo progressivamente chiunque le attraversi. Senza contare che tutta l’area è letteralmente zeppa di trappole di ogni tipo, collocate da esploratori precedentemente penetrati nella struttura, che temevano la concorrenza di altri avventurieri. Venirne a capo, dunque, non sarà certo un compito facile.
3. Ogni passo va calibrato
La struttura di Dead Money è piuttosto semplice e lineare: all’inizio si tratta di trovare i tre potenziali compagni di viaggio presenti nel villaggio ai piedi del casinò, e di convincerli a collaborare con il protagonista per far partire l’inaugurazione. Poi è finalmente possibile entrare nel casinò, trovare i tesori nascosti al suo interno e fronteggiare il nostro aguzzino così da liberarsi del terribile collare esplosivo e poter tornare nel Mojave. Questo scheletro elementare, però, è reso notevolmente interessante non solo dalla qualità della scrittura e delle trovate, ma anche dagli innesti di nuova giocabilità ideati dagli autori per rinfrescare l’abusato modus operandi originale, abbondantemente esplorato anche nel capitolo precedente della saga. Il principale elemento inedito è rappresentato dalla necessità di prestare notevole attenzione all’esplorazione e all’avanzamento, soprattutto nei primi momenti della nuova avventura. Il nostro personaggio parte senza equipaggiamento e senza compagni: dovrà inizialmente adoperare armi di fortuna, magari collegate ad abilità non adeguatamente potenziate nel gioco originale. A ostacolare i suoi passi non saranno solo strani ed enigmatici nemici ma soprattutto trappole (tagliole, granate che cadono dall’alto, fucili automatici), senza contare la terribile nube velenosa e soprattutto le radio accese.
Queste ultime rappresentano davvero un’idea originale: quando sentiremo una radio gracchiare in lontananza, dovremo metterci sull’attenti. Se tenteremo qualche passo nella direzione da cui proviene il suono, il collare esplosivo inizierà a emettere segnali: avremo solo qualche secondo, a quel punto, per uscire dalla zona sotto interferenza o per distruggere la radio. Ogni situazione andrà valutata sulla base di tante variabili: abbiamo capito dove si trova la radio? Riusciamo a posizionarci in modo da ‘vederla’, così da spararle prima che il collare esploda? Oppure siamo in grado, con uno sprint di corsa e qualche salto, a superare semplicemente la sua zona di interferenza? A volte a complicare la faccenda contribuiscono nuovi nemici, i più temibili dei quali sono gli ologrammi di sicurezza che pattugliano alcune aree del casinò. Sarà inutile puntare a loro con le armi: non avendo consistenza fisica, non possono essere feriti. L’unico modo per tenerli a bada è accedere a un terminale e modificare il loro comportamento, oppure, meglio, individuare il sensore che li genera e disattivarlo. Essere vittima di un attacco comporta penalità gravi: nell’area del casinò è impossibile dormire, se non in luoghi particolari, quindi le ferite vanno curate solo attraverso oggetti curativi. Ma come procurarseli?
Il sistema migliore è adoperare i distributori automatici sparsi per l’area di gioco, che però accettano come ‘moneta’ solo i chip del casinò, che quindi diventeranno ben presto il bottino più appetibile per il nostro povero avventuriero. Di fianco a questo comparto esplorativo così diverso rispetto a quello del gioco base troviamo l’immancabile sequenza di combattimenti, peraltro non così invasivi, e naturalmente ampie sezioni di dialogo, caratterizzate dalla profondità e dall’originalità a cui i membri di Obsidian ci hanno abituato fin dai tempi del glorioso Planescape: Torment. I tre personaggi arruolabili sono forse il vero centro dell’avventura e hanno una storia e una personalità che si intrecciano indissolubilmente con il luogo e con la stessa narrazione che il nostro eroe si trova a vivere. Non possiamo scendere troppo in profondità per non fare eccessivo “spoiler”, ma vi anticipiamo che uno è un mutante nightkin affetto da gravi problemi di scissione della personalità, un altro è un ghoul attore molto charmant, mentre la terza è una ragazza muta ma non per questo incapace di esprimersi. I loro racconti si incastreranno come tessere di un inquietante puzzle, fino a rivelare la natura autentica del Sierra Madre, che sotto l’effimera natura di casa da gioco nasconde una identità inaspettata e, a suo modo, terribile.
4. Ufficio Complicazione Cose Semplici
Approfittiamo della recensione di questa espansione, che ci lascia liberi dall’occuparci dei meccanismi di base della giocabilità (che sono rimasti ovviamente gli stessi del gioco base), per fare una riflessione più ad ampio raggio sulle modalità con cui Obsidian, o meglio il gruppo di autori che attualmente lavora sotto questo nome, costruisce le sue ambientazioni e le vicende narrate dai suoi giochi. È evidente a tutti che il principale punto di forza delle produzioni Avellone & Urquhart è proprio l’elemento narrativo e ambientale, ossia la trama e il background: giocando a Planescape: Torment piuttosto che a Mask of the Betrayer (ma anche all’ingiustamente sottovalutato Icewind Dale, talvolta demenzialmente derubricato a semplice GdR d’azione) si ha talvolta l’impressione di essere di fronte alla concretizzazione ludica di importanti riflessioni di carattere etico, filosofico, politico o sociologico, riflessioni ai quali i meccanismi della giocabilità devono adeguarsi, mentre nella quasi totalità dei casi succede esattamente il contrario.
Vale a dire che normalmente è la salienza dei contenuti ad appoggiarsi sulla funzionalità del meccanismo ludico: e ci verrebbe da aggiungere anche “per fortuna”, dato che qualsiasi espressione artistica eccessivamente concentrata sul messaggio si risolve solitamente in una operazione di vacua e zoppicante retorica, che ha perso di vista il suo scopo principale (essere arte di qualità) a favore di una parte della sua essenza. Si tratta naturalmente di tematiche molto complesse, sulle quali esiste una bibliografia sterminata, ma qui ci sentiamo di poter affermare, con la necessaria brevità che la sede ci impone, che la grande opera d’arte è il frutto della felice alchimia tra medium e messaggio, senza che vi sia prevalenza di nessuna delle due parti sull’altra. Applicando questo assunto sul mondo della produzione videoludica, ci pare di poter dire che in gran parte delle produzioni vi sia dominio assoluto del medium: chi si lamenta dello stato di infantilismo e di minorità in cui ancora alberga il videogioco nella mentalità della maggioranza, si sta in fondo riferendo proprio a questo problema. I grandi capolavori del GdR mostrano, però, che si può almeno mirare a un equilibrio effettivo: prodotti come Dragon Age: Origins o Mass Effect, con tutti i loro limiti, rappresentano senz’altro un passo nella giusta direzione. Planescape: Torment è forse il momento magico in cui il nostro hobby preferito ha raggiunto il punto di massima vicinanza alla felice alchimia di cui sopra.
Forse nel tentativo di ripetere quell’esperienza, però, in alcune occasioni Obsidian mostra la pericolosa tendenza a esagerare in senso opposto, e quindi a sfiorare quella pericolosa retorica a cui accennavamo qui sopra. È una sensazione che abbiamo già avuto in alcuni momenti di Mask of the Betrayer e che ci è capitato di avere nuovamente durante Dead Money: si tratta dell’impressione che molti aspetti della vicenda narrata siano ‘appesantiti’ da riferimenti eccessivamente ripiegati su se stessi, da cenni vaghi a tematiche nebulose o irrisolte, che a volte toccano insistentemente la linea sottile che separa l’evocativa costruzione di atmosfere dalla pretenziosa esibizione di vacuo intellettualismo. Far crescere il videogioco non significa per forza imbottirlo di divagazioni filosofiche: significa sfruttare questo mezzo per affrontare tematiche interessanti e ‘reali’, ma senza mai dimenticare che stiamo pur sempre parlando di videogiochi.
Dead Money è senza dubbio un ottimo investimento: per una manciata di euro ci portiamo a casa una nuova avventura della durata di una decina di ore (il sottoscritto, che è di una lentezza epocale, ha portato a termine l’espansione in circa dodici ore), caratterizzata da una notevole profondità e da meccanismi ludici capaci di rinnovare almeno in parte l’esperienza vissuta col gioco base. Alcune avvertenze sono necessarie, al di là della riflessione estemporanea soprastante: Dead Money è una avventura per personaggi di alto livello, ambientata in un’area totalmente scollegata con quella del gioco base, ed è soprattutto una avventura dedicata a giocatori abili e pazienti. Se quel che più vi entusiasma di Fallout: New Vegas è la sua componente di rilassato free-roaming, questo pacchetto potrebbe non fare per voi.
Tre pregi di Dead Money | Tre difetti di Dead Money |
Nuova ambientazione curata e interessante | I meccanismi di base sono sempre quelli di Fallout: New Vegas |
I compagni di viaggio sono originali e hanno personalità ben approfondite | Alcuni giocatori potrebbero trovarlo frustrante |
La rinnovata giocabilità richiede attenzione e creatività | Le modalità di narrazione soffrono talvolta di eccessivo autocompiacimento |