Dungeon Siege II

Qualche anno fa, la casa di sviluppo chiamata Gas Powered Games, capitanata da un veterano della ‘vecchia’ strategia in tempo reale come Chris Taylor, pubblicava Dungeon Siege, GdR action tanto sfavillante graficamente quanto superficiale nella giocabilità. Ora è uscito un seguito che porta molto in avanti le idee presenti nel concept originale.

[articolo originariamente pubblicato il 26 ottobre 2005]

1. Un inizio da dimenticare
Il primo Dungeon Siege, uscito dalla ‘penna’ di Gas Powered Games nel 2002, rappresenta forse meglio di qualunque altro titolo la discrepanza che spesso sussiste fra la ‘prima impressione’ che un videogioco provoca nel fruitore e il reale spessore del videogioco stesso, evidente il più delle volte solo dopo che la meraviglia iniziale è scemata lasciando il posto a un atteggiamento più razionale e ‘critico’. Osannato praticamente da tutte le recensioni, Dungeon Siege ha dovuto scontrarsi con moltissime critiche, principalmente basate sulla sua giocabilità estremamente superficiale, quasi ‘automatica’, e sulla totale assenza di una qualsivoglia motivazione che potesse spingere anche il giocatore più tenace a combattere per ore e ore contro orde di mostri tutti uguali.
Perché in questo, alla fine, si risolveva la grande ambizione del lead designer Chris Taylor: un immenso ‘corridoio’ travestito ora da dungeon, ora da foresta e ora da montagna innevata, popolato da creature ostili anch’esse solo esteticamente differenziate e percorso da un gruppo di avventurieri in teoria controllati dal giocatore, in realtà del tutto indipendenti nello schiacciare i moscerini che gli si paravano davanti, lasciando all’utente il compito non proprio entusiasmante di farli avanzare ogni tanto di qualche passo o di far bere loro qualche pozione. A confondere le idee a critica e pubblico, però, c’era un ottimo motore di gioco (‘Siege Engine’) interamente tridimensionale, privo di caricamenti, capace di far muovere sullo schermo moltissimi particolari e talvolta di dare un’ottima sensazione di immersione. Tutti furono d’accordo, all’epoca, nell’affermare che buttare via un simile motore dopo averlo adoperato solo per quel prodotto inconsistente che era Dungeon Siege sarebbe stato veramente un peccato. Anche perché nulla ha risolto Legends of Aranna, la mediocre espansione realizzata da Mad Doc Software nel 2003. Per fortuna, GPG si era messa subito al lavoro per realizzare un seguito che raccogliesse le principali lamentele espresse dal pubblico: da qualche mese il lavoro è concluso e il gioco disponibile, e possiamo dire fin da subito che Dungeon Siege II è quel che Dungeon Siege avrebbe dovuto essere fin dall’inizio.

2. Dalla parte sbagliata
Il gioco inizia con un filmato, paragonabile per qualità ai ‘leggendari’ filmati della Blizzard, nel quale ci viene narrata a grandi linee la storia passata del mondo di Aranna, nel quale ci troveremo di lì a poco catapultati. L’inizio dell’era presente fu determinato dai capovolgimenti magici e di conseguenza sociali e politici provocati dal poderoso scontro fra Azunai e Zaramoth: potente mago il primo, invincibile conquistatore il secondo. Le armi adoperate per quel duello, la spada di Zaramoth e lo scudo di Azunai, sono le principali responsabili del precario equilibrio in cui galleggia il continente, e ora qualcuno sta tentando di infrangere questo equilibrio per aumentare il suo potere personale. Questo losco individuo si chiama Valdis e il nostro personaggio si trova, all’inizio della partita, al suo servizio come mercenario, in compagnia del suo amico di infanzia Drevin. Dopo qualche decina di minuti di gioco, che costituiscono una sorta di tutorial, Valdis rivela la sua vera natura dirigendo la lama di una spada appena scoperta proprio contro il suo stesso esercito: Drevin viene ucciso e il nostro personaggio si salva per miracolo. Il gioco vero e proprio comincia con il nostro eroe che si risveglia dentro una prigione nella città di Eirulan, sospesa sopra la giungla che è territorio delle driadi acerrime nemiche di Valdis e dei suoi.
Buona parte del primo atto sarà spesa a cercare di guadagnare la fiducia delle driadi e a combattere al loro fianco in modo da aiutare la resistenza contro i folli progetti di Valdis e di chi è rimasto ai suoi ordini. Già questo piccolo racconto introduttivo può render manifesta una importante novità rispetto al primo capitolo: la presenza di una trama. Se nel primo Dungeon Siege gli elementi narrativi erano talmente esili da risultare impossibili da ricordare (sfido chiunque abbia giocato il primo capitolo a fare un riassunto della storia), nel secondo sono decisamente presenti e anche indagati con una certa profondità. La storia, che certo non brilla per originalità o per virtuosismi particolari, comunque è costellata di colpi di scena e svolte impreviste che tengono viva l’attenzione anche nelle fasi avanzate della partita, quando ogni schieramento sembra ormai ben delineato. Aiutano in questo una discreta caratterizzazione dei personaggi, giocanti e non, e una cura per il background che non si riscontra spesso nei titoli ‘action’: in Dungeon Siege II, nonostante il mondo fantasy rispecchi tutti i più triti cliché del genere, non è raro fermare di quando in quando i combattimenti per leggere un libro, consultare il dettagliato diario o dare un’occhiata alle interessanti descrizioni della fauna del continente, corredate da tanto di modello in tre dimensioni di ciascuna creatura trattata.
Una delle critiche principali rivolte a suo tempo a Dungeon Siege fu il fatto che il gioco sembrava ‘giocarsi da solo’: bastava spingere in avanti i personaggi e questi uccidevano per conto loro ogni creatura che tentava di ostacolarli. Il secondo capitolo risolve brillantemente il problema, ‘complicando’ al punto giusto la giocabilità pur senza allontanarsi dagli standard d’immediatezza del genere action. La novità principale è che ora i personaggi non combattono più di loro iniziativa ma hanno bisogno del nostro input: ad ogni clic destro del mouse corrisponde un colpo sferrato con l’arma o l’incantesimo selezionato. E’ quindi possibile continuare a cliccare per portare avanti l’attacco (in stile Diablo) oppure mantenere premuto il pulsante fino alla morte o alla fuga dell’avversario. Il sistema di crescita del personaggio mantiene la quadripartizione già vista nel primo capitolo: è possibile specializzarsi nelle armi in corpo a corpo, nelle armi a distanza, nella magia di combattimento e nella magia ‘naturale’. Ciascun settore aumenta con l’utilizzo, anche se è il gioco stesso a suggerirci di scegliere una delle quattro vie e di non provare a costruire personaggi ‘multiclasse’, intrinsecamente più deboli di quelli molto specializzati. Un’altra novità molto importante è la presenza delle ‘abilità’ e dei ‘poteri’. A ogni passaggio di livello (e anche quando completa alcune quest particolarmente impegnative), il nostro personaggio guadagna un punto abilità, che può essere speso per imparare o migliorare una delle abilità connesse col nostro ambito di specializzazione.
Le abilità sono passive e migliorano alcuni aspetti del combattimento, sempre in relazione con la specializzazione del personaggio. Ad esempio, un combattente in corpo a corpo può migliorare la sua resistenza ai colpi oppure la sua capacità di parare i colpi con lo scudo; alcune abilità diventano accessibili solo quando il personaggio raggiunge un certo livello, e altre vanno ‘sbloccate’ imparando prima alcune abilità di livello più basso, esattamente come succede in Diablo II , da cui Dungeon Siege II prende palese ispirazione in quest’ambito. Alcune abilità sono richieste per maneggiare alcuni tipi di armi: per esempio un combattente può utilizzare una spada a due mani solo se impara la relativa abilità. I ‘poteri’, altra importante novità introdotta dal gioco, sono una sorta di ‘mosse speciali’ attivabili attraverso la pressione di un tasto. Ognuna delle quattro specializzazioni ne ha a disposizione sette, ma ciascuno di essi va sbloccato imparando le abilità ad esso connesse. Una volta appreso un potere (che può anche essere migliorato in futuro, proprio come le abilità), questo diventa disponibile e può essere selezionato. A questo punto basterà premere il pulsante relativo al personaggio che ha selezionato il potere (ad esempio il tasto 1 se il potere è stato appreso e selezionato dal primo personaggio) ed esso si attiverà.
I poteri sono molto potenti: si va da alcuni che aumentano anche di cento volte il danno inferto da un attacco ad altri che respingono lontano il nemico ad altri ancora che colpiscono contemporaneamente decine di avversari. In genere, si ricorre ai poteri nelle situazioni particolarmente difficili, anche perché dopo che un potere è stato adoperato è necessario aspettare che si ricarichi (la ricarica non avviene col tempo ma in base ai nemici colpiti con gli attacchi normali: più attacchiamo e più il potere si ricarica velocemente). L’aggiunta di tutte queste variabili non solo rende il gioco molto più interessante e strategico, ma ne aumenta di molto anche la rigiocabilità, consentendo di differenziare moltissimo personaggi appartenenti in realtà alla medesima classe.

3. Compagni di viaggio e animali da compagnia
Una delle caratteristiche più curiose del primo Dungeon Siege era la possibilità di far acquistare al nostro personaggio un asino che lo aiutasse a portare in giro i tesori raccolti durante le sue avventure; l’asinello seguiva il nostro personaggio in tutti i suoi spostamenti e scappava alla vista dei nemici, producendosi in pittoreschi calci se questi riuscivano a raggiungerlo. Dungeon Siege II espande questo concetto rivoluzionando completamente la gestione dei compagni di viaggio del personaggio principale. Anzitutto ora il party è più ristretto: il gioco comincia con un limite massimo posto a soli due personaggi. Successivamente potremo espandere questo limite, però fino a un massimo di quattro personaggi (erano ben otto nel primo Dungeon Siege); una volta terminato il gioco avremo accesso a livelli di difficoltà superiori, e in quel caso il limite di personaggi salirà a sei. Ogni espansione del party costa denaro, ma il gioco ci inonda di talmente tante monete d’oro da rendere questo un problema trascurabile.
La diminuzione della consistenza numerica del party ha consentito agli sviluppatori di rendere più interessanti le personalità dei nostri compagni di viaggio, che nel primo episodio erano assolutamente inconsistenti; ora ciascun potenziale compagno ha una storia alle spalle, che ci viene narrata durante l’installazione del gioco; sono previsti di quando in quando interventi dei personaggi, concretizzati attraverso dialoghi (che peraltro spuntano spesso quando siamo in territorio ostile, col risultato che non riusciremo neanche a leggerli tutti visto che il programma chiude automaticamente la finestra del dialogo quando siamo sotto attacco). E’ migliorata molto anche la gestione delle variazioni del party: ora un compagno abbandonato non resta nel luogo dove lo abbandoniamo ma va nella locanda della più vicina città, dove potrà essere recuperato con comodo in seguito.
Per quanto riguarda l’asinello, ovviamente c’è ancora, e anzi è affiancato da moltissimi altri ‘pet’, animali da carico in grado di accompagnare le peregrinazioni del nostro personaggio. Ora ciascun animale è anche in grado di attaccare con efficacia: si va da scorpioni giganti a lupi a elementali del ghiaccio, ciascuno con una specializzazione e determinate forze e debolezze. È curioso il sistema di crescita dei ‘pet’: essi non guadagnano esperienza come i normali personaggi giocanti, ma crescono in base agli oggetti che daremo loro in pasto. Proprio così: potremo scegliere di nutrire la nostra creatura con qualsiasi oggetto non sia necessario ai nostri personaggi: dopo un certo numero di oggetti ‘mangiati’, la creatura salirà di livello, e le caratteristiche che guadagnerà saranno determinate dalle caratteristiche che avevano i suddetti oggetti. Anche questo aspetto dona al gioco una sfaccettatura strategica notevole, contribuendo ad aumentarne il grado di profondità.
In Dungeon Siege II le quest principali, quelle che consentono di avanzare con la trama alla ricerca del cattivone Valdis, sono affiancate da numerose quest secondarie, talvolta dalla natura notevolmente intricata; non è raro incontrare artefatti o locazioni di cui non si capisce immediatamente l’utilità, che verrà svelata solo in seguito dall’attivazione di qualche quest o dalla scoperta di qualche conoscenza utile in proposito (ma potremmo anche restare con il dubbio irrisolto, visto che alcune quest sono disponibili solo se nel party c’è qualche personaggio particolare). Per risolvere molti compiti che vengono affidati al suo personaggio, il giocatore dovrà mettere da parte la sua abilità bellica e fare il punto della situazione valutando gli elementi in suo possesso: qualcosa di lontanissimo da ciò che veniva richiesto nel primo capitolo, dove era solo necessario avere voglia di combattere e avere molta pazienza.
È chiaro che un simile cambiamento di prospettiva richiede un approccio nuovo al sistema di gioco nel suo insieme: lo sterminato ‘corridoio’ che era il primo Dungeon Siege mal si adatta, tanto per fare un esempio, alla necessità di tornare continuamente da un certo personaggio per chiedere consiglio sul da farsi. Gli sviluppatori hanno risolto il problema impostando il gioco in maniera simile a com’è impostato Diablo II o anche la campagna originale di Neverwinter Nights (quest’ultima rappresenta forse il gioco più simile, nel complesso, a Dungeon Siege II ): il gioco è diviso in tre atti, ciascuno dei quali inizia in una città, attorno alla quale si dipanano i territori da visitare per la soluzione delle quest. Andata e ritorno in città sono facilitati dalla presenza dell’incantesimo del ‘portale cittadino’ (che è accessibile a tutti i personaggi e funziona esattamente come in Diablo II) nonché di molti punti di teletrasporto, che si attivano quando il nostro party ci passa vicino. Attenzione, però: a queste novità si accompagna anche un nuovo modo di gestire il salvataggio, ora non più totalmente libero come nel primo capitolo. L’opzione ‘salva’ è sempre disponibile, ma intanto c’è un solo slot per ogni personaggio (cioè c’è un unico salvataggio che viene continuamente sovrascritto) e poi il salvataggio si limita a registrare lo stato del personaggio e non la sua posizione nel mondo. Quando caricheremo il salvataggio, ci troveremo al centro della città relativa all’atto che stiamo completando: potremo proseguire il cammino utilizzando i punti di teletrasporto, ma scopriremo che molte zone che avevamo già liberato dai mostri sono ora nuovamente popolate.
A molti sarà venuto in mente il sistema di salvataggio di Diablo II , in effetti molto simile a questo: c’è però da dire che sussiste una differenza importante, e cioè che in Dungeon Siege II il grado di ripopolamento delle zone non è il cento per cento. In altri termini, solo alcuni dei mostri uccisi si rigenerano: soprattutto, non si rigenerano mai i mostri unici, quelli relativi a qualche quest e i ‘boss’, cioè i mostri potenti di fine livello. Inoltre, il mondo di gioco resta come l’avevamo lasciato: i forzieri restano aperti, i barili restano sfondati e in genere tutto ciò che avevamo fatto resta ‘salvato’. Ben diverso da quanto accade in Diablo II , dove il programma rigenera da capo tutte le aree all’inizio di ogni sessione di gioco, come se ogni volta si ricominciasse una nuova partita.

4. Un motore per tutte le stagioni
Dungeon Siege II è costruito su una versione aggiornata e rifinita del Siege Engine, il motore di gioco creato dagli stessi sviluppatori per il primo capitolo. Questo fa sì che il gioco sia particolarmente leggero in termini di risorse hardware richieste, soprattutto in relazione ad altri RPG che stanno uscendo in questo periodo. Peraltro, l’aggiunta di effetti particellari e la possibilità di ‘giocare’ con l’arrotondamento dei bordi consentono a Dungeon Siege II di spremere per bene anche le schede video di ultima generazione. D’altra parte, il motore di gioco si porta dietro tutti i limiti che già avevamo visto concretizzarsi nel primo capitolo: per esempio la necessità di cliccare continuamente per far spostare il nostro personaggio, i cambi repentini di inquadratura dovuti all’assenza di ‘campo’ e una “nebbia di guerra” che in certi casi si fa fin troppo invasiva. Notevole è il virtuosismo di alcuni effetti, come quello relativo al teletrasporto e, soprattutto, il dispiego di mezzi messo in campo in occasione dello scontro con alcuni boss di fine livello. Il sonoro si attesta su un livello più che soddisfacente, con musiche forse meno pregnanti di quelle del primo capitolo ma comunque perfette per l’atmosfera, e una serie di effetti sonori del tutto adeguati. Altalenante la qualità del doppiaggio, che comunque è stato effettuato per tutti i dialoghi presenti nel gioco.
Oltre ai trascurabili problemi di ordine tecnico ed estetico, Dungeon Siege II presenta un limite piuttosto grave, che non è così raro trovare nei videogiochi più recenti: potremmo chiamarlo il limite della ‘sovrabbondanza’. In questo gioco diversi aspetti sono troppo ‘densi’, inutilmente ripetitivi e barocchi. A due elementi in particolare sento di rivolgere questa critica: i combattimenti (ma questo è quasi un tratto essenziale del sotto-genere a cui Dungeon Siege II appartiene) e soprattutto gli oggetti. Durante le nostre peregrinazioni in giro per Aranna ci renderemo conto che la concentrazione di oggetti magici e potenti è semplicemente assurda, anche per il mondo più altamente fantastico e magico che si possa immaginare. Tre quarti delle creature uccise dal nostro party lasceranno per terra oggetti magici, oggetti unici o oggetti facenti parte di qualche set: dopo pochi minuti di gioco l’inventario dei nostri personaggi sarà già pieno di bottino da vendere a caro prezzo a qualche mercante.
Ora, a parte l’assurdità di trovare in dieci minuti quindici oggetti che nel nome hanno attributi come “potente”, “grande” e cose simili, e a parte la comicità di trovarsi per le mani per due o tre volte un oggetto “unico” che per giunta i libri descrivono come assolutamente introvabile, c’è, dietro a questi tesori che ci piovono addosso con frequenza quantomeno discutibile, un problema notevole: un calo drastico della tensione avventurosa connessa, oltre che con la mera volontà di interpretare un abile cercatore di tesori, anche con l’obiettivo di potenziare sempre più il proprio personaggio, che in fin dei conti è un tratto distintivo del genere. In altre parole: che senso ha cercare tesori, se in giro ci sono *solo* tesori? In Dungeon Siege II , è molto più complicato trovare un oggetto modesto che un oggetto potente: il novantacinque per cento degli oggetti è magico, magari con una miriade di effetti collegati al medesimo artefatto, e chi avrà tempo e voglia per mettersi a confrontare continuamente dieci o venti amuleti magici per scoprire quello che dà un punto in più in un certo attributo piuttosto che in un altro? Molto più semplice tenere sempre lo stesso equipaggiamento e vendere tutto il resto, col risultato che dopo due ore siamo già in possesso di decine di migliaia di monete d’oro, tanto che forse risulterebbe più saggio, per il nostro eroe, comprarsi tutto il continente e licenziare il cattivone invece di ammazzarlo 🙂
Dungeon Siege II è un gioco dignitoso, che non fa gridare al miracolo ma che comunque svolge bene il suo mestiere di intrattenere il giocatore con un po’ di sana azione, questa volta fortunatamente non del tutto fine a se stessa. Non mancano, come dicevamo in precedenza, i difetti, ma non mancano neanche i tocchi di classe concretizzati in svolte impreviste nella trama, sottoquest molto ben progettate e perfino momenti di autentica poesia in certi frangenti di determinate missioni secondarie (fate attenzione in particolare alla quest del secondo atto chiamata Spirits of Aranna). Spiace, peraltro, vedere come tutto ciò sia arrivato solo nel secondo capitolo, dopo un primo gioco che, a maggior ragione se confrontato con questo, risulta decisamente scarso sotto il profilo della giocabilità e del design generale. Sarebbe utile che noi recensori ci chiedessimo come si spiega il fatto che questo secondo capitolo ha ottenuto un po’ ovunque voti del tutto simili (se non inferiori) a quelli dati a suo tempo al primo nonostante tutte le evidentissime migliorie effettuate… speriamo che questa esperienza possa servire in futuro, quando ci capiterà di nuovo per le mani un gioco sfavillante e ultra-pubblicizzato quanto fragile e inconsistente.

Tre pregi di Dungeon Siege II Tre difetti di Dungeon Siege II
Storia interessante e background curato A tratti caotico
Giocabilità quasi perfetta Sovrabbondante e pleonastico
Molto ben programmato Pieno di cliché

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