Il terzo capitolo della serie di GdR fantasy del colosso Bioware butta il cuore oltre l’ostacolo e punta all’unione ‘impossibile’ tra storia forte e libera esplorazione. Il risultato è, a nostro avviso, qualcosa di molto simile a un disastro.
[articolo originariamente pubblicato il 24 marzo 2015]
1. Quando mantenere le promesse non basta
Come la storia di ogni altro genere di opera dell’ingegno, anche la storia del GdR digitale è piena di delusioni e passi falsi. Il caso di Bioware è, da questo punto di vista, assolutamente emblematico: dominatore incontrastato dell’interpretazione su computer negli anni Novanta del secolo scorso, questo gruppo di sviluppatori ha, negli ultimi tempi, diviso in due la platea degli appassionati con quasi ogni suo prodotto. Basti pensare alle polemiche che hanno accompagnato ogni episodio della serie Mass Effect, in particolare il terzo; oppure alla delusione generale che ha accolto il secondo capitolo della serie Dragon Age, dopo che il primo era stato salutato con un consenso quasi unanime. Ora siamo in procinto di parlare del terzo capitolo di questa saga fantasy: terzo capitolo che peraltro non si esplicita in quanto tale bensì tramite il semplice sottotitolo Inquisition.
I ragazzi di Bioware sono tutt’altro che stupidi e hanno subìto e compreso in pieno la delusione che ha accompagnato l’uscita di Dragon Age II: le atmosfere dell’attesa per il terzo episodio, dunque, sono state caratterizzate fin da subito sulla base del passo falso appena compiuto. Il nuovo Dragon Age, quindi, sarebbe dovuto essere la concretizzazione di una sorta di ‘pentimento’: sappiamo di aver sbagliato e siamo pronti a rimediare. Ecco allora la promessa di abbandonare i combattimenti veloci e dal retrogusto arcade visti nel secondo episodio per tornare alla vecchia visuale tattica presente nel primo capitolo Origins e particolarmente amata dagli utenti PC. Ed ecco ancora la promessa di non riciclare più spudoratamente le ambientazioni come in Dragon Age II: Inquisition avrebbe avuto, al contrario, ambientazioni non solo fortemente caratterizzate ma anche enormi, all’insegna di quella libera esplorazione che non è mai stata nelle corde di questo gruppo di sviluppatori, che la abbandonarono dopo il loro primissimo prodotto, il glorioso Baldur’s Gate.
Tutto, dunque, sembrava far ben sperare per Inquisition, almeno per chi a suo tempo aveva apprezzato Origins: ma tra le promesse e la loro realizzazione c’è spesso, come si sa, una notevole discrepanza. Tecnicamente non si può dire che Bioware non abbia mantenuto la parola: sì, in Inquisition è tornata la visuale tattica; sì, in Inquisition le ambientazioni sono varie, enormi e anche ottimamente costruite. E, più in generale, il gioco è sicuramente molto più curato e approfondito di Dragon Age II. Cosa c’è, dunque, che non funziona?
2. Dragon Age Keep
Una caratteristica interessante e ben augurante di Inquisition emerge prima ancora di far partire il gioco: trattasi della modalità di gestione dell’eredità dei capitoli precedenti, concretizzata in un sito dinamico e personalizzabile chiamato Dragon Age Keep. La questione merita una piccola premessa. In un genere come il gioco di ruolo, nel quale così tanta importanza è data alle scelte effettuate dal fruitore, concepire saghe suddivise in differenti capitoli pubblicati a distanza di anni l’uno dall’altro dà vita a un problema ovvio: come implementare, in tutti i capitoli successivi al primo, il rispetto delle scelte fatte dal giocatore nei capitoli precedenti? Nei prodotti world driven, come la serie The Elder Scrolls, il problema non si pone nemmeno, o si pone in termini assai leggeri: là l’interpretazione è legata a variabili squisitamente simulative, e la narrazione tende a scorrere sui binari previsti dai programmatori. Nei giochi story driven, invece, il problema si pone eccome: le scelte effettuate dal giocatore possono comportare, per esempio, la morte di un personaggio chiave oppure la sua sopravvivenza. Bioware ha cominciato, da qualche anno, a prendere di petto la questione: i risultati si vedono sia nella saga fantascientifica Mass Effect sia nella saga fantasy Dragon Age, di cui ci stiamo occupando. E si tratta di risultati per quanto ci riguarda assolutamente brillanti, soprattutto perché non abbiamo notizia di altre case di sviluppo impegnate con la stessa verve nel medesimo ambito. È curioso il fatto che tanti appassionati si lamentino costantemente di questo comparto, affermando che le scelte ‘importate’ da un capitolo all’altro non avrebbero alcuna conseguenza ‘reale’, come se la presenza o meno di un personaggio chiave della trama, per esempio, sia un semplice dettaglio. Gli stessi appassionati magari rimpiangono i bei tempi della serie Baldur’s Gate, nella quale, lo ricordiamo agli smemorati, l’importazione del salvataggio dal primo al secondo capitolo si limitava a conservare l’esperienza e l’equipaggiamento del protagonista, ‘dimenticando’ qualunque evento della trama, inclusa la morte dei compagni di viaggio.
I passi avanti, dunque, ci sono stati: e Dragon Age Keep rappresenta, per il momento, il non plus ultra delle modalità di passaggio da un capitolo a un altro in una saga videoludica. Il funzionamento è molto semplice ma non per questo meno virtuosistico. Accedendo al sito, ciascun giocatore può creare un suo profilo: se si utilizza la stessa email adoperata nella creazione dell’account di Origin, il sistema di digital delivery di Electronic Arts (la casa di produzione a cui Bioware appartiene ormai da diversi anni), il Keep ‘saprà’ in autonomia le scelte fatte e creerà di conseguenza il corretto status del mondo di gioco all’inizio della nuova avventura. Ma anche se non si ha un indirizzo mail collegato alle esperienze precedenti, sarà possibile selezionare qualunque scelta presente in Origins o in Dragon Age II e scegliere quella effettuata a suo tempo, non senza poter leggere una brevissima descrizione degli eventi così da ricordarne per bene le circostanze. Il sistema consente anche di importare le scelte fatte e di cambiarne qualcuna, magari perché nel frattempo ci si è pentiti: il Keep è estremamente duttile e implementa una quantità di variabili assolutamente esorbitante, rendendo il giocatore consapevole del peso dato anche a eventi ritenuti forse a suo tempo non così importanti.Una volta calibrate tutte le scelte, il Keep è pronto a mostrare il suo lato più affascinante: selezionando l’apposita opzione, partirà un lungo filmato in computer grafica in cui l’utente si troverà a rivivere, tramite un evocativo racconto, tutta la storia narrata dalla saga, dalle primissime battute fino alle premesse del terzo capitolo, quindi fino a oltre la fine di Dragon Age II.
Il risultato si concretizza come un caso da manuale della cosiddetta eterogenesi dei fini. Siamo partiti dalla necessità di ‘importare’ nel nuovo capitolo le scelte fatte in precedenza, e ci troviamo con un virtuosistico racconto completamente parlato e musicato, nonché accompagnato da suggestive immagini, che ci riporterà alla memoria, facendocele rivivere ma con il distacco dato dalla narrazione epica, le esperienze sperimentate anni prima nelle lunghe ore passate su Origins e su Dragon Age II. Dagli angoli più remoti della memoria riemergeranno volti, vite virtuali, sanguinosi e lunghi combattimenti: la narrazione presenterà le nostre imprese passate come blocco ormai sedimentato di memoria collettiva, dando a esse un senso retrospettivo e quella dignità che solo il racconto di fonte ‘terza’ può dare. Per quanto sia strano affermarlo, la parte migliore di Inquisition è forse quella che precede finanche l’installazione del gioco.
3. Ricapitoliamo
La saga di Dragon Age è ambientata in un mondo positivamente complesso e sfaccettato: ciascun capitolo prende in considerazione soprattutto determinati ambiti, lasciandone altri sullo sfondo o dedicandovi comparti secondari. Dal punto di vista eminentemente classificatorio, l’ambientazione è fantasy con qualche momento particolarmente dark e una intonazione piuttosto sanguinolenta (a onor del vero, più graficamente che non dal punto di vista strettamente contenutistico): nel continente di Thedas non mancano nani ed elfi, esiste la magia, la cui gestione peraltro è assai problematica e tutt’altro che comunemente accettata come nelle più classiche ambientazioni di Dungeons & Dragons, e le atmosfere ricordano alternativamente il Medioevo (in battaglia, dato che non esistono armi da fuoco e si utilizzano armi d’assedio come catapulte e trabucchi) e il Rinascimento e l’età barocca (nell’abbigliamento dei nobili come nella diffusione del libro a stampa).
Il primo episodio, Origins, era dedicato allo scoppio del blight, ossia dell’invasione del Thedas da parte dei cosiddetti darkspawn, creature demoniache frutto della corruzione degli Old God, le vecchie divinità venerate dai maghi dell’Impero di Tevinter prima della fondazione della religione del Chantry (incentrata sulla figura del Maker, dio unico e ‘rivelato’, e della sua profetessa Andraste). Secondo la tradizione, sarebbero stati gli stessi maghi del Tevinter, con la loro sete di potere, ad aver dato origine al primo blight: fatto sta che periodicamente i darkspawn trovano, nel sottosuolo, un Old God dormiente e lo risvegliano, tramutandolo in un Archdemon con le sembianze di drago, che prende a guidarli verso la superficie distruggendo tutto ciò che incontra. L’unico modo per fermare un Archdemon è scagliargli contro un Grey Warden, ossia un guerriero addestrato appositamente per questo scopo: il protagonista di Origins era precisamente un Grey Warden, e viene ricordato nei capitoli successivi come l’Eroe del Ferelden, la regione di Thedas dove il blight stava cominciando il suo percorso di distruzione.
La storia di Dragon Age II si sviluppa, nelle sue prime fasi, in parallelo con la vicenda narrata in Origins, concentrandosi su uno degli abitanti di Denerim, una cittadina del Ferelden travolta dai darkspawn. Hawke, questo il nome del protagonista, si stabilisce nella città di Kirkwall, nella zona delle Free Marches, e lì assiste all’acuirsi dello scontro le cui scintille già si intravedevano in Origins: lo scontro tra maghi e templari. Come abbiamo già accennato, la magia non è affatto, nel Thedas, una attività accettata e praticata come in tanti altri mondi fantasy: è, piuttosto, una sorta di maledizione. L’inclinazione verso l’arcano è qualcosa di innato, che può emergere fin dai primi anni di vita: chi la possiede è particolarmente vulnerabile alla corruzione, che può portare anche alle forme di manipolazione della realtà più pericolose e degenerate, come la cosiddetta blood magic. Per ragioni di ordine pubblico e serenità sociale, quindi, i governi più evoluti riuniscono i maghi all’interno di strutture chiuse e fortemente gerarchizzate, collettivamente chiamate Circle of Magi. Chi mostra l’inclinazione verso l’arcano viene prelevato anche violentemente dalla sua famiglia e racchiuso in una di queste strutture, che sono molto simili a vere e proprie prigioni: lì i maghi possono coltivare la loro arte e talvolta metterla al servizio della collettività, ma sono privati quasi completamente della libertà personale. I Circle sono sotto la supervisione del Chantry, quindi legati a doppio filo all’autorità religiosa: a gestirli dal punto di vista della sicurezza è l’ordine dei Templari, ossia il braccio armato del Chantry, guerrieri specializzati precisamente nell’affrontare e nell’annullare la magia e l’arcano. Come si può facilmente immaginare, tra maghi e templari non corre esattamente buon sangue: più in generale, tra i maghi stessi v’è una profonda spaccatura tra chi ritiene non vi sia alternativa al Circle e chi vagheggia una forse impossibile società in cui i maghi siano realmente liberi di scegliersi il proprio stile di vita. Allo stato dei fatti, l’unica opzione che ha il mago irriducibile al Circle è diventare apostata, ossia vivere ai margini del mondo civilizzato o della società, con il costante rischio di vedersi scoperto e attaccato dai templari.
In Dragon Age II, la trama viene narrata da uno dei compagni di viaggio del protagonista, il nano Varric Tethras, che nelle scene di intermezzo viene mostrato nel bel mezzo di un violento interrogatorio da parte di Cassandra Penthagast, una delle seeker del Chantry, sorta di servizio segreto che agisce nell’ombra per conto della cosiddetta Divine, la sacerdotessa a capo del Chantry. La vicenda narrata nel secondo capitolo ha un finale decisamente problematico: lo scontro tra maghi e templari provoca nientemeno che la distruzione totale della sede del Chantry a Kirkwall, con decine e decine di vittime. I possibili tentativi da parte di Hawke di parlamentare una soluzione pacifica non hanno alcun esito: con un effetto domino, la ribellione si sparge a tutto il Thedas, fino al punto che il Chantry perde qualunque controllo sia sui Circle sia sugli eserciti templari.
4. Le stimmate fantasy
È a questo punto che il grande schema vede l’innesto della vicenda narrata in Inquisition. Per cercare di risolvere la difficile situazione, la Divine in carica, Justinia V, decide di convocare un conclave: i rappresentanti di maghi e templari parlamenteranno e tenteranno di venirne a capo, portando ciascuno le proprie ragioni. L’importante incontro si svolge nel Temple of Sacred Ashes, ossia nel tempio dove, secondo la tradizione, sono conservate le ceneri di Andraste, la profetessa sulle cui gesta storiche si fonda la religione del Chantry. Durante l’evento, però, qualcosa va storto: una terribile esplosione, di natura ignota, uccide gran parte dei partecipanti, inclusa la stessa Divine; per di più, l’esplosione apre, nel cielo sopra il tempio, una enorme spaccatura chiamata breach, dalla quale iniziano a sbucare legioni di demoni. Il breach si moltiplica rapidamente: tutto il mondo conosciuto viene punteggiato da piccole spaccature (fade rift) con conseguente, inarrestabile invasione da parte di creature mostruose.
Il protagonista del nuovo capitolo, che può essere uomo o donna e anche appartenere a razze differenti, si trovava tra i partecipanti al conclave. Dopo l’esplosione è l’unico a sopravvivere, ma l’evento sembra averlo profondamente modificato, in modalità che nessuno riesce a spiegare con chiarezza: le sue mani emettono un bagliore, e quel bagliore può magicamente ‘chiudere’ le spaccature. La voce comincia a girare, e non passa molto tempo prima che il nostro eroe cominci a essere considerato una creatura semi-divina e apostrofato come l’Herald of Andraste. Ma chi conosce più da vicino i fenomeni magici è ovviamente dubbioso se non ostile: i seeker del Chantry, che sono i responsabili della difesa della Divine, sospettano che il nostro alter ego possa essere il responsabile della morte della somma sacerdotessa. Ecco allora che il nostro eroe si troverà, nelle prime battute, in una situazione assai simile a quella di Varric in Dragon Age II: imprigionato da Cassandra Penthagast e messo alla prova dalla medesima, nel tentativo di capire la natura e le intenzioni del presunto Herald of Andraste.
Cassandra si convince rapidamente che, al di là dei progetti contingenti del protagonista, il suo potere è l’unica soluzione contro il dilagare delle spaccature. E si convincerà anche che il suo inevitabile carisma, dovuto alla sua peculiare capacità, e il conseguente seguito tra le masse possono essere ottimi strumenti per risolvere la guerra che, col tragico fallimento del conclave, ancora percorre le fila di maghi e templari. Senza contare che un nuovo, terribile problema emergerà subito dopo la chiusa definitiva del breach: un problema che metterà a rischio la stessa esistenza del Thedas e che si collega, con notevole ingegno dal punto di vista narrativo, a gran parte delle vicende narrate dalla saga.
Affrontare tutto questo richiede uno schieramento di forze adeguatamente irregimentato: il protagonista di Inquisition si troverà in breve tempo a capo del potere che dà il nome al gioco, ossia l’Inquisizione. Si trattava, nei tempi antichi, dell’ordine militare che diede origine a quello templare: si tratterà, nella nuova e difficile epoca contemporanea, dell’ordine che tenterà di ripristinare pace e civiltà nel Thedas, rimettendo attorno a un tavolo maghi e templari, recuperando i cocci del Chantry e cercando di porre un freno al nuovo e terribile pericolo che mette a rischio la natura stessa del mondo terreno.
5. Panoramica
Dragon Age Inquisition è un prodotto complesso e sterminato, del quale è difficile dare una descrizione generale, con uno sguardo a volo d’uccello: ma ci proveremo ugualmente. Il giocatore interpreta l’Inquisitore e lo muove nelle differenti ambientazioni, da solo o assieme a qualche compagno di viaggio. Le ambientazioni hanno natura diversa: la più importante e frequentata rappresenta la ‘base’ dell’Inquisizione (che peraltro cambia verso la metà della trama), le altre rappresentano ampie sezioni del Thedas aperte all’esplorazione, mentre altre ancora fanno da sfondo a determinate missioni e sono ‘ritagliate’ attorno alle medesime.
Si è sentito dire, da parte di molti recensori, che Inquisition sarebbe un gioco costruito sulla libera esplorazione e quindi del tutto simile a un prodotto world driven come Skyrim: nulla di più falso. È vero che la maggior parte del tempo di gioco, almeno per i giocatori ‘completisti’, verrà spesa nell’esplorazione: le ambientazioni, purtuttavia, sono al contempo ampie ma chiuse, e per di più costruite sulla base di zone progressivamente più ardue, culminanti di solito con la tana di un potente dragone. Battere col nostro party le aree che via via si aprono all’esplorazione significa essenzialmente ripulirle dai mostri e dai tesori, attraverso modalità action che non danno spazio ad alcun tipo di simulazione e che sono quindi lontanissime dallo stile della serie The Elder Scrolls.
La trama principale, dal canto suo, si svolge quasi sempre in location appositamente predisposte: questo amplifica la spiacevole sensazione di essere di fronte a una storia in qualche modo frammentata e irrisolta, che il giocatore deve gestire sulla base di tappe successive, giustapposte senza soluzione di continuità. A un pezzo di trama seguiranno ore e ore di esplorazione di qualche ambientazione, con lo scopo di potenziare il personaggio e di migliorare il suo equipaggiamento in vista del pezzo di trama successivo: e così via all’infinito. Periodicamente, si ritornerà nella base dell’Inquisizione (o, alternativamente, nella città di Val Royeaux, rappresentata astrattamente dal suo mercato) per vendere gli oggetti inutili e magari per scambiare due parole con alleati e compagni di viaggio, che durante le esplorazioni si limitano a qualche scambio verbale poco approfondito.
A rendere in qualche modo esplicita l’ossatura astratta e anti-simulativa del gioco, apposite etichette ci informano di qual è il livello ottimale a cui affrontare le imminenti sequenze di trama, così da calibrare per bene le esplorazioni che le precedono. Il giocatore è libero di non rispettare il consiglio: e siamo certi che i ‘completisti’ tenderanno ad affrontare la storia principale in condizioni di costante superiorità sui nemici, dato che chi batte ogni centimetro delle sterminate ambientazioni messe a disposizione può facilmente raggiungere, complice anche la costante rigenerazione delle creature ostili, livelli molto alti rispetto a quelli consigliati.
La necessità così strutturale e così pienamente introiettata da essere esplicitamente ‘detta’ di dover ‘livellare’ per poter proseguire ha un effetto ovvio e irrimediabile: avvicinare la giocabilità di Inquisition a quella dei giochi di ruolo online di massa. In termini più propriamente critici, ciò implica lo spostamento dell’attenzione dall’estetica alla tecnica: non ti metto davanti queste sterminate ambientazioni perché penso sia piacevole esplorarle, ma perché mi serve un background dentro cui innestare il processo di crescita del personaggio giocante. Aumentare di livello e trovare nuovi tesori non sono conseguenze accessorie e in qualche modo secondarie del mio esplorare, come nei giochi della serie The Elder Scrolls: essi rappresentano, al contrario, uno dei due pilastri essenziali a sorreggere tutto l’edificio (essendo l’altro la narrazione della trama e quindi i dialoghi).
Anche se il completamento del gioco richiede più di cento ore, la debolezza strutturale di Inquisition emerge fin dalle prime battute ed è il chiaro e inevitabile risultato di una precisa scelta di campo effettuata dai programmatori. Il quadro d’insieme potrebbe migliorare, e di molto, se ciascun comparto avesse una certa solidità: purtroppo, come vedremo, non è sempre così.
6. La gestione dei personaggi giocanti
Il gioco comincia, naturalmente, con la creazione del personaggio principale. Le opzioni sono molto più numerose che in Dragon Age II: è possibile non solo scegliere tra le tre canoniche classi (guerriero, mago o ladro) ma anche tra quattro possibili razze, oltre che naturalmente tra sesso maschile e femminile. Le razze sono umano, elfo, nano e Qunari; questi ultimi, gli unici a non corrispondere a un preciso cliché del fantasy, sono una razza di umanoidi giganti e prevalentemente cornuti proveniente dall’isola di Par Vollen (la faccenda in realtà è complessa dato che il termine indica sia la razza sia la società sia la religione, quindi è possibile, tecnicamente, incontrare Qunari appartenenti ad altre razze). La scelta della razza si traduce in tangibili differenze in fase di gioco: gli elfi sono resistenti agli attacchi a distanza, i nani sono resistenti alla magia, i Qunari sono resistenti agli attacchi in corpo a corpo, mentre gli umani ottengono un punto abilità in più. Appartenere a una razza piuttosto che a un’altra presenta anche determinati feedback in vari momenti dei dialoghi e della trama, nonché in fase di sviluppo della romance, come vedremo.
A ciascuna combinazione di razza e classe corrisponde una determinata “origine”, che purtroppo non si traduce in un inizio diverso come in Origins ma che ha comunque conseguenze importanti in fase di gioco: l’Inquisitore umano, per esempio, appartiene a una nobile famiglia di Ostwick, e può far valere le sue conoscenze in più di una occasione (se mago, ha invece trascorso la sua vita nel Circle di Ostwick, pur avendo comunque un nobile lignaggio).
Nel corso dell’avventura, tutti i personaggi sottoposti al controllo del giocatore, quindi non solo l’Inquisitore ma anche i suoi compagni di viaggio, acquisiscono punti esperienza e aumentano di livello. Il passaggio da un livello al successivo comporta l’ottenimento di un punto abilità, che può essere speso per ottenere una nuova abilità attiva o passiva o per sbloccare un miglioramento per una delle abilità già conosciute. Va sottolineato che i personaggi possiedono anche le classiche caratteristiche quali forza e destrezza, ma il loro aumento avviene in modo del tutto automatico, talvolta in connessione con le abilità prescelte: è molto probabile, quindi, che la maggior parte dei giocatori ignori completamente la relativa schermata.
Le abilità sono raggruppate in insiemi e organizzate ad albero. Il guerriero, per esempio, può scegliere tra quattro differenti comparti: weapon and shield (armi a una mano), two handed weapon (armi a due mani), battlemaster (abilità che aumentano il danno inferto) e vanguard (abilità che aumentano la difesa e attirano i nemici). Le abilità possono essere attive e passive: queste ultime sono sempre in funzione, mentre le prime vanno fatte ‘partire’ tramite la pressione di un tasto in fase di combattimento. Le abilità attive richiedono, per poter essere selezionate, una opportuna riserva di mana (per i maghi) o di stamina (per i guerrieri e i ladri): mana e stamina, tuttavia, si rigenerano molto velocemente e nella maggior parte dei casi possono essere semplicemente ignorate. Va sottolineato che sono scomparse le abilità ‘sostenibili’ presenti nei primi due capitoli, ossia quelle abilità che per rimanere attive sottraevano costantemente una certa quantità di mana o stamina alla riserva del personaggio.
Le abilità sbloccate possono essere collocate sulla barra rapida in basso e quindi attivate in fase di combattimento tramite la pressione del relativo tasto (o cliccandoci sopra col mouse). Anche in questo ambito c’è una profonda differenza con i primi due episodi: il numero di abilità collegabili a un tasto e dunque utilizzabili in combattimento non è più infinito ma fissato a otto. La barra a schermo, infatti, è l’unica disponibile: questo significa che sarà necessario scegliere di volta in volta quali abilità utilizzare, dato che non è concesso cambiare la configurazione della barra rapida nel corso degli scontri. È, questo, un altro stilema tipico dei MMORPG: ci viene in mente, in particolare, il primo Guild Wars.
Una volta raggiunto un punto chiave della trama principale, al personaggio giocante è consentito scegliere una specializzazione: mentre i comprimari hanno la loro specializzazione già predeterminata e sbloccata automaticamente una volta girata la boa, il protagonista può sceglierla tra le tre disponibili per la sua classe e infine ottenerla completando alcune missioni. La specializzazione si concretizza in un nuovo albero di abilità, la più importante delle quali è quella basata sul focus: trattasi di una mossa o di un incantesimo estremamente potente, che però può essere utilizzato solo dopo aver ‘caricato’ una barra che si riempie uccidendo creature ostili (il focus, appunto). Questa barra è suddivisa in tre parti e inizialmente solo la prima è attiva: per accedere alle altre due occorre sbloccare un perk tramite il wartable (ne parliamo meglio più avanti). Ovviamente più focus si utilizza e più l’abilità è devastante: in molti combattimenti, basta attivare l’abilità collegata al focus al momento giusto per avere ragione dei nemici.
7. Sistema di controllo e combattimento
Come abbiamo già avuto modo di far notare, le interminabili sessioni esplorative a cui Inquisition ci sottopone si concretizzano principalmente nell’eliminazione delle creature ostili dalle varie, sterminate ambientazioni. La gestione dei combattimenti rappresenta il comparto nel quale salta maggiormente all’occhio la discutibilissima scelta che sovrasta e determina tutto il sistema di controllo di Inquisition: la scomparsa totale e assoluta di qualunque interfaccia “punta e clicca”. Con questa strana espressione si indicano tutti quei giochi in cui i personaggi giocanti possono essere controllati (anche) solo tramite il mouse: cliccando su un punto, le creature sotto il nostro comando lo raggiungeranno; cliccando su un nemico lo attaccheranno; cliccando su un barile lo apriranno, e così via.
In Inquisition, l’unico modo per muovere i personaggi è la classica combinazione di tasti WASD. Ne consegue che l’unica possibile visuale è in terza persona, da dietro le spalle, col mouse utilizzato per controllare la direzione dello sguardo. Sono disponibili due differenti livelli di zoom, prefissati e non personalizzabili: la telecamera, ahinoi, tende a diventare ingestibile negli spazi stretti, dato che non passa attraverso muri o pareti rocciose e quando vi si scontra ha il brutto vizio di avvicinarsi esageratamente al personaggio controllato.
Il mouse continua ad avere un ruolo che va al di là del controllo della telecamera: la pressione del tasto sinistro attiva l’attacco con l’arma equipaggiata, mentre la pressione del tasto destro attiva l’interazione con l’oggetto o la creatura selezionata. Il problema è che a queste azioni il movimento non è mai collegato, come invece avviene nelle interfacce “punta e clicca”: questo significa che sarà ogni volta necessario prima spostare il personaggio selezionato esattamente di fianco al punto in cui effettuare l’azione e solo dopo premere il relativo tasto. E c’è di più: gli attacchi non continuano automaticamente una volta selezionato il bersaglio. A un clic corrisponde un colpo: se vogliamo sferrare un altro colpo, sarà necessario un altro clic. In altri termini, il combattimento è simile a quello presente negli action “alla Diablo“, con la fondamentale differenza che assieme ai colpi occorre anche controllare il movimento tramite tastiera, dato che, lo ripetiamo perché noi stessi fatichiamo a convincercene, il movimento non può essere controllato col mouse in alcun modo.
Se a questo demenziale sistema di controllo si aggiunge il fatto che le animazioni hanno quel gusto iperbolico e caciarone già visto in azione in Dragon Age II, possiamo facilmente comprendere quale sia, in Inquisition, la natura dei combattimenti: lo scontro col nemico si traduce sistematicamente in una rissa confusa e ingestibile, piena di effetti visivi e sonori, colma di colpi andati a vuoto e priva di qualsivoglia spessore strategico che vada oltre il premere in sequenza i tasti collegati alle varie abilità, sperando che il cooldown di ciascuna di esse finisca prima che finiscano i punti ferita del personaggio.
In un contesto siffatto, appare quasi una presa in giro l’implementazione della cosiddetta visuale strategica, già fiore all’occhiello di Origins e in qualche modo erede, a suo tempo, dell’impostazione classica dei combattimenti nei giochi basati sul motore Infinity (come il glorioso Baldur’s Gate). Attivandola, tramite la rotella del mouse, il gioco entrerà in pausa e potremo dare in tutta calma gli ordini a ciascun membro del party: peccato che il movimento della telecamera non possa essere gestito col mouse (!) e che quindi per spostare la visuale sia necessario usare i tasti WASD. Ma non è tutto: la telecamera può spostarsi solo nei punti ‘calpestabili’ dai personaggi, ergo non può attraversare muri o alberi, e se c’è una strada con un determinato percorso dovrà seguire quel percorso per raggiungere il suo obiettivo. Forse è più complicato da spiegare che da provare: l’unica cosa certa è che la “visuale strategica” è, in Inquisition, del tutto inadatta a essere utilizzata con frequenza e profitto. Al massimo la si può adoperare occasionalmente, giusto per dare un ordine preciso a uno dei membri del party senza ‘perdere il controllo’ di quello con cui si sta giocando.
Val la pena dire qualcosa di più a proposito della gestione dei punti ferita, dato che ci sono diverse novità rispetto al passato: l’energia vitale dei nostri personaggi non si rigenera al termine del combattimento come negli episodi precedenti. L’unico modo per guarire i personaggi è tramite l’utilizzo di pozioni e tramite il riposo negli accampamenti dell’Inquisizione. Certo, esiste una abilità simile a un incantesimo curativo: ma è appannaggio di una delle specializzazioni del mago e per di più è alimentata dal focus, quindi la si usa con parsimonia. La strategia ruota dunque attorno alla necessità di portare a termine i combattimenti più difficili (e i dungeon più pericolosi) contando solo sulla scorta di pozioni a disposizione di ciascun personaggio. Esistono naturalmente non solo pozioni curative ma anche oli di resistenza ai danni e granate: ma mentre questi ultimi possono essere creati solo tramite appositi ingredienti, le pozioni curative sono gratuite e vengono rigenerate ogni volta che il party riposa in un accampamento o nella ‘base’.
Nel creare il suo nuovo sistema di combattimento, Bioware è riuscita nell’impresa di scontentare chiunque: sia chi voleva scontri che permettessero un minimo di dispiegamento strategico, sia chi voleva semplicemente una modalità action in grado di funzionare con chiarezza e fluidità. Non che ci sia da meravigliarsi: questo è, anzi, il risultato a cui tipicamente approda chi tenta di accontentare tutti, cercando, nella fattispecie, di unire l’immediatezza dell’azione derivata dai MMORPG alla variabilità e alla lentezza degli scontri caratterizzati dalla “pausa attiva”. Il mix, accompagnato per giunta a un sistema di controllo incomprensibilmente ostico, almeno su PC (lo sviluppo su console ha certamente qualche colpa), provoca un risultato che non esitiamo a definire catastrofico.
Excursus: i compagni di viaggio e i consiglieri Inquisition ci mette a disposizione nove personaggi giocanti da affiancare al protagonista durante le sue avventure. Il party può essere composto da un massimo di quattro personaggi, e può essere cambiato in tranquillità sia al momento di lasciare la ‘base’ sia accedendo a uno dei campi dell’Inquisizione, generosamente distribuiti sulle amplissime mappe. Oltre ai nove personaggi arruolabili, vi sono anche tre consiglieri che, pur non essendo giocabili, permettono un livello di interazione paragonabile a quello offerto per i compagni di viaggio (e che include, per due di loro, anche la romance). Vari personaggi subiscono profonde trasformazioni nel corso della trama, anche in conseguenza di scelte da parte del giocatore. Non ne parleremo per evitare eccessivi spoiler. |
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Blackwall è un onorato guerriero membro dei Grey Warden che decide di mettere le sue capacità al servizio dell’Inquisizione. La sua presenza permetterà al protagonista di far valere, in determinate circostanze, i trattati che impongono alle istituzioni del Thedas di aiutare i Warden nelle situazioni di instabilità generale. Blackwall è onesto e rigoroso, ma non mancheranno sorprese anche scioccanti sul suo conto nel corso dell’avventura. Blackwall è un possibile partner per le protagoniste di sesso femminile; la sua voce è del doppiatore inglese Alastair Parker. | |
Cassandra è una forte guerriera appartenente a una nobile e antica stirpe del Nevarra, una potente monarchia al centro del Thedas. Devota e fervente sostenitrice del Chantry, compare in Dragon Age II come importante membro dei cosiddetti Seeker, il servizio segreto agli ordini della Divine: il suo interrogatorio a Varric costituisce, nel secondo episodio della saga, il filo conduttore di tutta la narrazione. In Inquisition Cassandra è tra le principali promotrici della rinascita dell’Inquisizione nonché infaticabile sostegno nelle imprese del protagonista, anche se in più occasioni gli eventi mettono in seria difficoltà la sua fede. Cassandra è una potenziale partner per un protagonista di sesso maschile; la sua voce è dell’attrice inglese Miranda Raison. | |
Cole è non esattamente un personaggio bensì una strana entità, la cui natura resta misteriosa per gran parte dell’avventura. Secondo alcuni questo enigmatico mago è uno spirito benevolo del Fade, secondo altri un demone: per qualche motivo è intrappolato nel mondo materiale, e sembra essere lui stesso inconsapevole della sua storia passata. Cole ha il potere di entrare nella mente delle creature terrene, e lo fa in particolare quando sente attorno a sé qualche lacerante dolore, nel tentativo di alleviarlo. Curiosità: Cole è un personaggio centrale anche nel romanzo Dragon Age: Asunder, scritto da David Gaider, designer capo di Inquisition. La voce di Cole è dell’attore inglese James Norton. | |
Cullen è un guerriero templare, già presente sia in Origins (dov’è a capo dei Templari nel Circle del Ferelden) sia in Dragon Age II (dove è braccio destro del capo templare Meredith a Kirkwall). In Inquisition non è un compagno arruolabile, bensì un consigliere dell’Inquisizione: la sua propensione all’azione si trova spesso ‘bloccata’ dalla difficoltà di accettare le scelte del suo vecchio ordine, e anche dall’altalenante volontà di rinunciare al lyrium, la sostanza allucinogena usata dai Templari per ‘annullare’ gli incantesimi dei maghi. Cullen è un potenziale partner per un protagonista femminile umano o elfo; la sua voce è dell’attore inglese Greg Ellis. | |
Dorian è un mago proveniente dall’impero del Tevinter, la più antica e brutale tra le istituzioni del Thedas, collegata a doppio filo con le macchinazioni del nemico principale di Inquisition. Dorian decide di abbandonare il Tevinter proprio perché si sente con esso incompatibile, complice anche il suo stile di vita particolarmente disincantato e gaudente. Dorian è un potenziale partner per un protagonista maschile; la sua voce è dell’attore malese Ramon Tikaram, fratello della più nota cantante Tanita Tikaram. |
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Iron Bull è un mastodontico combattente Qunari, leader di un gruppo di mercenari (i Bull’s Chargers) che opera come centro di spionaggio nel Ferelden e in Orlais per conto dei Ben-Hassrath, sacerdoti guerrieri del Qun. La sua lontananza dalla madrepatria l’ha portato a mitigare i costumi solitamente draconiani dei seguaci del Qun, la qual cosa viene vissuta dal nostro non senza un certo consapevole disagio. Iron Bull è un potenziale partner sia per un protagonista maschile sia per uno femminile. La sua voce è dell’attore statunitense Freddie Prinze jr. | |
Josephine è una nobile diplomatica originaria di Antiva, potente stato mercantile collocato a nordest del Thedas, modellato storicamente sulla Repubblica di Venezia. Pur essendo piuttosto timida e naif in privato, Josephine è maestra nel muoversi all’interno del cosiddetto Game, ossia nel ‘gioco’ degli accordi politici e delle trame diplomatiche: non è un vero compagno di viaggio, ma un importante consigliere, nonché un possibile partner romantico per protagonisti di entrambi i sessi. La voce di Josephine è dell’attrice e doppiatrice newyorchese Allegra Clark. |
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Leliana è un agente-spia, già rinomato bardo e attiva, subito prima di arruolarsi nell’Inquisizione, come braccio destro della Divine del Chantry. Fu tra i compagni di viaggio del protagonista di Origins e semplice comparsa in Dragon Age II: in Inquisition non è arruolabile, ma agisce come importante consigliere e capo del network di spie al servizio del protagonista. Curiostà: Leliana è forse l’unico personaggio ad avere un ruolo in tutti i titoli della saga, siano essi videogiochi, fumetti, webserie o romanzi. In tutte le occasioni, la sua voce è dell’attrice francese Corinne Kempa. |
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Sera è una ladra elfa abilissima con l’arco: il suo tormentato background (originaria di Denerim e orfana, ha vissuto sempre da sola) l’ha portata a ottimizzare l’arte di arrangiarsi, da tutti i punti di vista. Del tutto slegata dalle tradizioni della sua razza, agisce con istintività irrazionale e talvolta sconcertante: difficile da capire e da ‘domare’, può tuttavia regalare momenti intensi e talvolta anche esilaranti. Sera è un potenziale partner solo per protagoniste femminili; la sua voce è dell’attrice inglese Robyn Addison. |
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Solas è un mago elfo, specializzato nelle indagini sul Fade, la dimensione metafisica parallela che nel gioco funge da origine dei sogni ma anche dei demoni. Slegato da qualunque Circle e quindi tecnicamente ‘apostata’, Solas si unisce all’Inquisizione con l’unico scopo di proseguire le sue indagini sul Fade, anche se gli eventi potranno portarlo a sentirsi assai coinvolto nelle vicende narrate. Solas è un potenziale partner solo per protagoniste femminili e di razza elfica; la sua voce è dell’attore gallese Gareth David-Lloyd. |
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Varric è un ladro nano, specializzato nel combattimento a distanza con una bizzarra balestra di nome Bianca. Varric fu personaggio centrale in Dragon Age II e mantiene un ruolo di primo piano anche in Inquisition: le vicissitudini narrate nel capitolo precedente l’hanno reso involontariamente esperto nelle problematiche causate dal red lyrium, una sorta di versione corrotta della sostanza allucinogena usata da maghi e templari per alimentare (o combattere) la magia. In Inquisition viene approfondita maggiormente la seconda professione di Varric, quella di scrittore di avventure: diverse missioni secondarie ruoteranno proprio attorno ai suoi romanzi e alla loro fortuna editoriale. La voce di Varric è dell’attore statunitense Brian Bloom. |
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Vivienne è una maga originaria di Rivain e in posizione di enorme potere in Orlais, essendo nientemeno che la Prima Incantatrice al servizio dell’imperatrice Celene. Pragmatica e a suo modo brutale, Vivienne è l’incarnazione della più rigorosa realpolitik: tutto è lecito, se lo scopo è mantenere il potere e conservare l’equilibrio sociale. Dal punto di vista strettamente ludico, Vivienne è la maga più potente del gioco: solo un protagonista mago che scelga la sua stessa specializzazione potrà superarla. Curiosità: Vivienne apparentemente offre le opzioni di dialogo collegate alle romance, ma respingerà sempre qualunque approccio. La sua voce è dell’attrice inglese di origine indiana Indira Varma. |
8. Dialogo
Se il combattimento è senza dubbio l’occupazione principale del nostro Inquisitore, una buona parte del suo tempo viene spesa anche conversando con i comprimari e con la pletora di personaggi non giocanti che popola le varie ambientazioni. Come da tradizione Bioware, i dialoghi principali sono molto curati e approfonditi: anche questo comparto, tuttavia, riserva qualche elemento di perplessità, che ora cercheremo di spiegare nel dettaglio.
In Inquisition, moltissimi personaggi non giocanti non offrono alcun tipo di interazione ed esistono solo per rendere più vive le ambientazioni; alcuni intrecciano semplici conversazioni tra di loro, e il nostro alter ego può ‘captarle’ se passa nelle vicinanze. Le più divertenti sono forse quelle inscenate dai nobili nel mercato di Val Royeaux, che commentano sapidamente le imprese dell’Inquisizione e talvolta anche la storia d’amore del protagonista. I personaggi più importanti, invece, sono ‘selezionabili’ e quindi offrono qualche possibilità di interazione: le conversazioni con loro, però, possono essere di due tipologie differenti. Il dialogo che potremmo definire “senza regia” si limita a fissare l’inquadratura a una certa distanza dal personaggio: nella parte inferiore dello schermo compaiono le possibili risposte, e le varie battute si susseguono senza gesti e senza alcun tipo di sottolineatura ‘tecnica’. Qualche volta, la telecamera si posiziona inspiegabilmente lontano dal personaggio coinvolto, così da rendere arduo anche solo il semplice ascolto delle sue parole. Per fortuna esistono i dialoghi “con regia”: il loro accadere riporta immediatamente alla memoria i virtuosismi di natura cinematografica già visti a suo tempo, a opera di Bioware, nella serie Mass Effect e qui riproposti non senza momenti di notevole pathos e coinvolgimento.
I personaggi più importanti di Inquisition, in particolare i compagni di viaggio del protagonista, danno davvero l’impressione di essere vivi e autentici: pur non superando affatto i cliché a cui ormai questo gruppo di autori ci ha abituato, lo sforzo complessivo manifesta un notevole impegno dal punto di vista della messa a fuoco di caratteri e personalità. Certo, non sempre l’impegno si traduce in risultati apprezzabili: alcune evoluzioni psicologiche sono fin troppo rapide, e in determinate circostanze appare piuttosto ridicolo il fatto che poche parole del protagonista possano cambiare completamente lo stile di vita di un suo compagno. Anche le romance, ormai immancabili nei giochi Bioware, risentono di questo stesso problema: il loro sviluppo scorre con tempistiche poco credibili, sia in rapporto alla vastità del gioco sia rispetto a quel che succedeva in Baldur’s Gate II, dove conquistare l’amato/a appariva davvero, forse anche troppo realisticamente, come un impegno serio.
Il problema è principale del sistema di dialogo, comunque, è che le sue due differenti modalità di concretizzazione risultano in qualche modo costantemente in conflitto: soprattutto se si pensa che in un gioco come il già citato Mass Effect tutte le conversazioni avevano piglio cinematografico e non solamente quelle più importanti. Il risultato è che i lunghissimi dialoghi ‘statici’ di Inquisition sono irrimediabilmente noiosi, perché viene naturale paragonarli ai virtuosistici dialoghi ‘dinamici’ che il gioco di tanto in tanto ci offre. A nulla vale il paragone con i vecchi giochi come Baldur’s Gate o Torment: lì i dialoghi statici erano l’unica opzione presente, senza contare che l’assenza di doppiaggio proietta le atmosfere in una dimensione completamente differente, più affine alla letteratura che al cinema, con tutto ciò che ne consegue.
Ma c’è di più. Con rarissime eccezioni, la quasi totalità dei dialoghi cinematografici di Inquisition avviene nella ‘base’ dell’Inquisizione, che per gran parte dell’avventura è una fortezza di nome Skyhold. Non solo, dunque, visitando la ‘base’ la giocabilità cambia drasticamente perché non si combatte più e ci si dedica solo a faccende come il commercio e il dialogo: Skyhold è, all’atto pratico, l’unica ambientazione dove si dispiega il lato estetico di Inquisition, ossia dove convergono e si sviluppano le fila della narrazione, sia quella connessa alla trama principale sia quella in cui si concretizza ciascuna piccola ‘storia’ di ogni personaggio giocante. La presenza di dialoghi degni di questo nome solo a Skyhold ha un effetto deleterio: il fatto che il pathos sia collegato a un’unica ambientazione ravviva ancora di più la sensazione che le altre siano presenti solo per consentire al personaggio di combattere e di crescere di livello. Detto con parole più chiare: la cura maniacale con cui è realizzata la regia dei dialoghi a Skyhold rende scopertamente manifesta la natura gravemente frammentata di Inquisition, che a questo punto non può essere attribuita al caso quanto piuttosto a una precisa scelta stilistica.
Quanto alla gestione della scelta delle battute, Inquisition non presenta nulla di particolarmente originale. Torna anche in questo episodio la “ruota” già vista in Mass Effect e Dragon Age II: le risposte sono disposte attorno a essa con un criterio che permette di capire in anticipo l’effetto generale che ciascuna di essa provocherà. In genere le risposte a destra consentono di proseguire il dialogo, mentre quelle a sinistra approfondiscono il tema corrente. Apposite icone al centro della ruota manifestano il ‘tono’ della risposta selezionata, che può essere per esempio aggressivo o accomodante. Non mancano casi in cui alcune risposte compaiono solo grazie a determinate caratteristiche del protagonista o a determinate scelte effettuate in precedenza: anche in questo caso il gioco lo sottolinea a dovere. Una novità, invece, è la notevole enfasi con cui i dialoghi rendono chiara la presenza di una scelta, forse per evitare problemi ai giocatori che saltano le conversazioni o che non ascoltano con attenzione.
9. Esplorazione: la mappa onnisciente
Abbiamo già ripetutamente affermato che Inquisition ci sottopone a interminabili sessioni esplorative, collocate in sterminate ambientazioni riproducenti parte del mondo di gioco (nella fattispecie, parti del Ferelden e di Orlais). I luoghi sono costruiti ottimamente: i designer hanno sfruttato abilmente tutte le dimensioni, anche quella verticale, per regalarci ambientazioni estremamente varie e dettagliate, nelle quali anche il semplice raggiungimento di un punto all’orizzonte può costituire una sfida meritevole di impegno.
Una volta che il nostro party mette piede per la prima volta in una nuova ambientazione, la sua mappa sarà quasi completamente scura, e si ‘aprirà’ seguendo i nostri passi: l’esplorazione comincia da un avamposto dell’Inquisizione concretizzato sotto forma di accampamento, e in genere può essere una buona idea, come prima mossa, raggiungere i punti dove è possibile creare nuovi accampamenti, così da rendere più agevoli le mosse successive. Questo perché gli accampamenti, come anche, talvolta, altri punti di interesse, funzionano non solo come centri di rigenerazione dei punti ferita dei personaggi ma anche come punti di viaggio rapido: attivandoli subito diventa molto più semplice coprire le enormi distanze che spesso separano le differenti mete da raggiungere.
Un’alternativa al viaggio istantaneo è costituita, in teoria, dalle cavalcature: purtroppo la loro implementazione è tutt’altro che soddisfacente, soprattutto perché il comparto appare in qualche modo ‘sovrapposto’ a delle ambientazioni costruite chiaramente per essere esplorate a piedi e non a cavallo. È un problema ahinoi molto diffuso in questo genere di giochi: basti pensare agli ultimi capitoli della serie The Elder Scrolls, ma anche a Two Worlds II. La gestione delle cavalcature in Inquisition ci ha riportato alla mente soprattutto quest’ultimo prodotto, anche a causa della presenza di una missione che si risolve nella necessità di completare in tempo, in groppa a un destriero, un percorso appositamente predisposto, proprio come succede nel titolo di Reality Pump.
L’esplorazione delle ambientazioni segue un canovaccio più o meno simile in tutte le occasioni. Oltre all’indicazione dei luoghi ‘papabili’ per la realizzazione di nuovi accampamenti, il nostro party riceve inizialmente anche una qualche missione da risolvere, nonché un’immancabile lista di “spaccature” da chiudere col potere speciale del protagonista. Attivando una missione nel diario, il punto in cui risolverla viene evidenziato da un apposito segnalino, che compare anche nella minimappa presente nella schermata di gioco principale: basterà quindi seguirlo per raggiungere la meta. Periodicamente, però, è una buona idea controllare la mappa generale, perché in essa compaiono spesso segnalini a forma di punto di domanda o di punto esclamativo a indicare i luoghi dove si trovano nuove missioni o comunque luoghi degni di interesse: a quel punto potremo deviare verso quelle nuove mete o continuare verso quella stabilita.
L’effetto è decisamente alienante: il gioco non premia tanto chi osserva per bene le evocative ambientazioni, quanto chi segue pedissequamente le informazioni fornite dalla mappa, che sembra dotata di una sorta di strano GPS con la funzione di ‘captare’ i luoghi interessanti prima ancora che vengano effettivamente raggiunti. Lo straniamento è amplificato anche dal fatto che alle classiche missioni che prevedono la sconfitta di un mostro potente o il recupero di qualche oggetto si affiancano compiti eminentemente enumerativi, di puro e semplice accumulo: ai nostri eroi verrà richiesto di scoprire tutti i punti di interesse, di trovare tutti gli shard con cui poi aprire determinati portali in un dungeon ricco di tesori, di chiudere tutte le “spaccature” col loro corredo di creature demoniache da sconfiggere, e così via.
10. Esplorazione: l’orso infinito
Qualche missione prevede il ritrovamento di oggetti nascosti: quando la minimappa comincia a lampeggiare, vuol dire che nei pressi del personaggio si trova qualcosa di interessante. Per trovarlo bisognerà premere l’apposito tasto (di default V) e seguire una labile traccia lasciata nel terreno: normalmente, invece, il tasto V si limita a evidenziare, nella schermata principale di gioco, tutti i punti con cui è possibile interagire. Di solito si tratta di ingredienti da raccogliere o di casse e barili da depredare: va sottolineato che l’interazione con essi, già resa complessa dal ridondante sistema di controllo, è anche appesantita dal fatto che si accompagna a una animazione che non può essere saltata in alcun modo.
Alcune porte chiuse possono essere aperte solamente con l’intervento di un ladro: l’abilità di scassinamento peraltro è automatica e non va appresa né migliorata. Alcune serrature, però, richiedono un determinato perk ottenibile tramite il wartable: ne parliamo meglio più avanti. Alcune missioni prevedono anche piccoli mini-giochi: il più frequente è quello collegato agli astrarium, sorta di telescopi osservando all’interno dei quali ci troveremo a dover risolvere versioni differenti del cosiddetto gioco dei nove punti (il cui scopo è unire determinati punti senza mai staccare la penna dal foglio).
A rendere le esplorazioni particolarmente stranianti è non solo il loro esasperato meccanicismo e quindi l’insopportabile ripetitività, ma anche la scelta di limitare al massimo, al loro interno, il ricorso al dialogo e in generale all’interazione con altri personaggi: scelta che raggiunge il parossismo nel momento in cui una buona percentuale delle missioni parte da un cadavere sul quale l’eroe trova una lettera. A quanto pare, il nostro Inquisitore arriva sul luogo del delitto sempre leggermente in ritardo.
Un’altra scelta meritevole senz’altro di biasimo è quella di rigenerare continuamente moltissime creature ostili: è il cosiddetto respawning, che in Inquisition raggiunge livelli semplicemente ridicoli. Gli animali selvaggi seguono percorsi prestabiliti, che mutano solo quando un predatore decide di inseguire una preda. Ebbene, se uccidiamo un feroce orso rimanendo nell’ambito del suo percorso, non faremo in tempo a depredare la sua carcassa che arriverà un medesimo orso dallo stesso punto da cui è arrivato il primo, e così via all’infinito. L’unico modo per uscire da questo bizzarro Truman Show è attirare l’orso fuori dalla sua ‘zona’ prima di ucciderlo, oppure semplicemente scappare.
11. Esplorazione: il tempo immoto
L’alienazione e lo straniamento prodotti dalle sessioni esplorative non sono dovuti solamente a scelte di tipo meccanico, ma anche alle modalità più puramente rappresentative, che talvolta arrivano in eredità dai capitoli precedenti della saga, quando la giocabilità aveva però un ritmo ben differente. Ci stiamo riferendo anzitutto al fatto che, in Inquisition come in Origins e in Dragon Age II, non è implementato alcun ciclo giorno/notte, né alcun cambiamento delle condizioni atmosferiche. Anzi, possiamo dire che questi giochi non rappresentano lo scorrere del tempo in alcun modo: in Inquisition nella maggior parte delle ambientazioni ci si trova perennemente di fronte a un sereno mezzogiorno di primavera, mentre in alcune c’è un interminabile crepuscolo o una notte infinita, magari segnata dalla pioggia battente.
Il fatto che il tempo non scorra ha tutta una serie di conseguenze: i personaggi non giocanti non possono ovviamente seguire alcun tipo di routine, quindi si limitano a restare dove sono o a fare qualche passo in un’area molto circoscritta. L’intelligenza artificiale è, in Inquisition, una vera e propria chimera: quando non sono sotto il controllo diretto del giocatore, i membri del party ne combinano di tutti i colori (chi attacca a distanza, in particolare, non vede l’ora, per motivi inspiegabili, di buttarsi tra le braccia del nemico), e tutti gli altri personaggi non giocanti sono semplici marionette, incapaci di interagire con l’ambiente in qualunque modo (le guardie, per esempio, non attaccano i nemici né vengono da loro attaccate).
Tutto ciò non sarebbe particolarmente grave, in un gioco story-driven ben costruito. Anzi: noi stessi a suo tempo elogiammo Origins per la coraggiosa scelta di non implementare lo scorrere del tempo. Ma Origins era un gioco puramente e semplicemente narrativo: era una storia interattiva, condita da combattimenti posti esclusivamente al servizio della trama principale o di qualche missione secondaria. Le ambizioni di Inquisition sono diverse e assai più impegnative: ma pensare che sia sufficiente allargare le mappe senza cambiare niente dello spirito della giocabilità per trasformare una storia interattiva in un mondo aperto o simil tale è neanche da ingenui, è da sprovveduti.
12. Il wartable
Come se l’accoppiata tra le interminabili esplorazioni e la frammentata trama principale non fosse sufficientemente dispersiva, Bioware ha deciso di implementare in Inquisition anche un sistema secondario di missioni ‘virtuali’, assegnate ai consiglieri e svolte dai loro sottoposti “dietro le quinte”. È il mondo che ruota attorno al cosiddetto wartable, accessibile dalla ‘base’ dell’Inquisizione in ogni momento. Attivandolo, il nostro eroe e i suoi consiglieri si raduneranno attorno a esso e ci verrà messa davanti una mappa del mondo di gioco, punteggiata da simboli collegati alle varie missioni disponibili in quel frangente: cliccando su uno dei simboli potremo leggere la descrizione della missione e decidere, eventualmente, di assegnarne la risoluzione a uno dei tre consiglieri. Ciascuno, naturalmente, ha le sue modalità operative: Josephine predilige l’approccio diplomatico, Leliana quello spionistico, Cullen quello più direttamente bellico. Talvolta, scegliere un consigliere piuttosto che un altro porta a esiti del tutto diversi, dato che non mancano i casi in cui i nostri collaboratori hanno visioni diametralmente opposte di uno stesso problema.
Valutando le soluzioni proposte dai nostri consiglieri, vedremo anche il tempo necessario affinché ciascuno di loro risolva la questione. E qui emerge un’altra caratteristica di Inquisition che avvicina irresistibilmente il prodotto alle modalità tipiche dei giochi online: il tempo indicato per la risoluzione delle missioni del wartable è tempo reale e non tempo di gioco. Il cronometro, per di più, continua a scorrere anche quando la sessione viene terminata, come se il mondo di gioco esistesse al di là del nostro esservi parte attiva. Potrà capitarci, per esempio, di scoprire che una certa missione richiede ben 24 ore: solo il giorno dopo, dunque, potremo sciogliere la matassa e riavere a disposizione gli eserciti comandati dal nostro consigliere. Non serve neanche sottolineare come una scelta del genere rompa irrimediabilmente ogni suspension of disbelief, mostrando scopertamente, una volta di più, la natura squisitamente tecnica di questo gioco e la rinuncia palese a ogni velleità di coerenza tra la forte tensione estetica della narrazione e l’esasperato meccanicismo della giocabilità. Peraltro, la natura spesso incoerentemente contorta e approfondita delle missioni del wartable amplifica una volta di più la sensazione di frammentarietà: quando dopo ore se non giorni ci capiterà di leggere il resoconto dei compiti portati a termine, a stento ricorderemo di cosa si tratti.
Il wartable non serve solo ad assegnare missioni ‘virtuali’ ai nostri consiglieri ma anche a sbloccare le aree connesse alle esplorazioni e alla trama principale. Lo sblocco richiede quantità di volta in volta differenti di potere: quest’ultimo si ottiene essenzialmente risolvendo missioni, sia principali sia secondarie. Si tratta di un semplice stratagemma per evitare che il giocatore possa procedere nella trama troppo rapidamente: se per compiere il passo successivo ho bisogno di un certa quantità di potere, dovrò prima dedicarmi a un po’ di esplorazione o a qualche missione secondaria.
La stessa interfaccia dedicata alla gestione del wartable si occupa anche del comparto relativo ai cosiddetti perk. Oltre che esperienza e potere, la risoluzione di missioni potrà vederci assegnata anche una certa quantità di influenza: quest’ultima viene misurata tramite una barra che si riempie progressivamente e che, una volta completata, ci metterà a disposizione un punto per selezionare un perk. Si tratta di vantaggi in grado di riflettersi su tutta la squadra di avventurieri, come per esempio una maggior quantità di punti esperienza dalle uccisioni, una maggior quantità di pozioni trasportabili, nuove scelte di dialogo. Forse tutti questi differenti ambiti di crescita del personaggio e della sua squadra possono sembrare, al lettore, un buon modo per approfondire il sistema di gioco: purtroppo all’atto pratico ci pare non facciano altro che complicare un menu già abbastanza ricco e contorto, senza aggiungere nulla di davvero significativo all’esperienza complessiva.
13. Per scrivere bene, non basta scrivere bene
La struttura coscienziosamente dispersiva di Inquisition ha un curioso effetto collaterale di carattere estetico che val la pena approfondire: si tratta, peraltro, di una caratteristica già presente nella saga fin da Origins, ma la natura più scopertamente astratta dell’ultimo lavoro Bioware la mette assai più in evidenza che in passato.
In Inquisition, il fluire degli eventi è limitato a sequenze di gioco limitate e ristrette, che per di più si concretizzano in renderizzazioni grafiche che per la maggior parte del tempo relegano l’utente al ruolo di spettatore. Un buon novanta percento del tempo di gioco, se non di più, viene trascorso, oltre che a far crescere di livello il party attraverso combattimenti ed esplorazioni, a dialogare con i compagni riguardo a quel che è accaduto nell’ultima sequenza della trama. Se isolata dalle anamnesi, dalla analisi e dai ricordi dei compagni di viaggio, quest’ultima fa emergere tutta la sua fragilità di puro e semplice canovaccio: a essere importante non è ciò che accade, bensì ciò che si dice attorno a ciò che accade.
Si tratta di una lezione a suo modo istruttiva: quel che conta non è tanto il fatto, entità quanto mai sfuggente essendo il presente un tempo che muore nel momento stesso in cui comincia, bensì la sua analisi ex post. È una lezione che vale nella vita di ciascuno di noi tanto quanto nei grandi movimenti della Storia: “I fatti storici non esistono finché lo storico non li crea”, affermava il celebre studioso dell’Illuminismo Carl Becker.
Il problema è che tutto questo è reso in qualche modo vano dalle modalità con cui Inquisition basa i rapporti tra i suoi differenti comparti. Se a un capitoletto di trama il giocatore farà seguire, come peraltro il gioco stesso spinge a fare, decine e decine di sessioni di combattimenti ed esplorazioni, le periodiche riflessioni dei comprimari sugli eventi apocalittici della vicenda principale appariranno, il più delle volte, completamente fuori posto. Ad amplificare questa sensazione è anche il carattere epico di tanti combattimenti opzionali, primi tra tutti quelli contro i draghi: la giocabilità mi ‘dice’ che il vero big boss è il drago che si nasconde in una parte impervia di una ambientazione accessoria, ma la trama mi ‘dice’ che il problema è un nemico sconfitto senza sforzi particolari durante un capitoletto della medesima. E tutti i compagni di viaggio parlano solo ed esclusivamente di quel nemico, mai del drago che ho sconfitto con strategia sopraffina e dopo innumerevoli tentativi.
Dal punto di vista delle modalità della narrazione, Inquisition si configura come un’ottima lezione: purtroppo volta in negativo più che in positivo. Primo punto della lezione è il seguente: una buona narrazione non può prescindere da un buon ritmo. È per questo che i giochi cosiddetti story-driven devono limitare al massimo le possibilità per l’utente di scartare di lato e di abbandonarsi per ore a sezioni prive di supporto narrativo: il rischio che la storia ne risulti indebolita è troppo alto. Secondo punto della lezione: la giocabilità deve fare da supporto alla narrazione, non remarle contro. Da questo punto di vista Inquisition ripropone, in forme ancora più gravi, il problema visto a suo tempo in Oblivion di Bethesda: se il tuo gioco si fregia della sua estrema libertà di movimento ed esplorazione, non puoi cominciare mettendomi in mezzo a una missione urgentissima. D’altro canto, se vuoi costruire una trama epica e darle un tono confacente attraverso ore di dialoghi curati e approfonditi, non puoi mettermi le parti più epiche della giocabilità in sezioni che non hanno nulla a che fare con la trama. L’errore fatale di Bioware è pensare che in ambito videoludico una trama ben scritta possa reggersi in piedi indipendentemente da tutto: ma se fosse così, basterebbe un buon scrittore a fare di ogni videogioco un ottimo videogioco. Il nostro, al contrario, è il medium della complessità e della interdisciplinarietà: ma per domare il complicato servono l’equilibrio e la capacità di mettere in evidenza la relazione tra le cose, più che la pura e semplice vocazione all’accumulo.
14. Grafica e sonoro
Dragon Age Inquisition utilizza una versione duttile e scintillante del motore grafico Frostbite, giunto ormai alla sua terza incarnazione e creato a suo tempo per la serie di sparatutto ad ambientazione bellica Battlefield. Per la renderizzazione dell’elemento vegetale, Bioware ha deciso di utilizzare il pluripremiato software SpeedTree, introdotto nel mondo videoludico dal capolavoro The Elder Scrolls IV: Oblivion di Bethesda, che peraltro ha scelto di abbandonarlo per il capitolo successivo della saga, Skyrim.
Su una macchina potente, il motore grafico di Inquisition è in grado di dare notevoli soddisfazioni. Purtroppo le opzioni avanzate comportano un notevole dispendio di risorse, e in generale il gioco appare piuttosto pesante indipendentemente dal livello di dettaglio selezionato: non tanto in termini di frame per secondo, quanto piuttosto a causa del fastidioso stuttering, ossia dei piccoli e frequenti ‘singhiozzi’ della renderizzazione. La situazione è in miglioramento man mano che vengono pubblicate le patch: lo stato dell’arte, però, è ancora lontano.
Nulla da dire, invece, sul comparto sonoro, che risulta pienamente all’altezza degli standard Bioware, sia dal punto di vista delle musiche sia da quello del doppiaggio. Il commento strumentale dei menu e delle esplorazioni, anzi, è decisamente più riuscito e caratterizzato di quello dei capitoli precedenti, più dimesso e meno trascinante.
Più che l’aspetto del gioco in sé e per sé, a renderci perplessi sono alcune scelte grafiche squisitamente stilistiche, che però hanno probabilmente anche qualche motivazione tecnica. È il caso, per esempio, delle animazioni: i personaggi non giocanti non riescono ad accompagnare il dialogo con gesti e posture adeguate, e finiscono per fermarsi a parlare nelle posizioni più improbabili (nella lava, in piedi su un tavolo, sull’orlo di un burrone). I membri del party seguono il protagonista con modalità che definire ‘ingombranti’ è un eufemismo: continuano a corrergli attorno come api attorno a un fiore, e gli si mettono sistematicamente davanti durante i dialoghi, rompendo ogni possibile pathos. Senza contare, ma questo è un problema molto diffuso, che i cadaveri dei nemici scompaiono (si ‘smaterializzano’ letteralmente, con tanto di effetto sonoro) pochi secondi dopo la loro uccisione, trasformandosi in anonime borse piene di bottino.
15. Conclusioni
Anche in questa recensione, come in tante altre presenti in questo sito, ci siamo dedicati soprattutto a far emergere i difetti del gioco sotto la lente della nostra analisi. Dragon Age Inquisition ha al suo interno parecchi comparti degni di nota (come per esempio il crafting, davvero approfondito) e diversi momenti capaci di emozionare e fissarsi nella memoria (soprattutto per quel che riguarda il rapporto tra il protagonista e i suoi compagni di viaggio). Secondo noi, però, è l’insieme a non funzionare come dovrebbe. Non tanto e non solo a causa delle sezioni poco riuscite, come le interminabili esplorazioni, quanto a causa della mancata implementazione di adeguate relazioni: a tratti, si ha l’impressione che il gioco sia un pot pourri di software differenti, ciascuno realizzato da autori diversi, che per giunta non si sono mai ‘parlati’ durante lo sviluppo.
In altri momenti la sensazione dominante è che i programmatori abbiano voluto implementare con modalità quantomeno discutibili una funzione di crescita basata più sull’attesa che sulla qualità dell’esperienza. Vuoi vivere il prossimo momento dell’epica trama? Prima devi sorbirti ore e ore di combattimenti insensati dentro ambientazioni altrettanto insensate. Dragon Age Inquisition è, più che un videogioco, un percorso di espiazione: mai come nelle decine di ore spese su questo titolo (130, per l’esattezza: e stiamo parlando di un’unica partita con un unico personaggio) abbiamo avuto l’impressione di essere di fronte a un lavoro più che a uno svago.
L’ultimo lavoro di Bioware rappresenta, per certi versi, uno sforzo eccezionale da parte dei suoi autori. Le recensioni positive non sono mancate, anche da parte di esperti in sicura buona fede: segno che il gioco può divertire, e anche parecchio. Probabilmente, chi è di casa nei più popolari giochi di ruolo online si sentirà di casa anche tra le lande di Orlais e del Ferelden. Noi, dal canto nostro, cercheremo di conservare il ricordo di questi nomi in connessione soprattutto a Origins e a Dragon Age II, un gioco, quest’ultimo, che in paragone con Inquisition va senza dubbio rivalutato, se non altro per la sua capacità di focalizzare gli obiettivi e di non disperdere le energie.
Concludiamo annotando un curioso paradosso. La saga di Mass Effect ha puntato tutto, soprattutto nelle sue ultime incarnazioni, sulle atmosfere cinematografiche e i combattimenti action, lasciando progressivamente da parte il comparto più “da gioco di ruolo”; la saga di Dragon Age, al contrario, ha sempre evidenziato quest’ultimo comparto come il suo fiore all’occhiello, dando parola di prediligerlo al confronto con gli estetismi pop. Eppure, per quanto ci riguarda, la saga di Mass Effect risulta, anche nelle sue ultime incarnazioni, assai più godibile come esperienza complessiva, anche dal punto di vista più strettamente interpretativo: questo accade perché a rendere piacevole una esperienza videoludica è anzitutto il funzionamento del gioco in quanto gioco, non il suo essere o meno aderente a etichette o classificazioni. L’unico modo per dare un senso a Inquisition è considerarlo un ottimo esempio dell’errore peggiore in cui può incappare un autore di intrattenimento digitale: implementare opzioni e variabili con l’unico scopo di appagare esigenze astratte. In termini più diretti: privilegiare l’accumulo rispetto all’equilibrio.
Tre pregi di Dragon Age Inquisition
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Tre difetti di Dragon Age Inquisition
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Dialoghi ben scritti e caratteri dei personaggi ben delineati |
Lunghissimo, noioso, frammentato, inconsistente
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Alcune ambientazioni sono disegnate con perizia e creatività
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Sistema di controllo macchinoso e poco funzionale
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Ottimo e approfondito comparto di crafting
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Combattimenti confusi e poco gestibili
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Caro buon vecchio Inquisition .. resterai sempre nel mio cuore come uno delle mie peggiori delusioni videoludiche di tutti i tempi!
Che dire? dal fantastico sistema di combattimento (che se pensiamo all’involuzione subita rispetto a Origins, viene da rabbrividire) alle prestigiose fed-ex quests tipo porta 5 erbe viola a Nonna Lobelia (presenti in quasi tutti gli rpg a onor del vero, ma qui sono particolarmente orride nella loro nullità ludica) alla trama allungata e spezzettata al punto che a un bel momento non mi ricordavo più per quale missione principale mi trovassi in una certa regione, all’abominevole metodo di respawn al cui confronto impallidiva anche quello dei posti di guardia di Far Cry 2.
Grandissima Bioware : un decennio di capolavori buttato nello scarico del cesso nel decennio successivo con seguiti che non soltanto non hanno aggiunto nulla, ma hanno addirittura finito per snaturare o ripudiare ciò che di buono era stato fatto in precedenza.
Rigiocalo a difficoltà Incubo, e ti renderai conto che si tratta di un’Avventura Straordinaria, assolutamente Irrinunciabile. https://www.youtube.com/watch?v=iSRY9mwGmUs
Per me è regola aurea affrontare gli rpg al massimo livello di difficoltà, e solo nel caso in cui per me questo risulti eccessivo, scalare a un livello più basso. Non è stato questo il caso.
Purtroppo in questo caso non è la difficoltà il problema, ma una serie di fattori, tra i quali quelli da me elencati, oltre ai tanti altri descritti nell’ottima recensione di Mosè (che ti consiglio di rileggere) che già presi singolarmente risultano gravi, e nel complesso formano un vero e proprio disastro.
Naturalmente questa rimane un’opinione soggettiva. Se a te questo titolo è piaciuto, come è evidente, buon per te : significa che non hai subito una colossale delusione. Significa che non hai buttato nel cesso 80 ore sopportando a denti stretti l’odiatissima dialogue wheel, l’assurdo sistema di controllo dei combattimenti, le quest insulse buone solo a perdere tempo, il mostro che riappare dieci secondi dopo che hai ucciso la sua esatta copia, i giorni passati a combattere e combattere e combattere tra una quest principale e l’altra nemmeno stessi giocando a Diablo, un bilanciamento tale da farmi sudare alla fine del primo atto per poi diventare così forte da passare le ultime 30 ore a superare i combattimenti pestando tasti a caso, solo aspettando i cooldown come in uno stramaledetto action jrpg.
Sono contento per te. Qualcuno ha tratto qualcosa di buono da tutto ciò. Io so che non mi avvicinerò mai più a questo gioco, e che invece di fidarmi delle solite recensioni “ufficiali” che non dicono nulla, mi documenterò solo toccando con mano tramite video di playthrough e opinioni di giocatori e gente in gamba come Mosè.
Secondo me (e secondo molti), Bioware ha voluto fare il passo più lungo della gamba, dopo Dragon Age 2. Volevano tornare sulla retta via, e invece hanno combinato un casino senza identità e pieno di tante spiacevolezze da offuscare ciò che di buono hanno fatto in precedenza e seriamente incrinare la fiducia che in molti nutrivamo nei loro confronti. Hanno subito un’involuzione peggiore dei Piranha Bytes, dai quali almeno nessuno si è mai aspettato chissà cosa.
Dovrei aggiungere che spero che le cose migliorino in futuro, ma la verità è che ne dubito fortemente. Purtroppo questo titolo ha venduto moltissimo, e io temo che Bioware, ormai in piena mentalità aziendale, abbia stabilito che alte vendite significa conferma della qualità del proprio prodotto, e che debba quindi riproporre un sistema di gioco analogo nel suo prossimo titolo. Probabilmente così sarà, e probabilmente le vendite saranno un pò meno alte, dato che nel frattempo il sottoscritto (e molti altri come il sottoscritto) hanno smesso di fidarsi e di comprare a occhi chiusi ciò che mettono sul mercato.
“nemmeno stessi giocando a Diablo”, oppure: “come in uno stramaledetto action jrpg”: sempre i soliti stereotipi, allora facevi prima a dire che gli action non ti piacciono, dato che Inquisition è un ACTION a “giocabilità persistente” (come Assassin’s Creed Odissey oppure The Division). In questa categoria di giochi la trama conta “fino a un certo punto”, oppure a livello di “coreografia”. Tanto per fare un esempio io ho completato Mass Effect Andromeda a livello di difficoltà Folle, in qualsiasi sua più recondita quest, SENZA SAPERE QUALE SIA LA TRAMA. Per poter sfogare la tua negatività, e sentirti finalmente libero di dichiarare che Bioware ha “buttato nello scarico del cesso” un decennio di capolavori, parli di un ACTION come se fosse uno story-driven il cui problema sarebbe quello di non somigliare a uno story driven, e commetti una vera e propria “invasione di campo” nell’ostinarti a voler giudicare giochi che NON appartengono al tuo range di interessi.
https://www.youtube.com/watch?v=7k8PFMQQIxI
Mi piacciono gli action rpg .. quando sono fatti bene.
Ho finito Diablo1/2/destruction (gli ultimi due tre volte), Icewind1/2, la trilogia di Mass Effect, e un mare di titoli fortemente orientati verso i combattimenti. Ho perfino giocato con gusto la prima metà di quel bidone leggendario di Lionheart, che all’epoca venne stroncato praticamente da chiunque.
Il problema di Inquisition è che non funziona nemmeno come action rpg, perchè il suo sistema di combattimento (lo ripeto ancora) è una schifezza alla pari del suo bilanciamento.
Facendo un riassunto finale : questo gioco mi ha deluso in tutto tranne che sul lato tecnico (grafica, sonoro e stabilità). Mi ha deluso al punto che considero uno spreco di tempo spendere altre parole sull’argomento, ora che ho dato la mia opinione.
Perciò, con tutto il rispetto per il tuo palese apprezzamento verso il suddetto titolo, passo e chiudo.
Secondo me questa recensione contiene alcune infondatezze.
La ragione per cui il gioco non piace sembra riferirsi alla mancata aderenza a delle “esigenze astratte”, che anche in concorso tra loro, non sembrano giustificare cotale disaffezione. Ad esempio si dice che:
Le “apposite etichette” che ci informano di qual è il livello ottimale a cui affrontare le missioni conferirebbero al gioco un'”ossatura astratta e anti-simulativa”.
La presenza della mappa dotata di GPS provocherebbe anch’essa un’effetto anti-simulativo.
Siccome le ambientazioni sono al contempo ampie ma chiuse —> il gioco si svolge attraverso modalità action che “non danno spazio ad alcun tipo di simulazione” (testuale).
Faccio presente che le caratteristiche specificate non sono altro che scelte di gameplay ormai presenti in qualsivoglia action con più o meno elementi ruolistici come The Witcher 3, e negli ultimi due Assassin’s il cavallo è addirittura dotato di auto-pilota. Quindi il fatto che si dica che un gioco ha un'”ossatura anti-simulativa”, non può essere citato come “problema di design”, poichè la parola “simulativo” contiene un parametro non quantificabile e indefinito. Come pure nella frase “le ambientazioni sono costruite chiaramente per essere esplorate a piedi e non a cavallo”, si riporta un’evidenza falsa o perlomeno fortemente opinabile, come se fosse del tutto scontata. Le interpretazioni arbitrarie sono sì tollerate, ma se diventano “troppo arbitrarie”, ci si comincia a chiedere se siano ispirate da ragioni vere, oppure Farlocche.
Sempre riguardo al rilievo che ho mosso, sul fatto che nella recensione le critiche rivolte al gioco risultano per lo più motivate dalla mancata corrispondenza a delle “esigenze astratte”, ho notato che si sostiene che le missioni svolte nel wartable in tempo reale sarebbero in conflitto con la “tensione estetica della narrazione”.
Vorrei mettere in dubbio questo convincimento. Le missioni svolte sul wartable o in “background” sono state introdotte in molti giochi. Le ho trovate in Mass Effect Andromeda, sono contenute in parecchi episodi della serie Assassin’s Creed, alcuni altri giochi addirittura si presentano come un gigantesco wartable in cui le missioni svolte dal giocatore compaiono assieme a tutte le altre. Queste missioni hanno un grande effetto suggestivo, perchè danno la sensazione che la trama del gioco si svolga in un mondo vivo e pulsante che si muove anche al di fuori dell’orizzonte del personaggio principale, dando all’azione di gioco una prospettiva più vasta e dinamica. Ragion per cui, secondo me, la critica mossa al gioco contiene (come al solito) un parametro non quantificabile e indefinito. In termini più espliciti, il fatto che si dica che queste missioni sono in conflitto con la “tensione estetica della narrazione”, è una cosa che si dice senza saper bene cosa si vuol dire 🙂
Questa recensione contiene nella sua architettura un errore di fondo.
Già nella prefazione si dice che Bioware “punta all’unione ‘impossibile’ tra storia forte e libera esplorazione”.
Poi si dice che la narrazione non funziona perchè le manca il “ritmo”, dato che vi sono troppe ore “prive di supporto narrativo”.
In realtà si “fa finta” che il gioco sia impostato su una storia forte, quando la storia nel gioco semplicemente NON C’E’.
La conferma dell'”ossatura astratta” su cui è impostata la recensione, giunge dal fatto che in un gioco appartenente alla categoria ACTION la storia effettivamente è soltanto un elemento puramente “coreografico”, o “decorativo” del quale non interessa quasi niente a nessuno. Tanto per fare un esempio in Mass Effect Andromeda (che è un Capolavoro) la storia è una “fregnaccia” talmente senza importanza, che genericamente ci si ricorda solamente del fatto che “si cercano pianeti dalle caratteristiche abitabili”.
Il personaggio che ho interpretato infatti non è altro che un capo-minatore addetto allo “stoccaggio dei materiali”. In Inquisition, lo sviluppo della cosiddetta “storia” è un qualcosa che avviene “sotto traccia”, di cui il giocatore si cura davvero assai poco, e che non ha l’onere o l’obbligo di SEGUIRE ALCUNA REGOLA, come del resto anche l’Arte, che non ha regole universali, a meno chè qualche ingenuo cultore del “manuale Cencelli” dei videogiochi, non sia percorso dallo sforzo instancabile di trovarle.
Ragion per cui, quando si dice che: “i giochi cosiddetti story-driven devono limitare al massimo le possibilità per l’utente di scartare di lato e di abbandonarsi per ore a sezioni prive di supporto narrativo”, in realtà si “simula” che un ACTION come Inquisition, sia uno story-driven il cui problema sarebbe quello di non essere uno story-driven.
E per di più lo si è pure “etichettato” come uno Story-driven con interfaccia “punta e clicca”, il cui problema è, per l’appunto, la “scomparsa totale e assoluta di qualsiasi interfaccia punta e clicca”.
Per quanto riguarda i dialoghi, i personaggi non parlano assolutamente di “fatti” reali, ma il loro dialogare non è altro che un modo di metter maggiormente in evidenza i più reconditi risvolti della loro personalità, come se stessero interpretando un reality show. In questo quadro, le critiche mosse nella recensione al comparto narrativo assumono connotazioni ridicole, quando si dice che “le periodiche riflessioni dei comprimari” appaiono “fuori posto” perchè “tutti i compagni di viaggio parlano solo ed esclusivamente di quel nemico, mai del drago che ho sconfitto con strategia sopraffina” 🙂
L’Autore della recensione invece di valutare l’elemento artistico nella sua complessità e originalità, si limita ad indagare se il gioco sia più o meno aderente a etichette o classificazioni.
Così come, affermare che al gioco manca “l’equilibrio e la capacità di mettere in evidenza la relazione tra le cose”, significa che non si sa proprio cos’altro dire, poichè, in quanto concetto privo al suo interno di qualsivoglia parametro di misurazione, l”equilibrio” NON ESISTE. Infine, come conseguenza di ciò che ho spiegato, ovverosia che in Inquisition la storia (come se ve ne fosse una), costituisca un elemento quasi del tutto inessenziale, il fatto di sostenere che “si presenta frammentata e irrisolta”, perchè –> “il giocatore la deve gestire sulla base di tappe successive”, vuol dire nella sostanza che, nonostante non si sia capito nulla del gioco, si continua lo stesso a “sfornare” opinioni. Pertanto, le critiche che vengono mosse al comparto narrativo di Inquisition, possono riepilogarsi, facendone una super-ultra-sintesi, soltanto nell’“incapacità di mettere in evidenza la relazione tra le cose” 🙂
https://www.youtube.com/watch?v=ks5qUb_sWiM
Se può interessare Mosè o i lettori di questa recensione segnalo questo libro: https://www.amazon.it/Blood-Sweat-Pixels-Triumphant-Turbulent-ebook/dp/B01NAKSWW1/ref=tmm_kin_swatch_0?_encoding=UTF8&qid=1594406566&sr=8-1
Vi è tutti un capitolo dedicato allo sviluppo di Dragon age inquisition
Grazie per la segnalazione Francesco!
Dopo circa 130 ore di gioco, nonostante non sia ancora giunto alla conclusione (ho appena passato la quest principale “occhi malvagi, cuore malvagio”, ma ho concluso le quest di tutti i miei “amichetti” e “sottoposti” (purtroppo Leiliana mi è rimasta malvagia ma vabbè) e finito i DLC Descent e jaws of hakkon) credo di poter finalmente dire la mia su questo prodotto/robo/indefinibile… Premetto che ho aspettato anni x giocarlo perché non ero in possesso di hardware capace di farlo girare adeguatamente e perché aspettavo una versione switch che probabilmente non uscirà mai: alla fine rassegnato mi sono preso una xbox One s a due spicci, ho acquistato la mia copia digitale scontatissima e completa a ben 10 euro e sono partito… (Qualche tempo prima, però, mi sono giocato Dragon Age 2 che cominciai all’uscita e piantai verso metà… Stavolta però l’ho finito tutto… un po’ a fatica…). Anzitutto ho molto apprezzato il Dragon keep perché evita di fare 18000 giri pindarici per importare lo stato del mondo da un gioco all’altro, considerando pure che in alcuni casi, come nel mio, si tratta pure di passare dati tra sistemi diversi (PC e console) infatti il sito è molto comodo. D’altro canto però, stavo riflettendo, che forse se la BioWare non fosse dovuta impazzire nel considerare le mille mila variabili inserite nei loro giochi, e trascinate nei vari seguiti, costringendosi a riscrivere interi pezzi di codice si sarebbe potuta concentrare su un prodotto finale un po’ migliore correggendo quello che non va ma ovviamente questo non lo sapremo mai…. Detto questo è dura valutare Inquisition perché alcuni aspetti sono un vero disastro, primo fra tutti il combattimento che è confusionario e caciarone: spesso non si capisce un accidente, non e chiaro chi colpisce chi, perché si ricevono danni o perché non se ne ricevono affatto, alcune build rendono l’inquisitore indistruttibile altre una vera chiavica, non esistono incantesimi curativi solo per giustificare l’uso di pozioni che cmq dopo un po’ diventano inutili vista la sopracitata indistruttibilità! Se si è “completisti” ripulendo le zone sbloccate si diventa talmente di alto livello che poi si travolgere qualsiasi cosa come un rullo compressore (ho avuto problemi unicamente con un portale nel DLC dal quale fuoriuscivano 3 demoni della superbia contemporaneamente e col boss del DLC Descent che era da affrontare in maniera “creativa”). Anche la fase di esplorazione è piuttosto tediosa ma qui il problema è aver giocato prima titoli come Zelda Breath of the Wild dove Link può arrampicarsi e andare ovunque mentre invece l’inquisitore è piuttosto limitato (sarà anche realistico visto che porta l’armatura ma è anche molto più scomodo anche perché i programmatori hanno piazzato frammenti e altra robaccia anche in zone sopraelevate e spesso è un tormento arrivarci…). Velo pietoso poi sul fatto che tocca utilizzare a ripetizione il tasto per evidenziare gli oggetti che sennò difficilmente sono visibili oltre a questo però non concordo sulle lamentele del sistema di controllo: su console e con il joypad è molto comodo e non mi ha infastidito. Eliminato il combattimento e l’esplorazione (che sono praticamente il 70% del gioco) il resto mi sta piacendo: finalmente si torna ad una storia epica come su Origin e la trama è interessante anche se abusatissima (vabbè a me non dispiace interpretare x la novantesima volta il salvatore del mondo…) gli PNG sono interessanti, nonostante si sia voluto infilarne per forza forse per felici i fan (vedi Morrigan che secondo me non c’entra proprio un accidente al momento)…. Quasi dimenticavo un altro mezzo disastro: la gestione in tempo reale delle missioni del tavolo di guerra: sono arrivato ad un punto nel quale non vado avanti nella trama solo perché sto aspettando di fare tutti gli incarichi del tavolo e quindi devo aspettare in tempo reale che passino veramente, è una meccanica ridicola e inutile!! Passando alle conclusioni nonostante mi sembra che abbia abbastanza massacrato Inquisition lo trovo più divertente di Dragon Age 2 (dove era tutto piatto e di corridoi) e molto più interessante a livello di scrittura e di trama, ovviamente il migliore è sempre Origin soprattutto perché focalizza di più l’obiettivo e non si perde in mille rivoli di roba da fare come fa Inquisition che ogni tanto si ricorda che c’è una storia da portare avanti…
Ne approfitto pure x congratularmi con Mosè x la splendida idea di recensire i giochi da tavolo, è stata fino a pochi anni fa anche una mia grande passione e spero che recensirai giochi anche non più nuovissimi (posso farti una lista se vuoi 🤣🤣🤣) peccato che non si possa commentare genericamente sul sito sennò ti avrei scritto il giorno stesso che hai pubblicato la news (non ho un account Facebook personale e non ho intenzione di farlo!)
Grazie per il lungo ed elaborato commento, Il Più Antico!
Concordo con molto ma non con tutto. Il sistema di controllo l’ho trovato davvero insopportabile, ma magari la combo mouse e tastiera risente di più di certe scelte rispetto ai controller. La trama ‘epica’ non mi ha preso quanto la vicenda più personale e secondo me più interessante narrata da DAII; peraltro, il vero problema con la trama di Inquisition è il suo essere così insopportabilmente frammentata dagli innesti di giocabilità pseudo-MMORPG quali l’esplorazione ‘teleguidata’, le missioni del tavolo da guerra e la necessità sciocca di ‘livellare’.
Sottolineo che non ho giocato nessun DLC visto che non ho più ripreso in mano il gioco dopo la sua uscita. Magari lo riprenderò in futuro, ma sinceramente ci sono mille altri giochi che rifarei prima di questo.
Grazie per l’apprezzamento riguardo all’ampliamento del focus del sito! Recensirò giochi ‘contemporanei’, senza necessariamente concentrarmi sulle ultime uscite. Ogni GdT che tratterò avrà sia una recensione scritta sia due video YouTube dedicati, e comincerò a creare video anche sui GdR.
Se devi riprendere il gioco x i dlc te lo sconsiglio sin da subito perché non aggiungono nulla di eccitante alla trama (però devo ancora giocare Treppased che è ambientato dopo gli eventi del gioco principale, magari quello vale la pena…). Sul sistema di controllo ho letto diverse opinioni dei giocatori PC e tutti dicono sostanzialmente che sono abbastanza scomodi e inadatti proprio perché derivativi delle console (sulle quali invece non posso lamentarmi perché sono di solito funzionali tranne quando non ti rendi conto di fendere l’aria nei combattimenti perché i nemici si sono spostati….)… Sulla frammentazione della trama non so che dirti, mi pare che il modo di gestirla della BioWare sia così dai tempi di Mass Effect 2 (superosannato da tutti ma secondo me, senza dubbio, il peggiore della triologia)
In Mass Effect 2 le attività pseudo-simulative sono assai limitate e si limitano in pratica alla scansione dei pianeti. Tutto il resto è narrazione. Il problema non è quando la trama viene frammentata da missioni secondarie, ma quando viene relegata a pochi e brevi momenti isolati, mentre il resto del gioco è puro grinding.
Dopo aver visionato alcuni tuoi videoclip su youtube (devo dire ottimamente realizzati) sono arrivato alla conclusione che le recensioni che scrivi possono suddividersi in due grandi categorie: quelle dei giochi che ti piacciono, che riescono benissimo, e quelle dei giochi che non ti piacciono, che riescono malissimo. La validità qualitativa di una tua recensione và sempre di pari passo con il tuo gradimento di un gioco. Quando non ti piace continui ad elargire “pareri” di serie B, su un qualcosa dal quale non sei emotivamente coinvolto. Ad esempio, a proposito di Dragon Age Inquisition, scrivi che:
“La necessità così strutturale e così pienamente introiettata da essere esplicitamente ‘detta’ di dover ‘livellare’ per poter proseguire ha un effetto ovvio e irrimediabile: avvicinare la giocabilità di Inquisition a quella dei giochi di ruolo online di massa. In termini più propriamente critici, ciò implica lo spostamento dell’attenzione dall’estetica alla tecnica: non ti metto davanti queste sterminate ambientazioni perché penso sia piacevole esplorarle, ma perché mi serve un background dentro cui innestare il processo di crescita del personaggio giocante”.
In conseguenza di ciò:
Io sostengo che le locazioni sono di una bellezza cinematografica, fortemente evocative e piene di scenari naturali ipnotici.
Tu invece sostieni che la conseguenza della necessità “introiettata” di dover livellare è –> che le ambientazioni esistono soltanto per livellare (Sillogismo Aristotelico).
Oppure esistono così, tanto per poter dire che ci sono.
Io sostengo che le esplorazioni sono estremamente godibili e da gustare “goccia a goccia”.
Tu invece sostieni che le esplorazioni sono “interminabili”, e contrassegnate dall’esigenza di “arrivare alla fine” delle stesse.
A cosa dobbiamo una cotale differente angolazione prospettica?
In mia opinione, ciò è dovuto al fatto che tu hai attraversato codeste locazioni con un elemento sensitivo assente, ragion per cui queste ultime hanno avuto su di te un impatto emotivo Nullo. Questo vuol dire che, pur credendo di giocare al gioco, magari anche in buona fede, la verità è che Non Ci Hai Giocato.
Io ormai gioco solo ai giochi recensiti positivamente in questo sito.
Totalmente d’accordo su tutto (a volte ho la sensazione di averle scritte io le recensioni, nel sonno).
DAO: Capolavoro
DA2: Buon livello, a tratti anche rigiocabile (dopo lo shock iniziale).
DAI: Una cagata pazzesca, tutto è confusionario: menu, combattimenti, esplorazione.
Praticamente è andata così alla Bioware: quali sono le cose riuscite bene in DAO? quali quelle in DA2? Ora facciamo un nuovo gioco prendendo solo le cose riuscite male.
Il fatto che tu dica che DAI è confusionario significa soltanto che, non avendo tempo libero, lo volevi finire in un giorno 🙂
Dopo aver guardato con interesse il condivisibile video di Mosè nel quale espone la sua Metodologia Critica, vorrei però sostenere che cotali categorie potrebbero fallire in alcuni casi, data la difficoltà di scandagliare la complessità di un’opera d’arte. Ad esempio, un aspetto che non si è considerato, è quello della NOIA del giocatore (anche in veste di Critico). Un giocatore potrebbe annoiarsi per ragioni imponderabili, a partire dal suo stato d’animo. Potrebbe anche inconsciamente DESIDERARE di annoiarsi perchè ha bisogno di smettere di giocare e dedicarsi ad altro. Allora cosa dovrebbe fare un gioco per riuscire a intrattenere il giocatore in modo soddisfacente, prima ancora di corrispondere pienamente ai parametri di qualsivoglia metodologia? Semplice:
il giocatore deve essere indotto a PENSARE incessantemente, a elaborare soluzioni a complessi problemi tattici, deve essere stimolato a mettere alla prova la sua abilità oltrechè destrezza, a risolvere arzigogolati enigmi, a prendere decisioni dalle quali dipende la vita o la morte del personaggio giocante, anche nell’arco di qualche decimo di secondo. Il compito della IA sarà invece quello di fare ‘muro’, allo scopo di rallentare il giocatore dall’andare avanti, mentre il giocatore dovrà risolutamente impegnarsi per prevalere contro lo schieramento avverso. Se ciò non si verifica, il giocatore non si diverte, e sprofonda in un oceano di noia nel quale tutto perde di significato.
Ecco perchè, per esperienza personale, il combattimento di Dragon Age Inquisition si presenta davvero come ‘adrenalinico’ e strategico, però soltanto se si porta la difficoltà ad Incubo, mentre invece, se lo si gioca a difficoltà normale, come avrà fatto con ogni probabilità l’Autore di questa Recensione, risulta troppo facile, e guarda caso: “privo di qualsivoglia spessore strategico che vada oltre il premere in sequenza i tasti collegati alle varie abilità”, ESATTAMENTE come specificato all’interno di questa Recensione!! Oltrechè l’ottimo gameplay non viene assolutamente sfruttato nella sua interezza, comprese visuale tattica, rune, fucine e pozioni. Se il combattimento appare “privo di qualsiasi spessore strategico”, significa che la difficoltà è troppo bassa, e quindi bisogna alzarla, e magari anche Studiarsi le Meccaniche del Combattimento, anche considerato che nella maggior parte dei giochi odierni, da un bel pò di tempo a questa parte, la difficoltà ‘normale’ non sembra più riuscire a garantire un livello di sfida adeguato.
Se le cose stessero così, l’Autore delle Recensione non avrebbe fatto altro, in pratica, che fare “prendi e porta” o “porta e prendi” per centinaia di ore, vale a dire andare in su e in giù per la mappa senza costrutto e senza incontrare ostacoli, come un fattorino. Le sensazioni di ‘trama frammentata’ ed “esplorazioni insensate” a cui fa riferimento, non nascono altro, a mio avviso, che fondamendalmente dal desiderio di ‘arrivare alla fine’ del gioco il più presto possibile. Ecco spiegato il motivo per il quale l’Autore di questa Recensione ha, secondo la mia ipotesi, recensito un gioco al quale nella sostanza Non Ha Giocato. https://www.youtube.com/watch?v=ZOT_papxteY
Avete capito bene: secondo la mia PIU’ CHE VEROSIMILE ipotesi, qualsiasi caratteristica del gioco è stata valutata ‘al ribasso’ per via della noia che scaturisce dalla difficoltà troppo facile. Va Rigiocato. https://www.youtube.com/watch?v=iSRY9mwGmUs
https://www.youtube.com/watch?v=ks5qUb_sWiM
Ho pensato che potresti giocare i DLC di Dragon Age Inquisition, dato che ti mancano, impostando la difficoltà Incubo, che si presenta Impegnativa ma non Frustrante, e per la precisione paragonabile alla difficoltà ‘normale’ di Dragon Age Origins. Sono sicuro che in cotal modo li troverai soddisfacenti 🙂
https://www.youtube.com/watch?v=k3zLXETMFtk