Il secondo capitolo della saga fantasy di Bioware conferma molti elementi validi visti nel primo, ma introduce anche alcuni cambiamenti decisamente poco riusciti, e denota in più parti una realizzazione affrettata e superficiale.
[articolo originariamente pubblicato il 10 ottobre 2013]
1. I tanti modi per ampliare il consenso
I grandi GdR digitali richiedono, forse più di ogni altra opera afferente all’universo videoludico, tempi di sviluppo molto lunghi. Alla squadra di autori di un gioco di ruolo viene richiesta non solo la creazione di una giocabilità funzionale alle differenti piattaforme e sistemi di controllo, ma anche la messa a punto di una storia interessante, di ambientazioni evocative, di personaggi che si fissino nella memoria: e il tutto va plasmato non nelle forme ‘statiche’ previste per esempio dalle avventure grafiche o dai giochi d’azione, bensì nelle forme duttili e ‘pieghevoli’ adatte a una tipologia di prodotto che fa della varietà di approccio la sua bandiera. Ma cosa succede quanto i tempi di sviluppo sovrastano i tempi del mercato? Quando Bioware comincia la creazione di Dragon Age: Origins, per esempio, siamo nel lontano 2003 e la grande casa di sviluppo canadese agisce in piena autonomia, sotto la guida dei fondatori Ray Muzyka e Greg Zeschuk; ma quando lo sviluppo del gioco si conclude, ossia nel 2009, Bioware è divenuta nel frattempo proprietà del colosso Electronic Arts.
In questa sede non ci metteremo certo a tessere le lodi a prescindere degli sviluppatori indipendenti o ad attaccare i grandi gruppi: la retorica del “piccolo è meglio” non ci ha mai appassionato, anche perché chiunque abbia un minimo di onestà intellettuale deve riconoscere che il valore della produzione “tripla A” è innegabile, anche se naturalmente va sempre affiancata al talento e all’ispirazione dell’autore. Nel caso del passaggio dal primo al secondo Dragon Age, però, l’influenza sul prodotto di una pubblicazione con ogni evidenza affrettata oltre ogni limite (sei anni di sviluppo contro due) è talmente palese, e nella fattispecie dovuta con una chiarezza così limpida al nuovo assetto societario del gruppo, che una riflessione deve imporsi anche a chi solitamente preferisce concentrarsi sul gioco in sé piuttosto che sulle polemiche di contorno.
Ci pare piuttosto chiaro che l’idea dei produttori era quella di sfruttare l’onda lunga del successo del titolo precedente, solleticando al contempo, come vedremo meglio nel prosieguo della recensione, il pubblico meno avvezzo ai titoli complessi come Origins. Ma in questo caso secondo noi il problema non sta affatto nel voler massimizzare i profitti, una aspirazione più che legittima e financo ovvia in una società capitalista come quella in cui viviamo: il problema è che tale massimizzazione danneggia se stessa nel momento in cui per fretta si trascurano i dettagli, e soprattutto nel momento in cui l’allargamento del bacino d’utenza passa attraverso l’umiliazione dei fan di vecchia data. Ci spiegheremo meglio con un esempio. Bethesda, nel passaggio da Morrowind a Oblivion e poi a Skyrim, ha senza dubbio reso i suoi prodotti maggiormente appetibili al grande pubblico, sia tramite l’attenzione verso la grafica sia tramite la semplicità d’approccio. Ma questi elementi non hanno affatto pregiudicato l’utilizzo di questi titoli da parte della platea dei fedelissimi: semplicemente, hanno reso possibile approcci differenti, arricchendo quindi, in ultima misura, il sapore del prodotto finale. Purtroppo, lo stesso non si può dire di Dragon Age II, che pur rimanendo un buon prodotto, con picchi anzi di vera e propria eccellenza, soffre di mancanze piuttosto gravi e di scelte di design semplicemente dissennate. Vediamo più da vicino di cosa si tratta.
2. La dinastia degli Hawke
Forse l’unico vero ambito in cui Dragon Age II è senza dubbio superiore a Origins è, come vedremo anche meglio più avanti, la direzione artistica. Lo si capisce fin dalle prime sequenze, per quanto la loro originalità emerga davvero solamente in seguito: la voce narrante durante i filmati, infatti, non è quella di un narratore astratto bensì quella di un personaggio centrale dell’avventura, il nano Varric, che apparentemente sta subendo un interrogatorio da parte di Cassandra, una Seeker del Chantry, vale a dire una sorta di agente segreto al soldo della più importante organizzazione religiosa del Thedas, il mondo fantasy in cui è ambientato il gioco. Varric ripercorre con Cassandra tutte le vicende del Champion of Kirkwall, anticipando dunque il fatto che il protagonista del gioco, che inizialmente è un derelitto, risulta destinato a grandi imprese. La regia dei filmati, che scorrono tra suggestive inquadrature dei due dialoganti su fondo nero e colorate animazioni di gusto retro-espressionista, è originale e virtuosistica, anche in forza del suo abbandonarsi periodico a gustosi divertissement (in una occasione, per esempio, Varric stravolge il resoconto di una sequenza per aumentare il suo protagonismo: il giocatore si troverà a ‘vivere’ la sequenza ‘finta’ e solo dopo quella ‘vera’!)
Le prime battute della vicenda narrata in Dragon Age II si innestano nelle prime fasi dell’avventura epica vissuta in Origins, configurando la prima parte del gioco come una sorta di storia parallela a quella sperimentata nel capitolo originale. Là il protagonista, un membro dell’ordine dei Grey Warden, aveva il compito di fermare il cosiddetto blight, ossia il divampare in Thedas (e nella fattispecie nella provincia meridionale chiamata Ferelden) delle stirpi demoniache note come darkspawn, prodotto dell’odio degli antichi dei contro il nuovo dio (Maker). Tra le varie ambientazioni attraversate dall’Eroe del Ferelden (così viene chiamato il protagonista del primo capitolo nel seguito) vi era anche il piccolo villaggio chiamato Lothering, destinato a essere presto distrutto dall’avanzata dei darkspawn. Ebbene, in Dragon Age II siamo chiamati a impersonare proprio un abitante di Lothering, in fuga dai darkspawn assieme a tutta la sua famiglia.
La fuga è inizialmente disperata e senza una meta precisa: il nostro eroe, che di cognome si chiama Hawke indipendentemente dal suo sesso (possiamo scegliere se impersonare un uomo o una donna, ma l’unica razza disponibile è quella umana), deve difendere i suoi familiari da ondate sempre più inferocite di darkspawn, che lasciano il gruppo progressivamente più provato e indifeso. A volgere al meglio le sorti della compagine, però, si materializza presto uno dei più importanti ed enigmatici personaggi di Origins, la strega Flemeth, madre di Morrigan, uno dei compagni di viaggio dell’Eroe del Ferelden. In cambio di un favore apparentemente innocuo, Flemeth si offre di aiutare il gruppo a raggiungere il più vicino luogo sicuro, ossia la città di Kirkwall, nella provincia a nord del Ferelden, chiamata Free Marches. Kirkwall non è certo nota per essere ospitale: in seguito alle migrazioni dovute al blight, anzi, legioni di postulanti bussano alle sue porte, per essere respinti in malo modo dalla reggenza cittadina, che consiste in un visconte apertamente influenzato, nelle sue decisioni, dalla potente legione di Templari di stanza in loco (i Templari sono in un certo senso il “braccio armato” del Chantry). Il nostro eroe però ha un asso nella manica: sua madre Leandra appartiene a una nobile famiglia di Kirkwall, gli Amell. Oseranno le guardie cittadine respingere una famiglia legata alla nobiltà locale? Purtroppo osano: le fortune degli Amell sono infatti un lontano ricordo del passato, soprattutto per colpa dell’ultimo esponente della famiglia, il fratello di Leandra Gamlen, che non è esattamente un genio degli affari. Dopo vari sotterfugi, il protagonista e il suo seguito riescono comunque a entrare in Kirkwall, ma dovranno darsi molto da fare per riuscire ad avere una posizione degna in seno alla cittadinanza.
Inizialmente, l’ossatura della trama principale del gioco resta vaga e nebulosa, e sembra incentrarsi, non senza una certa originalità, nella ‘semplice’ necessità del protagonista di rifarsi una vita. L’idea migliore sembra arrivare dal fratello di Varric, Bartrand, che sta organizzando una spedizione nelle Deep Roads, il mondo sotterraneo già dominio dei nani e ora infestato dai darkspawn. Serve un socio che raccolga dei fondi con cui finanziare l’impresa, e questa sarà la prima preoccupazione del nostro alter ego una volta stabilitosi a Kirkwall. Durante lo svolgimento del suo compito, il protagonista ha modo di rendersi conto che la città si trova in una situazione di grande incertezza politica. Nei pressi del porto è di stanza un folto gruppo di Qunari, enigmatica razza proveniente dal nord, ma sembra che tutti, compreso il visconte, ignorino la ragione della loro presenza: la reggenza, evidentemente non sufficientemente forte e influente, cerca di blandirli per evitare episodi di violenza, ma risulta fin da subito chiaro che la situazione è precaria e non certo destinata a durare. La campagna si svolge nell’arco di svariati anni, durante i quali gli sviluppi sono spesso scioccanti e inattesi: l’autentico scontro in atto a Kirkwall, che è quello tra Maghi e Templari, passa in primo piano solo dopo decine di ore di gioco, configurando quella narrata da Dragon Age II come una tra le avventure più creative e narrativamente riuscite fra quelle messe a punto da Bioware.
3. Struttura generale di gioco
Come Origins, anche Dragon Age II può sommariamente essere diviso nelle sue due componenti fondamentali: la narrazione, svolta quasi esclusivamente attraverso i dialoghi, e il combattimento. L’esplorazione non è del tutto bandita ma ricopre un ruolo marginale: le varie ambientazioni, che si esauriscono nei differenti distretti di Kirkwall e in qualche luogo limitrofo, sono di ampiezza molto limitata e hanno l’unico compito di fungere da sfondo allo svolgimento delle missioni principali e secondarie. Seguendo la consuetudine già vista nel precedente capitolo, il mondo di gioco è tratteggiato secondo criteri quasi completamente astratti: le varie ambientazioni hanno punti di uscita che possono essere scelti indifferentemente, dato che ognuno riporta alla mappa generale; non esiste lo scorrere del tempo né alcun tipo di ‘routine’ per i personaggi non giocanti, anche se è possibile decidere di visitare la maggior parte delle ambientazioni di giorno oppure di notte.
Mentre Origins implementava tre differenti posizioni per la telecamera, corrispondenti a tre diversi livelli di zoom ma anche a tre diverse modalità di approccio al gioco, Dragon Age II riduce la scelta: è infatti scomparsa la visuale che potremmo definire ‘strategica’, quella più simile ai vecchi titoli isometrici realizzati col motore Infinity (Baldur’s Gate su tutti). Anche se il gioco continua a implementare il sistema di controllo “punta e clicca”, la necessità di tenere il punto di vista vicino alla schiena del personaggio selezionato spinge ‘naturalmente’ verso l’uso dei tasti WASD, secondo le modalità tipiche dei giochi in terza persona come Mass Effect: il vantaggio di questa opzione è che risulta più agevole manovrare la telecamera tramite la pressione continua del tasto destro del mouse.
Gli elementi di interazione nello scenario sono minimi. Oltre ai punti di passaggio, gli unici oggetti ‘cliccabili’ sono contenitori quali casse o barili, oltre agli immancabili forzieri; anche gran parte dei personaggi che popolano le ambientazioni sono puramente ‘decorativi’, dato che l’interazione è consentita solo con quelli collegati a qualche missione in corso al momento.
Esistono ambientazioni ‘speciali’ degne di nota. La più importante è la residenza del protagonista, che cambierà nel corso dei vari capitoli in conseguenza di determinati eventi: visitandola, lo stato dei membri del party verrà ‘resettato’ (ciò significa sostanzialmente che le ferite saranno guarite: ci torneremo meglio più avanti) e sarà possibile leggere eventuali lettere spedite all’eroe, che spesso portano all’attivazione di nuove missioni. Più avanti, la casa offrirà vari altri servizi, come la possibilità di creare pozioni o incantamenti, servizi che peraltro si trovano anche in altre aree del gioco. Ulteriori ambientazioni speciali sono quelle collegate a un compagno di viaggio: ciascuno di loro passa il tempo libero da qualche parte, e sarà solo accedendo a quella location che sarà possibile intrecciare con quel compagno le conversazioni più importanti (comprese le immancabili romance). Se interpellati durante il resto del gioco, i membri del gruppo si limitano a rispondere con una breve frase; durante le esplorazioni, tuttavia, intrecciano periodicamente interessanti (e spesso comiche) conversazioni, tanto che è interessante provare tutte le combinazioni possibili solo per assistere a questi scambi.
Dragon Age II è suddiviso in tre ‘atti’, che non sono, come sempre succede, immediatamente susseguenti dal punto di vista cronologico: tra un atto e il successivo c’è uno ‘stacco’ temporale che può essere anche di svariati anni. Anche se le ambientazioni non rispondono in modo adeguato a questo stratagemma narrativo, risultando sempre piuttosto statiche, va detto che l’idea è originale perché conferisce alla vicenda narrata una maggiore complessità, soprattutto nel momento in cui consente l’innesto di riflessioni che richiedono, per acquistare senso, uno sguardo retrospettivo. La storia raccontata da Dragon Age II non ruota attorno al classico evento eclatante e salvifico e alla sua lunga preparazione: ruota, piuttosto, attorno alla parte centrale della vita del protagonista, alternando vicende ‘universali’ ad aneddoti personali, e riuscendo a miscelare con giusto equilibrio tanti climax diversi, la cui convivenza è resa credibile dal distendersi nel tempo della narrazione.
4. Lo sviluppo del personaggio
Come abbiamo già detto, Dragon Age II non consente la selezione della razza: il protagonista Hawke è umano, ma può essere uomo o donna ed è naturalmente contemplata la possibilità di personalizzarne l’aspetto. A rendere indirettamente giocabili anche le altre razze sono i potenziali compagni di viaggio, tra cui è un nano (il già citato Varric) e tre elfi (la maga Merrill, il guerriero Fenris e la ladra Tallis); in un apposito excursus parleremo in dettaglio di tutti i compagni d’avventura del nostro eroe.
L’unica altra scelta da effettuare all’inizio del gioco è quella della classe di appartenenza del protagonista: una scelta molto importante, che determina non solo il ruolo che avrà il nostro alter ego nei combattimenti (e quindi i suoi compagni di viaggio idealmente complementari) ma anche tanti altri particolari piccoli e grandi della giocabilità, tra cui gli equipaggiamenti ritrovati e financo i compagni disponibili. Le classi sono le consuete tre già viste in Origins: guerriero, mago e ladro. Il primo è specializzato nei combattimenti in corpo a corpo, il secondo nella magia, il terzo nel combattimento a distanza o con due armi. Ciascuna classe offre possibilità di personalizzazione molto differenti tra loro: per esempio, è possibile plasmare un guerriero esperto nel combattimento con armi a due mani, e quindi più adatto a infliggere danno (nel linguaggio nerd, questo si chiama un guerriero DPS, ossia Damage Per Second), oppure un guerriero esperto nel maneggiare spada e scudo, e quindi più adatto ad assorbire il danno nemico (un guerriero tank).
Le modalità tramite cui avviene lo sviluppo ruotano attorno a due ambiti: le caratteristiche e le abilità. Le prime sono comuni a tutti i personaggi e influenzano ciascuna un comparto differente: la forza determina il danno nel corpo a corpo, la destrezza il danno a distanza e la frequenza dei colpi critici, la forza di volontà la quantità di mana o stamina, la magia il danno inferto dagli incantesimi, l’astuzia il valore di difesa (e la capacità, per i ladri, di scassinare e disattivare trappole), la costituzione la quantità di punti ferita. La crescita di livello avviene tramite il classico sistema dei punti esperienza: ad ogni passaggio, il personaggio ottiene tre punti caratteristica da distribuire a piacimento.
Mentre le caratteristiche influenzano la giocabilità solo indirettamente, le abilità determinano con maggior profondità la natura del personaggio e il suo ruolo nei combattimenti. Esistono tre tipi di abilità: passive, attive e sostenibili. Le prime sono sempre attive e non consumano alcun tipo di energia; le seconde possono essere attivate tramite la pressione di un tasto e in genere si risolvono in una mossa speciale o in una magia i cui effetti si sviluppano nei secondi immediatamente successivi; le terze possono essere attivate tramite la pressione di un tasto e rimangono attive finché non vengono ‘spente’, ma sottraggono al personaggio una certa percentuale della sua stamina o del suo mana.
Le abilità sono organizzate ad albero e non semplicemente in sequenza com’era in Origins; i vari alberi riuniscono le abilità relative al medesimo ambito di azione, e va sottolineato il fatto che non c’è alcun albero condiviso tra varie classi, come accadeva invece nel capitolo precedente. In Origins, per esempio, il combattimento con due armi e il combattimento a distanza erano accessibili sia al guerriero sia al ladro: in Dragon Age II solamente al ladro.
A ciascun passaggio di livello, il personaggio riceve, oltre ai tre punti caratteristica, anche un punto abilità, tramite cui può apprendere una nuova abilità oppure migliorarne una già conosciuta. Al livello 7 e al livello 14, però, il protagonista riceve anche un punto specializzazione, con cui può sbloccare uno tra tre ulteriori alberi di abilità per ciascuna classe, ottenendo così ancora più caratterizzazione. Va detto che la scelta della specializzazione appare complessivamente meno ‘cruciale’ di quel che era in Origins, anche perché quasi tutte le abilità più potenti sono accessibili a tutti gli appartenenti alla stessa classe. I comprimari non possono scegliere alcuna specializzazione, ma ciascuno di loro ha un albero di abilità esclusivo, solitamente affine a una delle specializzazioni accessibili al personaggio principale.
5. Il combattimento
Come abbiamo già detto, gli scontri col nemico rappresentano una delle due colonne portanti di Dragon Age II. Da questo punto di vista, le differenze col predecessore sono purtroppo tante e decisamente poco riuscite: e si tratta di qualcosa di francamente incomprensibile, dato che il sistema di combattimento di Origins rappresentava una mirabile sintesi tra strategia e spettacolarità. Forse spinta in questa direzione anche da qualche utente non particolarmente acuto, Bioware deve aver pensato che il ritmo degli scontri di Origins era lento e soporifero, e ha pensato bene di velocizzare i combattimenti in maniera semplicemente ridicola. I personaggi si producono in mosse, salti e acrobazie che ricordano più le comiche mute degli anni Trenta che non l’epico mondo fantasy evocato dal resto del gioco; i maghi, in particolare, assumono l’aspetto di assurde mitragliatrici di proiettili magici, ma in quella frazione di istante che passa tra un proiettile e il successivo non rinunciano a impagabili (si fa per dire) piroette, come se il talento per la magia dovesse andare di pari passo con quello per il rock acrobatico. Tutto ciò risulta non solo incredibilmente pacchiano e fastidiosamente kitch dal punto di vista estetico (e non è cosa da poco, visto il tono serio e profondo del comparto narrativo), ma arriva anche a influenzare profondamente la giocabilità, rendendo i combattimenti molto difficili da gestire senza il ricorso continuo e snervante alla “pausa attiva”.
Ma ci sono anche altre differenze importanti rispetto alla quasi-perfezione sperimentata in Origins. In Dragon Age II i nemici compaiono dal nulla attorno al party, rendendo vana ogni strategia preventiva e preparatoria: a volte la cosa può anche essere sensata (vedi gli scheletri che emergono dal terreno o le ombre che si materializzano nell’aria), ma il più delle volte è del tutto ridicola e inspiegabile. In più, i combattimenti sono come suddivisi in “fasi”: una volta sconfitta la prima ondata di nemici, ne arriverà una seconda e spesso anche una terza, che ancora una volta si materializzerà dal nulla, con solo precari appigli al livello minimo di realismo (i nuovi nemici sbucano da dietro un angolo, oppure si calano dagli edifici circostanti). L’effetto più eclatante di questo maldestro e incompiuto dinamismo è che il piazzamento degli eroi sul campo di battaglia risulta del tutto indifferente ai fini del superamento degli scontri, con conseguenze ancora più nefaste sulla componente strategica.
Certo, non tutto è disastroso: una volta presa la mano, i combattimenti risultano anche abbastanza gradevoli, anche in forza delle modifiche apportate dalle ultime patch, che hanno diminuito un po’ la velocità degli scontri. Solitamente il confronto col nemico viene deciso soprattutto dal corretto tempismo e dalla corretta combinazione nell’uso delle abilità attive, a cui si accede tramite la classica barra personalizzabile posta nella parte inferiore dello schermo (dove possono trovare spazio anche le immancabili pozioni curative o magiche). Anche in Dragon Age II i personaggi vengono guariti automaticamente e rapidamente al termine di ogni scontro: se però un eroe perde tutti i punti ferita, cade a terra e resta inattivo fino alla fine del combattimento (a meno che un mago non lo faccia ‘risorgere’). Quando vengono riposte le armi, i personaggi svenuti si rialzano in piedi, ma risulteranno “feriti”, cioè avranno una quantità minore di punti ferita; potranno essere guariti tramite gli appositi kit, oppure semplicemente riportando a casa il protagonista.
Da un punto di vista generale, rimane la perplessità dovuta alla semplice considerazione che sarebbe bastato riproporre il sistema di Origins con solo qualche lieve aggiustata per soddisfare tutti o quasi tutti. L’assurda velocità dei combattimenti, infatti, ha l’ulteriore spiacevole effetto collaterale di vanificare la soddisfazione nell’osservare le mosse speciali del nostro alter ego, che si confonderanno irrimediabilmente con mille altri gesti: gli scontri col nemico si sono trasformati, da eleganti e ritmate danze ottimamente ‘leggibili’ dal punto di vista strategico, a confuse accozzaglie di personaggi che si agitano senza costrutto. Per certi versi, è una perfetta metafora dell’aberrazione che vede la velocità sinonimo di divertimento, quando invece da che mondo è mondo il piacere si accompagna sempre e solo alla lentezza.
6. Il dialogo
Dal nostro punto di vista, il piacere maggiore offerto da Dragon Age II è la fruizione dei suoi lunghi e interessanti dialoghi, attraverso cui sia la trama principale sia le missioni secondarie prendono forma e acquistano senso e spessore. Le conversazioni, interamente parlate (incluso il protagonista, a differenza che in Origins), spaziano dal leggero per non dire comico all’intenso e al drammatico, riuscendo a non perdere mai la credibilità che porta alla suspension of disbelief. C’è da dire che lo stile è parecchio diverso da quello, pacato e ‘classico’, visto nel capitolo precedente, e che può piacere o non piacere: sappiamo che molti appassionati trovano la scrittura di Dragon Age II eccessivamente sopra le righe, ma a noi ha dato molte soddisfazioni, soprattutto per quel che riguarda le missioni collegate ai compagni di viaggio, che sono senza dubbio tra le parti più riuscite del gioco.
La decisione di doppiare il protagonista ha portato Bioware a rivedere la struttura delle risposte multiple, che ora non sono più disposte secondo un semplice elenco ma attorno a una ruota, in stile Mass Effect. Le opzioni da scegliere, inoltre, non riportano esattamente la battuta pronunciata dal personaggio bensì un suo veloce riassunto, caratterizzato da un simbolo che compare al centro della ruota. Nella maggior parte dei casi, avremo a disposizione tre differenti atteggiamenti: gentile, spiritoso, scortese. Solitamente si tratta di sfumature che portano alla medesima conclusione, ma la scelta che compiremo più volte plasmerà il carattere del nostro alter ego e quindi determinerà anche alcuni atteggiamenti da parte dei compagni di viaggio e financo l’esito (o la comparsa) di missioni secondarie.
Il sistema non funziona male, ma dà in più occasioni l’impressione di essere eccessivamente simpatetico nei confronti dei giocatori che tendono a ‘saltare’ i dialoghi: basta osservare i simboli per determinare l’atteggiamento del nostro personaggio, e le parti di conversazione atte ad approfondire sono confinate in una sezione particolare, che può essere tranquillamente ignorata senza alcun esito negativo per la missione. Inoltre, il fatto che le risposte siano “riassunte” porta in più di una circostanza a scegliere battute che vanno in una direzione molto diversa rispetto a quella immaginata.
Excursus: i nostri compagni di viaggio Attenzione: spoiler! |
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Bethany è la sorella di Hawke ed è una maga specializzata nel controllo delle energie cinetiche. Se il protagonista è un mago, Bethany muore nelle prime fasi della partita; se è un ladro o un guerriero, sopravviverà e potrà unirsi al party, anche se non in maniera costante. Il suo destino potrà cambiare grandemente a seconda delle scelte fatte dal giocatore: potrà entrare nel Circle o financo diventare un Grey Warden. La voce di Bethany è dell’attrice inglese Rebekah Staton. | |
Carver è il fratello di Hawke ed è un guerriero. Se il protagonista è un guerriero o un ladro, Carver muore nelle prime fasi della partita; se è un mago, sopravviverà e potrà unirsi al party. Come per Bethany, anche il destino di Carver può mutare sostanzialmente in base a come evolve la trama: può morire precocemente, oppure diventare un Templare o un Grey Warden. La voce di Carver è dell’attore inglese Nico Lennon. | |
Varric è un nano ladro, specializzato nel combattimento a distanza con una strana balestra di nome “Bianca” (che evolve assieme al suo proprietario nel corso della partita). Varric è un personaggio essenziale per la vicenda narrata in Dragon Age II: come diciamo nel testo principale, è il narratore della storia, nonché il più fedele compagno di viaggio del protagonista. Pur essendo vicino allo stereotipo del nano buontempone, è dotato anche di un forte senso dell’etica, espresso peraltro nelle forme ciniche e spassose tipiche del disilluso. La voce di Varric è dell’attore statunitense Brian Bloom. | |
Aveline è una valorosa combattente specializzata nell’uso combinato di spada e scudo. Incontra Hawke nelle primissime fasi della partita, durante la fuga da Lothering: il protagonista la incontra assieme al marito Wesley, che però muore poco dopo. A Kirkwall, Aveline entra nella Guardia cittadina, e se aiutata da Hawke può diventarne il capo. Aveline è una donna fiera e legalitaria, ma il suo carattere nasconde lati inaspettati; la sua voce è dell’attrice inglese di origini danesi Joanna Roth. | |
Anders è un mago guaritore, fieramente avverso ai templari e al Circle e grande sostenitore della libertà dei maghi, già disponibile come compagno in Awakening, l’espansione di Origins. Nelle vicende a cavallo tra i due capitoli, Anders ha deciso di farsi ‘possedere’ da Justice, lo spirito benevolo del Fade presente anch’egli in Awakening come personaggio giocante. L’unione tra la sete di giustizia e la volontà di vendetta che Anders prova verso i templari e i membri del Circle, però, ha fatto sì che la benignità di Justice si sia persa, a favore di una rabbia che talvolta mette a repentaglio l’autocontrollo del personaggio. Anders è tra le caratterizzazioni meglio riuscite di Dragon Age II e ha un ruolo chiave nella trama principale del gioco; la sua voce è dell’attore inglese Adam Howden. |
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Merrill è una maga elfa dalish specializzata nelle maledizioni e nelle evocazioni. Il protagonista la incontra mentre è in procinto di lasciare il suo clan, a causa di profonde diversità di vedute con l’anziana keeper Marethari. Merrill sembra ingenua e inoffensiva: in realtà non si preoccupa di parlamentare con i demoni pur di raggiungere i suoi obiettivi. Curiosità: Merrill compare in un piccolo cameo anche nel prologo dell’elfo dalish in Origins; importando un salvataggio che ha visto il completamento di quella sezione, la maga vi si riferirà più volte nel corso del gioco. La voce di Merrill è dell’attrice britannica Eve Myles. | |
Isabela è una ladra specializzata nel combattimento con due armi, già capitano di una nave naufragata e dispersa. Il nostro eroe la incontra nella taverna di Kirkwall, intenta a meditare un piano per avere la meglio sul suo rivale Castillon. Isabela è scaltra e disinibita, e non si preoccupa di usare la sua prorompente sensualità per raggiungere la meta. La sua voce è dell’attrice inglese Victoria Kruger. |
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Fenris è un elfo guerriero specializzato nel combattimento con armi a due mani. Già schiavo di un potente mago dell’impero di Tevinter, Fenris ha il corpo percorso da enigmatiche cicatrici che in realtà sono pezzi di lyrium, la potente sostanza usata dai maghi per i loro incantesimi. Questa particolarità rende questo personaggio assai potente e dotato di abilità uniche, ma si traduce anche in una personalità fragile e introversa. La voce di Fenris è dell’attore inglese Gideon Emery. |
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Sebastian è un ladro specializzato nel combattimento con l’arco. Di origini nobili, Sebastian viene costretto dal padre a entrare nel Chantry; nel frattempo però la sua famiglia viene sterminata dai nemici, rendendolo l’unico erede del suo feudo. Di temperamento pacato ma risoluto, Sebastian vive la sua condizione con notevole disagio, e saprà fare buon uso dei consigli del protagonista. Sebastian compare solo se si installa il DLC The Exiled Prince, già incluso nella Signature Edition di Dragon Age II e acquistabile eventualmente a parte; la sua voce è dell’attore scozzese Alec Newman. |
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Tallis è un’elfa assassina specializzata nel combattimento con pugnali da lancio. Non è disponibile come compagno di viaggio nella campagna base, ma solo nel DLC Mark of the Assassin, di cui è la protagonista. Tallis sembra scaltra e sicura di sé, ma come spesso succede l’apparenza inganna: durante l’avventura scopriremo parecchi aspetti assai singolari del suo passato, e potremmo aiutarla a chiudere (o a riaprire) determinate pagine. Curiosità: Tallis è anche la protagonista della miniserie Dragon Age: Redemption, creata per il web dall’attrice Felicita Day, che ne è anche la protagonista nonché, nel gioco, colei che presta la voce e le fattezze a Tallis. |
7. Questo posto non mi è nuovo (per non parlare di questa armatura)
Di fianco ai combattimenti insensati, il secondo problema maggiore di Dragon Age II è l’estrema ripetitività delle ambientazioni. Come già detto, gran parte dell’avventura si svolge a Kirkwall e nelle località limitrofe: il giocatore si troverà a visitare più e più volte i medesimi luoghi, ma se si trattasse solo di questo non ci sarebbe nulla di grave (anzi, per certi versi un gioco che sfrutta in modo diverso le stesse ambientazioni è migliore di uno che veicola ciascun luogo a un’unica missione). Il problema è che solo alcuni interni (il Chantry, il palazzo del visconte e pochi altri) hanno una mappa dedicata: tutti gli altri interni usano la stessa ambientazione per tutte le località di quel tipo.
Ci spieghiamo meglio. Dragon Age II implementa una sola mappa “da dungeon“: tutti i dungeon usano la stessa mappa. Non stiamo alludendo a ciò che succede in quasi tutti i giochi, ossia che tutti i dungeon usano lo stesso set grafico: usano proprio tutti la stessa mappa. L’unico elemento che differenzia un dungeon da un altro è distribuzione delle entrate e delle uscite, disposte a caso in luoghi spesso privi di senso, nonché il fatto che certe porte sono chiuse e inaccessibili: accedendo alla mappa dell’area, però, risulteranno aperte, perché la mappa che ci verrà presentata è *sempre la stessa per ogni dungeon*.
Crediamo che questa sia la prova migliore di quanto affrettato è stato lo sviluppo di Dragon Age II. Le conseguenze sulla giocabilità di una scelta tanto scellerata sono evidenti: per quanto le missioni siano ben costruite in termini contenutistici e narrativi, risultano del tutto prive di una caratterizzazione altrettanto forte dal punto di vista estetico, dando quindi al giocatore la sensazione di star completando incarichi affini se non identici, come se si fosse di fronte a contenuto procedurale. Lo sforzo compiuto in termini di direzione artistica nella definizione dei personaggi e dei filmati viene letteralmente massacrato dalla genericità delle ambientazioni: i momenti salienti della trama, collocati quasi sempre in un altrove privo di connotazioni precise, assumono tratti ancor più astratti di quelli che pure gli autori hanno voluto imprimervi, perdendo così una parte importante della propria identità. La controprova è che i due contenuti scaricabili che includono nuove avventure (ne parliamo più avanti), nei quali i programmatori sono corsi ai ripari e hanno creato ambientazioni inedite, sono talmente caratterizzati da sembrare quasi un altro gioco. Stupisce che un nome pieno di esperienza come Bioware sia incappato in una gaffe come questa.
E c’è di più: gli sviluppatori hanno deciso di rendere pienamente personalizzabile solamente l’equipaggiamento del protagonista. I suoi compagni di viaggio potranno essere muniti di nuove armi o di nuovi gioielli (anelli e amuleti), ma la loro armatura è fissa e si limita a poter essere “migliorata” in determinati momenti tramite l’acquisizione di appositi upgrade. C’è da dire che mentre la ripetitività delle ambientazioni è un problema oggettivo, questa può essere classificata come una legittima scelta stilistica, volta a rendere più uniforme e coerente l’aspetto dei comprimari. Ma l’ottimizzazione dell’inventario di tutti i membri del party è un elemento caratterizzante e consueto nei GdR fantasy, e la comunità ha comprensibilmente criticato con grande ferocia la decisione di rendere personalizzabile solo l’equipaggiamento del protagonista. Anche perché in questo modo tutte le armature pensate per una classe diversa dalla sua risultano pura e semplice spazzatura: un po’ come tutti gli oggetti non utilizzabili presenti nel mondo di gioco, che possono essere raccolti per poi essere semplicemente rivenduti. È la loro icona stessa a ‘dire’ che si tratta di spazzatura: e per quanto il loro nome possa essere evocativo, il fatto che non abbiano nessuna rappresentazione grafica li rende assai simili a una colossale presa in giro. Non è necessario troppo acume critico per capire che anche l’implementazione dell’inventario ha risentito pesantemente dello scarsissimo tempo messo a disposizione degli autori per lo sviluppo di Dragon Age II.
8. Serio e faceto
Una delle caratteristiche forse più singolari di Dragon Age II è, come abbiamo peraltro già accennato nel corso della nostra analisi, la natura dei contenuti e gli stilemi narrativi attraverso cui i contenuti stessi sono veicolati al giocatore. La comunità su questo argomento è piuttosto divisa, ma da parte nostra ci sentiamo di affermare che i nuovi scrittori cooptati da Bioware e posti sotto l’egida del decano David Gaider hanno svolto il loro lavoro in modo soddisfacente, anche se non del tutto privo di criticità.
L’aspetto forse più interessante della questione è la convivenza, all’interno del comparto narrativo di Dragon Age II, di tematiche estremamente serie per non dire drammatiche (la perdita dei propri familiari, il senso di colpa, l’ineluttabilità della morte, il non-senso della vita) e di tematiche leggere, al limite della comicità anche politicamente scorretta (la totale incapacità di Aveline di corteggiare un uomo, le bugie creative di Varric per rendere più interessanti i suoi racconti, la ridicolaggine di un cripto-omosessuale come Anders nel momento in cui si atteggia a guerriero salvatore del mondo). Il fatto che il gioco consenta di scegliere l’ordine in cui svolgere le missioni e talvolta anche il loro esito, con una duttilità peraltro notevole e come spesso succede quasi misconosciuta dalla parte più critica della comunità, rende l’avventura narrata un originalissimo papier collé di sapori, di sensazioni e di stili, che riesce, nonostante gli inevitabili ‘salti’ linguistici, a mantenere una certa coerenza di fondo. È interessante a questo proposito sottolineare come tale coerenza sia dovuta in gran parte agli elementi extra-narrativi, quali il combattimento e l’esplorazione, cioè agli elementi più legati alla vera e propria giocabilità: quasi a poter dire che è il videogioco stesso, per sua intima natura, a rendere possibile sperimentazioni narrative difficili da implementare nei media più tradizionali.
Come dicevamo, il panorama contenutistico di Dragon Age II comunque non manca di criticità. La più evidente, e solo apparentemente in contraddizione con quanto appena affermato, è forse il fatto che Bioware tende ad abbandonarsi un po’ troppo spesso a cliché che oramai mostrano in tutta evidenza la propria stanchezza. Questo avviene non tanto nei contenuti delle missioni, che anzi come abbiamo visto sono assai originali, quanto nella definizione delle personalità dei personaggi non giocanti, in particolare dei compagni di viaggio. Non pensiamo di esagerare quando affermiamo che, soprattutto per chi già conosce la passata produzione di Bioware, possono bastare pochi minuti in compagnia di un personaggio per incasellarlo nel giusto archetipo sul quale è stato modellato (chi legge l’inglese può approfondire con questo spassoso articoletto pubblicato da Gamesradar.com). Si tratta di un peccato quasi capitale, vista la freschezza di certe invenzioni narrative: un po’ come è sicuramente un peccato capitale il fatto che i contenuti di Dragon Age II siano così spesso svuotati dal ripetersi delle ambientazioni e dall’inconsistenza dei combattimenti.
9. Grafica e sonoro
Dragon Age II usa una versione riveduta e corretta dello stesso motore di gioco alla base di Origins, chiamato Eclipse (ma spesso ribattezzato Lycium nella sua nuova incarnazione). Al momento della sua uscita, il prodotto non brillava per virtuosismo grafico: non solo per l’incapacità tecnica del motore di gestire i più recenti effetti di rendering, ma anche per una generale scialbezza nel tratteggiare le ambientazioni, blande e prive di dettagli, nonché caratterizzate da texture non particolarmente brillanti. Gli sviluppatori sono corsi ai ripari pubblicando un nuovo pacchetto gratuito di texture in alta risoluzione, ma il risultato resta lontano dagli sfarzi a cui ci hanno abituato i giochi più sfavillanti. Non si tratta comunque di un problema troppo consistente, dato che il prodotto mostra con tutta evidenza in altri comparti i suoi punti di forza maggiori.
Va decisamente meglio dal punto di vista del sonoro: pur mancando infatti un tema musicale capace di imprimersi nella memoria, il parlato dei personaggi è a livelli da Oscar, come sempre peraltro nelle ultime produzioni Bioware. Un plauso va anche alle animazioni collegate ai dialoghi, molto più numerose e caratterizzate di quelle presenti in Origins: pur essendo ancora lontani da quell’aura cinematografica presente in Mass Effect (ma si tratta con ogni probabilità di una precisa scelta stilistica), i dialoghi e le scene di intermezzo di Dragon Age II sono realizzati magistralmente, e in precisa sinergia con la nuova direzione artistica riescono a donare al gioco una sua identità forte, che può arrivare a sublimare financo i cliché di cui si parlava poco più in alto.
10. Le espansioni
L’esperienza di gioco con Dragon Age II può essere arricchita da alcune espansioni acquistabili a parte, i cosiddetti DLC (DownLoadable Content). Non ci soffermeremo su quelli che si limitano ad aggiungere nuove armi e armature, peraltro sconsigliati dato che sbilanciano fortemente il gioco, bensì su quelli che aggiungono contenuti di un certo peso, come nuovi personaggi o avventure.
The Black Emporium
Questo DLC aggiunge un negozio molto particolare alla città di Kirkwall: visitandolo si potranno non solo fare scoperte interessanti ma anche trovare o acquistare oggetti molto potenti per il nostro eroe e per i suoi compagni di viaggio. Il negozio consente anche di cambiare completamente l’aspetto del protagonista, esattamente come si fa all’inizio della partita. The Black Emporium è disponibile gratuitamente per tutti, quindi non c’è alcun reale motivo per privarsene.
The Exiled Prince
Questo DLC aggiunge alla campagna il personaggio di Sebastian, di cui parliamo sopra nell’apposito excursus. Non si tratta solo di un potenziale compagno di viaggio per tutta o quasi l’avventura principale, ma anche di una lunga serie di nuove missioni a lui collegate, nonché a una quasi infinita serie di interazioni con gli altri membri del party. Il DLC è incluso nella Signature Edition del gioco, oppure può essere acquistato a parte (e merita senz’altro l’acquisto).
Legacy
Una strana confraternita di combattenti sta cercando in tutti i modi di eliminare ogni membro della famiglia di Hawke. Cosa c’è sotto? Per scoprirlo, il protagonista si dirige verso una antica fortezza dei Grey Warden presso le montagne Vimmark. Lì scoprirà non solo nuovi tesori e nuovi nemici, ma anche un terribile segreto riguardo al suo passato. Legacy è un’avventura completamente indipendente da quella principale, che può essere giocata durante quest’ultima oppure dopo la sua conclusione (gli eventi si adatteranno al momento scelto in modo da rendere la vicenda comunque coerente). Quasi tutta la nuova avventura si svolge dentro un grande dungeon, ma non mancano le parti all’aperto. Si tratta senza dubbio di un DLC interessante e curato, che va consigliato a tutti coloro che hanno apprezzato il gioco base.
Mark of the Assassin
Una scaltra elfa assassina di nome Tallis chiede al nostro eroe di aiutarla a trafugare un prezioso gioiello da una tenuta di un nobile da Orlais (il potente Stato a ovest di Thedas, ispirato alla Francia). Dopo aver preso parte a una divertente “caccia alla viverna”, il protagonista deve cercare di infiltrarsi nella magione senza farsi scoprire: anche qui non mancano interessanti scoperte, nuove creature da combattere e nuovi tesori da conquistare. Mark of the Assassin è forse il DLC più riuscito in assoluto e merita senz’altro l’acquisto, anche solo per la bellezza delle ambientazioni e per l’originalità di alcune trovate.
Di passaggio, sottolineiamo come una delle caratteristiche più eminenti dei due DLC maggiori (Legacy e Mark of the Assassin) sia la grande quantità di nuove ambientazioni da essi offerte: dovrebbe trattarsi di qualcosa di assolutamente normale, ma vista la situazione nel gioco base si tratta invece di una boccata d’aria fresca. Basterà questo a farci osservare la giocabilità di Dragon Age II sotto una luce diversa.
11. Conclusioni
Dragon Age II è un prodotto molto difficile da giudicare. La comunità di appassionati, che ultimamente ha preso particolarmente di mira Bioware (additata, in forza della sua unione con EA, come l’esempio migliore di chi sacrifica il GdR sull’altare del consenso di massa), ha riversato su questo gioco una quantità di bile decisamente eccessiva: come abbiamo cercato di dimostrare in questa lunga analisi, il prodotto in oggetto ha sicuramente diversi problemi ma ha anche tanti comparti riusciti, che meriterebbero almeno un assaggio da parte di ogni appassionato. Certo, va detto che il problema maggiore di Dragon Age II è forse il suo illustre predecessore, che è senza dubbio un’opera molto meglio riuscita: si fosse trattato di un gioco non appartenente ad alcuna serie, o magari di uno spin-off, forse le voci discordi non sarebbero state così pesanti.
Fortunatamente, tutto lascia pensare che Bioware abbia imparato la lezione: non si può infatti negare che anche le critiche più forti abbiano un fondo di verità, e una casa di sviluppo con una storia così gloriosa non può permettersi una seconda volta scivoloni tanto evidenti. Il primo passo della corsa ai ripari è rappresentato dalle espansioni: il secondo, ben più importante, sarà rappresentato, speriamo, dal prossimo Dragon Age, che curiosamente non ha nel titolo un numero, bensì un sottotitolo (Inquisition). Le anteprime rendono ottimisti: niente più ambientazioni riciclate, ritorno della visuale strategica nei combattimenti, ritorno della possibilità di selezionare la razza in fase di creazione dell’eroe. Probabilmente in futuro ricorderemo Dragon Age II come il passo falso della saga: nel frattempo, però, val la pena provare comunque questo gioco, dato che il buono da esso celato non merita di essere buttato via insieme alle sue pur non trascurabili inconsistenze.
Tre pregi di Dragon Age II
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Tre difetti di Dragon Age II
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La giocabilità è meno valida di quella di Origins, ma resta di alto livello |
Il sistema di combattimento rende gli scontri confusi e concitati, oltre che ridicoli
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Contenuti originali e stimolanti
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Ambientazioni estremamente ripetitive
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La nuova direzione artistica è convincente
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Mostra in più punti uno sviluppo affrettato e superficiale
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Che brutto Dragon Age 2!! L’ho appena finito e l’ho trovato veramente insulso dal principio alla fine… Non mi è piaciuta manco la trama principale a mio avviso troppo spezzettata e frammentata… Il terzo atto pare tutta un’altra storia rispetto agli altri due e il finale cambia poco nonostante quello che si è fatto durante il gioco (sta cosa si ripete x tutto il gioco a dir il vero, non importa come ti comporti, le differenze sono trascurabili infondo). Non parliamo poi del combattimento che era pure noioso a mio avviso… Ad un certo punto ho settato tutto a livello facile x uscirne fuori il più velocemente possibile… Salvo solo il comparto tecnico, non perché sia eccezionale, tutt’altro, ma girava benissimo anche sul mio cessissimo 2 in 1 (invece inquisition non ci gira! Mi toccherà comprare un x box one se voglio giocarci, ma a sto punto dopo la recensione di Mosè lo farei solo x sapere come si evolve la trama….)
Come scrivo nella recensione, la narrazione di DA2 è particolare e per certi versi sperimentale. È in effetti frammentata e discontinua, nonché caratterizzata da temi molto diversi giustapposti tra loro senza soluzione di continuità. Molto dipende dai gusti personali, ma io ho trovato tutto ciò un elemento nuovo e ‘fresco’ rispetto alla prevedibilità tipica delle narrazioni fantasy. Sono più o meno d’accordo sul resto che scrivi. Quanto a Inquisition, sappi che DA2 al suo confronto è un capolavoro 🙂
Oddio allora non ci perdo manco tempo allora e soldi, anche perché so che è parecchio lungo….Un pregio di DA2 è che comunque non dura troppo… Mi ha ricordato Mass effect 2 (che mi fece cagare allo stesso modo…)
Questo gioco ha molti difetti, ma la sua colpa peggiore è di aver spinto gli sviluppatori a creare Inquisition, credendo in tal modo di correggere i problemi e far tacere le critiche. invece DA : I non solo ha portato con sè gli aspetti peggiori di questo titolo, ma è riuscito nella difficile impresa di peggiorare il resto.
Per quanto riguarda questo secondo capitolo, “blando” è il primo aggettivo che mi viene in mente, e “ripetitivo” è il secondo, anche se non tutto è da buttare via. La sceneggiatura non è malaccio (almeno fino al 3° atto), e alcuni personaggi sono interessanti (Varric per primo) e ben doppiati. Ovviamente tutto va al diavolo allorchè si deve combattere, e la cosa peggiore è la consapevolezza che sarebbe bastato mantenere l’ottimo sistema del capitolo precedente.
Rileggendo la recensione, il finale lascia davvero l’amaro in bocca. Speravamo tutti che DA2 sarebbe stato ricordato come il passo falso della saga, e invece si è dimostrato per la Bioware l’inizio della caduta verso l’abisso.
Sarebbe bastato mantenere l’ottimo sistema del capitolo precedente: questo è il punto centrale, secondo me. Nel passaggio da BG a BGII c’è stata qualche limatura, ma il sistema di gioco era identico (senza contare che lo stesso identico sistema venne usato anche in altri titoli). Nessuno gridò allo scandalo per questo, anzi ne furono tutti entusiasti. Non mi risulta, d’altro canto, che qualcuno si sia lamentato del motore di DaO. Perché questi cambiamenti, allora? Mah.
Vabbè ragazzi mi hanno messo in offerta in digitale, sulla One S, Dragon Age inquisition completo di tutti i dlc a 10 euro… L’ho preso anche se lo considerate una ciofeca assurda… Nei prossimi giorni vi racconterò le mie impressioni (ma dubito che saranno diverse dalle vostre ;))
Io non credo di aver giocato a tutti i DLC, mi pare ne siano usciti altri dopo la mia recensione. E devo dire che pur essendo un completista non riesco ad auto-convincermi a reinstallare il tutto.
E te credo c’è molto da giocare e poco tempo per farlo, ovvio che uno si butti su titoli più interessanti piuttosto che ricominciare una palla da oltre 100 ore solo x uno o due dlc….