Nonostante i suoi innumerevoli limiti, la nuova incarnazione della saga di Larian è un titolo per tanti versi sorprendente: vastissimo, intricato e dotato di un sistema di combattimento forse tra i migliori mai visti.
[articolo originariamente pubblicato il 30 ottobre 2014]
Nota del 2020
Nel 2015 Larian ha pubblicato una enhanced edition di Original Sin con notevoli migliorie: per esempio i dialoghi sono ora interamente parlati, e determinati frangenti della narrazione sono stati completamente riscritti. Noi non abbiamo sperimentato personalmente questa enhanced edition, probabilmente lo faremo in futuro: ma pensiamo che la nostra analisi originaria contenga riflessioni su problematiche comunque ancora presenti nel gioco, e che quindi rimanga ancora sostanzialmente valida.
1. Liberi dalle catene
È idea sempre più diffusa, anche tra gli esperti del settore, che la strana scienza nota come marketing sia composta in buona parte da puri e semplici pregiudizi. Ciò che il pubblico “vuole” è anche che il risultato di ciò che al pubblico è stato dato in precedenza. Lo stato pietoso dell’attuale programmazione televisiva, ad esempio, è al tempo stesso causa e risultato dell’imbarbarimento che ha vissuto e sta vivendo la collettività in questi ultimi anni, e negarlo significa negare il potere di formazione che i mezzi di comunicazione hanno, al di là del modo attraverso cui veicolano i propri messaggi.
Trasferiamoci nell’ambito dell’intrattenimento videoludico. È idea diffusa tra i produttori che il pubblico di oggi non gradisca i giochi privi di una forte componente action, e soprattutto che non apprezzi i giochi complessi, che mettano a dura prova la pazienza e la concentrazione del fruitore. È per questi motivi che gli sviluppatori dello studio belga Larian dovettero, negli anni scorsi, scendere continuamente a compromessi con i propri finanziatori. Il loro sogno di realizzare un gioco con combattimento a turni, per esempio, fu sempre irrimediabilmente fermato sul nascere. E il loro primo titolo, Divine Divinity del 2002, fu costretto, in sede di promozione, a fare l’occhiolino a Diablo, facendo credere a tanti sprovveduti recensori di essere una sorta di clone dell’action per antonomasia firmato da Blizzard. Perfino il nome del gioco, sommamente ridicolo, è frutto della ‘genialità’ del reparto marketing: il nome doveva essere Divinity: The Sword of Lies, ma dopo il successo dello strategico Sudden Strike i produttori di CDV decisero che parte di quel successo era dovuto al fatto che il nome aveva un’allitterazione, e imposero il nuovo titolo Divine Divinity. Secondo noi, e non solo noi, quel titolo sciocco e i continui e impropri riferimenti a Diablo sono costati a Divine Divinity un numero notevole di copie invendute.
In questi ultimi anni, fortunatamente, per Larian le cose sono cambiate. Non siamo più di fronte a un gruppo di esordienti legato mani e piedi alle decisioni del publisher, bensì di fronte a sviluppatori ormai maturi e consapevoli dei propri mezzi e delle proprie capacità. Senza contare che siamo nell’epoca del finanziamento dal basso: il terzo capitolo della saga Divinity, che ha per sottotitolo Original Sin e che ora ci apprestiamo ad analizzare, è stato possibile anche grazie a una riuscitissima campagna sul sito Kickstarter, che ha messo a disposizione degli autori più di un milione di dollari (sommatosi agli altri tre che costituivano il budget di partenza). Il risultato, come stiamo per vedere, è un prodotto che spicca per il suo coraggio e per la radicalità di tante scelte di design, decisamente benvenuta in un settore spesso dominato dal conformismo.
2. Istantanea
Divinity: Original Sin è un gioco di ruolo con visuale isometrica dall’alto, esplorazione in tempo reale e combattimento a turni. Il giocatore controlla un party di quattro personaggi, due dei quali creati da zero all’inizio della partita e gli altri due reclutati nel corso delle prime fasi della medesima. I personaggi possono essere controllati all’unisono oppure individualmente: ciascuno ha un suo complesso set di caratteristiche e abilità che determinano la riuscita delle azioni sia nel combattimento sia nell’esplorazione e nel dialogo. Il gioco si svolge in quattro ambientazioni maggiori, organizzate sulla base di vaste mappe caricate nella loro interezza ed esplorabili senza soluzione di continuità, collegate a numerose altre ambientazioni minori (interni e sotterranei).
Dal punto di vista narrativo, il gioco è collocato prima degli eventi di Divine Divinity, quindi tecnicamente si tratta di un prequel. I due protagonisti sono Source Hunter, ossia inquisitori incaricati di scovare la magia nera nota come Source e sradicarla. All’inizio dell’avventura, il loro compito sembra limitato e circoscritto: nella cittadina portuale di Cyseal, un importante membro della comunità locale è stato assassinato e forse la Source è coinvolta nel misfatto. Le indagini, però, portano presto a un notevole allargamento di prospettiva: le macchinazioni dietro le mille inquietudini che scuotono il mondo di Rivellon nascondono nientemeno che l’imminente cancellazione della stessa realtà materiale.
Pur essendo un mondo fantasy piuttosto tradizionale, con elfi, orchi e demoni, Rivellon mostra una componente metafisica decisamente marcata: anche in Original Sin, come negli altri giochi della saga, il giocatore dovrà districarsi tra dimensioni parallele e piani elementali, cercando di dipanare i fili di una vicenda intricatissima e, come vedremo, non sempre narrata in maniera esemplare. La catarsi in cui si concretizza la purificazione conclusiva trasforma la Source da magia nera a magia bianca, da segno del male a potente magia curativa: così, infatti, la ritroveremo nelle prime battute di Divine Divinity.
3. I personaggi giocanti
Come già anticipato, Original Sin è un gioco party-based, ossia incentrato sulla gestione di un gruppo di quattro protagonisti: due creati dal giocatore e due reclutati tra i personaggi non giocanti che si incontrano nella prima città, Cyseal. Ciascun eroe è rappresentato, a livello di interfaccia, da un ritratto collocato sulla sinistra dello schermo; normalmente i ritratti sono ‘agganciati’ da una sorta di catena, a indicare che i quattro personaggi si muovono assieme; ma è sempre possibile spostare un ritratto e ‘sganciarlo’ dalla catena, arrivando così a controllare quell’eroe in modo del tutto indipendente (è una modalità molto utile per esempio quando si tenta un approccio furtivo).
Anche se in fase di creazione dell’eroe è possibile scegliere tra diverse classi preconfezionate, Original Sin è basato su un sistema di gestione del personaggio definibile come classless. Le classi, in altri termini, sono solo etichette atte a definire determinate combinazioni di caratteristiche, abilità e talenti, senza inibire in alcun modo lo sviluppo del personaggio. Quest’ultimo è governato, secondo stilemi classici, con il sistema dei punti esperienza e della crescita di livello: ma non tutte le caratteristiche e le abilità crescono a ogni passaggio di livello, e i pochi punti assegnati vanno tendenzialmente concentrati su pochi ambiti, così da creare personaggi specializzati che si completino a vicenda.
Ciascun eroe è anzitutto definito dalle sue sei caratteristiche di base, che sono Forza, Destrezza, Intelligenza, Costituzione, Velocità, Percezione. La Forza determina la capacità di combattere in corpo a corpo, il peso trasportabile e la capacità di lanciare oggetti pesanti a lunga distanza; la Destrezza influenza il combattimento a distanza e la capacità di schivare gli attacchi; l’Intelligenza aumenta la potenza degli incantesimi; la Costituzione determina i punti ferita e anche il limite massimo di punti azione durante i combattimenti; la Velocità influenza l’ordine di attacco durante i combattimenti e il numero di punti azione; la Percezione, infine, aumenta la capacità di colpire i bersagli lontani e soprattutto influenza la capacità di scovare trappole e passaggi segreti. Le caratteristiche di base migliorano nel corso di tutta la partita, ma a un ritmo molto lento: ciascun eroe ottiene infatti un punto caratteristica ogni due livelli. L’idea migliore, dunque, è concentrarsi su un paio di caratteristiche per ogni eroe, così da arrivare in prossimità del livello massimo, che è 15.
Di fianco alle caratteristiche, hanno un ruolo primario i talenti. Si tratta di tratti spesso assai distintivi, capaci di cambiare anche drasticamente lo stile di gioco del personaggio: si va, per esempio, dalla completa immunità verso un qualche tipo di attacco all’ottenimento immediato di nuovi punti caratteristica, dalla capacità di recuperare le frecce lanciate a quella di parlare con gli animali. La lista dei talenti si arricchisce anch’essa a un ritmo assai lento: ciascun eroe ottiene un nuovo punto ogni quattro livelli.
Infine, i personaggi sono definiti dalle loro abilità. Esse determinano in modo più diretto ed evidente le azioni intraprese nel corso del gioco: anzitutto i combattimenti, ma anche i dialoghi o il crafting, ossia la creazione di oggetti personalizzati. Le abilità sono raggruppate in sei insiemi. Le abilità relative alle armi includono l’arco, la balestra, le armi a una mano, le armi a due mani e le armi in Tenebrium (un metallo speciale a cui si accede nelle fasi avanzate della partita). Le abilità relative alla difesa includono la specializzazione nell’uso delle armature e dello scudo, nonché la capacità di resistere ai malus connessi a determinati stati fisici e mentali. L’insieme successivo è relativo ai poteri e agli incantesimi attivabili nel corso dei combattimenti, e include tutte le specializzazioni connesse alla magia nonché il combattimento in corpo a corpo, quello a distanza e le abilità del ladro. Il quarto insieme include le abilità relative alla personalità: per esempio la leadership e il carisma, utili durante i dialoghi, ma anche il baratto e la fortuna, che migliora la qualità dei tesori generati casualmente. Il quinto insieme è dedicato al crafting, e quindi include le abilità dedicate alla creazione di armi e armature, all’alchimia e all’identificazione degli oggetti magici. Infine, il sesto insieme è dedicato alle abilità del ladro, quindi la furtività, lo scassinamento e il borseggio.
Escludendo questo sesto insieme, decisamente sottosfruttato dal gioco e tendenzialmente inutile, tutte le abilità hanno un peso e una importanza, e ovviamente sono impossibili da padroneggiare contemporaneamente per un singolo personaggio. Ancora una volta, quindi, vale la regola della specializzazione, così da creare un party di personaggi complementari. Le abilità possono essere migliorate a ogni passaggio di livello e il loro livello massimo è 5: tuttavia, il gioco non spiega mai apertamente il fatto che per aggiungere più punti oltre al primo occorrono più punti abilità e non uno soltanto. Avrò bisogno di due punti abilità per portare una abilità al livello 2, di tre punti per portarla al livello 3 e così via. Dato che questo è un aspetto cruciale dello sviluppo del personaggio, soprattutto perché una volta raggiunto il livello massimo in una determinata abilità di combattimento o in una scuola di magia si è finalmente liberi di imparare tutti gli incantesimi o i poteri connessi, è molto grave il fatto che il gioco non la spieghi adeguatamente: immaginiamo che molti giocatori abbiano compromesso irrimediabilmente lo sviluppo dei propri personaggi semplicemente distribuendo i punti abilità in tanti insiemi diversi, senza sapere che li avrebbero dovuti conservare per specializzarsi.
Anche senza considerare questo problema, si sarà immediatamente notato, da questa forse eccessivamente schematica descrizione, che lo sviluppo del personaggio in Original Sin è assai complesso e sfaccettato. Non c’è nulla di male, anzi è una complessità che tutto sommato funziona bene: il problema è che non è affatto spiegata bene. Sembra quasi che Larian abbia voluto far sì che il giocatore imparasse tutto dai suoi errori, cominciando e ricominciando la partita varie volte fino alla completa comprensione dei meccanismi. Ma non è così che dovrebbe funzionare. Anni fa, i manuali di gioco erano libri spessi e ponderosi, ed era consuetudine per tanti di noi immergersi nella loro lettura (oserei dire nel loro studio) prima di cominciare a giocare. Adesso non è più così e i manuali sono essenziali quando non inesistenti: ne consegue che i programmatori che vogliano creare sistemi di gioco complessi debbano anche impegnarsi nel renderli chiari attraverso il gioco stesso, tramite tutorial dettagliati o esaustive spiegazioni in-game. Da questo punto di vista, Original Sin è purtroppo gravemente deficitario.
4. Il piccolo chimico
Come abbiamo già spiegato, un intero comparto di abilità, forse il più importante in assoluto, determina quali poteri e magie possono essere utilizzati in combattimento dai nostri eroi. Investire un punto abilità nelle magie d’acqua, per esempio, permetterà di utilizzare un numero minimo di queste magie; all’aumentare dei punti investiti, aumenterà il numero di magie memorizzabili, e al raggiungimento del livello massimo di quell’abilità (5) il nostro eroe sarà libero di memorizzare tutti gli incantesimi disponibili per quella scuola. Lo stesso vale per i poteri, ossia per le mosse speciali che non sono direttamente classificabili come magie: attacchi particolari con le armi in corpo a corpo e a distanza, o anche tecniche di combattimento collegate alla via del sotterfugio.
Distribuire i punti abilità, però, non comporta automaticamente lo sblocco di incantesimi o di poteri, ma solo la capacità di memorizzarli. Per poterli davvero apprendere, rendendoli quindi disponibili durante i combattimenti, occorre acquistare (o trovare) gli appositi libri, ciascuno collegato a un potere o a una magia: una volta utilizzati, essi spariranno dall’inventario e il nostro eroe avrà appreso il relativo contenuto. Il meccanismo non è dissimile da quello messo in atto nei giochi basati sul motore Infinity, come Baldur’s Gate: con la differenza che in Original Sin non serve riposare per ‘ricaricare’ gli incantesimi o i poteri, che possono essere liberamente riutilizzati dopo il loro tempo di ricarica (un turno per molti di essi, più turni per i più potenti). Un’altra caratteristica importante da sottolineare è che alcuni incantesimi o poteri possono essere utilizzati solo da un certo livello in avanti: prima è impossibile anche apprenderli, quindi i nostri eroi dovranno spesso portarsi dietro i libri fino al momento in cui potranno finalmente adoperarli.
L’aspetto più interessante di tutto questo comparto, però, è il modo in cui i poteri e soprattutto le magie interagiscono tra loro, permettendo un utilizzo davvero creativo di tutte le opzioni in campo, incluse quelle apparentemente meno funzionali. Pensiamo di non esagerare affermando che in Original Sin si vede davvero, per la prima volta, una concretizzazione reale e tangibile della combo come autentica chiave di volta del combattimento: il punto centrale di tante campagne di marketing risoltesi alla prova dei fatti in bolle di sapone. Ecco alcuni esempi. Le superfici ricoperte di olio rallentano i movimenti, e se colpite col fuoco si incendiano; la vicinanza col fuoco provoca nelle creature prima lo status warm, che garantisce resistenza al freddo, e quindi lo stato burning, che danneggia i punti ferita. Il fuoco si può spegnere con l’acqua, che però se viene a sua volta colpita dall’elettricità provoca lo stunning, ossia l’immobilizzazione temporanea. Se viene invece colpita da una magia del freddo, l’acqua diventa una superficie ghiacciata che fa scivolare le creature. Il veleno danneggia i nemici nel corso del combattimento, ma se colpito dal fuoco esplode violentemente, coinvolgendo tutte le creature circostanti. E questi sono solo alcuni esempi delle decine e decine di combinazioni possibili.
Non si pensi che tutto questo resti appannaggio di chi ha investito punti abilità nelle magie: le ambientazioni sono colme di elementi interagibili, utilizzabili con profitto anche dai guerrieri o dagli arcieri. Un forte combattente può scagliare sul nemico un barile pieno di veleno; un valente arciere, dal canto suo, può mirare con la sua freccia infuocata verso una superficie unta d’olio per incendiarla, e così via. Qualcuno si è spinto ad affermare che Original Sin è, più che un gioco, un ambiente in cui simulare reazioni chimiche e fisiche e i loro effetti sulle superfici e sulle creature circostanti: senza spingerci a tanto, ci sentiamo senza dubbio di affermare che il sistema di interazione tra elementi è tra i comparti più riusciti del prodotto, e anche, ne siamo certi, uno dei motivi per cui questo verrà ricordato negli anni a venire.
5. Il combattimento
Un altro punto forte, anzi fortissimo, di Original Sin è il suo eccezionale sistema di combattimento a turni. Sappiamo che molti giocatori, soprattutto delle nuove generazioni, collegano immediatamente il combattimento a turni con epoche ormai irrimediabilmente sorpassate, e in effetti anche da parte nostra il sospetto che in questo caso si potesse trattare di una semplice “operazione nostalgia” c’è stato durante gli annunci in fase di sviluppo: dopo aver toccato con mano, però, possiamo dire di essere senza dubbio di fronte a uno dei migliori combat system mai realizzati, in grado di competere seriamente con i migliori esempi scelti nell’ambito dei giochi con visuale isometrica, da Baldur’s Gate a Dragon Age: Origins.
Quando inizia uno scontro tra il nostro party e uno o più nemici, il gioco passa dal tempo reale ai turni: le creature coinvolte si dispongono sul campo di battaglia più o meno mantenendo la loro posizione originale, anche se gli eroi tendono a ‘sistemarsi’ in base alla formazione scelta. La prima mossa spetta a chi ha il migliore punteggio di iniziativa, una statistica derivata principalmente dal valore della Velocità. Ciascuna creatura può utilizzare, nel suo turno, un dato numero di punti azione, anche questi determinati da varie caratteristiche. L’attacco standard con l’arma utilizzata consuma in genere tre o quattro punti, a seconda del livello dell’arma in rapporto col livello di chi la sta maneggiando: ciascun turno consente, normalmente, più attacchi standard, a meno che il personaggio non abbia un numero particolarmente basso di punti azione.
L’utilizzo di poteri o di magie tende a consumare un numero di punti azione decisamente superiore, soprattutto nel caso di abilità particolarmente potenti. Se il nostro personaggio deve anche riposizionarsi, probabilmente non avrà abbastanza punti per utilizzare il suo potere migliore, dato che anche il movimento consuma preziosi punti azione. Questo però non è necessariamente un problema grave, dato che i punti azione non utilizzati in un turno vengono ‘trasferiti’ al turno successivo; questa caratteristica del sistema di combattimento, davvero originale, conferisce agli scontri una componente strategica profonda e sfaccettata, dato che richiede di valutare continuamente il vantaggio di un attacco più debole qui e ora contro un attacco più forte ma spostato più in là nel tempo. L’andamento ponderato dei combattimenti, caratteristica tipica di tutti i sistemi a turni, è amplificata anche da quello che abbiamo spiegato nel paragrafo precedente, ossia dagli effetti clamorosi delle combinazioni, talvolta impreviste, tra le abilità utilizzate dal party e quelle utilizzate dai nemici. Il campo di battaglia che improvvisamente si trasforma in una superficie ghiacciata (o infuocata, o elettrificata) richiede un ripensamento totale delle strategie di partenza, e le particolarissime fattispecie che un sistema così flessibile riesce a evocare permettono di tirar fuori utilità anche dalle abilità apparentemente più assurde.
Vista l’estrema apertura di questo comparto, capace davvero di dar vita a situazioni del tutto imprevedibili, il bilanciamento complessivo appare mirabile: il giocatore è libero di mettersi nei guai fin dalle prime ore, ma le missioni tendono a guidarlo verso zone progressivamente più complesse, nelle quali il nemico apparentemente imbattibile risulta tale solo per chi non è disposto a cambiare il proprio approccio consueto. Certo, qualche appunto riguardo al peso reciproco delle abilità è senz’altro possibile: gli attacchi a distanza, per esempio, sono decisamente più potenti di quelli in corpo a corpo, se non altro perché possono essere scagliati immediatamente e non solo dopo lunghi momenti di spostamento, durante i quali il nemico può bersagliarci impunemente. Inoltre, anche se come abbiamo detto lo sfruttamento dell’ambiente e degli elementi è aperto a tutti, non è facile mettere completamente da parte la sensazione che i maghi abbiano un ruolo più importante degli altri personaggi (tanto che alcune guide online suggeriscono di creare un party di quattro maghi, ciascuno specializzato in una scuola differente).
Pur tenendo conto di tutto questo, il sistema di combattimento di Original Sin è davvero notevole, e pensiamo che provarlo con mano possa ‘spiegarlo’ molto meglio delle nostre parole. È un sistema che unisce alla perfezione tre istanze solitamente viste come contrapposte: il caso regolamentato (quel che potremmo anche definire il “tiro di dado nascosto”), il caso autentico (il fatto che la nostra freccia colpisca per errore un barile di esplosivo) e la scelta strategica. Quest’ultima deve sempre necessariamente fare i conti con il caso: ma quante volte giocando abbiamo avuto l’impressione che la difficoltà di un certo scontro fosse artificiosa, perché basata magari sul fatto che il nemico ‘bara’ o che il caso agisce sempre e solo contro di noi, magari solo perché il livello di difficoltà selezionato è alto? In Original Sin, non succederà mai nulla di tutto questo: ogni rovinosa sconfitta è il risultato evidente di una strategia sbagliata, di una mossa avventata, o magari anche di sfortuna, ma mai di una sfortuna artatamente ‘programmata’, bensì genuinamente legata alla flessibilità del contesto.
6. Esplorazione e struttura del mondo
Come abbiamo già accennato, Original Sin è strutturato sulla base di quattro grandi ambientazioni, ciascuna concretizzata sotto forma di una estesa mappa esplorabile in libertà. Solo alcune sezioni delle ambientazioni, tuttavia, sono costruite come un vero e proprio open world: la maggior parte di esse sono, piuttosto, complessi e intricati ‘corridoi’ che conducono verso determinati punti di interesse. Le diramazioni e le location opzionali si sprecano, e riescono a ricompensare adeguatamente il giocatore attento a non lasciare intentata alcuna possibilità. Gli interni sono solitamente ‘inclusi’ nelle ambientazioni principali e rappresentati tramite spaccati isometrici: solo i sotterranei e gli interni più complessi sono dotati di mappe separate (e quindi necessitanti qualche secondo di caricamento).
La maggior parte del mondo di gioco è accessibile fin dall’inizio: le varie mappe sono collegate da punti di passaggio non particolarmente difficili da raggiungere, ma le missioni principali tendono a ‘spingere’ il giocatore verso zone progressivamente più ostiche. C’è da dire che non sempre la trama principale emerge con nettezza sulle missioni secondarie: in più di una occasione il nostro party ha dovuto tornare sui suoi passi e lasciare in sospeso qualche incarico, destinato chiaramente, anche se non esplicitamente, a personaggi di livello superiore. Le creature che popolano il mondo di gioco, infatti, non subiscono alcun tipo di livellamento automatico: le ambientazioni di Original Sin sono ‘statiche’, ossia popolate da creature che hanno un livello predefinito e che non riappaiono mai una volta eliminate. È curioso, e senza dubbio biasimevole, il fatto che le varie zone siano statiche anche dal punto di vista climatico: nella maggior parte di esse splende sempre il sole, ma in alcune piove sempre e in altre spira costantemente un vento gelido. Original Sin non implementa nemmeno lo scorrere del tempo: le avventure dei nostri alter ego avvengono, da questo punto di vista, in un tempo ‘astratto’, dove i momenti di riposo e le notti esistono ma semplicemente non vengono rappresentate nel gioco. Ancora più inspiegabile, e assai più grave dal punto di vista delle conseguenze in termini di giocabilità, è il fatto che i tesori siano, al contrario di tutto il resto del mondo di gioco, dominati dalla casualità: anche gli oggetti più potenti, capaci di fare la differenza in fase di combattimento, sono infatti generati casualmente, e solo alcuni manufatti necessari per la prosecuzione della trama sono collocati “a mano”. Una scelta, questa, che per certi versi risulta assai contraddittoria in un gioco come Original Sin.
I nostri avventurieri incontreranno, nei loro viaggi, non solo tante creature ostili ma anche tanti Personaggi Non Giocanti con cui interagire in vario modo. I PnG sono governati da una intelligenza artificiale molto semplice: non hanno delle vere e proprie routine (che d’altro canto sarebbe assurdo implementare in un mondo nel quale il tempo non scorre) ma spesso si spostano tra diverse posizioni, magari per intraprendere vari tipi di attività. Ciascun PnG ha un campo visivo che viene evidenziato se il personaggio giocante controllato in quel momento inizia a muoversi furtivamente: in questo modo è possibile calibrare gli spostamenti nel caso in cui si voglia tentare un qualche furto. Il fatto che gli eroi possano essere controllati separatamente dà vita, in quest’ambito, a qualche situazione paradossale: è possibile, per esempio, cominciare un dialogo con un primo personaggio e poi passare, mentre il dialogo è ancora in corso, al controllo di un secondo personaggio. L’interlocutore del primo sarà talmente concentrato dalla conversazione da non rendersi conto di quel che combina il secondo!
Il mondo di gioco è letteralmente infarcito di oggetti e postazioni con cui è possibile interagire. I ragazzi di Larian sono tornati, da questo punto di vista, ai fasti di Divine Divinity, dopo l’approccio più semplificato di Ego Draconis: praticamente ogni oggetto rappresentato su schermo, a eccezione di terreno, rocce, alberi e pareti degli edifici, può essere manipolato in qualche modo. Oltre a tutto ciò che è possibile raccogliere, inclusi oggetti che non hanno alcuna utilità immediata ma che possono sempre essere lanciati o spostati, ci imbatteremo in postazioni di lavoro (forge, incudini, fornelli), sedie e letti (è possibile sedercisi o sdraiarcisi), contenitori tra i più disparati (barili, casse, forzieri, cumuli di terreno, tronchi d’albero, tane di conigli), depositi di minerale. Gli oggetti raccolti possono non solo essere combinati tra loro, come vedremo in seguito, ma anche con gli arredi delle ambientazioni: combiniamo un vasetto vuoto con un alveare e avremo un barattolo di miele; combiniamo un secchio vuoto con un pozzo e avremo un secchio d’acqua, e così via. Se alcune di queste interazioni risultato essenziali per la risoluzione di missioni, la maggior parte è fine a se stessa: eppure il mondo di gioco ne risulta positivamente arricchito, anche se resta sempre l’impressione che questa estrema ricchezza simulativa sia più adatta a titoli più rigorosamente world-driven, e che cozzi irrimediabilmente con altre caratteristiche di Original Sin, per esempio l’insistita componente astratta della narrazione.
7. Dialogo
Se si clicca su un Personaggio non Giocante, l’eroe selezionato comincerà un dialogo. Anche da questo punto di vista Larian è tornata alle origini (come da sottotitolo, del resto): le conversazioni non sono parlate, come in Ego Draconis, ma solamente scritte, come in Divine Divinity. Tutto ciò ha consentito, in questo comparto, una cura degna di nota, anche solo dal punto di vista quantitativo: i dialoghi di Original Sin sono lunghi e contorti, e non mancano casi in cui il nostro alter ego si trova a dover scegliere tra nove o dieci possibili risposte. C’è da dire che raramente questo si traduce in scelte capaci di influenzare in profondità la trama del gioco: il più delle volte, si tratta solo di approfondire determinate tematiche, e ciascun giocatore potrà decidere in autonomia quanto del suo tempo dedicare a questi approfondimenti.
Tutti i personaggi sono dotati di conversazioni lunghe e dettagliate, ma solo i PnG dotati di nome proprio hanno dialoghi unici: molte ambientazioni sono ricolme di personaggi generici, etichettati semplicemente come “guardie” o “clienti” o titoli simili, e in questo caso le conversazioni tendono a ripetersi. Talvolta, i PnG intrecciano semplici dialoghi anche tra loro: i nostri eroi possono ascoltarle, dato che curiosamente queste conversazioni sono le uniche a essere interamente parlate. Una curiosità che val la pena sottolineare è che anche gli animali possono parlare: è però necessario, per ‘capirli’, avere il talento Pet Pal. Scegliere questo talento con almeno uno dei membri del party è quasi obbligatorio, dato che gli animali offrono conversazioni spesso molto divertenti e in vari casi anche importanti per la risoluzione delle missioni.
La qualità della scrittura in Original Sin è altalenante, e certamente non paragonabile a quel che si sperimenta nei titoli realizzati dai “mostri sacri” di quest’ambito, come per esempio Obsidian o Bioware. I testi mantengono quell’intonazione in bilico tra il serio e il faceto che è una caratteristica tipica dei prodotti Larian: a volte le intenzioni si traducono in buoni risultati, altre volte un po’ meno. Dobbiamo ammettere che la scrittura di Original Sin non ci ha catturato come quella di Divine Divinity, e che in più di una occasione abbiamo avuto la sensazione che l’estrema verbosità dei dialoghi fosse un po’ sprecata. Ma forse tutto ciò è dovuto più alle modalità generali con cui è svolta la narrazione: ne parleremo meglio più avanti.
In qualche conversazione, il nostro eroe dovrà tentare di convincere l’interlocutore, di solito con lo scopo di evitare un combattimento. La prova di retorica è rappresentata sotto forma di un imbarazzante minigioco, forse il punto più debole di tutto il prodotto: il nostro alter ego dovrà scegliere tra sasso, carta e forbice, il suo interlocutore farà lo stesso, e il vincitore otterrà una quantità di punti che dipende dalla sua abilità nell’oratoria; al raggiungimento di un determinato punteggio, si avrà il vincitore. Oltre a essere completamente avulso dal contesto e oltre a spezzare in maniera involontariamente comica tutta la tensione retorica del dialogo, questo minigioco è anche, all’apparenza, del tutto aleatorio: a ogni tentativo si otterranno risultati diametralmente differenti, col risultato che molti giocatori non faranno altro che ricaricare fino a ottenere la conclusione sperata. Per restare in un ambito simile, ci è sembrato molto più riuscito il triste giochino della “ruota” di Oblivion, ed è tutto dire.
8. I compagni di viaggio
Come abbiamo già detto in precedenza, Original Sin ci impone di creare, a inizio partita, due differenti protagonisti, che poi potranno, nel corso del gioco, arruolare fino ad altri due compagni di viaggio. Qui ci tocca trattare un altro punto decisamente debole del gioco: questi ulteriori companion sono, in teoria, dotati di personalità e carattere, ma all’atto pratico risultano assai scialbi e dotati di dialoghi (alcuni attivati dopo la risoluzione di determinate missioni) decisamente poco ispirati.
Il problema, peraltro, è anche squisitamente quantitativo: al momento della sua uscita, Original Sin implementava solamente due potenziali compagni di viaggio, e quindi non lasciava, concretamente, alcuna possibilità di scelta. Questi due personaggi sono un guerriero (Madora) e un mago (Jahan): questo significa che per avere un party bilanciato il giocatore avrebbe dovuto creare all’inizio della partita un arciere e magari un altro mago o un ladro. Ma un buon GdR party-based deve essere flessibile e offrire una quantità di opzioni che consentano a ciascun giocatore di creare un gruppo di avventurieri sufficientemente equilibrato: dopo aver scoperto la dura verità noi ci siamo rassegnati a ricominciare il gioco, non senza indirizzare qualche improperio virtuale ai responsabili delle dieci ore sprecate utilizzando personaggi ‘sbagliati’.
A essere onesti, un modo meno drastico per risolvere il problema lo avremmo avuto: da un certo momento in avanti, il giocatore può accedere a un luogo chiamato Hall of Heroes, parte della sua “fortezza celeste” (approfondiamo meglio questo aspetto più avanti). Lì è possibile ‘generare’ qualunque tipo di potenziale compagno di viaggio: ma si tratta, per l’appunto, di personaggi generati casualmente, privi di qualunque personalità, financo del debolissimo carattere dei companion ‘veri’. Il solo fatto che una possibilità come questa venga offerta all’interno di un gioco apparentemente così ‘importante’ come Original Sin ci ha fatto quasi provare imbarazzo per i suoi autori. Certo, una corposa patch ha, in seguito, aggiunto due nuovi potenziali compagni di viaggio: un arciere (Baidotr) e un ladro (Wolgraff). Ma non possiamo dimenticare le condizioni in cui il gioco si trovava quando lo ha cominciato il novanta per cento del suo pubblico, ossia all’uscita o poco dopo la medesima.
Se vuoi realizzare un gioco party-based, è chiaro che devi spendere una buona quantità delle tue risorse nella creazione di personaggi arruolabili *fortemente caratterizzati*, e in *numero sufficiente* a soddisfare qualunque esigenza d’equilibrio e complementarietà. Un gioco party-based con un party debole o incompleto è qualcosa di paradossale: come una casa senza muri e pavimento. Siamo sinceramente stupiti da questo gravissimo problema presente in Original Sin, soprattutto perché è evidente che agli sviluppatori non sarebbero mancati né il tempo né le risorse per evitarlo: sarebbe bastato limitare l’estensione del mondo o la longevità (che è, come vedremo, semplicemente esagerata) o magari, ancora meglio, togliere del tutto il comparto multigiocatore, che non abbiamo testato e di cui non parleremo, a nostro avviso del tutto inutile in un gioco di ruolo vecchio stile che voglia davvero rinverdire il ricordo dei grandi classici del passato.
9. Artigianato
Il fatto che un intero comparto di abilità sia dedicato al crafting fa capire quanto quest’ambito sia importante in Original Sin. In realtà più che “importante” diremmo meglio “approfondito”: non si tratta di attività in qualche modo richieste dal gioco, se non in rarissimi casi, quanto di uno sfizio destinato al giocatore che ami sperimentare e trovare un utilizzo per qualunque oggetto rinvenuto durante le esplorazioni.
L’esempio migliore dell’estrema duttilità del sistema implementato dal gioco è forse quello relativo al cibo. Le ambientazioni traboccano di alimenti: materie prime come grano, verdure e frutta, ma anche cibo ‘rifinito’ ed elaborato. Quasi tutti gli alimenti possono essere sistemati nella barra rapida e consumati dai personaggi, sia nei momenti di tranquillità sia durante il combattimento: in genere il cibo ripristina qualche punto ferita perso, naturalmente non con la stessa efficienza delle pozioni curative. L’aspetto interessante è che qualunque ‘piatto’ incontrato nel gioco può essere replicato adoperando i relativi ingredienti e qualche utensile. Il giocatore più smaliziato, peraltro, potrà divertirsi a scoprire anche ricette nuove, ossia non presenti in origine nel gioco. Tanto per capirci, in Original Sin è perfettamente possibile impastare e cuocere una pizza. Per ottenere l’impasto dobbiamo combinare della farina (ottenibile a sua volta combinando il grano con un mortaio o un mulino) e dell’acqua. La salsa si ottiene schiacciando un pomodoro con un martello. Una volta ottenuto l’impasto e la salsa, è sufficiente combinarli e poi far interagire la pizza cruda con un forno.
In modo molto simile avvengono la creazione di pozioni e di pergamene per lanciare incantesimi, mentre il potenziamento o la creazione di armi e armature avviene prevalentemente attraverso l’interazione con postazioni di lavoro fisse quali incudini o forge. Tutto ciò è certamente molto interessante, ma dobbiamo ammettere di aver trovato in più di una occasione piuttosto incongrua tutta questa attenzione verso la minuta simulazione dell’utilizzo di oggetti ‘quotidiani’. È un’altra prova, a nostro avviso, della pericolosa incapacità da parte degli autori di Original Sin di individuare con certezza il tipo di gioco che stanno realizzando.
Una mancanza che abbiamo sempre trovato stucchevole in tante recensioni e analisi realizzate da appassionati è la mancanza di valutare ciascun prodotto nel suo insieme, ossia in quanto prodotto dotato di una identità. A nostro avviso, un prodotto è tanto più riuscito quanto più riesce ad affermare la sua identità senza tentennamenti. Ecco perché abbiamo sempre giudicato negativamente la tendenza a ‘scorporare’ ciascun ambito da ciascun prodotto per poi decidere chi ha raggiunto il risultato migliore in quell’ambito: talvolta non è tanto importante aver realizzato un sistema di combattimento perfetto o una storia eccezionale o una ambientazione credibile, quanto essere riusciti a connettere tutti questi ambiti in un prodotto caratterizzato e bilanciato, che sia più della semplice somma delle sue parti.
Per tornare a Original Sin, non possiamo fare a meno di pensare, mentre ci divertiamo a impastare una pizza per il nostro eroe, che le energie spese per implementare un sistema ‘culinario’ così dettagliato sarebbero state investite meglio creando altri compagni di viaggio, rifinendo la narrazione, dando vita a un minigioco per l’oratoria più credibile. Se voglio dedicarmi alla cucina, magari gioco a The Sims e non a un GdR fantasy, per giunta story-driven come Original Sin, e dunque ancora più refrattario alla simulazione estrema.
10. La gestione dell’interfaccia
Il sistema di crafting fa emergere un altro problema non indifferente di Original Sin: la macchinosità della sua interfaccia. Anche qui i ragazzi di Larian sembra abbiano voluto omaggiare il passato, ma con modalità spesso inutilmente arzigogolate, che fanno sembrare anche l’interfaccia del primo Baldur’s Gate un modello di accessibilità e di praticità.
Oltre alla visuale principale di gioco, ci troveremo spesso a consultare il diario, la mappa e soprattutto l’inventario. Mentre i primi due sono chiari e funzionali, anche se si sente la mancanza di una sezione che memorizzi le ricette per il crafting in modo chiaro e diretto (il sistema si limita a trascrivere i libri dove le ricette sono contenute per parafrasi), l’inventario è il trionfo della confusione. Ciascun personaggio ha il suo inventario separato, e questo non è affatto un male: se non che sono separate anche le monete d’oro, che sono rappresentate fisicamente come oggetti e trattati come tali, con tutte le difficoltà del caso. Vista la quantità di oggetti interagibili, gli inventari diventano presto colmi di decine e decine di manufatti, alcuni magari raccolti in previsione di una loro utilità futura. Esiste la possibilità di dividerli in varie categorie per facilitare la ricerca, ma il sistema non funziona affatto perché l’appartenenza a una categoria piuttosto che a un altra sembra essere determinata da criteri del tutto aleatori. Per esempio, alcuni libri e documenti molto importanti per la risoluzione di varie missioni vengono categorizzati come ingredienti, perché magari è possibile utilizzarli per creare pergamene magiche; altri, invece, finiscono nella categoria “altro”, assieme a oggetti dall’utilità dubbia se non inesistente. Più in generale, non esiste una categoria destinata agli oggetti collegati alle missioni, spesso difficilissimi da trovare: è sufficiente che un certo manufatto possa essere usato anche come arma per vederlo messo tra le armi, ed è sufficiente che sia riciclabile per vederlo finire tra gli ingredienti. C’è anche la categoria degli oggetti magici: ma cosa succede se un oggetto è sia magico sia riciclabile? Difficile dirlo: bisogna cercarlo in tutto l’inventario.
Come se non bastasse, una volta rimosso un oggetto (magari perché venduto) l’inventario non viene riordinato automaticamente: l’oggetto rimosso lascerà una casella libera, dove andrà a infilarsi un nuovo oggetto raccolto, che sarà per forza di cose circondato da oggetti ‘vecchi’ e quindi magari non più tenuti sotto controllo dal giocatore. C’è, certo, la possibilità di riordinare gli oggetti in base al peso o al momento in cui sono stati raccolti, ma utilizzare più volte il riordino vuol dire auto-condannarsi a controllare ogni oggetto decine di volte.
Altre incertezze emergono nella gestione del commercio. In Original Sin, ogni PnG è potenzialmente un mercante, come nei titoli precedenti della serie: lo scambio di oggetti avviene non solamente tramite l’utilizzo di monete d’oro, ma anche attraverso il baratto. Purtroppo il sistema è compromesso dal fatto che è piuttosto semplice rubare dentro le case e le locande, e che queste traboccano di oggetti costosi come quadri o suppellettili d’oro, che una volta vendute riempiranno d’oro il nostro party in breve tempo. Al di là di questo problema di bilanciamento, però, ci sono ancora una volta problemi di interfaccia. Mentre è possibile cominciare il commercio con un personaggio e passare poi all’inventario di un altro membro del party, il confronto tra gli oggetti venduti dal mercante e quelli in nostro possesso si baserà sempre e solo sul personaggio selezionato: per verificare se il nostro guerriero può cambiare la sua spada con una più potente, dunque, dovremo per forza far cominciare il dialogo al guerriero stesso, che magari non ha alcuna abilità mercantile. Lo stesso dicasi per tutti gli altri membri del party: il commercio, in Original Sin, si risolve in una tediosa sequenza di sessioni separate, e tutto a causa dell’incapacità degli sviluppatori di implementare modalità di gestione dell’interfaccia un po’ meno preistoriche.
Al momento della sua uscita, poi, il gioco proponeva un’altra caratteristica fatta apposta per far impazzire il fruitore: passare dalla consultazione di un inventario alla consultazione di un altro non cambiava anche il personaggio selezionato. Quindi per ‘agire’ su un inventario non bastava semplicemente aprirlo, bisognava anche selezionare il relativo personaggio cliccando sul suo ritratto. Una follia, a cui ha posto rimedio una delle ultime patch.
11. Modalità di narrazione
Il modo in cui si dipana la trama di Original Sin merita un piccolo approfondimento perché è a suo modo singolare e può suscitare qualche perplessità. Potremmo dire che la vicenda narrata avanza per cerchi concentrici: si pone un obiettivo, limitato a un’area circoscritta del mondo di gioco, che una volta raggiunto provoca l’insorgere di un nuovo problema, la risoluzione del quale richiede l’esplorazione di un’area più vasta attorno a quella iniziale, e così via. Non è certo una modalità narrativa inedita, ma qui è utilizzata in modo radicale, perfino estremo: mentre il nostro party è occupato nel raggiungere il primo obiettivo, non solo non ha il minimo sentore del problema successivo, ma nemmeno delle aree dove quel problema condurrà.
Questa narrazione presenta vantaggi e svantaggi. Il vantaggio principale è che la trama riserva parecchie sorprese, e che il suo respiro non è minimamente percepibile nelle prime ore della partita. Lo svantaggio è che l’avventura risulta estremamente frammentata e anche poco godibile nelle sue implicazioni a lungo termine. Per spiegare meglio il senso di questa affermazione, farò un piccolo excursus storico. Nelle tragedie greche, ma in generale in gran parte della produzione teatrale e letteraria del mondo classico, non esiste il concetto di suspense: le vicende narrate sono in genere note a tutti in quanto patrimonio della tradizione. Quando non lo sono, è il narratore stesso, di solito sotto forma di coro, a riassumere tutta la storia, dall’inizio alla fine, prima della messa in scena. Perché ciò che conta non è quel che succede, ma come questo viene raccontato e interpretato. Nel mondo d’oggi, viceversa, tendiamo a concentrarci moltissimo sul plot, spesso a discapito delle sue ‘reali’ concretizzazioni in forma di romanzo o di film o di videogioco. Ma quando si hanno occhi solo per la trama, con conseguente volontà di creare continuamente diversivi e sorprese, bisogna fare molta attenzione: perché la complessità è importante, ma l’unitarietà della storia e la sua coerenza interna lo sono ancora di più.
Per restare al nostro ambito di interesse, prendiamo come riferimento una storia epica e classica narrata in modo secondo noi impeccabile, per esempio quella di Dragon Age: Origins. Chi ha giocato al capolavoro Bioware non può certo dire che la vicenda raccontata sia prevedibile o scevra di colpi di scena notevolissimi. Eppure, fin dalle primissime battute lo scopo dei nostri personaggi è chiaro: sconfiggere l’archdemon responsabile della darkspawn. Le diramazioni e i diversivi si sprecano, ma sono tutti conchiusi e sublimati dal semplicissimo plot di base, che in un certo senso riconduce a ragione ogni complessità, permettendo di connettere intuitivamente le varie parti e di ricordare per anni situazioni e personaggi. Da questo punto di vista Original Sin è più simile al primo capolavoro Bioware, Baldur’s Gate: solo che là la narrazione a cerchi concentrici era sorretta sia da un’ottima scrittura sia da una ambientazione estremamente coerente. Nell’ultimo lavoro di Larian, invece, la scrittura è zoppicante e il mondo di gioco frammentato tanto quanto la narrazione. Ci piacerebbe fare una sorta di sondaggio e chiedere a chi ha appena terminato il gioco di riassumere brevemente la trama e di spiegare in poche parole perché una ambientazione è sempre ghiacciata e un’altra desertica, perché alcune zone sono infuocate e altre no, il tutto a pochi passi di distanza. Le spiegazioni naturalmente ci sono, ma si giustappongono alla rinfusa, come se mancasse un abile direttore in grado di dirigere un’orchestra colma di elementi che suonano ciascuno per conto suo e che pensano di star dando vita a un concerto perfetto solo perché si esibiscono nella stessa sala.
Forse un esempio può spiegare la situazione più di mille parole. In Original Sin, da un certo momento in avanti, il giocatore ottiene una sua “casa” dove tornare per riprendere le forze e depositare oggetti: ma questa “casa” non è nel mondo, bensì nel cosiddetto End of Times, una sorta di baluardo estremo di difesa contro le forze del Vuoto che stanno per divorare il piano materiale. Concretamente, la “casa” ricorda una base volante nello spazio, dove si radunano alcuni enigmatici personaggi che dovrebbero fungere da anello di congiunzione tra le varie missioni svolte nel mondo ‘reale’; periodicamente, nella “fortezza celeste”, si aprono alcune nuove ‘stanze’, che permettono una qualche nuova interazione con i personaggi o anche un qualche servizio “a domicilio”. Ebbene, a noi sembra che l’End of Times, lungi dall’essere un efficace connettore tra le parti della frammentatissima ambientazione, contribuisca ad aggravare il problema, introducendo quello che ha tutta l’aria di essere un piano metafisico, per giunta popolato da personaggi che parlano per enigmi. Ma come sosteneva il grande pittore Giorgio De Chirico, che su questo assunto ha costruito tutta la sua carriera, l’enigma ha un senso solo se mi spinge all’indagine e quindi alla conoscenza del mondo: se mi spinge invece alla rassegnazione e all’apatia, è solo lo stratagemma di uno scrittore scarso, che cerca di nascondere la mediocrità delle proprie idee con la nebbia sterile del mistero.
12. Tecnicismi
Il motore grafico che muove Original Sin è nuovo e realizzato in proprio da Larian. L’effetto finale è notevole: ombre, animazioni ed effetti di post-processing sono degni di apprezzamento, anche se nulla risulta così eclatante da far gridare al miracolo. Purtroppo l’ottimizzazione non è eccelsa: con tutti gli effetti attivati, il gioco è piuttosto pesante in relazione a ciò che offre. Fortunatamente, è sufficiente diminuire il dettaglio delle ombre per ottenere un netto miglioramento delle prestazioni.
Dal punto di vista stilistico, il gioco comunica un feeling molto classico e privo di elementi di caratterizzazione molto forti. Questo non è necessariamente un male, e d’altro canto tutta la serie a cui appartiene cerca i suoi elementi di identità non tanto nell’aspetto grafico quanto piuttosto nella scrittura (con risultati, come abbiamo già visto, piuttosto altalenanti). Forse l’aspetto più riuscito dal punto di vista estetico è costituito dagli effetti degli incantesimi, capaci di mutare anche profondamente l’atmosfera del campo di battaglia. Di fronte a certi virtuosismi, risulta ancora più incomprensibile la scelta di mantenere statiche le ambientazioni dal punto di vista climatico.
Per quel che riguarda il comparto sonoro, Original Sin offre un menu piuttosto ricco: le musiche sono anch’esse perfettamente inserite nella tradizione dell’epica fantasy, accompagnando adeguatamente sia le fasi di esplorazione sia le fasi di combattimento. C’è da dire che alcune tracce sono state riutilizzate da Divine Divinity, ma non si tratta di un problema: anzi, per certi versi questa scelta rinforza il legame tra le ambientazioni dei vari episodi della serie. Il doppiaggio è estremamente discreto, dato che come abbiamo detto pochissime conversazioni sono parlate: la qualità è discreta, ma vista l’esiguità del comparto non si tratta certo di una mancanza grave.
Il problema forse maggiore dal punto di vista estetico, invece, è il mediocre filmato iniziale. Il primo impatto che un gioco ha sul suo pubblico è l’introduzione filmata: naturalmente nessun ottimo incipit può salvare un prodotto scarso, ma d’altro canto risulta sempre piuttosto incomprensibile quando a un gioco curato viene premesso un filmato che sembra realizzato amatorialmente. In Original Sin succede proprio così: c’è da sperare che gli utenti non si facciano influenzare troppo e che diano al gioco la chance per decollare davvero.
13. Conclusione
Original Sin è, per certi versi, un gioco eccezionale. Il suo sistema di combattimento e in generale la sua giocabilità sono a livelli altissimi: esplorare le varie ambientazioni e sconfiggere le creature ostili che le popolano è una vera gioia per la mente e in parte anche per gli occhi. A spiccare è anche la quantità spropositata di contenuto implementata dagli autori: il giocatore completista avrà bisogno di almeno un centinaio di ore per completare una singola partita.
Spesso ci si lamenta del fatto che i giochi contemporanei sono brevi e inconsistenti: con Original Sin il problema è esattamente il contrario. L’ultima fatica di Larian ci travolge con mappe sterminate, dialoghi verbosissimi, decine e decine di combattimenti strategici, e una trama che sembra sempre cercare nuovi pretesti per evitare la conclusione. Se tutto fosse perfetto, non potremmo chiedere di meglio: anche se rimaniamo della convinzione che la durata di un gioco non sia un valore assoluto e che anzi debba essere posta al servizio della giocabilità (e non il contrario).
Come abbiamo avuto modo di spiegare, Original Sin non è certo perfetto: e la sua durata infinita non fa che mettere progressivamente più in evidenza le sue mancanze. Mancanze che sono, in sostanza, le stesse di cui parlammo a suo tempo a proposito di Divinity II: i ragazzi di Larian sono estremamente talentuosi e pieni di genuino entusiasmo, ma sembrano ancora incapaci di incanalare le loro energie verso obiettivi chiari e definiti. I loro giochi hanno, tutti, un carattere squisitamente sperimentale: tanto che ciascuno di essi potrebbe essere visto come il numero zero di una differente tipologia di GdR, che necessiterebbe di essere perfezionata per poter davvero competere con i capolavori assoluti.
Il tempo del perfezionamento, però, viene sempre spostato da Larian un metro più in là. Refrattari allo scintillio dei giochi iperprodotti, questi ragazzi incarnano alla perfezione una certa genia di appassionati rigorosi, dal piglio sostanzialmente ‘artigianale’, e quindi lontana anni luce dalla perfezione formale che ormai caratterizza i giochi ad alto budget. Le vendite per il momento danno ragione a Larian: Original Sin è stato ed è un successo travolgente, probabilmente inaspettato per i suoi stessi autori. Ma è proprio il sempre maggiore consenso del pubblico che ci fa chiedere fino a quando questo gruppo di autori potrà continuare nella realizzazione di infiniti prototipi: forse è il momento di trovare il proprio genere particolare e di concentrarsi per portarlo al suo massimo livello possibile. Il talento c’è, le risorse anche: speriamo che in futuro ci sia anche la volontà.
Nel frattempo, ogni appassionato che si rispetti dovrebbe provare Original Sin. Non serve arrivare alla fine, anche perché se cercate di compiere l’impresa vi toccherà non giocare ad altro per mesi e mesi. Eppure il prodotto è notevole e il talento di chi l’ha realizzato assolutamente evidente: e se vi piacciono i giochi complessi e ‘anarchici’, probabilmente arriverete alla sospirata conclusione senza sforzi eccessivi.
Tre pregi di Divinity: Original Sin
|
Tre difetti di Divinity: Original Sin
|
Sistema di combattimento a turni eccezionale
|
Trama,ambientazioni e giocabilità frammentate e irrisolte
|
Sviluppo del personaggio approfondito e interessante
|
Compagni di viaggio scarsi e privi di personalità
|
Pieno di genuina inventiva
|
Longevità esagerata
|
Ho provato a giocarci qualche ora, dopo averlo acquistato a un prezzo ridicolo. Gioco enigmatico e fascinoso, tuttavia non si ha la benchè minima idea di cosa fare, di come attribuire le abilità o di come funzionano gli oggetti. In questo senso non pare sia stato fatto molto per aiutare il giocatore. La noia subentra molto prima che tu possa appassionarti. Sarebbe bellissimo giocarci se non vi fosse altro in circolazione, diversamente rimane un prodotto riservato agli ‘addetti ai lavori’, a meno di non essere pagati per giocare. Potrebbe piacere molto anche a chi ama i ‘gestionali’.