Analizziamo nel dettaglio il secondo capitolo ‘ufficiale’ di una delle saghe più interessanti del GdR digitale: un prodotto multiforme, godibile e dotato di rara ‘genuinità’.
[articolo originariamente pubblicato il 27 maggio 2013]
Nota del 2020
Dopo il suo enorme successo degli ultimi anni, Larian ha in un certo senso ‘disconosciuto’ questo gioco, indicandolo come il suo prodotto peggiore. Noi non saremmo così drastici, anche se Ego Draconis non manca di problemi anche gravi, come diciamo nella recensione. Il suo possesso e utilizzo in prospettiva storica non è fondamentale come quello di Divine Divinity.
1. La saga divina
Qualche tempo fa scrivemmo in home page un piccolo articolo riguardante Kickstarter, un interessante sito che si propone di organizzare il finanziamento ‘dal basso’ di progetti di ogni tipo, dalla musica all’intrattenimento digitale. Qualche mese fa hanno deciso di appoggiarsi a questa piattaforma, e quindi a chiedere un aiuto concreto a tutti gli appassionati, anche i ragazzi belgi di Larian Studios, una delle più interessanti accolite di programmatori di tutto il panorama del gioco di ruolo digitale.
Il loro debutto in questo sottogenere risale al 2002, quando venne pubblicato il primo capitolo della loro saga più prestigiosa, la saga di Divinity: il gioco, intitolato Divine Divinity, passò purtroppo in sordina, mal interpretato dalla maggior parte dei recensori come semplice clone di Diablo. Si trattava, in realtà, di un prodotto molto complesso e originale, che univa a un semplice combattimento action un elaborato comparto esplorativo e un sistema di missioni capace di far invidia ai titoli a tripla A; senza contare il sottile ed elegante umorismo e la verve citazionista che ne arricchiva i contenuti. Dopo uno spin-off non particolarmente ispirato (Beyond Divinity), fu la volta, nel 2009, del secondo capitolo, Divinity II: Ego Draconis, di cui ora ci accingiamo a parlare. L’anno successivo il prodotto venne arricchito da una espansione, intitolata Flames of Vengeance, di cui ci occuperemo in una recensione separata; gioco base ed espansione sono stati poi riuniti nel pacchetto intitolato Dragon Knight Saga, recentemente pubblicato sulle più importanti piattaforme di download digitale in una versione migliorata e corretta dotata di sottotitolo Developer’s Cut. Il ricorso a Kickstarter è stato deciso per il nuovo capitolo attualmente in sviluppo, che sarà in realtà un prequel, dato che narrerà le vicende che precedono Divine Divinity; si intitolerà Divinity: Original Sin e si avvarrà di atmosfere volutamente retrò, ben esemplificate dal sistema di combattimento a turni. C’è da dire, a onor del vero, che Original Sin è in sviluppo già da molti mesi, da molto prima della sua comparsa su Kickstarter, e che la sua pubblicazione sarebbe comunque avvenuta, magari più tardi, anche in caso di fallimento della campagna di raccolta fondi dal basso. Attualmente, la sua pubblicazione è prevista per la fine di quest’anno. Nell’attesa di mettere le mani sul nuovo capitolo della saga, dunque, ci apprestiamo a colmare le lacune, cominciando appunto da Ego Draconis, un gioco che, lo anticipiamo, ha avuto esattamente lo stesso destino del predecessore: il destino di chi è sottovalutato e sostanzialmente incompreso. Cerchiamo di capire qualcosa di più.
2. Premesse narrative
La saga di Divinity è ambientata nel classico mondo fantasy medievaleggiante chiamato Rivellon. Divine Divinity vede il protagonista scorrazzare per i territori che circondano la città di Verdistis, segnati dall’insorgere recente di vari problemi, primo tra tutti la recrudescenza del conflitto tra gli umani e gli orchi. Si viene a scoprire che dietro c’è un’organizzazione chiamata Black Ring e mossa dall’obiettivo di riportare su Rivellon il demone del Caos: per fermarla è necessario rimettere assieme il Council of Seven, consesso di maghi con la capacità di trasformare uno dei cosiddetti Chosen One nel Divine, ossia nell’unica creatura che può sconfiggere il Caos. All’inizio della partita i Chosen One sono tre, ma gli altri due vengono uccisi dal Black Ring: l’unica speranza resta dunque il protagonista, che alla fine sconfigge il demone. Le ultime sequenze, però, ambientate all’interno del tempio maledetto dove il Black Ring ha effettuato l’evocazione, mostrano l’eroe che trova un neonato e lo porta con sé: è, questo, il ‘ponte’ tra primo e secondo capitolo della saga.
Il nemico principale in Ego Draconis, infatti, è Damian, che altri non è se non il bimbo salvato dal Divine. Quest’ultimo, nel frattempo, è diventato una sorta di divinità per Rivellon: il suo potere, però, sembra in qualche modo ‘bloccato’, ed è qui che interviene il nostro nuovo eroe. All’inizio della partita, lo troveremo intento nel superare una sorta di esame per diventare Cacciatore di Draghi: questi ultimi sembravano, in Divine Divinity, alleati del maligno, dunque tutto sembra rientrare negli schemi della classica lotta del bene contro il male. Quasi subito dopo il tutorial, però, gli schieramenti subiscono un drastico ribaltamento. Il nostro eroe viene spedito a caccia di un drago intravisto nella Broken Valley: ma nel momento stesso in cui si trova di fronte alla bestia, o meglio alla sua forma umana (tutti i draghi, chiamati nel gioco Dragon Knight, hanno anche una forma umana), il protagonista vede passare su di sé la natura draconica del nemico sconfitto. E viene anche a scoprire, tramite l’aiuto del mago Zandalor, che funge da sorta di narratore anche nel primo capitolo della saga, che i draghi non sono necessariamente malvagi e che sono anzi l’unica speranza di sconfiggere il male ‘vero’, ossia Damian. Il percorso del protagonista, a questo punto, diventa chiaro: deve affinare le sue nuove abilità draconiche e usarle per fermare Damian. Naturalmente, è più facile dirlo che farlo.
3. Istantanea
Divinity II è un gioco di ruolo story-driven con ampie parti a esplorazione libera e due differenti modalità esplorative: la modalità ‘umana’ e la modalità ‘draconica’. La maggior parte del gioco si svolge controllando l’eroe in forma umana, attraverso una visuale in terza persona da dietro le spalle, con livello di zoom non regolabile ma diverso a seconda del posizionamento della telecamera. Dopo aver completato la prima parte dell’avventura, si sbloccherà la possibilità di trasformare il protagonista in drago: la trasformazione può avvenire solo negli esterni ed è inibita in determinate zone, protette da barriere “anti-drago”. Pur svolgendosi nelle medesime ambientazioni, le sequenze giocate come umano e quelle giocate come drago riguardano ambiti diversi: i nemici al suolo possono essere combattuti solo in forma umana, quelli volanti solo in forma draconica (anche se esistono strutture ancorate a terra ma attive solamente contro i draghi, come le torri armate di balestra).
I combattimenti sono ‘action’ e in tempo reale, pur basandosi principalmente sulle caratteristiche dell’eroe. I dialoghi seguono lo schema classico della risposta multipla, ma sono arricchiti notevolmente dall’implementazione della “lettura del pensiero”. Un altro comparto importante e ben curato è quello relativo all’equipaggiamento, che può essere potenziato e migliorato tramite l’interazione con gli appositi artigiani: a questo ambito può essere affiliata anche la gestione della cosiddetta “creatura”, un mostriciattolo prodotto dai negromanti che può essere utilissimo alleato del protagonista. Ora analizzeremo nel dettaglio tutte queste varie componenti.
4. La gestione del personaggio
La creazione iniziale del nostro alter ego è ridotta ai minimi termini: dovremo scegliere solamente il suo sesso e il suo aspetto, tutto il resto viene personalizzato nel corso del gioco. Durante il tutorial, ci verrà chiesto di scegliere una classe tra i noti archetipi guerriero, mago e arciere. Ma si tratta di una scelta che si limita a condizionare le abilità con cui iniziare: nel corso della partita è possibile plasmare l’eroe secondo ogni ispirazione estemporanea, anche perché da un certo momento in avanti si apre la possibilità di redistribuire tutti i punti abilità pagando una piccola somma di denaro.
L’eroe è definito anzitutto dalle sue caratteristiche di base, che sono Vitality (determina l’ammontare dei punti ferita), Spirit (determina l’ammontare dell’energia magica, il mana), Strength (determina il danno in corpo a corpo), Dexterity (determina il danno a distanza) e Intelligence (determina il danno magico), che a loro volta influenzano varie caratteristiche secondarie. Il passaggio di livello è gestito col classico sistema dei punti esperienza, assegnati in egual misura dalla risoluzione delle missioni e dall’uccisione di nemici: a ciascun passaggio si ottengono quattro punti da distribuire a piacimento tra le caratteristiche.
L’aspetto però più interessante della crescita del personaggio riguarda la gestione delle abilità: a ciascun passaggio di livello, infatti, otterremo anche un punto abilità da distribuire tra decine di capacità sia attive sia passive, capaci di fare la vera differenza nel corso della partita. Le abilità sono suddivise in cinque gruppi; molte di esse sono legate a un determinato livello minimo, e possono tutte essere selezionate più volte così da migliorare progressivamente (nelle fasi avanzate della partita è anche possibile aumentare ulteriormente il livello massimo delle abilità preferite). I cinque gruppi sono: Priest (evocazioni e maledizioni), Mage (abilità tipiche del mago, come le magie elementali), Warrior (abilità tipiche del guerriero, principalmente legate al combattimento in corpo a corpo), Ranger (abilità tipiche dell’arciere, principalmente legate al combattimento a distanza) e Dragon Slayer (abilità passive utili a tutti, quali lo scassinamento, l’ampliamento dell’inventario, l’abilità con le armi eccetera). Va sottolineato che tra quest’ultimo gruppo di abilità vi sono scelte che possono sembrare quasi obbligate, rendendo di fatto meno duttile di quel che sembra l’operazione di personalizzazione dell’eroe. L’esempio più eclatante è l’abilità chiamata Wisdom, che aumenta percentualmente l’esperienza ottenuta: il gioco è perfettamente completabile anche senza dedicarcisi, ma la tentazione di mettere tutti lì i nostri sudati punti abilità per far salire di livello più velocemente il nostro eroe sarà molto forte.
Quando trasformeremo il nostro eroe in drago, la tabella delle abilità muterà completamente, mostrando quelle collegate alla natura draconica: sono in numero molto minore rispetto a quelle dedicate alla forma umana, ma consentono comunque una qualche personalizzazione. Va sottolineato il fatto che l’ottenimento dei punti abilità draconici è del tutto slegato dal normale ottenimento dell’esperienza ed è invece connesso al ritrovamento, durante le esplorazioni, di appositi libri che, una volta ‘usati’, ci mettono a disposizione un punto abilità (questi libri esistono anche per le abilità umane, ma in numero molto minore).
A riguardare in qualche modo la gestione del personaggio è anche la cosiddetta Battle Tower, una enorme torre che, una volta ‘conquistata’ nel corso dell’avventura, diventa per il nostro eroe una vera e propria ‘base’ da cui organizzare tutte le sue attività. Nella Battle Tower troveremo anzitutto riunite tutte le tipologie di artigiani messe a disposizione dal gioco (ne parleremo meglio più avanti): e il procedimento tramite cui ‘sceglieremo’ chi far lavorare per noi è tra i comparti meglio riusciti della campagna, a livello puramente narrativo. In secondo luogo, nella torre avremo a disposizione uno scrigno dove depositare tutti gli oggetti da conservare. In terzo luogo, la torre metterà al nostro servizio uno staff di raccoglitori che potremo mandare in giro per il mondo alla ricerca di erbe o materiali con cui creare pozioni e potenziamenti. Le loro spedizioni avvengono in modo puramente astratto (scompaiono dalla torre per ricomparirvi qualche tempo dopo), ma periodicamente dovremo occuparci del loro equipaggiamento e delle loro ferite, altrimenti finiranno per morire durante le loro imprese. La torre è accessibile in ogni momento tramite una pietra di teletrasporto, che è anche in grado di riportarci subito nel punto in cui ci trovavamo prima di attivarla.
5. Struttura della campagna ed esplorazione
Una caratteristica che va sottolineata di Divinity II è la grande quantità di idee sottese alla sua realizzazione, idee alle quali corrispondono altrettanti comparti della giocabilità, gradualmente introdotti da una trama che si pone al completo servizio della medesima. Da questo punto di vista è davvero ammirevole l’intento degli autori di dare a ciascun elemento la sua precisa identità anche in termini narrativi, nonché di offrire al giocatore il giusto spazio per sperimentare ogni opzione prima di passare oltre: il bilanciamento tra i contenuti è forse una delle peculiarità dirimenti di questo prodotto, e viene meno solamente nelle fasi finali, dove anche Divinity 2 indulge nel cliché del combattimento reiterato contro l’esercito dei cattivi.
Il tutorial si svolge nel piccolo villaggio di Farglow: un’area chiusa e limitata, dove il giocatore può sperimentare sia le forme del combattimento sia il dialogo. Il primo blocco della campagna è ambientato nella Broken Valley: si tratta di un’area molto vasta, che lascia grande spazio alla libera esplorazione, ma che al contempo riesce a ‘guidare’ i passi del protagonista verso tappe progressivamente più complicate, soprattutto grazie al suo essere appunto una valle e quindi una sorta di enorme ‘corridoio’, pur pieno di deviazioni e scartamenti (che consentono anche, ai temerari, di misurarsi contro nemici destinati a personaggi di alto livello: il gioco, infatti, non implementa alcun livellamento automatico). Un episodio chiave dell’avventura, l’acquisizione totale da parte del nostro personaggio della forma draconica, che avviene anche grazie all’accesso alla sperduta Sentinel Island, sposta l’azione in una nuova ambientazione, gli Orobas Fjords, peraltro già visitabili in minima parte anche nelle prime fasi della campagna. La struttura dei fiordi permette di godere al meglio dei vantaggi della natura draconica: alcune zone, infatti, sono collocate su speroni a picco sul mare e risultano irraggiungibili al semplice pedone. Il posizionamento intelligente, e sempre logico, delle barriere anti-drago costringono il giocatore a dedicarsi di quando in quando all’esplorazione ‘tradizionale’, mentre i nemici volanti permettono di mettere a punto nuove strategie di combattimento in forma di drago. La Broken Valley e la Sentinel Island sono esplorabili anche nella seconda parte dell’avventura: ma le troveremo completamente distrutte dalle forze del male, e potremo muoverci al loro interno solo in forma draconica, dato che il terreno sarà infestato da una nebbia letale.
L’unico elemento davvero ridondante è rappresentato dalle cosiddette Flying Fortress: le fortezze volanti, collocate in dimensioni parallele, nelle quali si rifiugiano i più importanti generali dell’esercito di Damian. Raggiungere ed eliminare questi generali, operazione necessaria per la risoluzione di varie missioni, è impresa lunga e tediosa, concretizzata nell’uccisione di decine e decine di nemici tutti uguali, tentativo mal riuscito di eguagliare i fasti dei migliori dungeon crawler. Senza contare che le Flying Fortress mostrano anche una notevole ripetitività, nonché una generale sciatteria nella cura del dettaglio: segno che si tratta del più classico dei riempitivi, peraltro assolutamente non necessario dato che la longevità di Divinity II è davvero ottima, anzi forse perfino eccessiva (a noi non sono bastate settanta ore per completare l’avventura).
Come in Divine Divinity, anche nel nuovo capitolo l’esplorazione rappresenta uno dei punti di forza maggiori. Se escludiamo appunto le Flying Fortress, ciascuna area trattiene una identità molto precisa, dovuta anche a una grande cura del dettaglio e soprattutto a una notevole quantità di segreti e tesori nascosti, destinati solamente al giocatore più attento e anche dotato di memoria migliore (a onor del vero, va detto che alcune chicche sono quasi impossibili da scoprire senza l’aiuto di una guida). La struttura delle ambientazioni e la distribuzione al loro interno di missioni e tesori richiede di tornare spesso in determinate aree, scoprendone di volta in volta nuovi aspetti. Tanta cura nell’evocazione di atmosfere credibili e di un mondo vivo e reattivo cozza un po’ con la poco comprensibile scelta di non implementare un ciclo giorno-notte né le connesse routine dei personaggi non giocanti (che nella maggior parte dei casi si limitano a gironzolare in un’area circoscritta). Ma vista la buona realizzazione dell’insieme si tratta, tutto sommato, di peccati veniali.
Meno trascurabile è invece la presenza, peraltro apprezzata da molti giocatori, di enigmi, per fortuna di semplice soluzione, e soprattutto di sezioni platform, che richiedono di saltare con il personaggio di qua e di là per raggiungere tesori, leve o pulsanti. Queste sezioni sono basate esclusivamente sui riflessi e sul tempismo del giocatore, quindi sono destinate a frustrare le aspirazioni degli utenti meno scaltri: il fatto che siano quasi nella totalità dei casi del tutto opzionali non rende il problema meno grave. Se siamo completisti, dovremo rassegnarci a continui salvataggi e ricaricamenti per superare questi momenti.
6. Combattimento
Divinity II implementa un sistema di combattimento action nel quale a ogni clic del mouse corrisponde un colpo sferrato con l’arma equipaggiata dal personaggio. In linea teorica, al giocatore spetta l’acquisizione di una corretta tempistica, così da collegare ogni fendente al successivo. In pratica, gli scontri all’arma bianca col nemico si risolvono nel trionfo del clic selvaggio. L’unico elemento di strategia vera è l’utilizzo delle abilità attive, che possono essere collegate ai tasti rapidi trascinando la loro icona sulla barra collocata nella parte inferiore dello schermo. Ciascuna abilità ha un certo tempo di ricarica e consuma una certa quantità di mana: l’uso di pozioni, anch’esse collegabili ai tasti rapidi, consente di tenere sempre sotto controllo lo stato dei punti ferita e dell’energia magica.
Complessivamente, il sistema di combattimento rappresenta forse il punto più debole di Divinity II. Tutto lascia pensare che l’intento degli autori fosse quello di dar vita a un meccanismo veloce e intuitivo, capace di assecondare i restanti comparti della giocabilità senza sovrastarli: a vanificare l’intento concorrono sia lo scarso appeal del meccanismo in sé, reso peraltro sommamente artificioso dalle animazioni non molto credibili e scarsamente ‘connesse’ le une alle altre, sia la quantità stessa di scontri, che in alcuni punti poteva e doveva essere maggiormente contenuta (e in questo caso non ci riferiamo solamente alle Flying Fortress, dove il problema raggiunge il parossismo). La situazione migliora leggermente nel caso di maghi e arcieri, costretti se non altro a un uso più oculato di abilità e posizionamento: ma la sensazione che si tratti di un comparto poco riuscito resta comunque presente.
I combattimenti in forma di drago presentano problemi diversi ma non per questo meno gravi. L’attacco di default, attivato col clic sinistro del mouse, è il soffio infuocato, che però per essere efficace richiede una distanza ravvicinata, difficile da tenere con i nemici volanti; attacchi maggiormente letali sono connessi alle varie abilità, anche in questo caso legate al consumo di mana e caratterizzate ciascuna da un tempo di ricarica differente. Il fatto che i nemici volanti non stanno mai fermi, unito alla necessità di tenere sotto controllo tutte e tre le dimensioni, rende i combattimenti in forma di drago assai confusi e in certi frangenti anche decisamente frustranti. A contribuire a ciò è anche il fatto che i punti ferita si rigenerano col tempo in forma umana ma non in forma draconica: in quest’ultima si dovrà ricorrere per forza a una abilità di guarigione, caratterizzata da tempo di ricarica insolitamente lungo, o alle pozioni. In molti casi, perciò, la soluzione più semplice sarà trasformarsi continuamente da umano a drago e viceversa così da sfruttare la rigenerazione automatica ponendosi, al contempo, al riparo dagli attacchi dei nemici volanti (che, ricordiamo, non possono scagliarsi contro le creature terrestri).
Con un sistema di combattimento più appagante, Divinity II avrebbe potuto ambire al massimo dei voti. Così come sono, gli scontri coi nemici rappresentano più un tedio necessario che non una occasione per sfoggiare il nostro acume strategico o la potenza dell’eroe da noi faticosamente plasmato. E vista la quantità di scontri che il gioco contempla, tutto ciò è un vero peccato.
7. Dialogo
Le conversazioni con i personaggi non giocanti sono un altro pilastro della giocabilità di Divinity II. I dialoghi sono numerosi, interessanti e completamente parlati, anche se l’eroe è “muto”, cioè le sue battute non vengono pronunciate ma soltanto selezionate dal giocatore (le uniche circostanze in cui il protagonista parla sono quando viene ferito o quando ci avvisa che è il caso di ingurgitare una pozione). Come anche in Divine Divinity, i testi di Divinity II sono molto spesso ironici e dissacratori: in vari casi il sarcasmo arriva anche a rompere la quarta parete, con effetti di straniamento che possono incrinare la suspension of disbelief, ma si tratta di una scelta estetica precisa che come tale va valutata, al di là delle inclinazioni di ciascuno. Gli autori confermano a ogni piè sospinto anche la loro verve citazionista, prendendo a riferimento sia il gioco precedente della serie sia anche tutto il panorama videoludico e oltre: si può per esempio affermare che quasi ogni titolo di missione è una citazione o un omaggio a qualche libro, a qualche film, a qualche videogioco o a qualche detto popolare. Particolarmente preso di mira è, comprensibilmente, il mondo degli appassionati di intrattenimento digitale, con i suoi tipici comportamenti: giusto per fare un esempio, il libro che dovrebbe spiegare, nel gioco, come uccidere i temibili troll, è in realtà una presa in giro dei disturbatori dei forum, chiamati in gergo proprio “troll” (con tanto di commento finale: “Don’t feed the troll!”) In alcune circostanze, le spiritosaggini toccano anche ambiti un po’ delicati, come il sesso o la religione: ma gli autori si muovono sempre sul filo della metafora, senza mai scadere nella trivialità o nell’offesa, tanto che con ogni probabilità alcune battute restano celate a un buon numero di giocatori.
Ad arricchire il comparto dialogico interviene, in Divinity II, una trovata degna di nota: la possibilità di “leggere il pensiero” del nostro interlocutore, abilità appresa durante il tutorial e parte integrante della formazione dei Dragon Slayer. Dal punto di vista della giocabilità, questa possibilità si traduce nella presenza, a fianco della finestra di dialogo connessa a ciascun personaggio non giocante, di un tasto con cui procedere alla lettura del pensiero: selezionandolo, ascolteremo una o due battute che spesso ci riveleranno importanti segreti o aspetti degni di nota del carattere della persona in oggetto. Attenzione, però: ogni lettura del pensiero ‘costa’ una determinata quantità di punti esperienza, che nel caso dei personaggi più importanti può arrivare a livelli considerevoli. Una apposita finestrella ci avvertirà del ‘costo’, consentendoci di scegliere se procedere o meno. Concretamente, l’esperienza non viene sottratta a quella già raccolta: piuttosto, il nostro eroe maturerà una sorta di ‘debito’, che verrà colmato con l’esperienza ottenuta in seguito. Esiste una apposita abilità che riduce progressivamente la quantità di esperienza necessaria per leggere il pensiero: anche senza sviluppare questa abilità, comunque, la lettura del pensiero risulta quasi sempre un buon investimento, dato che è l’unico modo per ottenere tutti i tesori offerti dal gioco e per accedere a tutte le aree nascoste. Senza contare che spesso scavando nella psiche altrui si ottengono direttamente preziosi punti abilità o punti per alzare le caratteristiche del personaggio (o, nel caso dei mercanti, prezzi più vantaggiosi).
L’implementazione della lettura del pensiero è senza dubbio uno degli elementi di maggiore originalità di Divinity II: basti pensare a tutte le possibilità che questa funzione consente nella progettazione delle missioni o nell’organizzazione del territorio ai fini esplorativi. La porta di un certo magazzino non si apre? Risaliamo al proprietario del magazzino e, se non vorrà darci spontaneamente la chiave, proviamo a leggergli nel pensiero e magari scopriremo dov’è nascosta. Un personaggio rifiuta di farci un certo favore? Leggiamogli nel pensiero e forse troveremo un argomento con cui ricattarlo. Una determinata indagine su un delitto risulta più complicata del previsto? Leggiamo nel pensiero delle persone implicate e quasi sempre troveremo il bandolo della matassa. Forse le possibilità ‘strategiche’ della lettura del pensiero risultano un po’ allentate dal fatto che è possibile usare questa opzione sistematicamente con tutti i personaggi non giocanti, vanificando di fatto la necessità di scegliere con attenzione quando adoperarla: ma nonostante questo si tratta di una trovata che arricchisce considerevolmente la giocabilità del titolo e che ci piacerebbe ritrovare, magari ancora più approfondita, in altri prodotti.
8. La creatura
Periodicamente, nei tesori rinvenuti in giro per Rivellon o tra gli oggetti lasciati cadere dai nemici sconfitti, il nostro eroe troverà parti di mostri: teste, gambe, braccia o busti. Scopriremo a cosa servono quando il protagonista incontrerà il suo primo negromante. Attraverso le sue conoscenze, sarà possibile ‘unire’ i resti per dar vita alla “creatura”: un mostriciattolo che l’eroe potrà evocare in ogni momento per avere un po’ di aiuto nelle battaglie più difficili. Evocare la creatura costa metà dell’energia magica del protagonista: quando il mostro viene ucciso, è necessario aspettare qualche minuto prima di poterlo chiamare in campo nuovamente.
Con il rinvenimento di nuovi “pezzi”, la creatura può essere progressivamente potenziata; l’elemento più importante da tenere in considerazione è la sua testa, dato che in base a quella cambia anche la classe di appartenenza del nostro piccolo alleato. È infatti possibile costruire una creatura che combatta in corpo a corpo come anche una che combatta a distanza a suon di incantesimi (o che magari possa curare il nostro eroe quando è ferito).
La creatura, utilizzabile solo quando il nostro eroe è in forma umana, risulta quasi sempre un aiuto assolutamente indispensabile per superare i combattimenti più complessi. Senza contare che la sua compagnia ha anche qualche aspetto divertente: quando non è impegnata a guerreggiare, la creatura si produce in animazioni che ricordano quelle di un grazioso cagnolino, cosa che cozza decisamente con il suo aspetto mostruoso. Ogni tanto fa anche la pipì negli angoli!
9. Alchimia e artigianato
Oltre ai negromanti, agli addestratori (che servono per portare le abilità oltre il limite inizialmente previsto) e ai mercanti, esistono altri due ‘professionisti’ a cui il nostro eroe può fare riferimento: gli alchimisti e gli artigiani. I primi possono combinare le piante trovate nel corso delle esplorazioni creando potenti pozioni che sono quasi indispensabili per superare i combattimenti più difficili, mentre i secondi possono potenziare i pezzi di equipaggiamento che contemplano la possibilità di essere migliorati.
Sia la creazione di pozioni sia quella di potenziamenti richiedono, prima di tutto, il rinvenimento o l’acquisto delle apposite formule. Successivamente è necessario entrare in possesso dei giusti reagenti: piante nel caso delle pozioni, rocce e gemme nel caso dei potenziamenti. Anche se il mondo di gioco è ricco di questi ingredienti, per creare oggetti personalizzati in gran quantità è necessario ricorrere alla squadra di cercatori messa a disposizione dalla nostra Battle Tower: soprattutto per questo motivo ha senso visitare la nostra base con regolarità, per evitare che i cercatori restino senza far nulla tra una spedizione e la successiva.
La gestione dei potenziamenti richiede qualche approfondimento ulteriore. Gli equipaggiamenti più potenti hanno in genere a disposizione più spazi in cui incastonare sia i cosiddetti charm sia i cosiddetti enchantment. I primi sono piccole pietre magiche rinvenute durante le esplorazioni: possono essere incastonate nelle armi e nelle corazze senza l’aiuto di un artigiano e una volta inserite non possono più essere tolte. I secondi, invece, sono i potenziamenti propriamente detti: ciascuno ha una ricetta e richiede determinati ingredienti, possono essere creati solo da un artigiano e possono essere tolti e rimessi e piacimento (ma una volta che un potenziamento viene tolto, i suoi ingredienti sono persi).
In Divinity II l’alchimia e soprattutto l’artigianato sono comparti interessanti e ben realizzati, ma in alcuni frangenti si ha la sensazione che la complessa e multiforme struttura del gioco non consenta una loro adeguata valorizzazione. È, questo, il problema tipico di tutti quei prodotti che mettono troppa carne al fuoco: nella nostra prima partita, tanto per capirci, non abbiamo mai sentito il bisogno di utilizzare i servizi di un artigiano, e l’avventura è stata comunque interessante e stimolante. A spingere tanti giocatori a non approfondire adeguatamente la faccenda può anche essere il fatto che questi comparti soffrono di una certa macchinosità e soprattutto di una notevole ipertrofia: a che scopo implementare decine di pozioni con decine di ingredienti diversi e altrettanti potenziamenti quando nessuno potrà mai ricordarsi la ‘ricetta’ di ognuno? Forse, una maggior concentrazione non avrebbe guastato.
10. Tecnicismi
Divinity II è costruito sul Gamebryo, il mitico motore di gioco alla base di tanti capolavori del passato recente: i primi a utilizzarlo furono i ragazzi di Bethesda con The Elder Scrolls IV: Oblivion nel 2006; poi è stato adoperato anche per Fallout 3, sempre di Bethesda, e Fallout: New Vegas di Obsidian. Il sistema di controllo implementato da Larian per Divinity II è molto diverso rispetto al sistema misto in prima e terza persona dei giochi citati: eppure non mancheranno i momenti di déjà vu, soprattutto per quel che riguarda la realizzazione generale dei paesaggi e dell’illuminazione.
Anche questo prodotto, purtroppo, evidenzia a volte in modo impietoso il limite maggiore di questo motore: le animazioni. Abbiamo già parlato della loro mediocrità in fase di combattimento, un aspetto capace di inficiare la stessa giocabilità. Le cose migliorano un po’ negli altri ambiti, ma la sensazione di artificiosità permane un po’ in ogni momento, con solo qualche istante di soddisfazione durante i dialoghi, accompagnati da gesti che seppur enfatici e stereotipati riescono comunque a trasmettere un minimo di empatia col personaggio coinvolto.
Complessivamente, Divinity II dal punto di vista estetico non è male, anche se ovviamente non può competere con i prodotti più recenti e più blasonati. Si difende bene anche il comparto audio: il doppiaggio non raggiunge vette particolarmente esaltanti, ma le musiche, perfettamente ancorate alla tradizione dell’epica fantasy, contribuiscono con pertinenza alla caratterizzazione delle varie ambientazioni, mutando anche sulla base della forma assunta in quel momento dall’eroe.
11. Conclusione
Come si sarà ben compreso dall’articolo, il vero punto debole di Divinity II è rappresentato dai combattimenti, viziati da una notevole ripetitività e da uno spessore strategico spesso ridotto ai minimi termini. Non si tratta di un problema da poco, visto che, come abbiamo già detto, gli scontri col nemico sono tanti e rappresentano in determinate fasi l’attività principale a cui deve dedicarsi il protagonista. Eppure, Divinity II mostra talmente tante buone idee da meritare comunque l’attenzione degli appassionati, almeno per qualche ora.
La sensazione che questo gioco ci ha comunicato è che i suoi autori siano letteralmente divorati dalla voglia di mostrare al mondo tutte le loro intuizioni e il loro talento: un entusiasmo, quello mostrato da questi ragazzi, che a volte viaggia in coppia con l’ingenuità tipica del debuttante. Divinity II è un ricettacolo di comparti affiancati l’un l’altro con l’ebbrezza di chi non vuole lasciar fuori dal piatto neanche la più piccola delle possibilità: ma l’horror vacui dà vita spesso a prodotti squilibrati, privi di un punto di osservazione privilegiato, disorientanti.
Per molti versi, Divinity II è sommamente imperfetto e pieno di limiti anche piuttosto evidenti. Ma è anche la testimonianza di un talento genuino e appassionato, talmente incontrollato da arrivare finanche a danneggiare se stesso. Non vi chiediamo di finirlo completamente, dato che le Flying Fortress sono davvero una inutile perdita di tempo: un assaggio, però, è da parte nostra assolutamente consigliato.
Tre pregi di Divinity II: Ego Draconis
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Tre difetti di Divinity II: Ego Draconis
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Giocabilità estremamente varia
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Le possibilità fin troppo numerose danno vita a una giocabilità spesso frammentata
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Ambientazioni molto ben costruite ed esplorazione decisamente appagante
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Combattimenti ripetitivi e poco stimolanti
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La lettura del pensiero è un’idea geniale
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Le cosiddette Flying Fortress sono un inutile e noioso riempitivo
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Fortezze volanti a parte, è davvero un gran bel gioco. Al tempo lo giocai su Xbox 360 e non su PC, ma ricordo che anche in quel caso, nonostante il joystick si presti meglio a combattimenti più action, le meccaniche degli scontri non mi avevano entusiasmato. E’ come se quasi tutte le energie creative siano state profuse nei contenuti, nella lore e nella narrazione, lasciando il sistema di combattimento come fanalino di coda.
Sono d’accordo: gran bel gioco ma con sistema di combattimento davvero basico. Un po’ mi spiace che gli autori l’abbiano misconosciuto in seguito. Su molti aspetti lo trovo perfino più centrato degli Original Sin.