Approfittiamo della ripubblicazione in download digitale e dell’uscita del secondo capitolo per tornare a parlare di uno dei GdR più validi e più sottovalutati di tutto il decennio che sta per concludersi.
[articolo originariamente pubblicato il 23 marzo 2010]
I nostri video dedicati a Divine Divinity su YouTube:
Esempio di gioco
Il nostro parere
Nota del 2020
Anche in forza degli sviluppi successivi della serie, con Original Sin considerato, specialmente nella sua seconda incarnazione, tra i migliori prodotti del suo genere, Divine Divinity va oggi considerato a tutti gli effetti un grande classico, indispensabile nella collezione di ogni appassionato.
1. L’insignificanza provata
Nell’ormai lontano 2002, la sconosciuta casa di sviluppo belga Larian Studios pubblica per CDV quello che viene prontamente definito dalla critica un GdR action, intitolato Divine Divinity. Pur essendo in gran parte costituita da programmatori privi di curriculum significativo, Larian non si può definire una casa esordiente, dato che la sua fondazione risale al 1996: la fatica nel trovare finanziatori e distributori fa però uscire il suo primo prodotto (che è in realtà il secondo dato che il primo, The Lady, The Mage and the Knight, non è mai stato pubblicato) ben sei anni dopo la formazione del gruppo. Divine Divinity ha un titolo decisamente cacofonico, che però si deve alle pressioni dei distributori, che agiscono spesso in base a criteri abbastanza incomprensibili: il titolo originale, infatti, era Divinity: Sword of Lies (una fattispecie simile accade con lo spin-off Beyond Divinity, in realtà intitolato Riftrunner).
Le vicissitudini del titolo, peraltro, sono ben poca cosa rispetto al colossale equivoco in cui cade la quasi totalità della critica nell’etichettarlo, come abbiamo detto sopra, GdR action. Il qui pro quo è in realtà anche un po’ colpa degli autori, che hanno tratteggiato l’inizio della campagna (tangenzialmente, l’unica parte di gioco presente nel demo) come una sorta di omaggio nei confronti del grande Diablo di Blizzard: il capo dei guaritori del villaggio di Aleroth è posseduto da un demone, e per liberarlo occorre percorrere un intricato dungeon collocato sotto la cittadina e uccidere le decine di mostri che lo infestano. Eppure, compito della critica dovrebbe essere andare oltre le apparenze: al di fuori di Aleroth si apre un mondo vasto, pieno di missioni dall’esito multiplo, dotato di interattività non comune, caratterizzato dalla presenza di una trama che asseconda magistralmente l’esplorazione e il contatto con la varietà delle ambientazioni.
Divine Divinity è forse la prova più solida del fatto che le etichette, nell’ambito del nostro hobby preferito, sono incredibilmente equivoche e spesso incapaci di definire adeguatamente financo i tratti più generali di un determinato prodotto. Gli appassionati deviati da questo magnifico gioco a causa dell’insipienza della critica hanno oggi una nuova grande occasione: Divine Divinity è in vendita, tra l’altro a cifre insignificanti, in molti siti che offrono servizio di download digitale. Approfittiamone per riparlarne approfonditamente, anche in preparazione dell’analisi del seguito Ego Draconis.
2. Panoramica
Divine Divinity è un GdR molto classico, bidimensionale e con visuale isometrica. Il giocatore è chiamato a scegliere il suo eroe tra sei personaggi (tre classi, ciascuna delle quali presenta sia il sesso maschile sia quello femminile) e a controllarlo all’interno del mondo fantasy di Rivellon. La descrizione di quest’ultimo sembra indulgere sui più triti cliché del genere: la razza dominante, a cui appartiene anche l’eroe, è quella umana, che sembra vivere in un periodo storico simil-medievaleggiante; nel folto dei boschi vivono gli Elfi, in perenne lotta con i Nani, che fanno delle caverne sotto le montagne la loro casa prediletta; ai confini del ducato di Ferol, in cui si svolge la campagna, gli orchi combattono contro gli umani una guerra di conquista dalle dubbie motivazioni. L’unica razza vagamente originale è quella delle lucertole, che ricorda un po’ gli Argoniani della saga di The Elder Scrolls: peraltro la loro patria è una terra lontana da Ferol, quindi non ne incontreremo molte.
Il nostro alter ego è uno dei cosiddetti “Chosen One” (“Prescelti”), casta di predestinati da cui emergerà il “Divine One”, destinato a combattere il Lord of Chaos, che sta per essere resuscitato da un malvagio circolo di maghi: in realtà apprenderemo tutto ciò quando saremo già piuttosto avanti nella partita, visto che tutta la prima parte della campagna è costruita in modo tale da rendere appositamente poco chiaro il nostro compito ultimo, confuso tra le decine di incarichi che ci verranno assegnati e che ruoteranno spesso attorno alle tensioni seminate, nel ducato, proprio dalle avanguardie del Male. Il tempo di gioco è più o meno equamente suddiviso tra sessioni di combattimento, solo apparentemente simili a quelle del capolavoro Diablo, dialoghi abbastanza corposi, indagini e semplici enigmi, nonché fasi di esplorazione di un vastissimo e variegato territorio. Vediamo questi aspetti nel dettaglio, cominciando dal regolamento che gestisce la crescita del personaggio giocante.
3. Eroi Divini per tutti i gusti
Divine Divinity non si basa su complessi regolamenti di derivazione cartacea ma su linee guida semplici e create appositamente per il gioco. Esistono, come già detto, tre classi, che corrispondono ai tre archetipi del guerriero, del mago e del ladro, ciascuno con la sua declinazione maschile e femminile. Ognuno dei personaggi ha un peculiare aspetto e un determinato set di caratteristiche di partenza, ma può essere personalizzato liberamente nel corso del gioco, anche tramite la scelta di abilità che non appartengono alla sua classe. Le abilità, infatti, sono accessibili a tutti e hanno come unico requisito il raggiungimento di un determinato livello: è dunque possibile, per esempio, creare un guerriero capace di lanciare anche qualche potente incantesimo, oppure un ladro specializzato nell’uso di una determinata arma.
Ma andiamo con ordine. Ogni personaggio è definito anzitutto da quattro caratteristiche di base: forza, agilità, intelligenza e costituzione. La forza influenza il danno inferto dalle armi e il peso trasportabile; l’agilità influenza la possibilità di mettere a segno i colpi e di schivarli; l’intelligenza determina la quantità di mana e la costituzione determina la quantità di punti ferita e di stamina. A ogni passaggio di livello, l’eroe ottiene cinque punti da distribuire liberamente tra le sue quattro caratteristiche. Quel che maggiormente influenzerà il nostro stile di gioco sarà però la complessa scelta tra le molte abilità messe a disposizione del personaggio giocante. Le abilità sono divise in base alla classe di appartenenza, ma come spiegato sopra sono in realtà accessibili a tutti; possono essere divise tra attive, collegabili al pulsante destro del mouse e utilizzabili tramite il consumo di mana, e passive, che rimangono sempre in funzione senza il bisogno di alcun input da parte nostra. Le abilità sono molto varie e non riguardano solo il combattimento: oltre alle consuete specializzazioni nelle armi e agli incantesimi troviamo capacità connesse allo scassinamento, al furto, alla riparazione degli oggetti, al loro incantamento, al movimento, al raggio visivo, alle resistenze elementali.
A ogni passaggio di livello otterremo un punto (due nei livelli multipli di cinque) con cui sbloccare una nuova abilità o migliorare un’abilità già sbloccata: ciascuna infatti ha cinque differenti livelli di apprendimento. A volte, impareremo o miglioreremo un’abilità in seguito al completamento di una quest; nel caso degli incantesimi, può capitare di trovare nel bottino dei nemici o negli inventari dei negozianti gli speciali libri che consentono di apprendere o approfondire lo studio di una certa magia. L’interazione tra le differenti abilità consente la creazione di stili di combattimento personalizzati, anche molto diversi tra loro. Un guerriero specializzato nei talenti bellici potrà sbaragliare i nemici senza ricorrere ad alcuna abilità aggiuntiva; un mago potrà indebolire gli avversari da lontano con qualche incantesimo elementale e finirli con il suo bastone; un arciere potrà specializzarsi negli attacchi a distanza, aggiungendo magari al suo arsenale qualche magia capace di bloccare l’avanzamento nemico. Nel prossimo paragrafo ci occupiamo da vicino proprio del sistema di combattimento.
4. L’apparenza (?) inganna
In Divine Divinity il dosaggio delle varie parti di cui è composto il prodotto è sorprendentemente equilibrato, ma è innegabile il fatto che in alcuni frangenti scatta la sensazione di trovarsi all’interno di un puro e semplice gioco al massacro. Potrebbe venir da pensare che i recensori che hanno liquidato questo come un banale GdR action si siano imbattuti troppo frequentemente in questi frangenti: in realtà la scusante (se così la si può definire) non regge, dato che è lo stesso sistema di combattimento sfoggiato dall’opera prima di Larian a distanziarsi dalle consuetudini di Diablo e dei suoi epigoni. Il famigerato “clic selvaggio”, infatti, qui è completamente assente: il nostro alter ego sferra colpi ad libitum su ogni nemico su cui clicchiamo, fin quando il nemico non soccombe. Anzi, tecnicamente non è neanche necessario cliccare sul nemico: basta premere il tasto CTRL e contemporaneamente il pulsante sinistro del mouse per vedere il nostro eroe dirigersi automaticamente contro il nemico più vicino.
Eventuali diversivi nello scontro possono essere introdotti tramite l’utilizzo delle abilità, che vanno collegate, attraverso un comodo sistema di scorciatoie da tastiera, al tasto destro del mouse. Il loro utilizzo consuma il mana, l’energia magica, che può essere ricaricata, come anche i punti ferita, ingerendo pozioni o, in misura più modesta, semplice cibo (il gioco trabocca di decine di oggetti ingurgitabili, con gli effetti più diversi, spesso anche combinabili). Esiste una terza energia consumabile, la stamina: questa diminuisce mentre il nostro personaggio corre e quando sferra i colpi con le sue armi; il suo esaurimento, peraltro, non ha conseguenze eclatanti, traducendosi semplicemente nell’impossibilità di correre (ma non di camminare). La stamina si rigenera da sola col tempo, e in ogni caso tutte e tre le energie vengono completamente ‘ricaricate’ quando il nostro personaggio dorme (è sufficiente cliccare su un letto, che però deve essere di nostra proprietà o affittato in una locanda). Se durante uno scontro la situazione diventa difficile da gestire, il gioco ci viene incontro dandoci la possibilità di utilizzare una pausa tattica: durante la pausa possiamo prendere le decisioni più adatte, ma appena daremo un ordine il tempo ricomincerà a scorrere normalmente (è comunque possibile mettere in pausa tutte le volte che si vuole).
La potenza dei nemici non è calibrata su quella del nostro personaggio ma segue piuttosto una logica di organizzazione spaziale, non distante da ciò che avviene nella serie Gothic di Piranha Bytes: i luoghi più vicini alle zone di inizio della campagna sono popolati da creature di basso livello, più ci si addentra nei posti impervi più si corre il rischio di incappare in avversari ostici. Peraltro, c’è sempre la possibilità che qualche nemico potente si nasconda nel posto più impensato, quindi sarà frequente, soprattutto nelle prime ore di gioco, vedere il nostro eroe soccombere ed essere costretti a ricaricare. Nonostante le zone ad alta densità di nemici, dunque, Divine Divinity non può assolutamente essere etichettato come GdR action: sia perché il combattimento non è l’attività principale che ci troveremo a svolgere (anche perché molte zone infestate sono del tutto opzionali e saltarle non implica decadimenti importanti nel livello del personaggio, alla cui crescita contribuisce soprattutto la risoluzione di missioni), sia perché gli scontri si concretizzano in movimenti di mouse e di tastiera calmi e pausati, privi di qualunque tensione agonistica.
5. Dialoghi, struttura del mondo e delle quest
L’altra attività preponderante per il giocatore di Divine Divinity è l’esplorazione dell’enorme area di gioco, che avviene tramite spostamenti gestiti attraverso un classico sistema punta e clicca, con tanto di “nebbia di guerra” a nascondere le aree non raggiunte dal raggio visivo del personaggio. Il ducato di Ferol è composto da tre grandi regioni: un’area centrale, dove si trovano boschi, fattorie, piccoli villaggi e castelli; la città di Verdistis, capitale del ducato; la Dark Forest, dove si trova l’insediamento elfico e, sottoterra, la città dei nani. Ciascuna area è ampia centinaia di schermate e richiede ore e ore di tempo reale per essere interamente ‘scoperta’; gli interni degli edifici fanno parte della stessa mappa e quindi non rendono necessario alcun tempo di caricamento. Le aree sotterranee, talvolta molto vaste, sono invece in mappe separate, anche se i tempi di attesa sono sempre estremamente esigui (soprattutto sulle potenti macchine odierne).
Le grandi distanze possono essere colmate sia tramite una rete di piattaforme teletrasportanti, attivabile collezionando apposite pergamene la cui ricerca è una delle missioni che accompagnano parte della campagna, sia tramite le cosiddette “pietre di teletrasporto”, che possono essere utilizzate per creare un ‘ponte’ capace di inviarci velocemente verso qualunque locazione precedentemente scelta. Ciò che forse colpisce di più il giocatore nei primi istanti della partita è l’altissimo livello di interattività offerto dal mondo di gioco, paragonabile forse a quel che avviene nei prodotti appartenenti alla serie The Elder Scrolls. Praticamente ogni oggetto rappresentato graficamente può essere raccolto o spostato; i fuochi e le lampade possono essere accesi o spenti; i contenitori possono essere aperti o anche sfasciati con le armi; spesso è possibile combinare oggetti diversi, per esempio tramite l’abilità alchemica (trascinando una bottiglia vuota su una pianta si può creare una pozione; trascinando una pozione su un’altra si può dar vita a una mistura dagli effetti talvolta interessanti, e così via). Nella maggior parte dei casi, questa grande interattività serve solo a rendere più vivido il mondo rappresentato; in alcuni frangenti, però, è necessario sfruttarla per risolvere qualche missione o anche solo per poter proseguire nell’esplorazione di qualche area.
Le quest sono molto numerose e varie, e almeno inizialmente sono spesso reciprocamente intrecciate, tanto da rendere positivamente ardua l’identificazione degli incarichi principali nella marea di quelli opzionali. Nella risoluzione delle missioni è naturalmente fondamentale l’interazione con i personaggi non giocanti, che avviene sotto forma di dialogo scritto a scelta multipla. Le conversazioni non brillano particolarmente né per profondità né per lunghezza, ma sono godibili e riescono a evitare la banalità rifugiandosi spesso nell’ironia e nel sarcasmo (aspetto di cui parleremo meglio più avanti). I PnG non sono governati da alcuna intelligenza artificiale e si limitano a star fermi nello stesso punto, se si escludono le comunque numerose sequenze ‘scriptate’ connesse alle missioni o ai diversi blocchi della trama principale. Molti personaggi consentono anche interazioni diverse dal dialogo: moltissimi (quasi tutti) permettono il commercio, che avviene tramite il sistema del baratto, altri consentono l’identificazione degli oggetti magici o la riparazione (ottenibili peraltro anche autonomamente dal protagonista tramite apposite abilità). Ogni personaggio è caratterizzato da un determinato valore di stima nei confronti del protagonista, che muta in funzione di molte variabili: anzitutto in base alla reputazione dell’eroe, che aumenta con la risoluzione delle missioni, ma anche in base alle risposte date nei dialoghi o alle transazioni commerciali concluse positivamente con quel personaggio.
6. L’interfaccia
L’unica schermata separata da quella principale di gioco è, in Divine Divinity, quella del diario. Lì compaiono non solo le missioni, talvolta suddivise in varie tappe e presentate tramite un comodo elenco filtrabile, ma anche una grande mappa generale, indispensabile per orientarsi nell’enorme mondo di gioco, nonché una descrizione del livello delle abilità del personaggio, un archivio dei dialoghi e la raccolta dei ‘trofei’, ossia dei mostri uccisi fino a quel momento. La mappa è interattiva e consente il posizionamento di segnalini personalizzati: è necessario far uso abbastanza spesso di questa funzionalità, dato che molti personaggi importanti per la risoluzione di missioni si trovano in luoghi che il gioco non segnala in alcun modo. Tutte le altre informazioni indispensabili per la gestione della partita, quali ad esempio l’inventario o le caratteristiche del personaggio, sono presentate tramite finestre a scomparsa spostabili a piacere. È anche possibile continuare a giocare mantenendole aperte: è una bella idea, per esempio, lasciare sempre in uno degli angoli della schermata la minimappa, ma è possibile fare lo stesso anche con l’inventario se qualcuno vuole avere sempre tutto sotto controllo.
Quest’ultimo, tra l’altro, è costruito in modo abbastanza peculiare: gli oggetti equipaggiati e quelli raccolti sono mostrati in due finestre differenti, ma lo ‘zaino’ non è organizzato secondo il consueto schema tabellare ma tramite uno spazio in cui gli oggetti si accumulano senza alcun criterio prestabilito, dando vita spesso a situazioni abbastanza confuse. Il gioco offre naturalmente una grandissima quantità di oggetti diversi: armi, armature, gioielli, cibo, pozioni, libri (qualcuno leggibile, altri no), soprammobili, perfino semplice spazzatura. Le armi e le armature si danneggiano con l’uso e vanno periodicamente riparate; i manufatti più pregiati offrono la possibilità di incastonare al loro interno preziose gemme in grado di aumentare anche considerevolmente le caratteristiche e le resistenze del personaggio.
7. Procul Este Profani
Divine Divinity è un gioco dalla natura stilistica globale difficilmente afferrabile. Da un lato il regolamento ‘leggero’ e le ampie sezioni di combattimento strizzano l’occhio al pubblico più casual; dall’altro lato la profonda interazione, che spesso è fine a se stessa proprio come succede nei grandi capolavori, sembra riservata alla sensibilità dell’appassionato anelante esperienze estensive e capace di perdersi nei dettagli. L’interazione, in realtà, è solo la punta dell’iceberg: l’elemento che più fortemente avvicina il gioco ai prodotti cosiddetti “hardcore” è in realtà la presenza di moltissimi dettagli, spesso ben nascosti, chiaramente riservati al pubblico più puntiglioso. Esistono missioni la cui risoluzione è basata sull’attenta osservazione dello scenario, sulla combinazione di vari documenti, sullo scioglimento di enigmi che spesso è perfino difficile riconoscere come tali. Gli oggetti più validi e i potenziamenti migliori sono quasi introvabili senza l’utilizzo di una guida, e il loro rinvenimento può effettivamente fare la differenza in fase di gioco.
Gli Easter Egg, nome con il quale si indicano le ‘sorprese’ nascoste dai programmatori, sono tra i più curati e divertenti mai visti nella storia del nostro hobby (in un’area di gioco assai difficile da individuare e da raggiungere c’è una buffa riproduzione degli studi di Larian) ma riescono a includere, senza per questo apparire blasfemi, un commosso omaggio alle vittime degli eventi dell’11 settembre 2001, verificatisi proprio durante la creazione di Divine Divinity. Al di là delle chicche nascoste, comunque, a proiettare il gioco in una dimensione diversa rispetto a quel che potrebbero far pensare le apparenze superficiali c’è anche un sottile e onnipervasivo umorismo, da indicare probabilmente tra le caratteristiche principali del primo prodotto di Larian e anche, come vedremo, del suo seguito. I toni drammatici della tutto sommato banale vicenda narrata sono continuamente stemperati da caustiche battute e da situazioni demenziali, che ci fanno capire come Divine Divinity tutto sia tranne che un gioco che si prende sul serio. I temi più spesso oggetto di ironia sono anche abbastanza delicati e apparentemente poco adatti a un videogame peraltro privo di classificazione censoria.
Nelle nostre peregrinazioni ci capiterà di incontrare: un contadino appassionato di moda che ama, di sera, travestirsi da donna (con grande disappunto della moglie); un uomo trasformato in cinghiale da un mago malvagio che prima ci chiederà aiuto ma che poi, dopo che avremo trovato l’antidoto, lo rifiuterà avendo nel frattempo incontrato un ‘bellissimo’ cinghiale femmina; un duca preadolescente posseduto dal male che esplica la sua doppia natura accoppiandosi in continuazione con la povera fidanzatina; una chiesa vittima di una oscura maledizione che si scoprirà dipendere dal fatto che un chierichetto ha fatto la pipì nell’acquasantiera (con tanto di apposita animazione)… e così via. Siamo di fronte a un gioco che mostra in maniera inequivocabile come l’indole fancazzista non deve per forza andare in coppia con la superficialità, e che non c’è davvero niente su cui è impossibile scherzare, se si mette in atto un approccio sufficientemente maturo e privo di malizia.
8. Grafica e sonoro
Divine Divinity è un gioco del 2002 e questo naturalmente si traduce in una grafica decisamente spartana rispetto agli standard odierni. Tra l’altro, il gioco non brillava per i suoi virtuosismi tecnici nemmeno all’epoca della sua uscita: in particolare, non mancò chi si lamentò parecchio per la grafica eccessivamente ‘cubettosa’, incapace di rendere la tridimensionalità in maniera credibile e di dare giusta soluzione tecnica alla grande interattività degli ambienti, che spesso sono parecchio confusi e consentono a malapena il discernimento dei differenti oggetti che li popolano. Tutte queste critiche sono fondate, ma l’aspetto generale del gioco e la sua impronta stilistica a nostro avviso non sono disprezzabili: il nuovo supporto alle alte risoluzioni rende in alcuni casi ancora più complessa la gestione dell’interattività, ma ha il piacevole effetto collaterale di offrirci una grafica più pulita e ‘spaziosa’, che consente di tenere facilmente sotto controllo sia la schermata di gioco principale sia le finestre più importanti dell’interfaccia.
Non mancano, purtroppo, le inconsistenze dovute alla risoluzione nativa: molti menu mantengono l’impostazione originaria e appaiono circondati da spesse righe nere; nella mappa generale, la nuova risoluzione viene adoperata per la mappa vera e propria ma non per la barra dei comandi, che è piantata nella vecchia posizione e quindi risulta ostacolare la ‘nuova’ visuale. Nessuno di questi problemi, comunque, è in grado di pregiudicare la fruibilità del titolo, che anzi risulta assai migliorata grazie ai brevissimi tempi di caricamento sperimentati nei sistemi attuali. Il sonoro si mantiene ovviamente identico all’originale ed è piacevole: le musiche sono rilassanti e pacate, essendo costruite anzitutto su partiture d’archi; il doppiaggio è limitato e presenta una impostazione che richiama l’ironia di cui è intessuto il gioco. Sottolineiamo il fatto che non esistono musiche ‘belliche’: la melodiosa colonna sonora di base rimane anche durante i combattimenti, mutando però in ambientazioni particolari, per esempio all’interno delle locande o dei sotterranei. Segnaliamo qui che esiste una traduzione in italiano del gioco realizzata dall’Italian Translation Project: purtroppo il loro sito non è più attivo, ma la traduzione può essere comunque trovata tramite una semplice ricerca nel web. In ogni caso l’inglese utilizzato dal gioco è molto semplice e non richiede una preparazione particolare per essere compreso.
9. Conclusioni
Terminiamo la nostra analisi tornando al punto di partenza presente nell’occhiello della stessa: Divine Divinity è forse il gioco più ingiustamente sottovalutato di tutto il primo decennio del ventunesimo secolo. Scarsamente considerato dalla comunità, spesso assente dagli articoli di approfondimento retrospettivo, quasi sempre derubricato a innocuo GdR action (quando non addirittura a “clone di Diablo“), questo gioco mostra in realtà una notevole profondità, contenuti non comuni e alcune caratteristiche decisamente uniche, capaci di sconvolgere le etichette consuete e di insegnare parecchio anche alle case di sviluppo più blasonate.
Dopo la mezza scivolata rappresentata dal deludente Beyond Divinity, Larian è tornata a pensare in grande con Divinity 2: Ego Draconis, che come vedremo presto trasporta ottimamente nella tecnologia attuale molte buone idee presenti nel primo capitolo. Ogni appassionato ‘serio’, in ogni caso, farebbe bene ad approfittare della riedizione del gioco originale per mettere le mani, per la prima o per la seconda volta, su un prodotto davvero meritevole di attenzione e su cui certo non devono scaricarsi le ingenuità e i limiti di una critica spesso incapace di andare al di là di analisi frettolose e incomplete.
Tre pregi di Divine Divinity
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Tre difetti di Divine Divinity
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Vasto, profondo e sfaccettato
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La riedizione ha qualche inconsistenza grafica
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Regole semplici ma funzionali
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Menu e finestre talvolta confusi
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Intriso di godibile umorismo
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Alcune sezioni di combattimento sono lunghe e noiose
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Ricordo che quando acquistai il gioco non avevo grosse aspettative. Non avevo mai sentito parlare dei Larian. Il titolo mi suonava (e mi suona ancora oggi) di una idiozia disarmante. Sulla scatola (bei vecchi tempi) troneggiava una figura femminile che, tra abbigliamento ed espressione, avrebbe potuta essere scambiata per la protagonista di un porno di serie b. Le foto sulle riviste mi davano l’idea di un Diablo2 dei poveri.
Insomma, la prima impressione non era delle migliori. Invece è successo il contrario di ciò che molto spesso accade oggi con titoli blasonati : DD mi ha stupito in positivo.
La discreta interagibilità con l’ambiente, l’umorismo dissacrante, la varietà di skills, alcune quest davvero simpatiche, a fronte di poche magagne (la peggiore la gestione dell’inventario) tutto sommato sopportabili, rende DD un buon RPG in grado di dire la sua in un periodo che poteva dirsi l’epoca aurea dei videogiochi di ruolo.
Peccato che il seguito non abbia mantenuto lo stesso livello. Comunque i Larian avrebbero portato avanti la saga Divinity fino ai risultati che oggi conosciamo, e questo titolo ha dunque l’ulteriore pregio di essere stato il capostipite di RPG di qualità come i due Original Sin.
Non avrei saputo scriverlo meglio, caro Warren!
Se con “seguito” intendi Beyond Divinity, è in realtà più uno spin-off, di cui senz’altro si poteva fare a meno. Il seguito propriamente detto, Divinity II, secondo me non è affatto male, pur con i suoi innegabili problemi (primo tra tutti, paradossalmente, le sezioni “da drago”, le più pubblicizzate).