Dopo ‘soli’ dodici anni di attesa, è arrivato sui nostri monitor il nuovo capitolo della più importante saga di GdR d’azione per computer. Il risultato è senza dubbio degno di nota, pur presentando elementi di innovazione che fanno discutere e che consentono riflessioni ad ampio raggio sullo stato di evoluzione del nostro hobby preferito.
[articolo originariamente pubblicato il 18 luglio 2012]
1. Cos’è un videogioco?
Ripercorrere la storia di una saga tanto nota e tanto discussa come quella di Diablo potrebbe sembrare, in un sito specializzato come questo, vacuo esercizio retorico. Eppure non c’è niente come questa serie, che si deve alla casa di sviluppo californiana Blizzard, senza ombra di dubbio il gruppo di lavoro più ricco e potente di tutta l’industria videoludica mondiale, a stimolare pensieri e approfondimenti su tante problematiche connesse al nostro passatempo preferito. Quando nel lontano 1996 Blizzard fece arrivare sugli scaffali il primo capitolo della serie, il pubblico di appassionati, che peraltro all’epoca era molto diverso da quello attuale (certamente più ‘settario’ e limitato, forse anche più rigoroso nel metro di giudizio), si divise letteralmente in ‘fazioni’. A chi applaudiva gli autori per la capacità di creare un meccanismo ludico che dava immediatamente assuefazione, e che magari poteva avere il piacevole effetto collaterale di avvicinare al genere chi poi avrebbe scoperto anche i GdR ‘veri’, si affiancava chi biasimava la riduzione del gioco di ruolo a mera uccisione di centinaia di mostri, e lo sviluppo del personaggio a semplice distribuzione di punti tra le statistiche o a scelta di equipaggiamento. Questa contrapposizione, che si ripresenta ciclicamente anche quando non ha alcuna ragion d’essere autentica (si vedano le polemiche scatenate dai titoli della serie The Elder Scrolls), tradisce l’esistenza di una sorta di ‘rimozione’ attuata dalla psicologia collettiva degli appassionati, rimozione che gronda ipocrisia da ogni poro.
Andiamo direttamente al nocciolo del problema: molti appassionati sembrano dimenticare che i prodotti su cui spendono le ore e che poi analizzano in ogni dettaglio non sono opere cinematografiche, né opere letterarie, non sono racconti né testi di filosofia e tanto meno manuali di psicologia, bensì sono videogiochi. Il loro scopo principale non è e non deve essere raccontare una storia, né tratteggiare personaggi indimenticabili, e nemmeno, per rimanere nel nostro sotto-genere prediletto, offrire al giocatore la possibilità di ‘interpretare’: il loro scopo principale è metterci in mano un meccanismo ludico che funzioni, una giocabilità che ci rapisca e che ci faccia perdere la cognizione del tempo. Tutto il resto può essere importantissimo, ma è secondario rispetto alla validità e allo spessore del meccanismo ludico: e i prodotti in cui passiamo sopra alle inconsistenze della giocabilità pur di goderci i loro magnifici contenuti (basti pensare a Planescape: Torment) sono, e devono restare, semplici eccezioni. Perché dobbiamo farcene una ragione: il videogioco non è il medium più adatto per ospitare riflessioni ponderose sul senso dell’essere, e più in generale il videogioco non è il medium più adatto per ospitare contenuti profondi. Chi ha come obiettivo principale l’accesso a contenuti profondi farebbe bene a rivolgersi ai media caratterizzati da fruizione passiva, che in quanto tali sono perfetti per ospitare argomentazioni complesse. Le sovrastrutture poste sul meccanismo ludico possono portare la validità di quest’ultimo verso le dimensioni del capolavoro assoluto: ma dal punto di vista architettonico esse devono accettare il ruolo di ‘ancelle’, pena la realizzazione di un prodotto raffazzonato, incapace di condurre i suoi fruitori verso le profondità dei contenuti, che rimarranno inutilizzabili e quindi sostanzialmente inesistenti per gran parte del pubblico.
Quel che fece il primo Diablo fu mettere prepotentemente in primo piano il suo meccanismo ludico perfetto, a scapito di tutto il resto: e anche se il seguito, pubblicato nel 2000, avrebbe intrecciato a questo meccanismo perfetto un parterre di ‘ancelle’ di prim’ordine (ancora oggi i filmati e le atmosfere sono impressi nella memoria degli appassionati), la saga di Diablo è e resta sinonimo di giocabilità pura, talmente pura da risultare stupefacente, nel senso medico che diamo alla parola. Ogni nuovo capitolo ci mette, in un certo senso, con le spalle al muro: se pensavamo di essere appassionati di una nuova e raffinata forma d’arte per le elite, ci tocca rimettere i piedi per terra e accettare il fatto che siamo appassionati, invece, del medium forse più universale, più accessibile e più leggero che esista. Ma forse è proprio da questa leggerezza e da questa universalità che occorre ripartire per fondare una critica che sappia liberarsi da malcelati sensi di colpa e ingombranti manie di grandezza.
2. Angeli e Demoni
La premessa della storia che sorregge la saga di Diablo è nientemeno che l’eterna lotta tra Bene e Male che fa da sfondo a tante mitologie e religioni passate e presenti, in particolare delle cosiddette religioni rivelate, ossia basate su un libro sacro che si presume scritto su ispirazione delle divinità stesse. Da una parte c’è il Paradiso (High Heavens), dall’altro l’Inferno (Burning Hells): gli abitanti del primo, cioè gli Angeli, e gli abitanti del secondo, cioè i Demoni, combattono da sempre gli uni contro gli altri, in un conflitto interminabile che vede continui mutamenti per quel che riguarda lo schieramento in vantaggio, senza che però nessuno di essi prevalga in modo definito.
La creazione del mondo dove si svolge il gioco, che si chiama Sanctuary e che si presenta come la classica ambientazione fantasy medievaleggiante, avviene per iniziativa dell’Arcangelo Inarius, fratello dell’Arcangelo Tyrael, membro dell’Angiris Council, ossia del ‘governo’ del Paradiso, nonché personaggio importante nelle trame dei capitoli della saga (anche e soprattutto in quella del terzo). Inarius è stanco dell’eterna e irrisolta lotta, e decide di creare un mondo dove Angeli e Demoni che lo vogliano possano vivere in pace: questo mondo, Sanctuary appunto, viene nascosto alla vista del Paradiso e dell’Inferno grazie a un potente oggetto magico, chiamato Worldstone. Nella loro tranquilla vita su Sanctuary, Angeli e Demoni iniziano ad accoppiarsi tra loro: il frutto delle loro unioni è una nuova e potente creatura chiamata Nephalem. Vedendo la forza della loro prole, gli Angeli e i Demoni che vivono su Sanctuary rientrano in contatto con la loro vera natura di combattenti, e iniziano a pensare di trasformare i Nephalem nel loro esercito, con cui tentare la conquista definitiva dell’Inferno o del Paradiso. La prima a prendere questa iniziativa è la Demone Lilith, già amante di Inarius: ella si produce nell’efferato tentativo di uccidere tutti gli Angeli e i Demoni viventi su Sanctuary, lasciando vivi solamente i Nephalem e il suo amato Inarius. Quest’ultimo, però, non condivide per nulla i piani della sua amante, e per cercare di fermarli decide di indebolire i Nephalem: è da questo processo di decadimento che nascono gli esseri umani, che non sono altro che i discendenti dei Nephalem.
Nel frattempo, sia l’Inferno sia il Paradiso scoprono l’esistenza di Sanctuary. Inizialmente entrambe le fazioni in lotta cercano di convertire gli umani attraverso la creazione di due differenti religioni; alla fine, però, viene effettuato una sorta di patto di non belligeranza, in base al quale è vietato sia agli Angeli sia ai Demoni intervenire nella vita di Sanctuary, così da lasciare questo mondo libero di svilupparsi per suo conto; viene anche strappata agli esseri umani tutta la memoria del passato, così da evitare che il retaggio possa trascinare Sanctuary nel gorgo dell’eterna lotta.
Ma la natura degli Angeli e dei Demoni non si può cambiare. I tre Prime Evil, cioè i tre Demoni regnanti sull’Inferno, ossia Diablo (Signore del Terrore), Mephisto (Signore dell’Odio) e Baal (Signore della Distruzione), si convincono che l’umanità è la chiave della vittoria definitiva contro le Forze della Luce. Essi quindi sospendono la lotta contro il Paradiso per dedicarsi a nuovi tentativi di influenzare Sanctuary e di spingerlo verso le Tenebre. Ne nasce un conflitto interno all’Inferno: i Lesser Evil, cioè i Demoni minori, che da sempre anelano all’acquisizione del potere infernale, accusano i Prime Evil di star rompendo il patto di non belligeranza, e organizzano una sorta di golpe che culmina nel Dark Exile. I tre Prime Evil vengono imprigionati dentro altrettante soulstone e spediti appunto in esilio a Sanctuary: i Lesser Evil trovano aiuto negli Arcangeli, che naturalmente hanno tutto l’interesse nell’escludere dalla lotta i Demoni più potenti. L’Arcangelo Tyrael decide di fondare un ordine di maghi, chiamati Horadrim, col compito di custodire le pericolose soulstone e di preservare la conoscenza arcana dei fatti che hanno portato alla loro creazione. Inizialmente tutto sembra funzionare a dovere: per secoli le soulstone rimangono ‘dormienti’, tanto che viene presto dimenticata la loro esistenza e che lo stesso ordine degli Horadrim arriva quasi all’estinzione.
Ma i tre Prime Evil lavorano per tornare a combattere: il più potente, Diablo, riesce a corrompere la sua soulstone e a spargere la sua malefica influenza nella cittadina di Tristram, sotto la quale la soulstone stessa è conservata. Prima Diablo riesce a piegare la volontà dell’Arcivescovo Lazarus, poi dello stesso re Leoric, sovrano di Khanduras, già devoto della Religione della Luce; alla fine tutto il territorio attorno a Tristram viene devastato dai demoni rilasciati dal potere di Diablo. Il primo capitolo della saga si svolge proprio a Tristram e soprattutto nei sotterranei della sua cattedrale: il giocatore è chiamato a impersonare un eroe che, grazie anche all’aiuto dell’ultimo degli Horadrim, ossia l’anziano e saggio Deckard Cain, riesce a raggiungere Diablo, ormai liberatosi dalla soulstone, e a sconfiggerlo imprigionandolo nuovamente. Nel filmato finale, l’eroe si conficca nella testa la pietra dove Diablo è rinchiuso: si potrebbe discutere se si tratti della volontà di contenerne l’influenza oppure di un cedimento alla medesima dovuto al progressivo avvicinarsi dell’eroe al demone… fatto sta che presto l’eroe del primo capitolo, chiamato Dark Wanderer, diventa il nuovo avatar di Diablo e quindi il nuovo nemico da sconfiggere nel secondo capitolo della saga che, assieme alla sua espansione Lord of Destruction, vede il giocatore alle prese con tutti e tre i Prime Evil. Ma grazie all’aiuto dell’Arcangelo Tyrael e di Deckard Cain, alla fine tutti e tre vengono nuovamente imprigionati.
Il fimato iniziale di Diablo III mostra il saggio Cain nelle rovine della vecchia cattedrale di Tristram, alla ricerca di nuovi arcani segreti; ad accompagnarlo, la giovane nipote Leah. A un certo punto, comincia una violenta tempesta: il cielo si squarcia e una sorta di enorme ‘stella cadente’ colpisce la cattedrale, lasciando Leah sconvolta e facendo apparentemente scomparire Cain. Da quel momento, i cadaveri seppelliti attorno alla cattedrale cominciano a rianimarsi e ad accanirsi contro gli abitanti di New Tristram, la cittadina sorta a poca distanza dalle rovine della vecchia Tristram; a guidare i non morti, nientemeno che il potente scheletro del vecchio re Leoric, ora denominato Skeleton King. Servono nuovi eroi per tenere a bada i non morti e per scoprire il mistero che si cela dietro la ‘stella cadente’: che l’avventura abbia inizio.
3. Istantanea
Possiamo dire che il primo Diablo ha letteralmente coniato la definizione di GdR action, e d’altro canto anche il secondo capitolo ha stabilito gli standard a cui si sono poi adeguati tutti i concorrenti più o meno espliciti, da Titan Quest a Torchlight; siamo convinti che succederà lo stesso anche per Diablo III, dato che le innovazioni introdotte da Blizzard sulla formula del predecessore sono molto più numerose di quel che sembra a prima vista. Facciamo notare, di passaggio, che la definizione di GdR action applicata a Diablo e ai suoi simili è oggetto di discussione in una parte della comunità: i ‘puristi’, coloro che pensano che il GdR debba essere un gioco che “fa usare il cervello” (come se i giochi Blizzard non lo facessero, tra l’altro), preferiscono etichettare questa tipologia di giochi sotto la dicitura hack&slash. Nell’ambito dell’intrattenimento videoludico, come di tutti i settori nati da poco, le etichette non hanno un gran significato.
In Diablo III, il giocatore controlla un eroe scelto tra una delle cinque classi disponibili, che approfondiremo poi in un apposito excursus. Nella visuale principale di gioco, l’eroe viene sempre mostrato al centro dello schermo, secondo una classica vista isometrica dall’altro (esiste anche una funzione di zoom, ma non è molto utile e serve essenzialmente a ‘scattare foto’ all’eroe e al suo equipaggiamento). L’interfaccia è “punta e clicca”: col clic sinistro si gestisce il movimento del personaggio, nonché le interazioni principali. Quindi cliccando su un personaggio non giocante partirà un dialogo, cliccando su un oggetto lo si raccoglierà e cliccando su un nemico lo si attaccherà con l’arma equipaggiata. Al clic destro può essere assegnato un attacco speciale, mentre vari tasti aprono le schermate dell’inventario, del diario e delle abilità, che peraltro possono essere richiamate anche tramite appositi tasti sulla barra posta in basso nella visuale principale. Queste ultime schermate sono molto classiche e del tutto simili a quelle viste negli altri capitoli della saga, con alcune interessanti novità: tutti gli oggetti occupano due slot, tranne anelli, amuleti e pozioni (che ne occupano uno soltanto); non esistono più le pergamene dell’identificazione e del portale cittadino, dato sia l’identificazione che il teletrasporto in città sono consentiti in ogni momento e senza limitazioni.
Nessuno si sorprenderà se diremo che l’attività principale che si compie in Diablo III è combattere; anche lo svolgimento della trama e l’approfondimento del background, comunque, hanno una loro importanza, almeno nella prima partita (di Diablo III è sicuro che nessuno giocherà una sola partita: dopo vedremo il perché); e anche la ricerca e l’ottimizzazione dell’equipaggiamento restano un comparto essenziale e gratificante. Vediamo tutti questi ambiti nel dettaglio.
4. Il sistema di sviluppo del personaggio
La prima novità importante di cui val la pena trattare è il sistema con cui viene gestita la crescita del personaggio giocante. In Diablo II, ciascuna classe disponeva di un set unico di abilità, organizzate ad albero e divise in tre settori: le abilità di grado più elevato richiedevano un determinato livello, nonché l’apprendimento delle abilità che le precedevano. Il meccanismo, peraltro rivisto più volte nei dettagli dalle patch, impediva la massimizzazione di ogni ambito: era necessario scegliere che tipo di eroe creare e specializzarlo in tal senso, e la forte vocazione multiplayer del titolo rendeva quasi obbligatorio l’attento studio delle varie build, ossia delle possibili modalità di sviluppo di ciascuna classe, almeno per chi avesse avuto l’obiettivo di creare un personaggio ‘competitivo’.
In Diablo III tutto ciò scompare: ciascuna classe ha ancora il suo set unico di abilità, ma queste ultime si sbloccano automaticamente non appena si raggiunge il livello minimo a cui è previsto tale sblocco. Ogni personaggio, dunque, avrà libero accesso a tutte le abilità, senza alcuna necessità di specializzazione e di studio preventivo. Questo, però, non significa che i personaggi della stessa classe saranno tutti uguali: le abilità realmente utilizzabili saranno quelle collocate nella barra di accesso rapido posta in basso nella schermata di gioco principale, e in più ogni abilità può essere migliorata tramite il suo collegamento a una runa. Sarà proprio la combinazione tra abilità e rune e la scelta delle abilità effettivamente attive a rendere ciascun eroe ‘unico’.
La faccenda merita qualche spiegazione ulteriore. Prendiamo come esempio una abilità del Barbaro, chiamata Cleave (fendere, spaccare): questa abilità, sbloccata a livello 3, si concretizza nella possibilità di colpire contemporaneamente tutti i nemici posti a una certa distanza di fronte all’eroe. Il livello 3 rende accessibile l’abilità a livello diciamo ‘minimo’: per utilizzarla, dovremo assegnarla a uno dei tasti rapidi (una abilità di questo tipo va assegnata al tasto di attacco principale, ossia al tasto sinistro del mouse). A livello 8 si sbloccherà la runa Rupture, che fa sì che i nemici colpiti con Cleave esplodano, ferendo anche i nemici vicini. A livello 18 si sblocca la runa Reaping Swing, che aumenta la quantità di Furia accumulata con ogni colpo a segno (la Furia è la forma di energia usata dal Barbaro per le sue abilità; spieghiamo meglio più avanti). A livello 30 si sblocca la runa Scattering Blast, che aggiunge all’abilità un effetto di respingimento. A livello 47 si sblocca la runa Broad Sweep, che aumenta il danno inflitto dall’abilità. A livello 55, infine, si sblocca la runa Gathering Storm, che rallenta i nemici colpiti.
Come si vede, le rune possono cambiare anche profondamente l’effetto di una abilità: e la loro progressione non è sempre un semplice aumento di potenza, configurandosi a volte come un mutamento sostanziale del loro effetto, mutamento che può essere per il meglio o per il peggio a seconda delle circostanze, dello stile di gioco, della sinergia con altre abilità. Se pensiamo che ciascuna abilità può essere collegata solo a una runa per volta, e che in totale ciascun eroe è dotato di più di venti abilità, ciascuna corredata da cinque rune, possiamo concludere che le possibilità di personalizzazione non mancano di certo. Anzi, il sistema è molto ingegnoso perché consente una grande differenziazione tra gli eroi eliminando al contempo la necessità di pianificare lo sviluppo fin dall’inizio, pena magari la costruzione di una build scarsa. Le abilità attive e le rune a esse collegate, infatti, possono essere cambiate in ogni momento: non, però, durante il combattimento, dato che esiste un sistema di blocco temporaneo delle abilità che vengono sostituite; meglio, dunque, dedicarsi alla sistemazione della barra di accesso rapido nei momenti di tranquillità. Discorso a parte meritano le abilità passive: anch’esse si sbloccano tutte col crescere di livello del personaggio, ma potremo ‘attivarne’ solamente un massimo di tre alla volta. Non esistono rune collegate alle abilità passive.
Di default, Diablo III implementa un sistema di razionalizzazione delle abilità. Ciascuna di queste ultime è legata a una determinata categoria, e ciascuna categoria è assegnata a una determinata sezione della barra di accesso rapido. Ad esempio, le abilità di attacco diretto sono generalmente assegnate al tasto principale del mouse, quindi possono essere collocate solo in quella posizione; viceversa, le abilità “difensive” sono solitamente assegnate al tasto 1, quindi possono trovar posto solo in quel tasto. Spulciando tra le opzioni del gioco, però, è possibile attivare la cosiddetta modalità libera, che consente di organizzare la barra di accesso rapido come più ci aggrada. Leggendo certe recensioni, sembra che la modalità libera trasformi Diablo III da un gioco per cerebrolesi a un gioco per fini intellettuali: in realtà la razionalizzazione presente di default è ben fatta e consente di controllare le abilità in maniera più semplice e diretta, senza per questo rinunciare ad alcunché a livello di fruizione globale del titolo.
Nei precedenti capitoli, a ogni passaggio di livello il giocatore poteva anche distribuire alcuni punti tra le caratteristiche di base del personaggio (Forza, Destrezza eccetera); in Diablo III le caratteristiche rimangono, ma crescono automaticamente col crescere di livello e quindi possono essere del tutto trascurate dall’utente (l’interfaccia, infatti, le ‘nasconde’ in una sezione che viene visualizzata solo selezionando l’opzione “dettagli” nella finestra dell’inventario). Le caratteristiche restano comunque l’ambito d’azione più importante degli oggetti magici, quindi una conoscenza basilare del loro funzionamento resta necessaria.
5. Il mondo è online
Analizzare le meccaniche di gioco di Diablo III significa affrontare fin da subito uno dei problemi principali che affliggono il prodotto: ma forse il termine “problema” non è corretto, dato che si tratta, piuttosto, di una discutibile scelta stilistica. Dicevamo sopra che la serie ha una forte vocazione verso il multigiocatore: noi non ci occuperemo approfonditamente di quest’ambito, perché non ci interessa, ma ci tocca comunque parlarne perché la sua implementazione influenza in modo molto più che indiretto tutta la giocabilità del titolo.
Il “problema” è il seguente: Diablo III funziona come un gioco online anche per chi lo utilizza per giocare da solo. È richiesta una connessione a internet continua, stabile e veloce, dato che tutto il mondo viene caricato dal server e praticamente nulla viene salvato sul nostro computer. Questo ha, come si può immaginare, tutta una serie di conseguenze spiacevoli, soprattutto in un paese come l’Italia, che ha ancora molte zone non coperte dall’alta velocità digitale. Ma anche chi è in possesso della linea con tutte le caratteristiche adeguate dovrà rassegnarsi ad alcuni contrattempi: se la linea cade, tutti i progressi non salvati andranno persi (si pensi a cosa può succedere a chi ha scelto di interpretare un personaggio hardcore, cioè destinato a essere cancellato alla prima dipartita); sarà necessario dedicare tutta la linea al gioco, e quindi prima di avviarlo andranno chiusi tutti i programmi che ne fanno uso; se il server è in manutenzione o è sovraffollato, potrebbe essere impossibile accedervi, fattispecie piuttosto frequente durante i primi giorni dopo il lancio.
Blizzard ha spiegato la decisione accampando motivazioni non del tutto trascurabili, concernenti in primo luogo la protezione dei giocatori onesti contro chi, in passato, applicava trucchi e programmi esterni per potenziare il proprio personaggio; e naturalmente non va dimenticato che un sistema basato sulla connessione permanente spazza via ogni tentativo di pirateria. Il problema è che se uno è un onesto giocatore singolo deve farsi carico di problemi che non lo riguardano, e che condizionano pesantemente la sua esperienza di gioco.
Senza contare che la scelta di imporre la connessione permanente ha spinto fino alle estreme conseguenze la generazione casuale delle mappe e degli scenari. Intendiamoci: la serie Diablo ha sempre fatto della generazione casuale un suo cavallo di battaglia. Ma nel primo capitolo, l’intero dungeon sotto la cattedrale di Tristram era creato all’inizio della partita e rimaneva lo stesso fino alla fine della medesima. In Diablo II, succedeva lo stesso, con la differenza che a ogni caricamento i territori venivano ripopolati di mostri e di tesori e che quindi potevano anche essere esplorati più volte. Ebbene, in Diablo III gli unici elementi che restano tra una sessione di gioco e l’altra sono il nostro personaggio e il punto della storia in cui è arrivato: tutto il resto (territori, mappe, mostri, tesori) viene generato casualmente all’inizio di ogni sessione e caricato dal server. Questo significa che quando riprenderemo a giocare ci ritroveremo in un posto completamente diverso da quello che avevamo lasciato, con la spiacevole sensazione di non avere concluso poi tanto nelle ore di gioco precedenti, e di poter andare indifferentemente ‘avanti’ o ‘indietro’, tanto troveremo comunque cose completamente nuove.
Il nuovo sistema di salvataggio è basato sul concetto dei checkpoint: in determinati punti della trama, il server salva il nostro personaggio e il suo avanzamento nella storia; quando vedremo apparire la scritta relativa, quindi, sarà il momento giusto per chiudere la sessione. Il sistema è solo apparentemente simile a quello di Diablo II: là ogni sessione iniziava dall’avamposto pacifico connesso a quell’atto, quindi la cosa importante prima di chiudere era attivare il teletrasporto da cui poi ricominciare l’esplorazione dei territori popolati da creature ostili. I teletrasporti sono ancora presenti in Diablo III, ma hanno perso importanza dato che la sessione non ricomincia dall’avamposto pacifico ma, appunto, dall’ultimo checkpoint. Questi ultimi sono distribuiti con generosità, ma in alcuni momenti ci troveremo nella spiacevole sensazione di essere ‘costretti’ a giocare ancora per non doverci poi sorbire nuovamente un pezzo della storia già sperimentato.
Ribadiamo che tutte queste caratteristiche sono perfettamente sensate se si ragiona nell’ottica del multigiocatore: ma Diablo III continua ad essere giocabile in singolo e anche ad avere alcuni tratti che sono fatti apposta per attirare i giocatori solitari (primo tra tutti la trama forte e ottimamente sceneggiata, di cui parliamo, senza spoiler, più avanti). L’idea di costruire una esperienza che fonda il più possibile la giocata in singolo con la giocata in compagnia è senza dubbio apprezzabile e forse è la strada giusta da percorrere in futuro: ma l’impressione che ci resta dopo decine di ore di gioco solitario in Diablo III è che gli inconvenienti dovuti alla convivenza con l’online siano decisamente troppi.
6. La struttura generale del gioco
La trama di Diablo III è diviso in quattro atti di lunghezza variabile, col quarto significativamente più corto dei tre precedenti. Dal punto di vista delle meccaniche di gioco, ciascun atto si concretizza in un lungo ‘corridoio’ con più o meno diramazioni e con partenza presso un avamposto pacifico: la cittadina di New Tristram nel primo atto, la città di Caldeum nel secondo atto e la fortezza di Bastion nel terzo e nel quarto atto. Negli avamposti pacifici si trovano i personaggi non giocanti con cui interagire sia per far procedere la trama sia per accedere a vari servizi: oltre a numerosi mercanti, che talvolta si incontrano anche nei territori ostili, vi sono un fabbro, un guaritore e un gioielliere. Di tutti questi personaggi parleremo meglio più avanti.
I territori al di là degli avamposti sono naturalmente invasi da creature ostili, che andranno eliminate a suon di combattimenti; questi ultimi verranno interrotti da un ritorno alla civiltà quando lo imporrà il procedere della trama o quando dovremo svuotare l’inventario, vendendo i tesori ai mercanti o depositandoli nello scrigno assegnato al nostro account (e condiviso, quindi, da tutti i nostri eroi).
I momenti cardine della trama sono contrassegnati da sequenze filmate di vario tipo. Le più frequenti sono quelle realizzate col motore grafico del gioco, alle quali assisteremo alla conclusione di quasi ogni missione. Periodicamente, ne vedremo altre realizzate sulla base di evocativi disegni animati e ‘narrate’ dalla voce del nostro eroe (sono diverse, quindi, per ciascuno di loro). Tra un atto e l’altro, nonché all’inizio e alla fine del gioco, assisteremo ai mitici filmati in computer grafica per cui Blizzard è celebrata ormai da molti anni: queste sequenze sono davvero superlative per realismo, confezione, cura dei dettagli, e racchiudono letteralmente anni di lavoro effettuati da una intera divisione, che aveva come unico compito solo la creazione di questi corti. È da particolari come questi, del tutto estranei ai meccanismi ludici e dunque del tutto accessori, che si distingue un buon gioco da un capolavoro.
7. Il combattimento
In Diablo III, ogni attacco corrisponde a una determinata abilità: la soluzione più ovvia sarà dunque assegnare al tasto sinistro del mouse un attacco semplice e ripetibile indefinitamente, e al tasto destro un attacco più forte, da usare contro nemici particolarmente coriacei. Altre quattro abilità, dall’uso magari difensivo o comunque più raro (evocazioni, teletrasporto eccetera) possono essere assegnate ai tasti 1-4. Avanzando nei dungeon o nelle aree aperte (più rare che in Diablo II) ci troveremo a massacrare letteralmente centinaia di demoni, combinando in modo creativo gli attacchi assegnati ai vari tasti. Come nei giochi precedenti della stessa serie, nonché nei vari cloni d’essa creati, il combattimento è veloce e mira all’acquisizione, da parte del giocatore, di una sorta di automatismo vagamente alienante: una esperienza non tanto diversa da quella si prova guidando o andando in bicicletta o anche (a qualcuno sembrerà un’eresia) dedicandosi alla meditazione.
L’aspetto più notevole raggiunto dai combattimenti di Diablo III è forse la sensazione di ‘fisicità’ che li pervade: animazioni, luci e suoni contribuiscono a conferire a essi una parvenza di ‘realismo’ senza precedenti, e l’uso di una abilità piuttosto che di un’altra si traduce non solo in una quantità diversa di danni ma in movimenti ed effetti sonori del tutto unici, che rendono appagante la sperimentazione anche quando questa risulta, a conti fatti, abbastanza fine a se stessa in termini di puro meccanismo ludico.
Ad aumentare questo profondo feedback è anche l’implementazione di un ottimo sistema fisico. Praticamente ogni elemento dello scenario che ha l’aspetto di potersi rompere in seguito a un colpo, lo farà: per esempio gli arredi (sedie, tavoli, armadi), il vasellame, i muri pericolanti. Le inconsistenze ovviamente non mancano, ma resta ammirabile il tentativo, da parte di Blizzard, di far scomparire in ogni modo possibile quella spiacevole sensazione, che spesso ancora si prova, che le creature animate siano come ‘sovrapposte’ alle ambientazioni fisse, senza esserne influenzate se non per mere questioni di spostamento. In Diablo III, mostri ed eroi interagiscono continuamente con gli scenari: vedremo demoni entrare in scena balzando fuori da un crepaccio, altri fuoriuscendo da un tubo, altri ancora calandosi dal soffitto; se proveremo a fuggire da un grosso demone rifugiandoci dietro una porta stretta, lo vedremo distruggere il muro pur di raggiungerci; e se sapremo muoverci con scaltrezza, potremo attirare i nemici vicino a delle trappole (lampadari sul punto di cadere, cumuli di ossa pericolanti) e poi attivare queste ultime con un colpo a distanza ben assestato.
8. L’eroe (quasi) immortale
La gestione della salute dell’eroe in combattimento è un altro ambito in cui Blizzard ha voluto rivedere i meccanismi presenti nei due capitoli precedenti. Nei primi Diablo, tutto ruotava attorno alle pozioni curative: bisognava metterle da parte nei periodi di tranquillità per poi adoperarle con tempismo quando si doveva affrontare qualche nemico particolarmente ostico. Pur se del tutto sensato in teoria, il meccanismo mostrava il fianco all’atto pratico, dato che i combattimenti più difficili si riducevano a un continuo spamming (uso forsennato) delle pozioni curative, senza nessuna strategia particolare dietro.
Il problema è stato risolto con una idea senz’altro degna di nota. Le pozioni esistono ancora, ma quando se ne utilizza una occorre aspettare molto tempo prima di poterne utilizzare un’altra; l’unico altro modo per recuperare punti ferita mentre si attende che passi questo tempo è raccogliere i cosiddetti health globe, ossia dei globi rossi galleggianti che vengono di tanto in tanto ‘rilasciati’ dalle creature ostili. L’attivazione di un health globe è istantanea e avviene semplicemente passandoci sopra o nei pressi: il nostro personaggio riacquisterà all’istante i punti ferita persi.
Questo elemento basta, da solo, a cambiare profondamente l’elemento strategico presente nei combattimenti. È perfettamente inutile essere carichi di pozioni, dato che potremo usarne una o al massimo due in ogni scontro: per il resto, bisogna sfruttare con attenzione gli health globe, avendo cura di individuarli appena compaiono sullo schermo e di attivarli solo nel momento opportuno, senza ‘sprecarli’. Non si tratterà certo di una grande trovata dal punto di vista del realismo o dell’atmosfera, ma come dicevamo nell’introduzione Diablo è da sempre sinonimo di giocabilità pura.
Ai livelli di difficoltà più elevati, ci capiterà prima o poi, nonostante tutto il nostro impegno, di vedere il nostro eroe soccombere davanti alle forze del male. La morte, in Diablo III, è stata resa molto più ‘dolce’ che nei predecessori: in Diablo II, ad esempio, si perdeva tutto l’equipaggiamento ed era necessario accedere al cadavere per recuperarlo. Nel nuovo capitolo, invece, si deve ricominciare dall’ultimo checkpoint, ma senza nessun tipo di perdita, se non la comparsa di una usura alle armi, che può essere facilmente rimossa, visitando un qualunque negoziante, in cambio di poche monete d’oro.
Excursus: le cinque classi giocabili Diablo III offre cinque classi diverse con cui affrontare l’avventura: ciascuna offre uno stile di gioco particolare, e bisogna dire che gli sforzi per differenziare l’esperienza mantenendo al contempo un buon bilanciamento sono stati notevoli. Ogni classe ha un particolare tipo di energia con cui alimenta le abilità: ne parliamo in ciascun riquadro. Le cinque classi sono tutte disponibili in versione maschile o femminile, per un totale di dieci personaggi differenti, ciascuno dotato di un suo doppiatore. |
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Già presente in Diablo II, il Barbaro è il combattente in corpo a corpo per antonomasia, perfetto per i giocatori che vogliono lanciarsi nella mischia e affettare demoni a colpi d’ascia o di martello. Le sue abilità sono alimentate dalla Furia, che si genera mettendo a segno colpi e che si consuma rapidamente se non viene utilizzata. | |
Lo Sciamano ricorda il Negromante di Diablo II, ma con un aspetto meno cadaverico e più folcloristico. La sua specialità è l’evocazione di creature e le maledizioni contro il nemico. Le abilità dello Sciamano sono alimentate dal Mana, energia magica che di default è al massimo e si rigenera abbastanza rapidamente. | |
Il Mago è più o meno l’equivalente dell’Incantatrice di Diablo II, anche se i suoi poteri sono meno virati verso l’elementalismo e più versatili. Le sue abilità sono alimentate dall’Energia Arcana, simile al Mana ma molto più rapida nel ricaricarsi. | |
Il Monaco è un combattente in corpo a corpo che sferra i suoi colpi disarmato o armato con ‘pugni’ di metallo, simile all’Assassina introdotta nell’espansione di Diablo II. Il suo utilizzo necessita di strategia, dato che alcuni colpi generano la sua energia (chiamata Spirito), mentre altri la consumano. | |
Il Cacciatore di Demoni è la classe basata sul combattimento a distanza tramite archi o balestre (può anche impugnare due piccole balestre in entrambe le mani). Le sue abilità sono basate su due energie diverse: l’Odio alimenta quelle aggressive, la Disciplina quelle difensive. |
9. Questa trama l’ho già sentita
La serie Diablo non fa certo della trama il suo punto di forza principale, eppure una parte importante del fascino della saga sta anche nella sua peculiare ambientazione e nella volontà da parte degli autori di tratteggiare in maniera credibile la lotta primordiale tra bene e male, non senza rinunciare a tutti i temi sensibili connessi a questi argomenti. Pur mantenendosi saldamente ancorata alle esigenze della giocabilità, la vicenda narrata da Diablo III non perde occasione per ‘volare alto’ e in alcuni frangenti tocca corde profonde, con un lirismo che appare sempre adeguato e mai sopra le righe. La protagonista della vicenda è Leah, nipote del saggio Horadrim Deckard Cain: il nostro eroe la accompagnerà, con l’aiuto di Cain stesso e dell’Arcangelo Tyrael, verso la scoperta del suo incombente destino, sventando nel mentre i nuovi piani dei Prime Evil, culminanti ovviamente nella volontà perenne di appropriarsi di Sanctuary per adoperare l’umanità come arma da contrapporre alle schiere angeliche. Grazie anche a un parterre di doppiatori di tutto rispetto (la voce di Leah, tanto per fare un esempio, è della grande Jennifer Hale, già Deionarra in Planescape: Torment e la versione femminile di Shepard in Mass Effect), la storia si dipana davanti a noi con grazia e tempismo perfetti, offrendo ai più attenti spunti di riflessione su tematiche quali la natura del bene come opposto del male, la corruzione che quest’ultimo esercita anche su chi lo combatte, l’origine della giustizia e l’impossibilità del giudice di giudicare se stesso. Approfondimenti sui personaggi, sulle vicende e sulle creature demoniache vengono presentati sotto forma di brevi brani di testo interamente doppiati e archiviati all’interno del diario, così da poter essere consultati in ogni momento; il fatto che queste informazioni siano presenti anche in formato audio consente ai giocatori più frenetici di ascoltarle anche durante i combattimenti o le esplorazioni, senza mai perdere il ritmo imposto dalla giocabilità.
C’è però un problema non indifferente connesso alle modalità con cui il gioco stesso ci spinge a fruire di questa trama così interessante e così ben costruita. Il problema si potrebbe sintetizzare così: la curva di crescita del personaggio non è calibrata sulla trama, bensì sulla sommatoria dei diversi livelli di difficoltà, che vanno affrontati in sequenza con lo stesso personaggio per poter accedere alle abilità e alle combinazioni di abilità di alto livello. Cerchiamo di spiegare meglio la faccenda perché questo aspetto è importante e rivela, dal nostro punto di vista, la vera natura di Diablo III come iper-videogioco. Quando creiamo un nuovo personaggio, inizieremo dal primo livello e dovremo per forza selezionare la difficoltà normale, che in realtà è facilissima. Termineremo la storia con un personaggio di livello attorno al trentesimo dopo circa venticinque ore di gioco (molte meno di quelle richieste per portara a termine Diablo II al livello di difficoltà di default, che peraltro era notevolmente più alto). Le abilità più potenti, però, si sbloccano al livello sessanta; questo significa che per portare un personaggio al livello massimo dovremo per forza rigiocare l’avventura più volte con lo stesso eroe, con tutte le ricadute che possiamo immaginare non tanto e non solo a livello di noia (con l’aumentare della difficoltà, aumenta anche il senso di sfida), ma soprattutto a livello di banalizzazione degli eventi narrati.
È evidente che Blizzard ha voluto creare un sistema di crescita dell’eroe lungo e dettagliato, e che la trama, notevolmente ‘compatta’ per il genere di gioco di cui stiamo parlando, non offriva sufficiente respiro per innestarvi all’interno quel sistema di crescita. Il risultato, però, è paradossale: la casa di sviluppo che dedica forse la maggior quantità di risorse alla produzione e al confezionamento delle sue storie e dei suoi personaggi riduce queste storie e questi personaggi a puro e semplice elemento di contorno nel momento in cui mette a punto una giocabilità che prescinde completamente da essi. Ma si tratta di un paradosso che può stupire solo chi non si è ancora convinto di quel che affermavamo nel paragrafo introduttivo: un videogioco è anzitutto meccanismo ludico che cattura l’utente, tutto il resto è pura superfetazione. I creativi di Blizzard sono come i grandi artisti che sono consapevoli allo stesso tempo del loro enorme talento ma anche del ruolo d’intrattenimento e d’evasione che sono costretti a ricoprire, che è come dire dell’insignificanza e dell’impotenza dell’arte di fronte alla tragedia della vita e della storia.
10. Collezionismo e artigianato
Uno dei punti di forza della saga di Diablo e dei suoi cloni è la ricerca e l’accumulo di oggetti magici con cui rendere ancora più potente il nostro eroe. Dato che in questi giochi tutto è generato casualmente, può sempre capitare il colpo di fortuna che ci fa trovare, nell’esplorazione di un certo sotterraneo o dopo la sconfitta di un certo mostro, un oggetto molto raro: i combattimenti della serie Diablo sono quasi come una lotteria, e la volontà di dare una nuova chance alla sorte è uno dei motivi che può spingere l’utente a continuare a giocare. Fu Diablo II a codificare il meccanismo che poi sarebbe diventato classico, basato su un codice di colore diverso sulla base dell’importanza dell’oggetto. In Diablo III gli oggetti grigi sono danneggiati e scarsi, gli oggetti bianchi sono normali, gli oggetti blu sono magici, gli oggetti gialli sono rari, gli oggetti arancioni sono unici e gli oggetti verdi sono parte di un set (se gli oggetti di uno stesso set vengono utilizzati contemporaneamente, la loro potenza aumenta ancora di più).
Anche la gestione degli oggetti, però, risente della particolare calibrazione del livello di difficoltà in rapporto allo svolgimento della trama. Chi si limiterà a sperimentare l’avventura con uno o più personaggi fermandosi al livello di difficoltà normale avrà a che fare solo con oggetti grigi, bianchi, blu e, qualche volta, gialli: le restanti categorie sono appannaggio dei livelli di difficoltà più alti. Anche in questo caso la scelta di Blizzard è comprensibile, eppure ci resta l’impressione che, complessivamente, sia un vero peccato che una fascia così ampia di contenuti (tutte le abilità e gli oggetti di alto livello) debbano essere sfruttate solamente dai nerd disposti a rigiocarsi più volte la stessa avventura col medesimo personaggio pur di portare quest’ultimo ai livelli più alti. Noi ci auguriamo che i prossimi aggiornamenti (come sappiamo, Blizzard è nota per supportare i suoi titoli per anni e anni) possano almeno in parte rimediare a questa lacuna.
Diablo II aveva introdotto una forma molto rudimentale di creazione di oggetti personalizzati attraverso il cosiddetto Cubo Horadrim: in Diablo III artigianato e metallurgia hanno un ruolo ben più vasto, veicolato attraverso due PNG che seguono il nostro eroe nel suo peregrinare, il fabbro e il gioielliere. Il fabbro può ‘smontare’ gli oggetti (da quelli blu in su) per ottenere materie prime, con le quali realizzarne altri; le ricette più elementari sono disponibili di default, in base al livello del fabbro stesso, livello che può essere aumentato dal giocatore ‘investendo’ grosse quantità di denaro; ma gli oggetti più potenti possono essere creati solamente possedendo la relativa ‘ricetta’, che costituisce essa stessa un prezioso tesoro, disponibile solo ai livelli più alti di difficoltà. Il gioielliere può combinare le pietre di livello più basso per crearne altre di livello più alto; anche in questo caso per accedere alle pietre più potenti sarà necessario investire denaro per potenziare le capacità del gioielliere stesso. Le pietre possono essere incastonate in alcuni oggetti per conferir loro nuovi poteri aggiuntivi; il gioielliere può anche toglierle, dietro pagamento di denaro, così da consentirci il riutilizzo.
11. Aste
Una delle novità più singolari introdotte da Diablo III è la casa d’aste per lo scambio di oggetti tra giocatori. Come dicevamo sopra, la scoperta e la collezione di oggetti preziosi è da sempre uno dei punti di forza della serie: in passato, il giocatore che si dedicava al multiplayer poteva scambiarsi i suoi tesori con gli altri in maniera relativamente autonoma, sia nell’interfaccia di gioco sia anche in siti terzi, spesso creati appositamente con questo scopo. Non mancava, naturalmente, chi cercava di lucrarci sopra: spesso questi scambi avvenivano con l’ausilio di soldi reali, con tutte le conseguenze che possiamo immaginare. È proprio per porre un freno a tutto questo, in teoria, che Blizzard ha deciso di implementare un sistema interno al gioco per gestire gli scambi tra giocatori: la casa d’aste, appunto.
Selezionandola dal menu principale, ci verrà chiesto di scegliere tra due differenti modalità: la casa d’aste a monete d’oro o quella a soldi reali. La prima utilizza il denaro virtuale presente nel gioco, e quindi è relativamente inoffensiva; la seconda, invece, utilizza euro sonanti, e quindi richiede molta più cautela. I soldi guadagnati vendendo un pezzo prezioso di equipaggiamento verranno legati al nostro account Blizzard e potranno essere spesi per acquistare giochi o espansioni; se vorremo potremo anche, dietro pagamento di una piccola percentuale, virarli verso il nostro account Paypal, così da poterli spendere al di fuori del sito Blizzard. Su tutte le transazioni, comunque, Blizzard trattiene una qualche percentuale: aspetto che ovviamente ha fatto gridare allo scandalo molti giocatori, che accusano il sistema messo a punto dalla casa d’aste di essere solo un altro modo, per gli autori, di guadagnare denaro sonante.
La questione, secondo noi, va posta in altri termini. L’utilizzo della casa d’aste è del tutto facoltativo, dato che il gioco è perfettamente completabile, anche ai livelli di difficoltà più alti, senza mai utilizzarla. Quindi chi la utilizza non può accampare scuse di alcun tipo: sa a cosa va incontro e lo fa prendendosene tutte le responsabilità. Però: l’esistenza di un ‘mercato’ di oggetti preziosi interno al gioco di stampo decisamente ‘ribassista’, ossia assai parco di oggetti veramente potenti, sembra fatto apposta per spingere i giocatori verso la casa d’aste. Se le possibilità che mi si parano di fronte per avere l’ebbrezza di mettere in mano al mio personaggio un oggetto unico o un set di oggetti unici sono giocarmi la stessa avventura con lo stesso personaggio due o tre volte oppure sganciare qualche euro per evitare la noia di questa ripetizione seriale, è facile che in molti scelgano la seconda opzione. Torniamo a quello che già si diceva sopra: un modo semplice per risolvere molti problemi di Diablo III è rendere più ricchi, dal punto di vista dei tesori, i livelli di difficoltà più bassi.
12. Grafica e sonoro
Nelle prime fasi del suo sviluppo, Diablo III scatenò violenti dibattiti tra gli appassionati a causa del suo stile grafico, che sembrava discostarsi molto da quello dei primi due capitoli. Se quest’ultimo era gotico, buio e dalle prevalenti tonalità horror, il nuovo stile sembrava più ‘cartoonesco’, più vicino a quello di World of Warcraft. Nel corso dei lunghi anni della sua gestazione, il linguaggio grafico scelto dagli autori ha virato direzione più volte: quello che compare nel prodotto finale è senz’altro più colorato e fantasioso di quello visto nei capitoli precedenti, ma a nostro avviso nessuna componente dark è stata per questo sacrificata. Anzi, per certi versi la palette cromatica più ampia mette ancora più in risalto la distruzione e l’orrore causato dall’invasione demoniaca, e le animazioni continuano a mantenere, come tratto caratterizzante, quella esagerazione sanguinolenta che riesce a essere al contempo buffa e spaventevole.
Diablo III ha uno stile grafico semplicemente superlativo: ogni elemento, dalle schermate di gioco ai filmati, dalle animazioni alle semplici finestre dell’interfaccia, riesce a essere allo stesso tempo unico e coerente con tutto il resto. L’aspetto delle città e degli avamposti angelici e demoniaci richiama stili di varie epoche e contesti, fondendoli assieme a un linguaggio fantasy di impronta classica, ottenendo una alchimia caratterizzata da rara originalità. Anche il design delle creature mostra dietro di sé una ricerca estetica non indifferente: in alcuni frangenti, l’affollato coacervo di esseri deformi presente nella visuale generale di gioco ricorda i grandi capolavori dei pittori fiamminghi irrazionalisti, il più famoso dei quali è Hieronymus Bosch.
Anche il sonoro si attesta su livelli decisamente superiori alla media: abbiamo già accennato all’ottimo doppiaggio, ma meritano certamente un plauso anche gli effetti, soprattutto per la loro capacità di veicolare in maniera credibile la natura differente dei vari attacchi, sia quelli tradizionali tramite le armi sia quelli magici.
13. Conclusioni
Dare un giudizio univoco su un prodotto come Diablo III è decisamente complicato. Non si può negare che i problemi ci siano e siano anche di una certa sostanza: l’impostazione ‘tecnica’ scelta dagli sviluppatori, ossia la connessione costante obbligatoria, renderà questo gioco semplicemente impossibile da utilizzare per tante persone, e complicherà la vita a tutti, senza una contropartita tangibile o significativa; la reciproca indipendenza tra la trama e la linea di sviluppo del personaggio renderà quest’ultima in gran parte ignota per tutti i giocatori che amano farsi ‘spingere’ in avanti dalla storia piuttosto che dalla pura e semplice giocabilità. D’altro canto è proprio la giocabilità stessa a essere inattaccabile, per non parlare di tutto il lavoro di produzione e post-produzione, che conferma Blizzard come la casa di sviluppo realmente leader nel campo dell’intrattenimento videoludico su computer. Sarà interessante vedere cosa succederà nei prossimi mesi e anni: per la sua impostazione, Diablo III è un gioco ‘in divenire’, che potrà anche mutare molto in futuro, e che cesserà di esistere quando i suoi sviluppatori smetteranno di supportarlo (ma c’è da scommettere che a quel punto lo trasformeranno in un programma off-line). Quindi staremo a vedere. Nel frattempo, crediamo si tratti al di là di tutto di un acquisto obbligato per tutti gli amanti del GdR digitale, che dovrebbero considerarlo, se non altro, un esercizio filosofico atto a farci tornare in contatto con la pura essenza del nostro hobby preferito: il meccanismo ludico perfetto, che ti fa perdere la cognizione del tempo, che ti fa entrare in trance, che ti stacca dalla realtà immergendoti in una realtà parallela, che ti libera la mente. Il gioco è anzitutto questo.
Tre pregi di Diablo III
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Tre difetti di Diablo III
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Meccanismo ludico perfetto
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Impone una connessione a internet costante, veloce e sicura
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Ambientazione, personaggi, dialoghi, filmati e post-produzione di alto livello
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La trama è breve e termina quando lo sviluppo del personaggio è ancora all’inizio
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Grafica e sonoro da Oscar
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Gli oggetti veramente preziosi si trovano solo ai livelli di difficoltà più alti (o comprandoli all’asta)
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Ciao a tutti! Da qualche giorno sto giocando a Diablo III (dopo aver giocato a 1 e 2 negli anni scorsi, e in attesa di provare anche il 4, vedremo).
Premesso che non è il mio sotto-tipo ideale di GDR, è indubbiamente molto ben fatto, e concordo con i pregi sottolineati da Mosè.
Tuttavia, al livello di difficoltà normale (che scelgo abitualmente per tutti i giochi), mi sembra davvero troppo troppo facile.
Ho scelto il personaggio demon hunter (sono un fan di archi e attacchi a distanza, in questi giochi),
e vado semplicemente in giro uccidendo tutti a suon di click di mouse senza pensare a niente,
non mi sono mai curato dall’inizio del gioco (sfrutto solo i tanti oggetti con proprietà rigenerative della salute),
non sono arrivato vicino non dico a morire, ma neanche ad avere la salute a metà.
Ok, ho completato solo l’atto 1 e magari dopo si fa più tosto, però sono perplesso (fermo restando che nessuno mi vieta di alzare la difficoltà,
questo è vero). Voi che ne pensate?
Ciao Emanuele!
Hai decisamente ragione: io la mia ultima partita a Diablo III l’ho fatta con il livello di difficoltà al massimo selezionabile, se non ricordo male. Il livello normale è del tutto privo di sfida, e un minimo di sfida in un gioco come questo ci vuole. Pensa tra l’altro che inizialmente per poter sbloccare i livelli di difficoltà più alti bisognava per forza finire il gioco ai livelli più bassi: poi a un certo punto hanno rimosso questa limitazione. Diablo IV da questo punto di vista è molto meglio: il livello di difficoltà normale è ‘giusto’, nelle mie live sono già morto diverse volte contro alcuni boss. Penso che tu possa alzare liberamente il livello di difficoltà anche durante la partita: o mi sbaglio?
Ciao Mosè, sì la difficoltà si può aumentare anche durante la partita, ho provveduto. Grazie!