Lo spin off del notevole Divine Divinity purtroppo non è all’altezza delle aspettative.
[articolo originariamente pubblicato il 20 maggio 2005]
1. Un ottimo esordio
Quando qualche anno fa il gioco di ruolo Divine Divinity presentò al mondo la casa di sviluppo Larian, molti appassionati (fra cui il sottoscritto) furono davvero entusiasti: il gioco, superficialmente piuttosto simile all’action Diablo di Blizzard, in realtà presentava una libertà d’azione e una originalità nella costruzione delle quest e nella gestione del racconto parecchio notevole. La trama, a dire il vero, era piuttosto banale: il nostro personaggio era il solito eroe predestinato a sconfiggere il male che minaccia il mondo. Però il modo in cui la storia si dipanava intrecciandosi alle quest minori e soprattutto il modo in cui l’area di gioco era costruita, con ampi boschi alternati a paesini e città, aperta fin dall’inizio all’esplorazione più ardita, dava alla vicenda un tono epico e realistico che a tratti ricordava il capolavoro Bioware Baldur’s Gate.
Larian è al lavoro da diversi anni ormai sul seguito di Divine Divinity, che userà un motore di gioco tridimensionale completamente nuovo; nel frattempo però pareva brutto buttare alle ortiche un motore che tante soddisfazioni aveva dato ai suoi prima quasi sconosciuti autori: ecco che allora è spuntata l’idea di realizzare uno ‘spin-off’, cioè un titolo che non fosse un vero e proprio seguito ma un gioco a sé stante che utilizzasse la stessa ambientazione e desse vita a una storia sviluppantesi parallelamente a quella del gioco vero e proprio.
Così è nato Beyond Divinity, il GdR di cui ora ci accingiamo a parlare; protagonista di questo gioco, che durante lo sviluppo era chiamato Riftrunner, titolo cambiato in seguito evidentemente per ragioni di marketing, non è il ‘Divine One’ protagonista di Divine Divinity ma un suo discepolo, uno degli appartenenti all’ordine di maghi-guerrieri creato dal salvatore del mondo per combattere ciò che restava dell’ordine negromantico alla base delle vicissitudini del gioco originale. Durante un combattimento con un negromante particolarmente abile, il nostro nuovo eroe è stato intrappolato in una sorta di ‘prigione planare’ da cui deve fuggire assolutamente; a complicare le cose, il nostro si trova ‘soul-forged’, cioè legato indissolubilmente, a un cavaliere della morte, uno dei nemici più forti che il Divine One si trovò ad affrontare nelle ultime fasi di Divine Divinity. Nonostante l’odio reciproco, i due sono costretti a collaborare: l’incantesimo che li tiene uniti prevede che, in caso uno dei due soccomba, anche all’altro tocchi la stessa sorte. Comincia così un periglioso viaggio a due che condurrà l’improbabile coppia all’interno delle più svariate ambientazioni e in contatto con le creature più strane, fino, si spera, alla liberazione finale.
2. La gestione del personaggio è tutta nuova
Divine Divinity prevedeva una semplice scelta iniziale fra tre diverse ‘classi’, ma durante la partita ciascuna di esse poteva scegliere di migliorare in qualunque abilità e quindi la classe non determinava altro che la condizione di partenza (nonché l’attribuzione di una ‘abilità esclusiva’, comunque non critica). Questa cosa è rimasta in Beyond Divinity, ma le modalità attraverso cui le abilità migliorano è cambiata completamente. Ora non esistono più le abilità già pronte ‘alla Diablo‘ come in Divine Divinity: lì si otteneva ad ogni passaggio di livello un punto di abilità (oltre ai cinque punti-caratteristica con cui aumentare le caratteristiche base del personaggio: quelli ci sono ancora) che poteva essere investito in una abilità precisa, che diventava accessibile all’uso o, se era già tale, più efficace; l’accesso alle abilità non era limitato dalla classe, come già detto sopra, ma solamente dal livello: le abilità più potenti erano destinate a personaggio di livello alto.
In Beyond Divinity invece funziona in questo modo: ad ogni passaggio di livello si ottiene un punto abilità, che può essere usato per ‘creare’ un’abilità o per migliorarne una già creata. Una abilità si ‘crea’ scegliendo l’effetto che essa deve provocare fra una lista di effetti disponibili: si va dall’aumentare il danno provocato da un certo tipo di arma, all’evocazione di un proiettile di energia elementale, alla possibilità di scassinare le serrature. Gli effetti possono essere combinati fra loro, a patto che appartengono alla medesima specializzazione: si può, per esempio, creare un proiettile di energia elementale che faccia contemporaneamente danno da fuoco, da aria e da acqua (sarà necessario, prima, aver ‘risparmiato’ tre punti abilità).
Detto così sembra che il nuovo sistema consenta una maggiore personalizzazione, e in effetti è così. Ma raccontare non è come sperimentare concretamente: in realtà, il vecchio sistema era più semplicistico ma anche dannatamente più efficace. Anzitutto, c’è un problema di atmosfera: in Divine Divinity, ogni abilità aveva una sua ‘identità’ e impararla dava l’impressione di aver fatto un autentico passo in avanti nello sviluppo del nostro eroe; ora il passaggio di livello comporta la modifica di una interminabile serie di elenchi dove occorre trovare il posto giusto su cui cliccare sul segno ‘più’, senza che poi l’esperienza di gioco ne risenta in maniera diretta. La tabella attraverso cui si gestisce la creazione/crescita delle abilità è fredda, anonima e confusa; pensate che il giocatore deve perfino scegliere l’icona relativa alla abilità creata, e può sceglierla liberamente all’interno di un elenco (peraltro poco fantasioso) senza che il gioco ponga limitazione alcuna (in pratica posso scegliere un’icona con sopra una palla di fuoco per rappresentare una abilità che aumenta il danno fatto con la spada).
L’impressione che resta alla fine del procedimento è quella di essere stati posti di fronte a una scelta solo fintamente ampia: in realtà i percorsi disponibili realmente differenziati sono pochi. Il guerriero potenzierà l’uso delle armi, il mago si creerà qualche incantesimo, a distanza o ravvicinato, punto. Emblematico riguardo all’inutile complicazione di questo sistema è secondo me il miglioramento nell’uso delle armi: ogni volta che si vuole investire un punto abilità in questo, il gioco ci pone di fronte a una lista interminabile di opzioni modificabili. Possiamo scegliere di aumentare l’accuratezza dell’arma, il danno, la durabilità, la possibilità di realizzare colpi critici, la possibilità di realizzare ‘colpi mortali’, e questo per ogni tipo di arma. E questo porta al secondo problema di questo sistema: il bilanciamento. Cosa sarà meglio aumentare? Il manuale e il gioco sono piuttosto parchi di informazioni a riguardo: probabilmente i giocatori sceglieranno a caso. Meglio continuare ad aumentare il danno o aumentare anche un po’ l’accuratezza dei colpi? Sembra quasi che, mettendoci a disposizione tutte queste opzioni, i programmatori abbiano voluto scaricare sui giocatori la responsabilità di dar vita a combattimenti bilanciati e divertenti. La mia impressione è che Larian abbia equivocato completamente chi chiedeva un sistema di gestione del personaggio più approfondito che in Divine Divinity: più approfondito non vuol dire necessariamente più ‘pieno di numeri da modificare’. Giochi come Gothic insegnano che è molto meglio avere poche abilità ben differenziate e ben sfruttabili piuttosto che una miriade di variabili dall’influenza aleatoria sul gioco vero e proprio; anche perché in Beyond Divinity ciascun valore può essere aumentato o diminuito talmente tanto che alla fine il giocatore si adagerà supinamente sull’aumento continuo di qualche abilità passiva, con tanti saluti alle ‘miriadi di possibilità’ offerte da questo sistema.
3. Due al prezzo di uno
Il motore di gioco di Divine Divinity era pensato per un unico personaggio giocante: in Beyond Divinity, invece, i personaggi giocanti sono due, l’eroe vero e proprio e il suo strano compagno, il cavaliere della morte. Anzi, qualche volta i personaggi giocanti sono anche più di due, perché esiste un gruppo di abiità chiamato ‘summoning dolls’ (letteralmente ‘bambole dell’evocazione’) che consente di dar vita a creature che aiuteranno la nostra coppia durante i combattimenti. Sia il cavaliere della morte sia la creatura evocata (se ne può evocare solo una per volta) possono essere controllati direttamente, come si controlla l’eroe: basta selezionarli, o uno per volta o tutti assieme, e dar loro gli ordini da eseguire. C’è anche una specie di ‘pausa attiva’ alla Baldur’s Gate: durante la pausa, infatti, è possibile dar ordini che poi saranno eseguiti successivamente.
Tutto a posto? Purtroppo, no. Il sistema non funziona affatto perché il motore di gioco mostra di essere stato creato in tutto e per tutto per gestire un solo personaggio. Il combattimento di Divine Divinity non era la conversione, basata sul ricorrersi di ’round’ di una durata prefissata, di un regolamento cartaceo, com’era il combattimento di Baldur’s Gate o com’è il combattimento di Neverwinter Nights: era un combattimento ‘action’ alla Diablo, dove la rapidità di mano aveva un certo peso. Il combattimento ‘action’ è basato sulla completa immedesimazione (anche ‘fisica’) del giocatore col suo personaggio: ma come può esserci completa immedesimazione se devo controllare simultaneamente i movimenti di due o più personaggi? I giochi basati su un party non possono essere giochi ‘action’, e questo per le limitazioni intrinseche nel concetto stesso di ‘action’.
Nell’elaborare il sistema di gioco per Beyond Divinity, Larian ha voluto unire capre e cavoli, e le conseguenze di questa scelta nefasta si vedono tutte. I combattimenti sono una somma di frenetici tentativi di capire cosa far fare a chi, cliccando continuamente sul ritratto di uno o sul ritratto dell’altro per passare con rapidità dal controllo di uno al controllo dell’altro; la pausa non serve a nulla (ve la immaginate la pausa attiva in Diablo?) se non per far bere qualche pozione prima che sia troppo tardi; non v’è traccia (e non può esservi traccia) di strategia preventiva. In più, il fatto che il motore di gioco sia stato pensato per un solo personaggio crea tutta una serie di inconvenienti anche non immediatamente legati al combattimento. Esempio: durante l’esplorazione, l’eroe tenderà a mettersi sempre davanti al cavaliere della morte; molti giocatori, però, avranno specializzato il cavaliere nel combattimento corpo a corpo (anche visivamente sembra il più adatto fra i due a fare da ‘tank’) e magari quindi l’eroe sarà specializzato nella magia. L’eroe però starà ‘davanti’ comunque, col risultato di renderlo estremamente vulnerabile agli attacchi nemici. Purtroppo il problema è insolubile, visto che la possibilità di scegliere una formazione non è contemplata. E questo è solo uno dei problemi creati da questa incomprensibile scelta di mettere un party dentro un motore di gioco creato e pensato per un solo personaggio.
4. Da uno a quattro mondi
Dicevo sopra che uno dei punti di forza di Divine Divinity era la sapiente costruzione del mondo di gioco, un mondo continuo, coerente e dettagliato, esplorabile completamente fin dalle prime fasi della partita. Ebbene, l’impostazione del mondo di Beyond Divinity è completamente diversa. E’ la trama stessa a suggerirci la variazione: ora il nostro eroe è imprigionato e deve liberarsi, e questo tentativo di liberazione lo ‘perseguita’ durante tutta la partita. Il gioco inizia dentro una prigione dall’aspetto infernale: tutto il primo atto (moltissime ore di gioco) viene trascorso dentro questa prigione. Perché adesso il gioco è diviso in ‘atti’: non c’è più un unico mondo a far da sfondo a tutte le fasi della partita, ma quattro ambientazioni peculiari destinate ciascuna a uno dei quattro atti di cui il gioco è composto. Un po’ come succede in Neverwinter Nights: infatti anche qui una volta finito un atto il relativo ‘mondo’ non è più accessibile. Un passo indietro notevolissimo, secondo noi: ma visto il prolificare di questo schema, forse è pieno di appassionati amanti del gioco di ruolo costruito per ‘compartimenti stagni’.
Il problema però nel caso di Beyond Divinity non è solo questo: è che ogni atto, in fondo, è costruito in maniera simile agli altri. In ogni atto lo scopo è scappare da lì, e scappando da lì si arriva all’atto successivo, dal quale si dovrà di nuovo scappare. La mia impressione è stata di essere in una versione più elaborata del dungeon di Irenicus, dove però sul più bello che si raggiunge Athkatla la partita finisce (chi ha giocato a Baldur’s Gate II sa di cosa parlo). Insomma, non il massimo della soddisfazione videoludica. Anche perché la storia che fa da sfondo ai nostri tentativi di fuga stenta a prendere il volo; o meglio, prende il volo troppo tardi, più o meno alla metà del terzo atto, quando molti giocatori avranno già alzato bandiera bianca da un bel pezzo. Ci sarebbe poi da ridire anche riguardo all’organizzazione interna dei vari atti: c’è quasi sempre una strada obbligata da seguire, e spesso questa strada è costellata di enigmi e puzzle da risolvere davvero insopportabili per l’amante vero del gioco di ruolo. Tocca armarsi di santa pazienza e cominciare ad armeggiare con levette e casse di legno per aprire la porta X che non vuole saperne di aprirsi normalmente, o per arrivare dal punto A al punto B fra i quali guarda caso c’è un muro invalicabile. Viene da pensare: ma com’è che i cattivoni dei giochi di ruolo sono sempre così amanti dell’enigmistica da costruire i loro dungeon come se fossero labirinti o cruciverba?
5. E se quattro non bastassero…
Una delle innovazioni di Beyond Divinity (rispetto a Divine Divinity) su cui il manuale insiste di più è l’introduzione dei cosiddetti ‘battlefield’, letteralmente ‘campi di battaglia’. In ciascuno dei quattro atti a un certo punto il nostro personaggio incapperà in una specie di ‘chiave’ che, se attivata, teletrasporterà eroe e cavaliere della morte in una specie di mondo parallelo, il ‘battlefield’ appunto, dove scorrazzare liberamente per fare un po’ di esperienza supplementare. Ci sono quattro battlefield diversi, uno per ogni atto, ma la differenza fra loro è solo estetica: in realtà sono costruiti nello stesso modo. Al centro, nel punto in cui il nostro personaggio ‘arriva’ nel mondo parallelo, ci sono quattro o cinque mercanti che sono contemporaneamente anche ‘quest-giver’, cioè datori di missioni, sempre banalissime (recuperare un oggetto o uccidere una creatura). Le missioni dateci dai mercanti possono essere risolte attraverso l’esplorazione di un dungeon molto ampio e anche molto monotono. Complessivamente, ogni battlefield ricorda la struttura del primo Diablo, senza però riprodurne minimamente l’atmosfera e, in genere, il senso.
Questi ‘mondi paralleli’ sono un’aggiunta totalmente avulsa, inconsistente, incoerente: non fanno altro che rompere il già zoppicante ritmo del gioco, lasciando nella mente del giocatore un sacco di domande irrisolte (perché esistono questi mondi paralleli? Chi li ha fatti? E perché quelle quattro/cinque persone stanno sempre lì ferme a vendere roba se a parte i mostri non c’è nessuno?) Qualcuno dirà: non c’è semplicemente la possibilità di ignorarli? Sì e no. Nel senso che volendo è possibile ignorarli e andare avanti col gioco, ma l’esperienza offerta dai combattimenti extra è troppo allettante e può fare la differenza anche nel prosieguo del gioco vero e proprio. In altre parole: teoricamente l’accesso ai battlefields è facoltativo, praticamente chi non ci va affronterà un gioco molto più difficile per via del mancato apporto di esperienza. Insomma, il mondo di gioco, già terribilmente frammentato dalla peculiarità dell’ambientazione, lo è ulteriormente per via di questa bizzarra aggiunta dei ‘mondi paralleli’.
6. Qualcosa di buono ci sarà?
Tecnicamente, Beyond Divinity è adeguato. Niente fa gridare al miracolo: le mappe sono prerenderizzate in 2D, i personaggi invece sono tridimensionali. C’è uno zoom, peraltro totalmente inutile. Le opzioni scalabili non sono tante, e va segnalata la mancanza della risoluzione 1280×1024, che è la risoluzione standard per i monitor lcd a 17 pollici: è possibile ottenerla seguendo una procedura che ho scoperto bazzicando i forum ufficiali, ma è necessario mettere le mani nel registro del gioco. A mio avviso è una mancanza piuttosto grave. Il sonoro invece è decisamente di qualità. Intanto le musiche sono epiche, coinvolgenti e a tratti semplicemente meravigliose, come del resto già era in Divine Divinity (infatti alcune tracce sono state riutilizzate). Poi gli effetti sonori sono molto azzeccati, e soprattutto i dialoghi sono interamente doppiati con una recitazione di buona qualità. Un’altra caratteristica sicuramente positiva del gioco è la ‘cultura videoludica’ esibita dagli sviluppatori tramite citazioni ed eleganti parodie di grandi giochi del passato. In genere, tutta la vicenda è intrisa di un senso di ironia molto sottile: lo stesso cavaliere della morte, che spesso interviene nei dialoghi con i PnG, pare tratteggiato in modo da impersonare in maniera quasi parossistica lo stereotipo del ‘cattivo a tutti i costi’, col risultato di sembrare spesso più ridicolo che veramente spaventevole.
7. Conclusioni
Parrà esagerato, ma vista la premessa costituita da Divine Divinity sembra quasi impossibile che dietro Beyond Divinity ci siano gli stessi sviluppatori. Certo, qualche punto di contatto c’è: le musiche e l’ironia, per esempio. Però la filosofia di gioco è radicalmente cambiata. Non sappiamo che rapporto ci sia stato fra gli sviluppatori e i fan di Divine Divinity, ma a vedere Beyond Divinity sembra che i Larian siano stati subissati di critiche: anche nel mondo dell’intrattenimento elettronico infatti il detto “squadra che vince non si cambia” è validissimo, e infatti un gioco di successo viene spesso riproposto in chiave di seguito variando pochissimi elementi (e non sempre dagli stessi sviluppatori, tra l’altro). In Beyond Divinity invece è cambiato tutto, e la cosa paradossale è che la direzione di questi cambiamenti dispiacerà proprio ai fan più entusiasti di Divine Divinity. Che sia stata una ardita sperimentazione da parte degli sviluppatori? Difficile dirlo. Io da parte mia spero che nel loro prossimo gioco i Larian tornino in sé e ricomincino a occuparsi del genere che li ha portati al successo, che è sicuramente quello in cui sono più abili: il GdR basato sulla libera esplorazione di un mondo vasto e coerente.
Tre pregi di Beyond Divinity | Tre difetti di Beyond Divinity |
Colonna sonora di alta qualità | Inutilmente arzigogolato |
Tutti i dialoghi sono doppiati | Ambientazioni discontinue e ‘a senso unico’ |
Ironico e ricco di citazioni | Pieno di fastidiose inconsistenze |