1. Premessa
In un sito che si occupa di giochi di ruolo, si dovrebbe forse dare per scontato che tutti i visitatori sappiano di cosa si sta parlando e quindi cosa sia un gioco di ruolo. Il problema è che definire questo genere di intrattenimento, soprattutto nella sua incarnazione videoludica, è piuttosto problematico. Tanto che nei gruppi di discussione appositi e fra gli appassionati nascono continuamente dibattiti sul tema, spesso scatenati dall’ultimo gioco uscito, che si fregerebbe immeritatamente dell’etichetta del GdR. In questa sezione non intendo affatto dire l’ultima parola sul problema, anche perché non ce l’ho; intendo invece esprimere il mio punto di vista a riguardo. Prima proverò a dare una interpretazione generale, poi a scendere più nel dettaglio e infine a delineare due modi diversi di intendere il GdR.
2. Definizione minima
La prima cosa da sottolineare è che il gioco di ruolo non nasce per il computer: questo tipo di intrattenimento nasce per essere giocato ‘dal vivo’, tra giocatori in carne e ossa. Esistono molti sistemi di regolamento che spiegano come si svolge un gioco di ruolo, ma tutti hanno dei punti più o meno in comune. In un GdR, ciascun giocatore impersona un personaggio immaginario. Questo personaggio può essere di una particolare razza, reale o fantastica, e può essere caratterizzato da determinati tratti quali le caratteristiche fisiche e mentali, la professione e l’addestramento ricevuto (la cosiddetta ‘classe’), l’equipaggiamento e così via. Compito del giocatore che interpreta il personaggio è farlo ‘vivere’ e agire all’interno di un contesto dato: in un gioco di ruolo il giocatore assume, appunto, un ‘ruolo’, e si comporta (o meglio fa comportare il suo personaggio) di conseguenza. Alcuni in passato hanno paragonato il gioco di ruolo al teatro, ed effettivamente ci sono molte vicinanze; c’è anche però l’importante differenza che il teatro prevede un copione di solito preciso fin nei dettagli, mentre in un GdR si parte da un generico canovaccio ed è assolutamente imprevedibile la direzione che prenderanno gli eventi una volta iniziata la storia (almeno in teoria, vedi sotto); inoltre, in un GdR la componente intellettiva ha la meglio su quella realistico/fisica, al punto che non è necessario rappresentare visivamente o sonoramente gli eventi, è sufficiente ‘raccontarli’ ai presenti. Molti GdR prevedono che uno dei giocatori coinvolti abbia un compito speciale rispetto agli altri: egli dovrebbe ricoprire i panni del ‘master’, cioè di colui che tira le fila della partita decidendo gli esiti delle azioni, descrivendo i luoghi che i personaggi si trovano davanti e interpretando tutti i ‘personaggi non giocanti’ (PNG) cioè tutti quei personaggi che agiscono attorno ai protagonisti. Il master può essere anche l’autore dell’ambientazione e/o della storia proposta agli altri giocatori, e in ogni caso è l’unico che deve conoscere nei dettagli il sistema di regole. In realtà queste ultime servono, di solito, solamente per valutare l’esito dei combattimenti nonché di tutte quelle azioni dai risultati incerti (come tentare di saltare un fossato o di persuadere un personaggio non giocante); resta comunque inteso che il master può riservarsi la possibilità di bypassare le regole se ne vede l’opportunità; in questo senso, il gioco di ruolo è l’unico gioco di società in cui le regole possono essere stravolte o ignorate tranquillamente senza scatenare proteste da parte di qualcuna delle persone coinvolte. Lo scopo di un giocatore nell’affrontare una sessione di GdR, infatti, non è quello di ‘vincere’, ma quello di contribuire a costruire una bella storia, facendo nel frattempo ‘crescere’ il suo personaggio. Caratteristica fondamentale di un personaggio giocante di un GdR, infatti, è quella di migliorare progressivamente le sue abilità col prosieguo delle sue avventure; alcuni set di regolamento prevedono l’assegnazione a ciascun personaggio di ‘punti esperienza’ dopo il completamento di qualche azione, e il ‘passaggio di livello’ del personaggio dopo il raggiungimento di un certo quantitativo di punti esperienza; altri invece prevedono sistemi di avanzamento delle abilità basati sul loro utilizzo. In ogni caso, punto focale di ogni esperienza di GdR è la costruzione del proprio personaggio, che non avviene solamente all’inizio del gioco ma durante tutta la sua durata, creando così creature immaginarie che sono in qualche modo segnate dalle esperienze vissute nella fantasia dei giocatori.
3. Equivoci collegati alla definizione minima
Esistono moltissimi modi di ‘condurre’ una partita di GdR: si può costruire una vicenda basata sul dialogo, oppure su sequenze di combattimento contro avversari sempre più pericolosi, o ancora sulla ricerca di un qualche artefatto. L’unico limite è la fantasia dei giocatori e del master; in ogni caso, però, non si può prescindere dalla presenza di almeno un personaggio ‘giocante’, cioè di un personaggio gestito da un giocatore, che ne interpreta il ruolo all’interno di una storia, nonché dalla possibilità di personalizzarne la creazione e/o la crescita di tale personaggio. La presenza di almeno un personaggio ‘giocante’ e ‘personalizzabile’ è dunque il più importante tratto che accomuna tutti i GdR, e in base a questo tratto potremmo costruire la prima definizione di gioco di ruolo, la più ‘estensiva’: è gioco di ruolo qualunque gioco in cui uno o più partecipanti assumono i panni di un personaggio immaginario (o anche di un piccolo gruppo di personaggi immaginari) e ne gestiscono la caratterizzazione, dal momento della creazione ai momenti di crescita successivi, o anche solo per un certo periodo della ‘vita immaginaria’ dei personaggi in questione. Questa definizione, come si vede, prescinde da qualsiasi valutazione sugli elementi che dovrebbero caratterizzare lo svolgimento concreto di un gioco di ruolo: che vi siano più combattimenti o più dialoghi non ha la minima importanza, finché c’è un giocatore che gestisce un personaggio immaginario diversamente plasmabile all’interno di un mondo plausibile. Trasferendoci dal cartaceo al digitale, adoperando questa definizione possiamo unire in una unica categoria giochi anche diversissimi, da Diablo (incentrato sull’azione) a Planescape: Torment (svolto quasi esclusivamente attraverso dialoghi). È infatti quello che viene fatto quotidianamente dalle riviste e dai siti specializzati, anche se spesso il termine ‘gdr’ senza altri attributi viene adoperato solo per giochi più vicini a Torment, mentre per giochi più vicini a Diablo si usa accostare al termine GdR il termine action, proprio a indicare la preponderanza dell’azione. La cosa dà fastidio a molti videogiocatori, in particolare a molti videogiocatori amanti del GdR ‘dialogico’, che sentono come una sorta di insulto che al loro gioco preferito venga accostato un gioco come Diablo. Trovo che tale atteggiamento sia piuttosto rigido e ‘letteralista’: è un po’ come se un amante di Carducci si arrabbiasse perché il termine ‘poeta’ viene usato anche per Baudelaire. I nomi generici servono solamente a indicare delle categorie di entità che hanno qualcosa in comune; Diablo e Torment hanno qualcosa in comune, e precisamente il fatto che in entrambi esiste la possibilità di assumere i panni di un alter-ego personalizzabile. A conti fatti, quindi, non è poi così scandaloso che si adoperi il medesimo termine per ‘categorizzarli’.
4. Essenza dell’interpretare
Cerchiamo di andare un po’ oltre questa prima, genericissima definizione di GdR. Nelle righe soprastanti, ricorre spesso la parola ‘interpretazione’: il gioco di ruolo cartaceo, infatti, si incardina su questo concetto, che può essere altresì espresso come la separazione fra giocatore e personaggio. Se io ‘interpreto’ qualcun altro, significa che c’è separazione netta fra me e quello che interpreto: siamo due ‘cose’ diverse. Io posso essere forte e lui debole, io timido e lui estroverso, io giovane e lui vecchio e così via. Questo non significa che io non possa interpretare un personaggio simile o identico a me (anzi, per molti giocatori di ruolo è naturale creare personaggi a loro somiglianti), ma anche se io e il mio personaggio siamo identici, restiamo due entità distinte e separate. In un gdr cartaceo, l’esito di un combattimento si determina di solito in base a tiri di dado, modificati in base alle caratteristiche del personaggio e non a quelle del giocatore: a nessun master verrebbe in mente di farmi fisicamente ‘prendere la mira’ contro un nemico, anche perché di solito il nemico esiste solo nella fantasia dei giocatori e non è nemmeno rappresentato simbolicamente. A pensarci bene, il fatto che le mie caratteristiche e i miei difetti siano del tutto scollegati all’esito delle avventure vissute dal mio personaggio è l’elemento di maggior fascino di un gioco di ruolo, dove l’attività intellettuale non trova alcun ostacolo ‘fisico’ e ci permette di immaginare qualunque cosa a dispetto di tutto. Non si pensi che la faccenda sia relegata ai fiabeschi ambiti della ‘fantasia’: potremmo anzi dire che, essendo liberati dalle necessità con cui dobbiamo fare i conti nella vita di tutti i giorni, dentro un gioco di ruolo possiamo far emergere il nostro vero ‘ego’, la nostra vera personalità. Più ancora che in una recita teatrale, dove comunque occorre fare i conti con la nostra ‘fisicità’, in un gioco di ruolo siamo totalmente liberi di essere ciò che dobbiamo/vogliamo essere. Spostandoci ancora una volta dal cartaceo al digitale, ci accorgiamo presto che questa ‘separazione’ non è sempre concretizzata sullo schermo del computer; come dicevamo sopra, in molti giochi di ruolo è presente una componente ‘action’. Con questo termine si indica che è richiesta al giocatore una partecipazione attiva non solo in termini intellettuali ma anche in termini ‘fisici’: senza una certa dose di riflessi e tempismo risulta piuttosto arduo andare avanti in Diablo come in Gothic. Potremmo porre questa ‘richiesta’, anomala da fare a un giocatore di ruolo, come primo punto attraverso cui arrivare a una definizione più accurata di gioco di ruolo per computer: è più gioco di ruolo il gioco che richiede meno partecipazione fisica, e quindi il gioco che ha meno elementi ‘action’. Attenzione però: molti tendono a togliere l’etichetta di gioco di ruolo al gioco che ha molti combattimenti, ma qui non si sta affatto dicendo questo. La quantità di combattimenti presenti è irrilevante, conta invece come questi sono implementati: un gioco avere tantissimi combattimenti e non essere affatto ‘action’, se il combattimento è gestito in modo ‘ruolistico’, cioè senza richieste ‘fisiche’ al giocatore (come, ad esempio, nei giochi in cui si combatte a turni o con la ‘pausa attiva’ alla Baldur’s Gate).
5. Equivoci collegati all’interpretazione
La questione della separazione fra giocatore e personaggio sembra semplice da individuare e da realizzare, ma non è così: a volte la sua applicazione provoca qualche paradosso. Basti pensare, ad esempio, alla gestione degli enigmi: molti master (e molti programmatori nel caso dei GdR digitali), per rendere il gioco più interessante, mettono i personaggi di fronte a enigmi e misteri da risolvere. In realtà, però, la risoluzione degli enigmi è richiesta al giocatore e non al personaggio. La domanda da porsi a questo punto è: e se io, che magari non riesco a venire a capo di un enigma, volessi interpretare un personaggio intelligentissimo, in grado di risolverlo in un attimo? Se davvero ci deve essere separazione fra giocatore e personaggio, ci si deve basare solo ed esclusivamente sulle caratteristiche di quest’ultimo per risolvere i problemi che di volta in volta vengono a porsi. Un enigma non dovrebbe mai essere spiegato compiutamente ai giocatori in modo che essi possano risolverlo, dovrebbe solamente essere evocata la sua presenza e poi lasciar decidere alle caratteristiche dei personaggi (e anche al caso, se necessario) il suo scioglimento. In realtà il trend è esattamente l’opposto: molti giochi di ruolo per computer sono letteralmente infarciti di indovinelli e di enigmi da risolvere, e costringono più volte il giocatore a spremersi le meningi per poter proseguire nell’avventura; spesso, peraltro, questo elemento viene esaltato dagli appassionati come indice di ‘serietà’ del gioco di ruolo, che spinge l’utente a ‘usare il cervello’ piuttosto che a ‘menare le mani’. Mi pare che, anche in questo caso, si confondano piani diversi. Se voglio usare il cervello in modo logico/matematico, mi dedico all’enigmistica o ai giochi di tattica e strategia, non certo ai giochi di ruolo, dove la componente intellettuale è sì presente, ma dev’essere declinata in senso interpretativo, estetico e immaginifico e non, appunto, in senso logico/matematico.
6. Interpretazione condizionata e interpretazione radicale
Risolta la questione della ‘interpretazione’ e della separazione fra giocatore e personaggio, è possibile continuare ad approfondire la definizione di GdR proprio cercando di separare i diversi modi in cui è possibile ‘interpretare’. Indagando i modi in cui i master di GdR cartaceo organizzano le loro campagne, è possibile tracciare il profilo di due tipi opposti di sessione di gioco di ruolo. Da una parte, vi sono i master che pongono la loro attenzione soprattutto sulla creazione di una ‘storia’ da far vivere ai personaggi; dall’altra, ci sono i master che cercano invece di creare una valida ‘ambientazione’ dove poi i giocatori possano ‘inventare’ le loro storie. Potremmo ridurre le differenze fra questi due metodi di preparazione alla quantità di dettagli presenti nella vicenda che il master vuole raccontare: alcuni master pensano ad ogni minimo particolare della storia, alle varie biforcazioni che ci potranno essere in base alle scelte dei giocatori e così via; questi master hanno già in mente con precisione cosa vogliono raccontare ai loro giocatori (talvolta perché usano qualche avventura acquistata e già pronta) e durante la partita tenteranno spesso di evitare le ‘distrazioni’, indirizzando ciascun personaggio piuttosto chiaramente verso la direzione comportamentale che consentirà un corretto completamento della vicenda. Questo non significa affatto che ai giocatori non sia garantita completa libertà, o almeno non dovrebbe affatto essere così; tuttavia generalmente, di fronte a un impianto narrativo forte e coinvolgente è il giocatore stesso a ‘incanalarsi’ nella storia senza problemi; resta inteso che il master deve comunque avere capacità di improvvisare perché la scelta non prevista può comunque capitare. Altri master hanno un approccio del tutto diverso di fronte alla preparazione di una sessione di gioco: non costruiscono una storia dettagliata fin da principio ma un semplice canovaccio che di solito prevede un punto di partenza e un punto di arrivo, o meglio uno scopo finale da raggiungere (liberare un prigioniero, sconfiggere una creatura, impadronirsi di un tesoro); dopodiché preparano con accuratezza le ambientazioni e lasciano che i personaggi giocanti vi scorrazzino dentro, dando più spazio all’improvvisazione e consentendo anche che qualche giocatore si dimentichi del tutto di quello che era lo scopo da raggiungere. Indubbiamente questo secondo modo di intendere il gioco di ruolo è più libero, ma è anche generalmente più difficile da gestire soprattutto per le elevate richieste di capacità interpretativa fatte ai giocatori. Naturalmente esistono master che sanno sapientemente mescolare queste due concezioni di GdR, però se ci trasferiamo dall’ambito cartaceo a quello digitale ci accorgiamo che la dicotomia resta percepibile. La maggioranza dei GdR per computer segue il comportamento del primo master descritto sopra, e la cosa è ovviamente più che comprensibile visto che l’intelligenza artificiale del ‘master digitale’ che muove le fila di un GdR per computer non può essere ai livelli di una intelligenza umana e quindi può gestire le scelte anomale in maniera molto più goffa. Quindi, nella maggior parte dei GdR digitali c’è una storia molto ‘presente’ (che poi sia di qualità è un altro discorso, ovviamente) e il giocatore è più o meno obbligato a seguirne le varie fasi, vedendo la sua libertà concretizzata nella possibilità di scegliere un percorso piuttosto che un altro, o anche di svolgere o non svolgere le ‘quest secondarie’, cioè le missioni che non riguardano la storia principale (anche se solitamente c’è una sorta di ‘obbligo non scritto’ a fare tutte le quest possibili visto che saltandole il personaggio risulterà più debole a causa del mancato apporto di esperienza). I limiti delle intelligenze artificiali, comunque, non implicano che non sia possibile concretizzare sugli schermi di un computer una libertà più vasta: in alcuni giochi di ruolo digitali, la storia che sta alla base del gioco, pur presente, veste i panni di una delle tante ‘storie’ che il giocatore può far vivere al suo personaggio, senza obbligarlo a certi percorsi o a certe tappe; in questi giochi, al giocatore viene offerta, più che una storia, una ambientazione in cui far ‘vivere’ il suo personaggio nella quotidianità più che nella impresa epica. Qui non vorrei fare una ‘classifica’ fra i diversi modi di intendere un gioco di ruolo, ma solo tentare di distinguere i diversi modi in cui vi può essere ‘interpretazione’. Nel primo caso, l’interpretazione è ‘condizionata’ e riguarda il modo di gestire una vicenda, con tutte le scelte e le questioni morali o filosofiche che possono esserci di mezzo; nel secondo caso, l’interpretazione è ‘radicale’ e riguarda la capacità di calarsi nei panni di un personaggio inventandosi la sua esistenza e la sua quotidianità punto per punto, ovviamente sfruttando una ambientazione costruita ad arte e reattiva alle nostre scelte. Potremmo prendere come esempio perfetto del primo modo di intendere l’interpretazione Planescape: Torment della Black Isle (trovate la mia recensione qui), mentre come esempio del secondo modo è perfetto The Elder Scrolls III: Morrowind e tutti i capitoli successivi della saga di cui fa parte (trovate la mia recensione qui) .
7. L’unione impossibile
È possibile creare un gioco di ruolo in cui vi sia contemporaneamente una storia coinvolgente e ‘pesante’ (in senso buono) e una libertà di interpretazione ‘radicale’ nel senso spiegato sopra? La domanda sorge spontanea se si confrontano i GdR dalla libertà condizionata e i gdr dalla libertà radicale: i primi sono solitamente caratterizzati da un ottimo sviluppo narrativo, ottime caratterizzazioni dei PnG e in generale maggiore coinvolgimento emotivo del giocatore; i secondi sono invece caratterizzati da ottime e coerenti ambientazioni, innumerevoli possibilità di comportamento, innumerevoli possibilità di personalizzazione. Secondo molti, l’unione del meglio del primo col meglio del secondo porterebbe al non-plus-ultra del GdR, e se questa unione non si è ancora verificata è alternativamente colpa dei programmatori poco coraggiosi, delle leggi di mercato o dei computer non all’altezza. In realtà a mio avviso questa unione non può verificarsi per motivi strutturali e irrisolvibili: il gioco di ruolo, cartaceo o digitale poco importa, è condannato a oscillare fra il peso della storia e il peso della libertà radicale, entrambi mutualmente concorrenti. Se gli sceneggiatori costruiscono una storia coinvolgente e importante come quella di Torment, non possono accoppiarla a una libertà di azione come quella di Morrowind, pena un annacquamento generale dell’atmosfera e della tensione narrativa. Viceversa, i programmatori di Morrowind non avrebbero mai potuto mettere una storia principale come quella di Torment, pena l’annullamento effettivo della libertà radicale offerta dal gioco (chi mai si metterebbe a fare una passeggiata al tramonto con il destino del Nameless One per le mani?) La mia opinione è che una ambientazione ristretta e una strada obbligata in un gioco come Torment siano una necessità, così come è una necessità una storia ‘leggera’ in un gioco come Morrowind. Ci sarà chi apprezza di più il primo tipo di interpretazione, quella in cui al nostro personaggio viene richiesto di prendere posizione su fatti noti piuttosto che di costruire dal nulla (o quasi) la sua esistenza e le sue avventure; e ci sarà chi preferisce, invece, cominciare tutto da zero e lavorare soprattutto di fantasia. Ci sarà, soprattutto, chi ama entrambe le possibilità, perché in fondo sempre di interpretazione si tratta. Io mi metto in quest’ultimo gruppo, però spero di produrre recensioni e articoli che mettano sempre bene in chiaro di fronte a che tipo di interpretazione ci mette davanti l’ultimo GdR prodotto. Sempre se l’interpretazione c’è davvero, ovviamente 😉