Uno degli autori più famosi e celebrati nell’industria dei GdR digitali è invischiato in una brutta storia di molestie e abusi. Ecco cosa pensiamo dell’affaire Avellone.
Prima o poi doveva succedere. L’onda lunga del movimento MeToo, tramite il quale le donne vittime di molestie sul lavoro si stanno facendo vicendevolmente forza per denunciare gli abusi subiti, ha toccato anche il mondo dell’industria videoludica. E l’ha toccato in termini clamorosi, per quanto ci riguarda, investendo nientemeno che uno degli autori più celebrati di giochi di ruolo per computer, Chris Avellone. Chiunque frequenti il sito dovrebbe conoscerlo bene, ma facciamo ugualmente un recap dei giochi più importanti a cui il nostro ha prestato la penna: Fallout 2, Planescape: Torment, Icewind Dale, Fallout: New Vegas, Pillars of Eternity, Torment: Tides of Numenera, Divinity: Original Sin II. Non stiamo parlando, come si vede, di prodotti qualunque, ma di alcuni tra i capisaldi del gioco di ruolo digitale, tra i quali sono anche autentici e indiscussi capolavori. Avellone è soprattutto un grande scrittore, capace di costruire atmosfere e personaggi di incredibile spessore: forse il suo merito principale, negli anni d’oro del ‘rinascimento’ del GdR digitale di fine anni Novanta/inizio anni Duemila, fu proprio quello di mostrare al mondo di cosa potesse essere capace l’interpretazione digitale se affrontata con piglio ‘adulto’, ovvero se arricchita con contenuti che non avessero nulla da invidiare a quelli di un romanzo o di un saggio. Successivamente la scrittura avelloniana si è secondo noi un po’ ripiegata su se stessa e come ‘cristallizzata’ senza fare significativi passi in avanti, e risultando anzi fin troppo auto-centrata: ma il ruolo storico di Avellone è sempre stato indiscusso, e il suo nome tra gli autori è bastato in più di una occasione a garantire attenzione a prodotti che altrimenti sarebbero probabilmente passati inosservati.
Ma qual è esattamente lo scandalo a cui stiamo alludendo? Qui non abbiamo intenzione, in realtà, di descrivere l’istanza accusatoria nel dettaglio: chi vuole può approfondire accedendo al forum di ResetEra, che rimanda a sua volta a tutta una serie di tweet in cui alcune vittime raccontano quanto successo. Il tema è, come sappiamo tutti, molto scivoloso. Avellone stesso peraltro è intervenuto nel dibattito, che con ogni probabilità continuerà a lungo. Lo scopo di questo articolo non è certo interrogarsi sul comportamento privato di una persona o sull’opportunità o meno di certi atteggiamenti. Ci sono due punti di carattere generale che vorremmo trattare: il primo slegato dalla nostra attività critica ma comunque importante, il secondo invece decisamente afferente l’attività della Maschera.
1. Internet non è un tribunale
Sembra scontato dirlo, ma occorre farlo lo stesso. La rete dà libertà di parola a chiunque: questa è una cosa molto bella, ma si accompagna alla necessità di una sempre attenta contestualizzazione. Il forum di cui sopra è pieno di utenti che non hanno nulla a che fare con le vicende di cui si parla ma che intervengono lo stesso perché si sentono in dovere di insultare l’accusato o comunque di prenderne le distanze. Tutto questo può essere comprensibile: ciascuno di noi cerca di difendere come può la sua immagine pubblica, e in ogni caso spesso ci lasciamo coinvolgere da comportamenti collettivi che si radicano nell’inveterata abitudine a seguire il branco per esigenze di tranquillità sociale. L’accumulo indiscriminato di accuse allusive e di puri o semplici insulti facilitato dall’internet può avere però l’effetto paradossale di ‘inquinare’ l’accertamento della verità anziché aiutarlo. Ciascuno di noi ha il pieno diritto di pensare malissimo di chiunque, anche senza prove: lo facciamo tutti i giorni quando interagiamo col prossimo. Ma l’effetto dei nostri giudizi si riflette, al massimo, nella calibrazione del rapporto che noi abbiamo con l’oggetto dei giudizi stessi. Questa è, potremmo dire, la ‘nostra’ verità su quella persona. Se però ci sentiamo vittime di un vero e proprio reato, allora la ‘nostra’ verità non conta più, o meglio conta solo in parte: perché a quel punto occorre ricercare una verità processuale, che metta in chiaro quanto il comportamento di una persona abbia violato il vivere civile, vale a dire la sfera pubblica.
Ciascuno di noi deve ovviamente sempre farsi carico delle sue azioni e prendersene la responsabilità. C’è chi viene isolato da tutti anche se non compie alcun reato, semplicemente perché tutti quelli che interagiscono con lui lo trovano insopportabile. Se però qualcuno viene accusato pubblicamente di un reato e questa accusa pubblica provoca il suo isolamento senza che vi sia alcun accertamento della verità processuale, c’è un grossissimo problema. Il vulnus più grave dei movimenti di opinione come il MeToo è secondo noi tutto qui: detto in soldoni, il problema è che i reati non dovrebbero avere niente a che fare con le opinioni. Se venti persone pensano che io sia un molestatore ma nessun giudice è disposto a condannarmi, io sono innocente. Tutti quelli che adesso stanno prendendo le distanze da Avellone hanno probabilmente ottimi motivi: ciascuno ha la sacrosanta libertà di scegliere le persone con cui lavorare. Ma deve essere chiaro che le accuse che leggiamo sono, per l’appunto, solo accuse: nessuna verità processuale è stata stabilita, anche perché per il momento non ci risulta che siano state fatte denunce o richieste di indagini. Se fossimo nel mondo pre-internet, probabilmente queste accuse sarebbero circolate solo tra poche persone: oggi, invece, raggiungono ogni angolo del globo nel giro di pochi secondi. Ma una opinione ripetuta milioni di volte da milioni di persone diverse non diventa per questo verità processuale. Teniamolo sempre a mente, anche quando si parla di accuse a esponenti politici o a personaggi pubblici di altro tipo.
2. L’arte ci salva perché è a-morale
Facciamo finta che una delle accusatrici di Avellone faccia partire un processo e che quest’ultimo si concluda con una condanna. A quel punto potremmo davvero affermare che il nostro è un molestatore. La domanda seguente è: ha questo qualcosa a che fare con il suo lavoro di scrittore di videogiochi? La risposta ovviamente è: no. La produzione artistica di una persona non ha niente a che fare con i suoi comportamenti privati e neanche con i suoi comportamenti pubblici. L’unico metro di giudizio utilizzabile per un prodotto dell’ingegno è quello messo a disposizione dalla critica: opinabile, criticabile, imperfetto, ma sempre e comunque slegato dalla morale. O meglio: legato alla morale solo in quanto quest’ultima abbia una relazione con il prodotto estetico, non certo con i comportamenti dell’autore. Censurare l’opera di un artista perché quest’ultimo si macchia di un qualche reato non è solo sciocco, è proprio completamente illogico, ottimo esempio di non sequitur. Lo si vede plasticamente quando lo scorrere del tempo ci libera dal ricatto emotivo: Caravaggio fu un omicida, D’Annunzio un violento guerrafondaio, i filosofi greci praticavano quasi tutti la pedofilia. Ma a nessuno verrebbe in mente di vergognarsi mentre mostra di apprezzare un quadro di Caravaggio o mentre legge un filosofo greco. Perché il godimento estetico non ha niente a che fare con i comportamenti degli autori, e a voler ben vedere nemmeno con la salienza morale dei suoi contenuti. Un film o un libro violenti possono essere infinitamente più godibili di un film o un libro edificanti, e anzi il più delle volte è proprio così. A pensarci bene, questo suo essere a-morale è ciò che rende l’arte necessaria. Proprio perché si muove su un piano altro rispetto alla contingenza, l’arte ci consente la piena libertà, anche di solleticare parti di noi che nella vita ‘pratica’ siamo costretti a sopire o ignorare. È il celebre concetto della catarsi, già teorizzato nell’antichità: do sfogo alle mie peggiori pulsioni sul piano estetico così da essere più tranquillo sul piano pratico. Molti videogiochi di ruolo, e in particolare molti scritti da Avellone, hanno contenuti di carattere profondamente catartico: e fa sinceramente sorridere chi oggi collega questi contenuti con la “persona” Chris Avellone, come se la produzione artistica di uno scrittore fosse la riproduzione 1:1 della sua persona. Se molti pezzi scritti da Avellone sono disturbanti non è perché il nostro è un poco di buono, ma semmai perché egli è, o è stato, un grandissimo scrittore: e ‘disturbare’ il fruitore è precisamente il compito di chi produce arte. Compito della critica, viceversa, è sviscerare l’arte e darne conto, analizzandone le strutture e i meccanismi; senza curarsi minimamente di chi, coi forconi in mano, vorrebbe mettere a tacere il talento di chiunque non abbia una condotta immacolata.
Ottimo articolo, giunto con tempismo perfetto (e suppongo non a caso). Ahinoi, è innegabile come anche nei videogiochi, passatempo escapista per eccellenza, ritroviamo il medesimo meccanismo perverso radice di moltissimi mali in ambiti ben più “concreti”: la prepotenza di una minoranza irrazionale, accoppiata alla pavidità di una classe dirigente interessata esclusivamente al consenso, comporta danni e problemi per tutti, soprattutto i consapevoli. Allontanandomi dalla discussione su Chris Avellone, cui auguro di potersi discolpare da queste brutte accuse, allargo lo sguardo sull’interezza delle conseguenze provocate ai nostri amati GDR dal fenomeno di cui sopra. Nel mio ultimo commento, lamentavo come Bethesda avesse “inquinato” il suo Skyrim inserendovi scelte binarie e altre amenità plagiate da lavori intrinsecamente diversi dalla serie TES, perché la propaganda martellante degli appassionati “duri e puri” le pretendeva. Risultato? Tutti insoddisfatti, fans e detrattori. E che dire di piranha bytes? Elex è universalmente disprezzato da pubblico e critica non solo per il gameplay insoddisfacente, ma anche per l’innesto di pallide imitazioni di romance e dialoghi consequenziali, ancora una volta soltanto nel tentativo smaccato di attirare quella fetta di pubblico che rifiuta di concepire GDR dove questi elementi cedono il posto ad altri, egualmente degni di considerazione. Ci sarebbero esempi ulteriori, come l’inesorabile processo di “MMORPGizzazione” (neologismo orrendo, lo so, ma rende l’idea) che da qualche anno infesta i titoli a giocatore singolo, o la mania di farcire a dismisura con centinaia di ore di contenuti giochi già ponderosi anche a piccole dosi, che affliggono la quasi totalità degli ultimi esponenti del genere. Gli sviluppatori un tempo innovatori sembrano non possedere la volontà di distaccarsi dalla vulgata corrente, e sono passati dal lanciare tendenze al seguirle pedissequamente. Magari vedo un futuro a tinte troppo fosche, però mi preoccupa questo appiattimento dell’offerta, specialmente perché, come detto in apertura, a provocare la maggior parte dei danni è una piccola parte di giocatori, mentre la maggioranza silenziosa li subisce. Spero solo che i “pezzi grossi” dell’industria videoludica (per non parlare dei settori “vitali” al di fuori di essa) rinsaviscano al più presto. Saluti e salute.
L’argomento di cui parli è molto diverso da quello affrontato dall’articolo, ma penso di capire perché hai pensato di collegare le due istanze. Io comunque le terrei ben distinte: da una parte abbiamo una “macchina del fango” che pretende di valutare l’artista sulla base di considerazioni bassamente moralistiche; dall’altra abbiamo ‘semplici’ scelte artistiche. Peraltro, mentre sono abbastanza convinto che nel secondo caso gli autori siano spesso vittime di minoranze organizzate e rumorose, nel primo caso la “macchina del fango” è ahinoi un tipico prodotto del ‘senso comune’, quindi non lo assegnerei a una minoranza. La minoranza siamo noi, che chiediamo che le questioni morali e penali restino fuori dalla valutazione del prodotto estetico.
Tanto per fare un paragone, il fatto che Bill Cosby sia uno stupratore (categoria che personalmente colloco su uno dei gradini più bassi della scala umana) non mi impedisce di apprezzare la sua abilità di attore comico quando mi riguardo le vecchie puntate dei Robinson.
Esatto! Ma bisogna anche fare un passo in più: sarebbe bellissimo se un artista accusato di qualcosa ma a piede libero potesse continuare a offrire al mondo la sua arte, senza essere schifato a prescindere solo a causa di accuse non confermate.
Ammetto di essermi dimostrato un tantino troppo zelante nel collegare tra loro argomenti così distanziati; in questo periodo ogni giorno spuntano fuori novità da farmi imbestialire e per sbollire ho pensato bene (cioè male) di sfogarmi con un piccolo flusso di coscienza alquanto fuori luogo. Per rientrare nei ranghi, dico: sì, concordo pienamente con la tesi di Mosè. Giudicare un’opera a seconda della simpatia o antipatia suscitata dal suo autore è sbagliatissimo, tanto più nel caso di lavori corali quali un videogioco, in cui lo scrittore è solo una delle personalità artistiche coinvolte. E aggiungo: condannare senza processo una persona sui Social è indegno di una civiltà evoluta. Nel caso del nostro Chris Avellone, poi (a meno che non si tratti di un fuoco di paglia), mi preoccupa soprattutto la dietrologia destinata a materializzarsi attorno ai suoi lavori storici. In questa sottospecie di guerra tutti-contro-uno combattuta su Internet, dove i vari “insultatori” fungono da carne da cannone e i titoloni click-bait da artiglieria, non possono mancare i guastatori: individui con molto tempo libero e una mente perversa, dediti a scovare significati nascosti dove non esistono. Costoro potrebbero perfino scoraggiare le nuove generazioni di giocatori di ruolo dal gustare un grande Capolavoro come Planescape: Torment! Pensiamo a Deionarra: donna fragile e ingenua, preda di un amante abusivo dal quale non riesce a distaccarsi; schiava di un amore malato e di un uomo prevaricatore, in vita e in morte. Una storia nobile e poetica con protagonisti sfaccettati, ma facile da distorcere in una gretta narrazione maschilista e regressiva agli occhi di individui giovani e influenzati dal revisionismo così in voga oggigiorno. Si potrebbe accusare Avellone di essersi ispirato a sé stesso e alla sua visione della donna per tratteggiare questa dinamica, ignorando, ovviamente, il tono di ferma condanna che traspira da essa. Mi spingo troppo in là, con questi toni apocalittici? Assai probabile, e senz’altro io spero di avere torto. Dico solo che non mi stupirei affatto se nel prossimo futuro una furia iconoclasta affliggesse anche il settore videoludico. Ripeto: in fondo non ci credo nemmeno io. Ma il timore, sottile, permane. Saluti e salute.
L’esempio che fai riguardo a Deionarra è perfetto. Quel che paventi, peraltro, è quel che sta già succedendo. Sui forum si leggono commenti del tipo: “guarda cosa scriveva qui, si capiva già che è un pervertito”. Probabilmente in futuro dovremo fare i conti con una corrente di pensiero che de-rubrica i grandi capolavori del passato a espressione nefasta delle perversioni dell’autore. Motivo in più per tenere alta la guardia a livello critico.
Ciao Mosé. E’ la prima volta che vedo un’opportunità di commentare un tuo articolo e, per giunta, si tratta di un tema su cui ho riflettuto molto in passato, ossia il concetto di libertà dell’arte. Perdonami se scelgo di approfittarne. Sarei curioso di conoscere la tua opinione, stanti i concetti che hai espresso qui sopra, su quei casi documentati in cui una prestazione artistica di qualsivoglia natura (sia essa un doppiaggio, un’animazione, una componente del gameplay ecc.) è stata eliminata per la connessione arbitraria con la condotta sociale del suo esecutore. In più, e qui rimaniamo nell’argomento di libertà artistica dall’etica ma usciamo dall’attinenza con la sfera privata dell’autore, mi piacerebbe leggere il tuo punto di vista su quei casi in cui è l’etica stessa del prodotto artistico a generare la censura. Ti invio tre diversi esempi per contestualizzazione. Usali se credi che rimanere sul generico renderebbe la discussione troppo vasta. In effetti, io ho in mente proprio questi tre casi nel porre la questione alla tua attenzione:
https://www.eurogamer.it/articles/2019-03-07-news-videogiochi-rape-day-valve-spiega-rimozione-da-steam-difesa-sviluppatori-gioco-che-consente-stupro
https://variety.com/2019/gaming/news/voice-actor-replacement-judgment-west-1203170058/
https://www.eurogamer.it/articles/2019-07-28-news-videogiochi-fire-emblem-three-houses-nintendo-sostituira-un-doppiatore-accusato-di-violenza-sessuale
Ciao leidan05 e grazie per il tuo commento!
Ho letto tutti gli articoli da te linkati. Per quel che riguarda la fattispecie relativa alla relazione tra prodotto artistico e condotta sociale dell’autore, tengo fermo il punto di quanto affermato nel mio contributo qui sopra: il prodotto dell’ingegno va giudicato in sé e non ha alcuna relazione con la ‘natura umana’ di chi l’ha prodotto. Tra l’altro mi pare che ultimamente vi sia, a questo riguardo, una sorta di ‘escalation’ che rischia di sforare nell’assurdo: qui si parla dell’uso di cocaina (se fosse una discriminante, dovremmo ‘licenziare’ gran parte dei membri dello show business), ma ho letto addirittura di qualcuno che è stato allontanato per “adulterio”. Al di là dei dettagli, comunque, il problema è che i videogiochi (ma anche le serie TV) sono frutto di un lavoro di squadra: è la squadra, più che l’utente finale, a non voler essere contaminata dal ‘peccatore’. La cosa è anche comprensibile: io stesso probabilmente sarei a disagio nel lavorare fianco a fianco con qualcuno accusato di stupro. Bisognerebbe far sempre prevalere la propria parte razionale, ma siamo creature dotate di passione e irrazionalità e non è sempre facile.
Completamente diverso è il caso dell’opera i cui contenuti stessi sono oggetto di censura. È chiaro che in ambito artistico vi dovrebbe essere piena libertà espressiva, ma da sempre si discute, a livello critico, del problema del rapporto tra il linguaggio artistico e il codice penale. Nel Medioevo e nel Rinascimento l’artista che voleva studiare il corpo umano per meglio rappresentarlo partecipava a sezionamenti di cadaveri svolti nella più totale illegalità. La rappresentazione della nudità, spesso richiesta dal committente per motivi tutt’altro che edificanti, ha dovuto per secoli essere dissimulata tramite il soggetto mitologico o addirittura devozionale (è il motivo del successo clamoroso dell’episodio biblico di Susanna e i vecchioni). Anche muovendosi nell’arte contemporanea, le idee espressive più estreme trovano posto solo nelle esposizioni che le possono inserirle in sezioni ‘nascoste’ o debitamente vietate ai minori: e non manca chi si vede respinto solo ed esclusivamente per via del soggetto ‘pericoloso’. Nel caso che tu linki, però, l’azione è mossa non tanto da preoccupazioni riguardanti la liceità del contenuto artistico, quanto da considerazioni di carattere commerciale. Steam è anzitutto un negozio virtuale, e le sue policy tendono a salvaguardare principalmente la sua rispettabilità in questo senso. È possibile trovare un videoartista che rappresenta uno stupro dentro un museo, ma difficilmente troverai lo stesso video proiettato nel bookshop. Come Steam non è un museo ma un negozio, così i videogiochi non sono, o almeno non sono *solo*, espressioni dell’ingegno, bensì prodotti commerciali. Le nostre preoccupazioni riguardo all’integrità del messaggio devono sempre fare i conti con questa realtà.
Ti ringrazio per la veloce ed esaustiva risposta. Non credo ci sia altro da aggiungere, ero interessato al tuo modo di vedere la questione e il tuo pensiero è cristallino. Spero che questo sia il primo di una serie di approfondimenti sul tuo sito, ho letto che hai in mente di espanderlo con nuovi e diversi contenuti. Trovo sia un’ottima idea. Alla prossima.
Ultime notizie: Chris Avellone è stato assolto dalle accuse di molestie, ed ha ottenuto scuse pubbliche e risarcimento: https://multiplayer.it/notizie/chris-avellone-assolto-dalle-accuse-di-molestie-ottiene-scuse-pubbliche-e-risarcimento.html